IDRUSA DI OTRANTO. Storia di una leggenda fatta passare per storia

di Armando Polito

 

Le favolette melense intrise di facile buonismo, ipocrita moralismo ed espedienti retorici per lo più rozzi, hanno uno strepitoso successo editoriale grazie pure alla potenza pubblicitaria e divulgativa della tv e della rete. Parto proprio da quest’ultima per iniziare questo viaggio attraverso fesserie propalate nel tempo in fede cattiva più che buona e che oggi rimbalzano clamorosamente dalla carta stampata alla rete e viceversa, destinate ad una rapida clonazione da parte di utenti sempre più superficiali, creduloni ed ignoranti. Nel nostro caso basta cercare “Idrusa” e Google ti risponderà con La Leggenda di Idrusa di Otranto come primo link. Se sei un lettore pigro, ti consiglio di non cedere controvoglia a quella curiosità morbosa, spesso subdolamente suscitata, che ti ha spinto tante volte a continuare. Lascia perdere; anzi non continuare la lettura di questo post, perché non ci capiresti nulla.

Per te, invece, reduce da un viaggio infarcito di biscottini-ricatto, senza la cui ingurgitazione non puoi accedere al link iniziale, che è, guarda caso!, “Idrusa”, mi corre l’obbligo, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, di fare una rapida distinzione tra leggenda, storia e romanzo storico.

La leggenda è la narrazione di un fatto storico che nell’arco di un lungo, a volte lunghissimo tempo, ha subito superfetazioni popolari che rendono pressoché impossibile individuare il nucleo di verità storica da cui tutto è partito. Emblematica è per il mondo pagano la mitologia, per il cristiano l’agiografia. La storia è anch’essa una narrazione, un’interpretazione pur sempre della realtà, ma condotta sulla scorta di prove documentali controllabili, per quanto, come scienza vuole, soggette a confutazioni, revisioni, integrazioni, conferme; e queste sono le fonti, che vanno sempre citate con rigorosa accuratezza e fedeltà.

Il romanzo storico, infine, fa riferimento a fatti realmente accaduti ed a personaggi realmente esistiti, ma che si muovono sulla ribalta della narrazione grazie alla fantasia dello scrittore; in un certo senso il romanzo storico può essere considerato come la versione moderna del genere  leggendario con l’unica differenza che qui la superfetazione non è di origine popolare. E un certo modo, oggi inammissibile, di fare storia e una responsabilità indiretta e non voluta degli autori di romanzi storici, sono alla base della tragica fine fatta fare ad Idrusa più che dai Turchi da chi mi accingo ad accusare, primo fra tutti chi l’ha fatta truffaldinamente nascere.

E lo faccio con una domanda: Idrusa è veramente esistita, come ad un lettore sprovveduto potrebbe far credere nel link segnalato quel una giovane donna che esisteva ai tempi dell’eccidio turco in contrasto, pur parziale per la distinzione che ho fatto rispetto alla storia e al romanzo storico, col leggenda del titolo?

Non perdo tempo ad affermare senza tema di smentita (a meno che, a distanza di secoli non venga fuori qualche documento confezionato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale …) che nessuna delle fonti cronologicamente più vicine alla vicenda del 14801 né i verbali dei processi nella causa di beatificazione che si tennero dal 1539 (il primo, Historia delli martiti, da considerare per motivi facilmente intuibili il più attendibile, con la deposizione di dieci testimoni2) al 1751 hanno tramandato questo nome.

Idrusa come personaggio femminile3 compare per la prima volta in Francesco D’Ambrosio, Saggio istorico della presa di Otranto e stragge de santi martiri di questa città successa nel 1480 …, Giuseppe De Bonis, Napoli, 1751.

Come si legge nel frontespizio, l’autore è un Sacerdote Salentino da Castiglione Accademico Porticese e l’opera è dedicata al merito grande dell’Eccellentissimo Signore D. Lorenzo Brunassi Duca si San Filippo, Marchese di Martano, e Calimera.  

A p. 49 si legge: Nell’incamminarsi, dunque, al destinato luogo, occorse, che una bellissima (sottolineo questa parola on attesa di tornarci sopra a breve) Giovane, per nome Idrusa, menata da due Capitani Turchi, i quali contendevano tra loro, chi ne fusse il Padrone, vedendo due suoi fratelli legati esser condotti fori della Città, spargendo dagl’occhi amare lagrime, disse loro: Fratelli miei cove andate così legati? Cui rispose uno di essi: andiamo a morire per Giesù Cristo: Alle quali parole cascò tramortita a terra la povera Donzella: onde un Turco volendola far alzare con impazienza, ed ira le diede un colpo sulla testa sì empiamente, che la fe subito morire; e così cessò la briga tra i sue Pretensori Turchi.

 Va notato, anzitutto, che al titolo pomposo di Saggio istorico corrisponde un raccontino in cui si riportano pure i dialoghi senza la citazione di alcuna fonte, come avviene nella peggiore storiografia settecentesca e meno male che, nonostante la cifra narrativa tipica dell’agiografia  medioevale, non venga ricordato qualche miracolo …

Sotto questo punto di vista, però, va riconosciuto che il suo quasi coetaneo neritino Giovanni Bernardino Tafuri, che i falsi documenti li confezionava, era più di cinque spanne a lui superiore …

Da tenere presente, come rilevato dal frontespizio, che il D’Ambrosio era Accademico Porticese, modo diplomatico per non nominare l’Accademia Pontaniana, allora quasi fuorilegge per motivi politici, riesumando il nome del luogo, Portici appunto, dov’era stata fondata più di due secoli prima.

Tutto, però, si spiega anche considerando il dedicatario, famoso magistrato dai molti titoli nobiliari (a parte quelli indicati nel frontespizio e, per restare nel territorio salentino, fu dal 1732 marchese di Martano e Cavallino. Quando il D’Ambrosio gli dedicò il suo libro, ritiratosi a a vita privata per motivi di salute, si era dedicato alla letteratura ed aveva già pubblicato per i tipi di Giovanni di Simone a Napoli La passione di nostro Signore Giesù Cristo e La Gineviefa nel 1745 e S. Perpetua martire nel 1747, cui seguirà, sempre per i tipi dello stesso editore, Il Marcelliano nel 1752.

Tutte tragedie di argomento religioso, e non è difficile intuire come la tragedia autentica del 1480 fosse in linea con il settore letterario in cui si era specializzato. Sarebbe stato troppo pretendere da un ex magistrato un’indagine su Idrusa, martire presunta ma dal nome ben noto, a differenza dei tanti altri, quasi tutti, anonimi, ma reali …

Ogni contestualizzazione, compresa quella appena fatta non può e non deve fungere da giustificazione per la menzogna, a maggior ragione quando essa è consapevole, dunque in malafede.

Nel D’Ambrosio, oltretutto, si cristallizza, per usare un termine processuale, il dettaglio di Idrusa bellissima. D’altra parte, si poteva credere, allora come oggi, che una donna-preda fosse un cesso, oggetto poco appetibile come può esserlo una crosta di fronte ad un quadro d’autore?

Non desta meraviglia, perciò, che Idrusa ricompaia in opere dichiaranti correttamente l’alveo di appartenenza, che non è certo quello del saggio storico.  E viene fuori una Idrusa camaleontica, volta per volta adattata alla temperie spirituale, se non all’ideologia in quel momento particolarmente sentita.

La frittata storica autorevolmente (senza controllo e con una passiva coscienza fideistica tutti siamo potenzialmente e pericolosamente autorevoli …) era un alibi troppo ghiotto perché l’arte non ne approfittasse.

Riporto In ordine cronologico le schede in cui sinteticamente ho annotato le diverse vite letterarie di Idrusa.

Giuseppe Castiglione, Il rinnegato salentino ossia i martiri d’Otranto, Nicola Vanspandoch, Napoli, 1838.

Nel frontespizio l’opera è correttamente definita racconto storico del secolo XV e l’autore, gallipolino, ci fa conoscere un’Idrusa totalmente diversa da quella del precedente presunto saggio storico: figlia di Ghino, otrantino che ha rinnegato la fede nativa per l’Islam, si rende protagonista della riconversione del padre e, pur tra le difficoltà della situazione, salva la pelle.

Domenico PelisieriPatria e religione o I martiri d’Otranto, Stabilimento tipografico de’ fratelli De Angelis, Napoli, 1867.

Qui Idrusa è meno di una comparsa perché è ricordata solo  per nome e per la sua bellezza da il Berlabei  (atto I, scena IV; atto III, scena IV).

Francesco Tranquillino Moltedo, Idrusa ovvero i Musulmani in Otranto, Stabilimento tipografico di P. Androsi, Napoli, 1871

Nell’introduzione sono addirittura citate come fonti il Lagetto (che, come ho già detto, non fa menzione di Idrusa) e Giovanni Scherillo, autore di De’ beati martiri d’Otranto, De Bonis, Napoli, 1865. Alle pp. 37-38 vi si legge: Un’altra giovine, a nome Idrusa, che nei Processi è detta bellissima, menata per la medesima via ed egualmente in mezzo a due Turchi, è raggiunta da due suoi fratelli, legati come gli altri Confessori, ma che separatamente erano scortati dai soldati verso il monte della Minerva. Dove andate, fratelli miei? Ella loro domandò. A morire per Gesù Cristo, essi risposero. A questo la fanciulla, traendo dal petto un profondo sospiro, cadde in terra svenuta, ed uno di quei Turchi impaziente di non poterla rilevare, la percosse coll’elsa della scimitarra tanto brutalmente sul capo, che l’ebbe morta.Così talvolta Iddio ritrae inattesamente le anime a sé fedel dall’abisso della miseria al premio della loro virtù.

Lascio al lettore giudicare se si può, parlare di plagio o parafrasi del D’Ambrosio, però sarebbe interessante scoprire quali processi ha letto lo Scherillo in cui compare non solo il nome di Idrusa ma anche la sua valutazione estetica …

Il Tranquillino poi, come nelle più bieche saghe dei nostri tempi, approfitterà del momento con Poesie, Tipografia editrice degli orfanelli, Firenze, 1882, dove le pp. 83-148  contengono Idrusa ovvero i martiri d’Otranto, una trascrizione in terzine dantesche dell’opera precedente.

Il nuovo secolo registra proprio al suo inizio l’unica opera a mia conoscenza dedicata ai fatti del 1480 scritta in vernacolo, cioè Li matiri de Otràntu del cavallinese Giuseppe De Dominicis alias Capitano Black pubblicato per i tipi dello stabilimento tipografico Giurdignano a Lecce nel 1903.

Luigi Sansò, Idrusa. Poema tragico in 3 atti, Stefanelli, Gallipoli, 1928. L’autore, gallipolino, fu ispirato dal romanzo del concittadino Giuseppe Castiglione che prima ho citato.

Maria Corti, L’ora di tutti, Feltrinelli, Milano, 1962.

  

 

Qui Idrusa giunge all’ultima metamorfosi e la capacità camaleontica dell’arte di dare un tocco di originale novità ad un tema che altrimenti sarebbe ripetitivo, noioso e stucchevole, è felicemente raggiunto. Così la caratteristica della sua bellezza, costante nelle opere in cui compare come protagonista o comprimaria, sarà anche il dettaglio decisivo della sua fine, cioè il suicidio per evitare la doppia vergogna dell’abiura e dello stupro, mentre prima la sia esistenza era stata, sempre violentemente interrotta, da un colpo di spada o dalla scure.
E così il sentimento della fede, imprescindibile dal personaggio, dal suo ambiente e dalla sua epoca, si fonde con la sensibilità moderna, se non di una femminista, di una donna tormentata ma libera, consapevole dei doveri e dei diritti che in egual misura dovrebbero spettare in egual misura a tutti gli esseri animati, comprese le cosiddette bestie, e inanimati, comprese le pietre. E, mentre l’artista proprio in un romanzo storico incorre in un clamoroso anacronismo quando presenta padre Epifanio in procinto di innaffiare i pomodori nell’orto del convento (retrodatando l’introduzione in Europa di questa bacca dall’America, avvenuta nel 1540, cioè ben sessant’anni dopo la vicenda otrantina e quarantotto dalla stessa scoperta dell’America) quando presenta padre Epifanio in procinto di innaffiare i pomodori nell’orto del convento, la filologa non perde l’occasione per fotografare quasi il carattere indomito della ragazza, contaminando la lingua greca col detto latino nòmina òmina (=i nomi sono presagi), quando padre Epifanio spiega alla ragazza cosa significa il suo nome:
Epifanio mi ricevette nell’orto del convento, ove era occupato a innaffiare le piante delle zucchine e dei pomodori …
– Come ti chiami? – chiese.
– Idrusa –
– Idrusa? Sai che vuol dire? –
– Come che vuol dire? –
– Vuol dire che assomigli a una cavalla da corsa, grondante sudore –
– E che? I nomi vogliono dire qualche cosa? –
– Il tuo sì; è greco, come il mio –
– E il vostro che significa? –
– Oh, Gesù mio, – disse a mani congiunte – significa chiaro, pieno di luce; chissà come proprio a me, povero monaco …
Da notare che effettivamente il greco Ἱδροῦσα (leggi Idrusa), come nome proprio (perciò l’ho scritto con l’iniziale maiuscola) è, come ho già detto in nota 3,un’isola dell’Egeo, ma, aggiungo qui, anche participio presente di ἱδρόω (leggi idroo), col significato di colei che gronda sudore. La Corti, però, nella spiegazione etimologica messa in bocca al personaggio abilmente l’ha fatto precedere dalla metafora di un animale simbolo di bellezza e di libera e irrefrenabile energia, anche se in tutta la letteratura greca non compare un solo ἵππος ἱδροῦσα (=cavalla grondante sudore). E va sottolineato come nella stessa opera si realizza questo connubio tra filologia e poesia, tra scienza e arte, discretissimo, quasi dissimulato con pudica umiltà grazie a Idrusa, a padre Epifanio e, per l’etimo di Palascìa, il pescatore Antonio, per il quale vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/27/antonio-maria-il-pescatore-etimologo-di-punta-palascia/).
E proprio con Ἱδροῦσα mi piace chiudere dicendo che potrebbe essere un nome inventato per un’eroina che potrebbe pure essere esistita ma che si chiamava diversamente e per la quale, incarnazione simbolica di una città martire, fu assunto a posteriori questo pseudonimo evidentemente connesso con ὕδωρ (leggi iudor)=acqua e, oltre che col nome dell’isola prima ricordata, anche, per restare in Salento, col torrente Hydros e col nome latino di Otranto, Idruntum; insomma Idrusa sarebbe un eponimo al rovescio4. Con buona pace di chi afferma, senza lasciarsi nemmeno sfiorare dal dubbio, che Idrusa sia veramente esistita5.
Sotto questo punto di vista non mi sento di escludere che, dopo la biografia di Idrusa ricavata dal romanzo di Maria Corti, qualche sedicente divulgatore, riprendendo, senza o, peggio, con citazione, quel colei che gronda sudore, giunga ad affermare che Idrusa fu massacrata per l’insopportabile puzza di sudore da un turco, che, oltretutto, essendo un soldato in pieno servizio, certamente non profumava. Come dire: quando la credulità dell’uno fa slittare la rabbia dell’altro, col rischio di passare dalla poesia ad una fin troppo realistica volgarità.
Nonostante fosse difficile aggiungere qualcosa di originale all’accidentato percorso, tracciato da Maria Corti, per Idrusa alla ricerca della felicità (da miss otrantina a femminista ante litteram, da moglie, amante e mantenuta insoddisfatta a suicida per dare l’ultimo schiaffo al mondo), il filone era troppo allettante per non tentare ulteriori sfruttamenti, fosse il tutto limitato al nome presente solo nel titolo, come dimostrano le copertine di seguito riprodotte.

Sui risultati artistici, magari contrastanti con quelli commerciali, stendo un velo lasciando ai lettori l’aggiunta o meno dell’usuale attributo …5

E non è da escludersi a breve una fiction su Idrusa, Un’operazione semiseria, secondo me, non potrebbe prescindere, almeno per la sceneggiatura, dal romanzo della Corti, ricordandosi, però di non far pronunciare a padre Epifanio la parola pomodori, perché sarebbe assicurato lo stesso esilarante risultato di alcuni polpettoni storici degli anni ’60, dove pure allo spettatore più condizionato da nostalgici slanc imperialistici non poteva sfuggire l”orologio al polso della comparsa impersonante l’eroico legionario romano ….

Sembrerà strano, ma l’immagine con cui voglio chiudere, lungi dall’essere blasfema, è in realtà un affettuoso, rispettoso, omaggio all’umanità di chi morì per quella tragedia ed un ironico sberleffo a quanti hanno vissuto da speculatori di quella, a cominciare dal D’Ambrosio, responsabile della prima fandonia e delle altre che seguirono e, probabilmente, seguiranno.

Pure io, però, ho commesso tra i probabili errori (e non di semplice battitura) il più grave: quello di mettere in coda questa immagine che, collocata in testa, mi avrebbe forse assicurato mezzo lettore in più …

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1 Lucio Cardami (1410-1494), Memorie historiche de so’ tempi. Alcuni studiosi ritengono che l’opera, inserita dal neritino Bernardino Tafuri nella sua “Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli” (1750) sia uno dei falsi da lui confezionati; Antonio De Ferrariis alias Il Galateo, De situ Iapygiae (Perna, Basilea, 1553, pubblicazione postuma); Giovanni Michele Lagetto (1504-c.1571), Historia della Guerra d’Otranto, manoscritto custodito nell’archivio della cattedrale di Otranto; una copia settecentesca (D/11, carte 10v-14r) è custodita nella biblioteca arcivescovile “Annibale De Leo” a Brindisi.

2 Questa prima relazione sui fatti in gergo tecnico informativa, è stata pubblicata la prima volta da Francesco Antonio Capano per i tipi di Pietro Micheli a Lecce nel 1670. In tutte le testimonianze rese c’è il riferimento al rifiuto dei martiri di abiurare la propria fede, ma di nessuno di loro vien fatto il nome.

3 Come nome di isola dell’Egeo è in Strabone (I secolo a. C.-I secolo d. C.), Geografia, IX.      Ἱδροῦσα

4 C’è pure una nobilitante eco omerica già nel titolo di  L’Idriade. Poema eroico sulla presa di Otranto del galatonese Antonio Megha (1626-1701), a lungo rimasto manoscritto e pubblicato a cura di Gabriella Margiotta, Congedo, Galatina, 1985. E non poteva mancare Li turchi a Utrantu. Poema eroicomico in dialetto otrantino di Gustavo Perrone alias Terenzio Buonsangue, a cura di Nicola G. De Donno, Congedo, Galatina, 1987. Invenzioni salentine simili a quella di Idrusa sono l’Idume (vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/18/alle-fonti-dellidume-idronimo-inventato/) e Leucasia (vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/16/leucasia-una-sirena-salentina-no-unaltra-bufala-e-lo-dimostro/), mentre rischiano di far passare nel lettore sprovveduto, tramite divulgatori improvvisati, per dati storici le gesta di Artas della saga di Fernando Sammarco o molto improbabili suggestioni toponomastiche (vedi per queste ultime  https://www.fondazioneterradotranto.it/?submit=Cerca&s=tricas).

5 Sul rischio che la leggenda diventi troppo facilmente storia vedi, anche per Idrusa, La conquista turca di Otranto (1480) tra storia e mito. Atti del Convegno internazionale di studio Otranto-Muro Leccese, 28-31 marzo 2007, a cura di Hubert Houben, Congedo editore, Galatina, 2008.

 

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