Dialetti salentini: mammone, ovvero tra favola, parassiti dei legumi e briganti

di Armando Polito


Di fronte ad una parola dialettale chiunque si chiede inizialmente se essa abbia il suo corrispondente, non solo formale ma anche semantico, in italiano. Nel nostro caso i vocabolari italiani di mammone ne registrano tre:1

mammone1: derivato da mamma, nel linguaggio familiare definisce chi è molto legato alla mamma.

mammone2: derivato da mamma, definisce il siconio del caprifico, che porta fiori prevalentemente femminili.

mammone3: dall’arabo maimūn], nome di un Macaco e, con sign. più generico, scimmia. Da esso è derivato il gattomammone delle favole.

A  questo elenco andrebbe aggiunto anche un Mammone, soprannome di Gaetano Coletta, un famoso brigante della fine del XVIII secolo, che ebbe tutte le carte più che in regola per meritarsi quel soprannome. La digressione che ora gli dedicherò può sembrare un pretesto per allungare il brodo, ma in realtà è funzionale  alla sua riuscita e, spero gradita, degustazione..

Di seguito l’autorevole testimonianza lasciataci da un suo compagno di prigionia, il famoso giurista e storico napoletano Vincenzo Cuoco, nel Saggio storia sulla rivoluzione di Napoli, Sonzogno, Milano, 1806, p. 205, nota 1.

Gaetano Mammone, però, divenne e rimase per lungo tempo, sia pure limitatamente all’ambito napoletano, sinonimo di spauracchio, per una sorta di procedimento antonomastico al contrario, come fa intuire l’iniziale maiuscola di Mammone in questo trafiletto che ho tratto dal giornale Lo cunto de Napole e lo Sebeto  (Anno II Parlata 13 del 16 gennaio 1861. Fra l’altro Il lettore della mia età ravviserà nella sparmata (palmata) una delle punizioni quotidiane ancora in vigore nel sistema educativo dei nostri verdi anni, mentre oggi il Mammone dei giornalisti, ammesso che esista una stampa indipendente, è impersonato da un potere legislativo sempre più nerte, con l’esecutivo e il giudiziario diventati reciproci mammoni …

 

 

Con Mammone si verificò una sorta di antonomasia inversa (da nome comune a nome proprio, anzi cognome (mammone>Mammone)  e non viceversa come, per esempio, in Cicerone/cicerone, tant’è che, dopo il Mammone Gaertano del Cuoco, tale rimase negli storici contemporanei e successivi1. D’altra parte lui stesso andava fiero del suo soprannome, come mostra il suo autografo, che riproduco in dettaglio tratto dalla tavola 110 (didascalia: Autografi dei capimasse) in Benedetto Croce-Giuseppe Ceci-Michelangelo D’Ayala-Salvatore Di Giacomo, La rivoluzione napoletana del 1799, Morano & figli, Napoli, 1899.

Credo, invece, che non sia attendibile, anche e soprattutto per la mancante indicazione della fonte, il ritratto riportato in Pierluigi Moschitti, Briganti e musica popolare dal nord del sud, s. n., s. l., 2007 (?)

È tempo di lasciare la Campania e di tornare a casa.

Nel dialetto salentino mammone manca dei primi due significati registrati in italiano e in compensazione ne assume due che appaiono connessi col terzo della voce italiana.

Così sono registrati nel vocabolario del Rohlfs:

Se Il rapporto tra la scimmia, il gatto mammone, lo spauracchio (dei bambini) e l’orco appare evidente, meno immediato lo è col tonchio, cioè il parassita che nei legumi, soprattutto fave, fagioli e piselli, scava vere e proprie gallerie. È proprio questo dettaglio, però, a stabilire il legame tra la sua voracità e quella bestiale dell’orco delle favole antiche, comodo strumento terroristico, al pari del lupo, usato per dubbie finalità pedagogiche, mentre era in libera circolazione la metaforica voracità tutta umana dei pedofili.

Lo slittamento di mammone dal mondo infantile a quello degli adulti presente nel trafiletto ricorre pure nel modo di dire neritino no tti mintire mmammuni an capu/quiddhu porta mmammuni an capu (non ti mettere in testa strani pensieri/quello ha cattive intenzioni), in cui il cattivo pensiero corrisponde al parassita, al tarlo che rode in testa, dannoso per chi lo ospita e pericoloso per chi con lui ha a che fare.

Se il mammone infantile ha origini antichissime e antiche le ha la sua consacrazione nella letteratura2, va rivendicata al Salento, a quanto ne so, l’originalità ed unicità della metafora che lo ha portato alla sua ulteriore identificazione nel parassita dei legumi.

A volte, del tutto casualmente, i sinonimi sono la conferma di certi passaggi metaforici. Nel nostro caso succede nello specchietto poco fa riportato con gorgoglione, che è dal latino gurgulione(m)=gola, il cui nominativo (gurgulio) con la sua variante (curgulio)  ha dato vita a Curculio,  il personaggio (un vorace parassita) protagonista dell’omonima commedia di Plauto (III-II secolo a. C.). Connessi con gurgulio sono in latino gurges=vortice e, in senso traslato, divoratore, dissipatore (da cui l’italiano gorgo) e alla sua radice onomatopeica si collega gula=gola (da cui la voce italiana). Da gurgulio, poi, è derivato l’italiano gorgogliare. Molto probabilmente, infine, connesso con la sua variante curculio è il salentino scurcugghiare=rovistare; qui lo slittamento metaforico sembra aver attinto l’integralità della sua origine con l’evocazione della frenesia insita nell’atto vorace e nello stesso tempo del rumore che di solito l’accompagna..

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1 Filippo Galli, Memorie storiche sulla presa di Roma, Puccinelli, Roma, 1800, p. 40; Pietro Colletta, Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, Tipografia e libreria elvetica, Capolago, 1836, p. 349); Francesco Carta, Storia del reame delle due Sicilie, Androsio, Napoli, 1848, p. 667. Il nome anagrafico del nostro compare la prima volta in Tarquinio Maiorino, Storie e leggende di briganti e brigantesse, Piemme, Casale Monferrato, 2017, p. 215: Mammone si chiamava per l’anagrafe Gaetano Coletta.

2 Già in Lo specchio della vera penitenza di   Iacopo Passavanti (XIV secolo): E alcuna volta grida la persona e piagne in fra tale sogno, rammaricandosi: e chiamano alcuni questo sogno demonio, o vero incubo, dicendo ch’è uno animale a modo d’uno satiro, o come un gatto mammone, che va la notte e fa questa molestia alle genti: e chi la chiama fantasia.  E nella letteratura dialettale napoletana in Lo cunto de li cunte trattenemiento de li peccerille di Giambattista Basile (XVI-XVII secolo): A la quale voce l’Uorco co ttutte l’animale, che lo servevano, tanto che da ccà te vedive no gatto maimone, da llà n’urzo de lo Prencepe, da chesta parte no lione, da chella no lupo menaro, pe ffarene mesesca. A proposito del titolo dell’opera del Basile non escluderei che trattenemiento abbia avuto la sua eco  e traduzione il salentino ‘ntartieni (intrattieni), termine quasi magico nella sua  indeterminatezza semantica usato in codice un tempo per tener buoni i bambini in espressioni del tipo  va’ ddha lla nonna e ffatte tare nnu picchi ti ‘ntartieni (vai dalla nonna e fatti dare un po’ di intrattenimento). Così ‘ntartieni potrebbe essere una voce di origine dotta, a dimostrazione della popolarità dell’opera napoletana.

 

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