Una protesta del 1900 per difendere la patrona di Parabita

foto Emanuele Toma

Quando la Madonna della Coltura fu “dimenticata”: una protesta del 1900 per difendere la patrona di Parabita

di Marcello Gaballo

Nel gennaio del 1900, un accorato appello venne inoltrato alla Curia vescovile di Nardò da don Gaetano Ferrari, vicario foraneo e figura di riferimento per la comunità parabitana. Oggetto della missiva: la cancellazione, apparentemente per errore, della festa della Madonna della Coltura dal calendario liturgico diocesano, a favore di quella di San Francesco di Paola. Un cambiamento che suscitò sconcerto e profonda inquietudine tra i fedeli.

Il sacerdote scrive al Vicario generale con tono deciso, chiedendo “la correzione” di quanto avvenuto, e argomentando la richiesta con precisione canonica e passione pastorale. Richiama, infatti, l’autorità di due antichi decreti della Santa Sede, conservati presso l’Archivio Capitolare. Il primo, datato 1° dicembre 1847, dichiara la Madonna della Coltura “Padrona principale” di Parabita, elevandone la festa liturgica al rito doppio di prima classe con ottava, un segno inequivocabile del rango riconosciuto alla Vergine nel culto cittadino. Il secondo decreto, del 24 novembre 1848, stabiliva lo spostamento della festa di San Francesco di Paola, anch’essa di uguale dignità liturgica, ma non prevalente.

Per il parroco, dunque, l’inversione nel calendario non era solo un errore tecnico, ma una ferita inferta alla tradizione e alla devozione popolare. “Non so per colpa di chi si è commessa una tale omissione” – scrive Ferrari – “ma il vero si è che […] la SS. Vergine della Coltura [è] nominata Padrona principale”. E la memoria liturgica della Madonna, da sempre celebrata la seconda domenica dopo Pasqua, “non può muoversi, senza un generale disturbo delle sacre funzioni”.

Ma a preoccupare non era solo la precisione del calendario. Il sacerdote sottolinea con forza il legame affettivo e spirituale della comunità con la Madonna della Coltura, parlando di una “sconfinata divozione”, alimentata da pratiche secolari, come i nove sabati precedenti alla festa e la solenne Novena. Persino l’andamento delle offerte per il restauro della cappella era legato al fervore popolare: spostare la festa, temeva il vicario, avrebbe rischiato di “intiepidire la devozione colla correlativa diminuzione delle offerte”.

In conclusione, Ferrari avanzava una proposta di compromesso: spostare la festa di San Francesco alla quarta domenica dopo Pasqua, così da evitare sovrapposizioni e rispettare le priorità cultuali sancite dai decreti papali.

Questo episodio, oggi forse dimenticato, restituisce uno spaccato vivido di come il culto locale – pur nella cornice della disciplina liturgica – fosse anche un fatto identitario, capace di mobilitare l’intera comunità. La Madonna della Coltura, che ancora oggi occupa un posto centrale nella pietà popolare di Parabita, dimostra come la devozione non sia solo affetto, ma anche memoria storica, diritto liturgico e, in certi casi, orgogliosa difesa delle proprie radici.

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