Melissano e l’antica chiesa parrocchiale di Sant’Antonio di Padova: costruita dai primi melissanesi, abbandonata dalla parrocchia e recuperata dal Comune
di Fernando Scozzi
Quando mons. Ambrogio Salvio, vescovo di Nardò dal 1569 al 1577, visitò il casale Melissano vi trovò poche decine di abitanti ed i ruderi delle chiese di San Pietro e di San Nicola. Non essendoci un luogo idoneo per il culto, non c’era nemmeno il parroco e quindi l’assistenza religiosa era affidata alla bontà d’animo dell’arciprete di Racale che, di tanto in tanto, si recava a Melissano per amministrare i sacramenti. Fra l’altro, il feudatario del luogo, don Andrea Gonzaga, risiedeva a Specchia, capoluogo del marchesato e non aveva alcun interesse a migliorare le condizioni economiche e sociali del casale che, ripopolato agli inizi del XVI secolo (1) , era considerato poco più di un ricetto di contadini. Pertanto, i melissanesi non potevano fare altro che sperare in Dio e seguire il consiglio di Mons. Ambrogio Salvio che, durante la visita pastorale, li aveva esortati a “costruire una nuova chiesa matrice sotto il titolo della Madonna del Rosario dove conservare il Santissimo Sacramento ed i Sacramentalia per le necessità e comodità dei fedeli di Cristo”(2). Ed i melissanesi, pur nelle ristrettezze finanziarie, iniziarono l’edificazione del nuovo tempio utilizzando il suolo ed il materiale lapideo della chiesa diroccata di San Nicola.
Passarono diversi anni e finalmente, nel 1612, la chiesa fu aperta al culto anche se la parte retrostante l’altare maggiore non era stata ancora terminata a causa – rilevò mons. Gerolamo De Franchis – della povertà del luogo. Non avendo risorse finanziarie nemmeno per acquistare i paramenti liturgici, i melissanesi si rivolsero a Jacopo De Franchis, nuovo feudatario di Melissano, che donò alla parrocchia quanto necessario per la celebrazione delle funzioni religiose ed una tela raffigurante Sant’Antonio di Padova, successivamente individuato quale Protettore del casale. Seguì la nomina del parroco e con don Gerolamo Paschali la parrocchia di Melissano riprese il suo cammino.
Intanto, con l’affermazione del culto di Sant’Antonio, la chiesa cambiò denominazione ad attestarlo è mons. Antonio Sanfelice che nel 1719 fece il suo ingresso nella chiesa parrocchiale di Sant’Antonio di Padova, confessore e patrono principale di Melissano, visitò l’altare del Protettore e quello della Madonna del Rosario (titolare della parrocchia) dove officiava l’omonima confraternita. Sul medesimo altare campeggiava una tela della Madonna del Rosario ed era raffigurato l’albero di carrubo, antico emblema del casale.
Nella seconda metà del XVIII secolo la popolazione di Melissano raggiunse il numero di circa 400 abitanti per cui “era cosa necessaria l’allargare detta chiesa e far la capacità della popolazione esistente per far nascere la divisione dei maschi colle femmine onde evitare l’irriverenza al Santissimo Sacramento. Allora, si riunirono i cittadini benestanti e da par loro stabilirono una tassa di contribuzione di formare il pieno di quattro in cinquecento ducati”. Fu quindi dato incarico al maestro Saverio Negro di Parabita, commorante in Presicce, il quale formò un disegno e si obbligò a realizzarlo per docati novecentodieci. Ma questo importo era di gran lunga superiore alla somma raccolta, per cui furono chiamati altri mastri muratori per riavere minore offerta. Infine, i deputati di Melissano Vitantonio Fasano e Vito Scozzi, impegnandosi nomine proprio, sottoscrissero il contratto di appalto con il maestro Tomaso Piccinno, di Copertino, per il corrispettivo di ducati settecento. I lavori furono terminati nel 1778 come ricorda l’epigrafe affissa sulla controfacciata:
D.O.M.
PIETAS ALAM SACRAE AEDIS
A SOLO EXTRUIT
RELIQUAM QUAE ANTIQUA
EVERAT ECCLESIA
AUXIT RESTAURAVIT ORNAVIT
MDCCLXXVIII
(Dio ottimo massimo/ la devozione costruì dalle fondamenta l’ultima parte del sacro tempio/ ingrandì restaurò ornò quel che l’antica chiesa aveva edificato/ 1778)

La chiesa, quindi, risultò ampliata con la costruzione ex-novo del vano absidale (la cui bella volta lunettata è sostenuta da una larga trabeazione), della sagrestia, del campanile, dell’altare maggiore e di tre altari laterali, compreso quello del Protettore Sant’Antonio di Padova.


Così il tempio rimase aperto al culto fino agli anni Ottanta del XIX secolo quando, in assenza di manutenzione, le condizioni dell’antico edificio divennero così precarie da indurre Don Vito Corvaglia a scrivere a Pio IX supplicandolo di “provvedere per la costruzione di una nuova chiesa, non potendo ciò ottenere dai suoi parrocchiani, tutti gente agricola e di ristrette finanze”. La richiesta non ebbe alcun esito, ma in attesa di trovare le risorse necessarie per la costruzione del nuovo tempio, nessuno pensò più all’antico, che fu chiuso con il conseguente trasferimento della sede della parrocchia presso l’oratorio dell’Immacolata.
Nel 1901 il vescovo di Nardò, Mons. Giuseppe Ricciardi, visitò l’antica chiesa parrocchiale e rimase impressionato dell’abbandono completo in cui era tenuta. “Essa – si legge nella relazione della visita pastorale – è di bella costruzione, con abside tutta volta e stucchi, ma si è lasciata senza alcuna manutenzione, per cui dalla volta piove dell’acqua da rendere il luogo sacro veramente indecente e insalubre. Essendo tutto in stato di abbandono, Sua Eccellenza ha interdetto la detta chiesa, facendo noto al parroco il caso della seconda tavola dei Confessori riguardante la profanazione dei sacri templi”. Don Vincenzo Danisi, invece, non solo ignorò i rimproveri del vescovo, ma fece trasferire dall’antica alla nuova e bella chiesa parrocchiale (aperta al culto nel 1902) l’organo, le campane e le suppellettili.
La chiesa “vecchia”, situata nella parte “vecchia” e per giunta periferica dell’abitato, sembrava destinata all’oblio, ma all’antica matrice ci pensò un gruppo di devoti (guidati da Francesco Corvaglia) i quali nel 1907 “vengono alla determinazione di assumere l’impresa di fare eseguire tutte le opere di restauro e di riparazione occorrenti all’antica chiesa parrocchiale spinti dal dovere di rispettare e far rispettare i luoghi santi, nonché dall’ideale di cautelare e mantenere quanto più è possibile e con la maggiore decenza le opere che i loro antichi padri edificarono sottoponendosi a stenti e a sacrifici”. Alla spesa di L. 1.174,50 si provvide con le offerte dei fedeli integrate da un contributo del Comune di Casarano e quindi l’antico tempio fu reso nuovamente agibile. Ma nonostante il vescovo di Nardò, mons. Nicola Giannattasio, trovasse la chiesa idonea per essere aperta al culto nel giorno della festa del Rosario, cui la chiesa è dedicata, nella stessa non si celebrarono più funzioni religiose. Si tennero, invece, le adunanze del Circolo di Azione Cattolica Femminile (da cui la denominazione “Circolo Vecchio”), lezioni di catechismo e rappresentazioni teatrali.

Poi, negli anni Sessanta del secolo scorso la chiesa fu devastata: furono asportate le tele e distrutti perfino gli altari, ma nessuno mosse un dito. Anzi, il parroco dell’epoca pensava addirittura alla demolizione del sacro edificio sulla cui area, accorpata a quella adiacente di proprietà parrocchiale, intendeva costruire un oratorio. Comunque, dopo il saccheggio, l’immobile fu chiuso e col passare degli anni rischiò addirittura di crollare dal momento che un caprifico, lasciato vegetare per decenni, ne aveva gravemente compromesso il muro perimetrale Nord. Così fu trovato dal nuovo parroco che, il 12 novembre 1979, con atto del notaio Giorgio Cascione, lo trasferì a titolo transattivo al Comune di Melissano. Quest’ultimo, si impegnava ad utilizzare l’antica chiesa come “sede di conferenze e manifestazioni varie con accesso a qualsiasi organizzazione laica o religiosa” ed a trasferire alla parrocchia la proprietà di 2.000 mq. di suolo. Nel frattempo, la Sovrintendenza ai Beni Storici e Artistici di Bari, su iniziativa del prof. Quintino Scozzi, dichiarò l’ex chiesa parrocchiale “complesso monumentale” ai sensi della Legge 1.6.1939 n. 1089. Ma questo non sarebbe bastato ad evitarne il crollo se l’Amministrazione Comunale non avesse ottenuto le risorse necessarie per il restauro. Quindi, a differenza di quanto qualcuno ha scritto (chissà per quali fini) il Comune di Melissano non ha mai progettato la demolizione dell’antico edificio.

Terminati i lavori, diretti dall’arch. Francesco Longo, ed accantonata l’idea di trasferirvi la Biblioteca comunale, il Comune di Melissano decise di adibire l’antico edificio (intitolato al prof. Quintino Scozzi) a sala convegni e manifestazioni culturali. Così, l’ex chiesa parrocchiale, edificata dai primi abitanti del casale, abbandonata dalla parrocchia e recuperata dal Comune con fondi regionali, è stata restituita ai melissanesi non solo per essere utilizzata come suggestiva sala riunioni, ma soprattutto come testimonianza della storia religiosa e sociale del paese fluita fra le sue mura.


Bibliografia
Fernando Scozzi, Melissano, società economia, territorio fra ‘800 e ‘900, Edizioni del Grifo, Lecce, 1990
Fernando Scozzi, I cognomi dei melissanesi, PianetaStampa, Melissano, 2019
Quintino Scozzi, Storia di una chiesa, F.lli Amato, Cutrofiano, 1982
Note
- Il casale era stato abbandonato nel 1452 prima che le milizie di Giacomo Caldora, al servizio della Regina Giovanna di Napoli, scendessero nel Salento per distruggere i possedimenti degli Orsini Del Balzo, fra cui Melissano.
- Dopo la battaglia di Lepanto (7.10.1571), Mons. Ambrogio Salvio aveva ricevuto dal Papa Pio V la facoltà di erigere chiese ed oratori da dedicare alla Madonna del Rosario.
Articolo veramente interessante, completo di particolari minuziosamente studiati ed organizzati.
Complimenti vivissimi al professore Fernando Scozzi