di Armando Polito
Niente sfugge all’oblio e la labilità delle nostre memorie, quasi consacrata ormai dalla messa al bando dello studio, anche di parte, della storia, coinvolge spirito e materia, sentimenti e oggetti e le parole che li designano, come quelle del titolo. È naturale, perciò, che uno non della mia età si fermi al fatto che le prime due hanno il loro esatto corrispondente italiano in telaio e telaietto. Per lui, trasurando la terza, il discorso sarebbe chiuso, sul piano formale e su quello semantico. Gli chiederei, allora, di distogliere, per pochi minuti se ce la fa, lo sguardo dallo schermo, volevo dire display, del suo strabiliante telefonino, volevo dire smartphone, e, per cominciare dalla forma, gli farei notare che da un primitivo tilaru è normale aspettarsi, com’è stato, un derivato diminutivo tilarettu; ma tiralettu? Supponendo, quasi per assurdo, che non sbotti in uno sbrigativo e reprensivo – È uguale! – o, peggio, in un deciso – E chi se ne fotte? -, metterei in campo il principio dell’analogia, che non è valido solo per la linguistica ed è la prima e spesso l’ultima, se non l’unica, spiaggia per dirimere qualsiasi problema. Fidando, forse un po’ troppo, sulla tracotanza giovanile che, in forma repressa covò un tempo pure in me, gli farei l’esempio di palora e di mille altre parole (proprio mille no, perché, giustamente, mi manderebbe subito a quel paese, non solo a parole) per fargli notare come palora, rispetto all’italiano parola, mostra il fenomeno della metatesi, cioè dello scambio di posizione tra uno o più fonemi, in questo caso –rol->-lor-, passaggio propiziato dal fatto che –l– e –r– sono due consonanti della stessa qualità, cioè liquide. Lo stesso, ecco l’analogia, è avvenuto in tiralettu rispetto a tilarettu. A questo punto sarebbe d’obbligo l’obiezione: – Allora, che bisogno c’era di tiralettu doppione di tilarettu? -.
La risposta la darei passando dalla fonetica alla semantica.
Nonostante immagini che a questo punto molto probabilmente mi troverei a parlare da solo, continuo a … danno di chi ha la malsana intenzione di continuare nella lettura. Il tilaru per millenni è stato uno strumento di lavoro esclusivamente femminile e la parola evoca oggi solo un oggetto da museo. Più felice è stato il destino di telaio, che nel passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale ha continuato ad indicare lo stesso strumento di tessitura ma con tante implicazioni tecnologiche ed umane, queste ultime legate all’introduzione, grazie all’informatica, della digitalizzazione, della robotica e dell’intelligenza artificiale. In più telaio, sfruttando le due componenti concettuali (trama+ordito) della parola (tela) di cui è forma aggettivale sostantivata, ha esteso il suo significato a quello di struttura portante, soprattutto di un mezzo di locomozione. E se telaietto allude a sue dimensioni ridotte o, peggio, alla sua qualità, tilarettu e tiralettu, invece sono da tempo morti e sepolti, insieme con gli oggetti da loro designati. Tilarettu, infatti, era un telaio usato non per tessere ma per ricamare e per questo portatile e, naturalmente, di dimensioni infinitamente ridotte rispetto al tilaru, che quasi occupava un’intera stanza. Tilarettu morto insieme con quel ricamo che ha dato vita ad autentici capolavori di fronte ai quali quelli di oggi rimediano la stessa squallida figura di un’automobile di serie rispetto ad una Ferrari, tanto più se quest’ultima non è di recentissima o recente costruzione.
Di dimensioni, per così dire, intermedie era il tiralettu, dove le corde (foglie infilzate insieme dallo spago con l’acuceddha1 ) di tabacco, ognuna per mezzo di due chiodi, venivano appese orizzontalmente per essere essiccate. Se la tessitura col tilaru e il ricamo col tilarettu erano esclusivamente di competenza femminile, lo erano prevalentemente le attività connesse col tabacco, dalla raccolta delle fogli alla loro sistemazione sui tiraletti. Proprio la tensione dei due capi di ogni corda potrebbe spiegare, secondo me, tiralettu rispetto a tilarettu come frutto di un doppio fenomeno e cioè non solo, come prima indicato per parola/palora, di metatesi –lar->-ral– ma pure di incrocio con tirare, fino ad un esito non voluto di differenziazione semantica. In fondo, tela ha la stessa radice di tessere, azione nella quale convergono il sostenere e il tendere, il tirare i fili, proprio come avveniva con le corde del tabacco e, per l’essiccazione dei fichi, in cui il tiralettu sosteneva quella specie di tela fatta di canne intrecciate che era il cannizzu, il quale, a sua volta, sosteneva i fichi.
Quasi sicuramente pure l’unico lettore rimasto fino a qualche tempo fa sarà andato via e io sto ancora qui a tirare per le lunghe con questo tiralettu …
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1 Vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/11/22/e-oggi-disquisiamo-di-aghi/