1906: Il grido di Parabita per la Vergine della Coltura

Il monolito di Parabita nel santuario della Madonna della Coltura (foto Emanuele Toma)

1906: Il grido di Parabita per la Vergine della Coltura

Una cappella pericolante, la mobilitazione civile e il sogno della ricostruzione

 

di Marcello Gaballo

 

La Cappella della Coltura sorgeva alla periferia sud-est dell’abitato di Parabita, in un’area che, fino alla seconda metà dell’Ottocento, era ancora marcata da un paesaggio agrario dominato da oliveti e vigne. Il titolo “Coltura”, non a caso, richiama la vocazione agricola del luogo e rimanda a un’antica devozione rurale alla Vergine, vista come custode dei raccolti e delle fatiche contadine. Già documentata nei secoli precedenti come cappellania dotata di beni fondiari, la chiesa costituiva un importante riferimento spirituale, ma anche sociale, per le fasce più umili della popolazione.

Nella seconda metà del XIX secolo, con l’ampliamento del centro abitato e l’intensificarsi dei collegamenti stradali verso Tuglie e Matino, l’area iniziò gradualmente a trasformarsi: la zona della cappella, un tempo isolata, fu sempre più integrata nella trama urbana, pur mantenendo il suo carattere di luogo di pellegrinaggio e raccoglimento. Non a caso, già nel 1906, il documento parla della cappella come “comparrocchiale”, segno del suo ruolo complementare e indispensabile rispetto alla chiesa madre, ormai insufficiente a contenere i fedeli.

La decisione di ricostruirla, quindi, non rispondeva solo a un’urgenza strutturale, ma anche a una chiara esigenza urbanistica e pastorale: garantire un luogo sicuro e adeguato per il culto in un’area in espansione, profondamente legata alla memoria e alla devozione popolare.

Nel cuore dell’estate del 1906, la comunità di Parabita si trovò a vivere un momento delicato della propria storia religiosa e civile. Il 7 luglio di quell’anno, il Consiglio Comunale si riunì in una seduta straordinaria per discutere delle sorti della Cappella della Coltura, luogo di culto amato e venerato da generazioni di fedeli, ma ormai giunto a un punto critico di degrado strutturale.

La seduta, oggi conservata in originale presso l’Archivio Storico Diocesano di Nardò, riporta un documento prezioso che restituisce la voce autentica dei protagonisti di quel momento.

Presieduto dal dott. Giovanni Caggiula, il Consiglio era rappresentato da una nutrita schiera di membri, tra cui il cav. Tommaso Ravenna, Luigi Giannelli, gli avvocati Raffaele Elia e Vincenzo Ferrari, Francesco e Domenico Ferrari, Donato Pierri, Rocco e Felice Serino. Fu proprio Rocco Serino, consigliere, a presentare una relazione dettagliata sullo stato della Cappella e sulle misure necessarie per affrontarne la ricostruzione.

Scriveva Serino:

«Egregi Colleghi.
A tutti è noto il Culto verso la Vergine della Coltura, protettrice di Parabita, da questa popolazione e dai vicini e lontani paesi, tanto da fare della misera cappella un grande Santuario: in tutte le ore del giorno è un vero pellegrinaggio, un accorrere continuo di fedeli.
D’altra parte sono conosciute purtroppo le condizioni di stabilità in cui trovasi la Cappella della Coltura, condizioni per nulla migliorate dopo che si è quasi fasciata di catene in ferro: le lesioni sono sempre enormi, e l’edificio minaccia di rovinare da un giorno all’altro con grave pericolo dei fedeli che continuamente vi stanno a pregare.
Pensare a radicali restauri è inutile, la Cappella così come ora si trova deve demolirsi. Intanto questa popolazione vuole esplicare sempre il suo culto verso la Protettrice, ed essendo la Cappella comparrocchiale, deve esistere assolutamente, in vista della insufficienza della Chiesa parrocchiale e di tutte le piccole Cappelle che sorgono nel nostro paese, quindi la necessità di ricostruirsi.»

Un progetto per la nuova costruzione era già stato redatto dall’ingegnere Vincenzo D’Elia, professionista salentino attivo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Nato presumibilmente a Matino o nella stessa Parabita, D’Elia fu autore di vari lavori pubblici e religiosi nel territorio neritino e gallipolino, distinguendosi per uno stile sobrio ma attento alle esigenze liturgiche e statiche degli edifici. Nel caso della Cappella della Coltura, egli redasse un progetto completo, con un preventivo di spesa di 35.000 lire, accompagnato da relazione tecnica. La cittadinanza, tramite sottoscrizione, aveva già raccolto 20.000 lire, e si confidava di reperirne altre 10.000 durante i lavori. Restavano 5.000 lire ancora da reperire.

È su questo punto che il Consiglio Comunale si appella all’Economato Generale dei Benefici Vacanti di Napoli, richiamando anche la memoria di un’antica istituzione:

«Da tempo immemorabile esiste qui una Cappellania sotto il titolo di “Beneficio della Coltura”. Ne è stato investito finora il Canonico Michele Corbino da Nardò, il quale non ha mai pensato, per quanto mi consta, agli obblighi che gli erano imposti per officiature, messe, lampade ed altre spese di Culto, né alla manutenzione della Cappella, per cui si è ridotta nello stato che tutti deploriamo. Con la morte del Corbino, i beni son passati all’Economato Generale dei Benefici Vacanti di Napoli, e li amministra a mezzo del Sub Economo di Nardò. […] si dovrebbe domandare all’Economato Generale che detti beni siano amministrati da quest’Amministrazione Comunale, che vede più da vicino i bisogni della Cappella comparrocchiale […].»

Nel caso in cui l’amministrazione diretta non fosse concessa, si chiedeva almeno:

«1° – Una somma annua almeno di £ 200 per le ordinarie spese di culto […].
2° – La somma mancante per la ricostruzione della Cappella in £ 5.000 […].»

La proposta si concluse con un ordine del giorno chiaro e articolato, in cui si domandava il passaggio dell’amministrazione del beneficio al Comune per gestire:

«1° – Tutte le spese di culto che si richiedono da una Chiesa comparrocchiale.
2° – Le somme mancanti per la ricostruzione della Cappella della Coltura.
3° – Gli obblighi connessi ai Benefici dell’Assunta e di San Giorgio, inerenti al Beneficio Coltura.»

Il Consiglio Comunale di Parabita approvò all’unanimità e per appello nominale la proposta, esprimendo la volontà unanime di sostenere la causa della Cappella:

«Fa vive istanze al prelodato Economato Generale poiché faccia buon viso alla presente domanda, sicuro di far opera di giustizia e rispettare la volontà del fondatore, con le rendite derivanti dai fondi che donava, all’esplicamento del Culto alla Vergine della Coltura in Parabita.»

L’ordine del giorno, che traduceva la relazione di Serino in forma deliberativa, fu approvato all’unanimità con voto per appello nominale. Il presidente e i consiglieri ne proclamarono l’esito con piena soddisfazione.

Quella seduta rappresenta oggi una pagina esemplare di civismo popolare e di partecipazione democratica al servizio della fede.

La Cappella della Coltura non era solo un edificio: era il simbolo di una comunità agricola unita da una devozione semplice ma tenace, radicata nella terra e nella memoria. Il sogno della sua rinascita nacque così, tra le crepe di un edificio pericolante e le voci di un consiglio comunale che seppe farsi eco della volontà del popolo.

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