Dialetti salentini: peu e ‘bbunatu

di Armando Polito

 

È fenomeno ricorrente in tutte le lingue quello di alcune voci, il cui significato ha subito, col passare del tempo e con l’intervento di fattori non sempre facilmente individuabili, un ribaltamento totale della valenza positiva o negativa (in senso etico) del significato originario.

Così è stato per peu, usato nel dialetto neritino col significato di stupido. Il Rohlf non registra questa voce nella sua opera da me già citata fino alla noia, per cui non ne ripeterò gli estremi bibliografici né riprodurrò, giocoforza, il dettaglio grafico del lemma. L’aureola del Maestro questa volta non m’illuminerà nella ricerca etimologica e posso solo sperare che il mio avventuroso e, forse, avventato tentativo non si risolva in una catastrofe.

Ritengo che peu abbia l’esatto corrispondente italiano in pio, che è dal latino piu(m), accusativo di pius/pia/pium, aggettivo che qualifica l’uomo virtuoso, devoto (da vivente) ed il beato (da defunto). Lo stesso aggettivo in funzione onomastica come cognomen (soprannome) è Pius, da cui l’italiano Pio, nome, fra l’altro, assunto  da ben dodici papi1.

Derivato di pius è pietas, dal cui accusativo (pietatem) è l’italiano pietà, che rispetto alla voce latina significante  virtù e devozione (cioè due fondamentali valori laici e religiosi) ha perso gran parte del suo valore morale, limitandosi ad esprimere un sentimento di compassione, di partecipazione alle miserie altrui, infarcite di astratte elucubrazioni e vuota retorica, quando, in concreto, non finisce per prostituirsi a losco affare, come recenti fatti di cronaca nazionale ed internazionale hanno portato alla luce. Con queste premesse uno si chiede come mai dal concetto gratificante di pio si sia passati a quello mortificante di peu. La risposta viene dalla storia dell’uomo, soprattutto da quella contemporanea e da ciò che è una costante del costume italiano, per cui chi è onesto e rispettoso, anzitutto della legge, è considerato un fesso rispetto ai furbi, categoria alla quale appartengono i politici, che, senza distinzione di colore, nulla hanno fatto, fanno e faranno per porre rimedio alle tante piaghe sociali, in primis l’evasione fiscale2. Prima di deragliare metto in azione la rapida e mi stabilizzo sul binario … La donna, poi, è quella doppiamente coinvolta in questo gioco perverso che non risparmia neppure il sentimento religioso, per cui oltre che pea (stupida) poteva essere anche piarella. Questa voce è dal latino classico piare (propiziare, placare, onorare, venerare una divinità; compiere, celebrare riti espiatori; allontanare, stornare, scongiurare con sacrifici; purificare, espiare con riti espiatori), connesso col pius messo in campo all’inizio. Piare in unione alla preposizione ex (expiare) ha dato in italiano espiare, mentre la tecnica di formazione del nostro piarella è simile a quella che ha portato, per esempio, da cacare a cacarella e da tremare a tremarella, solo che nelle voci appena citate la nota, per così dire, negativa continua a riguardare un’azione, nel nostro caso, invece, una persona che era considerata troppo ligia, forse solo formalmente, ai doveri religiosi.3  Contadino, scarpe grosse e cervello fino, recita un vecchio proverbio; e così ci voleva il suo dialetto e la sua filosofia (o più semplicemente saggezza nascente dalla realistica, nella sua amarezza, quasi cinica visione del mondo, scevra da ogni edulcorazione retorica) per scoprire con peu e piarella l’altra faccia di pio. In fondo lo stesso è successo con cretino, che è dal franco-provenzale crétin, col significato in origine di cristiano, poi adoperato con sentimento di commiserazione nel senso di povero cristiano, povero cristo, poveraccio e, infine, in quello dispregiativo che conosciamo; e che dire di idiota (dal latino idiota, a sua volta dal greco ἰδιώτης (leggi idiotes), che, partendo dal concetto di privo, attraverso progressive integrazioni si specializzò già in epoca classica nel senso di rozzo (privo di eleganza), ignorante (privo di cultura), privato (senza cariche pubbliche), per arrivare all’attuale, dominante significato  di privo d’intelligenza?

Siccome, forse presuntuosamente, a proposito d’intelligenza, credo di non esserne totalmente privo, mi concedo il beneficio del dubbio, prima che qualcuno con il suo graditissimo intervento mi mostri che l’ipotesi etimologica avanzata per peu equivale ad una disastrosa arrampicata sul proverbiale specchio. Talora la soluzione più semplice si rivela alla fine come quella più attendibile; per questo non escluderei che peu (non piarella) nasca per aferesi da babbèu, corrispondente all’italiano babbèo, che è di origine onomatopeica). Sul piano fonetico il passaggio b>p non pone alcun problema perché sono entrambe labiali e basterebbe pensare alla lunga storia di Giuseppe>Giuseppino>Peppino>Peppe

>Beppe.

Nessun dubbio suscita, invece, bbunatu, usato, anch’esso come peu, col significato di stupido‘Bbunatu ha il suo esatto corrispondente nell’italiano abbonato, participio passato di abbonare. Però gli abbonare  nella nostra lingua sono due. Il primo, che per comodità chiameremo abbonare 1, ha il significato di fare un abbonamento a favore di uno ed è è dal francese abonner, a sua volta dall’antico francese bonne, dal quale il francese  moderno borne =confine, limite. Abbonare 2, invece, ha i significati di condonare in parte o interamente (abbonare un debito), in senso figurato non tenere in considerazione (abbonare un errore), considerare qualcosa come già adempiuto (abbonare un esame) e, infine, (registrato come obsoleto, il che  non mi pare casuale …) rendere buono, migliorare. Appare evidente come abbonare 2 è da ad+ buono, che è dal latino bonu(m) e fratello, per così dire, del francese bon, ma nemmeno lontano parente di bonne e borne prima citati. Il nostro ‘bbunatu, dunque, è per aferesi da abbonato, participio passato di abbonare 2 e mostra di condividere l’amaro destino di cretino, di idiota e, forse, di pio. Sarà pure vero che il troppo storpia, ma viviamo in una strana società, in cui l’eccesso nel male  viene giustificato, anzi, premiato e quello nel bene deriso e penalizzato (buono>troppo buono>fesso), col trionfo della furbizia, che è anch’essa intelligenza, ma nella sua forma più perversa nutrita di ipocrisia e, non solo nel senso corrente, di abuso di potere.

Alla fine di questa tiritera ricordo, forse anche per dare una comoda giustificazione alle fesserie che potrei aver detto, che in fondo l’etimologia non è altro che l’archeologia della parola, solo che nell’archeologia propriamente detta qualsiasi ipotesi di lavoro può trovare in qualsiasi momento e luogo credito più o meno definitivo in un reperto materiale protetto nel tempo, insieme col suo contesto, dal terreno; lo scavo filologico, invece, ha a che fare con un elemento instabile , non univoco e, quel che è peggio, estremamente labile insieme con il suo contesto, soprattutto orale, qual è la parola.

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1 San Pio I (II secolo), Pio II (Enea Silvio  Bartolomeo Piccolomini, XVI secolo), Pio III (Francesco Nanni Todeschini Piccolomini, XVI secolo), Pio IV (Giovanni Angelo Medici di Marignano, XVI secolo), Pio V (Antonio Michele Ghislieri, XVI secolo), Pio VI (Giovanni Angelico Braschi, XVIII secolo), Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti, XVIII secolo), Pio VIII (Francesco Saverio Castiglioni,  XIX secolo), Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, XIX secolo), Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, XX secolo), Pio XI (Achille Ratti, XX secolo), Pio XII (Eugenio Pacelli, XX secolo).

2   Solo un idiota metterebbe  in discussione il primato dell’economia e magari negherebbe pure il rapporto strettissimo esistente tra potere e denaro; eppure c’è chi, considerato meno idiota, in rapporto a quest’ultimo (il denaro, per restare nell’ambito economico) continua a non ritenere necessario adottarne il controllo. Uno stato poliziesco è certamente odioso, ma trovo pretestuosamente osceno accampare la ridicola e opportunistica scusa della tutela della privacy e di una libertà dannosa per gli onesti, per non eliminare (altro che limitare!) l’uso del contante e sostituirlo con strumenti tracciabili, quando ormai da tempo la nostra privacy è nelle mani, anzi nella cassa,  del mercato globale.

3 Su piarella vedi pure  https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/02/02/dialetti-salentini-piarella/

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4 Commenti a Dialetti salentini: peu e ‘bbunatu

  1. Per il nulla che vale il mio pensiero il detto: “peu e ‘bbunatu” rileva semplicemente la corrispondenza biunivoca che si può creare fra la povertà e la stupidità. Povertà non solo materiale ma soprattutto per le illusioni di capacità inesistenti nella misura in cui riteniamo di avere.
    ***
    Circa, invece, la nota “2”… la questione si è complicata da quanto il denaro (moneta) non è più mezzo di scambio e misura di valori ma è ritenuto “bene” distinto e autonomo, di cui il “produttore” Stato deve avere il relativo controllo per opporsi ai poteri forti che già capaci di utilizzo, come mezzo di scambio, sono super specialisti nella misura del “doppio” valore.

    • Mi pare che in questa società totalmente scombinata proprio i materialmente ricchi lo siano solo per la dabbenaggine di tanti spiritualmente poveri (e non mi riferisco certo a coloro con i quali la natura è stata matrigna). Su entrambi, ma soprattutto sui primi, lo Stato dovrebbe esercitare un controllo serio. Ma è questa cosa che può fare un potere che costantemente a parole si preoccupa del bene comune e nei fatti, invece, solo di sopravvivere grazie ad un facile consenso strizzando l’occhio ai poteri forti, ai furbi, agli evasori fiscali, ai ladri (di regime e non) e ai delinquenti in senso lato?

      • Il “potere” – organizzazione da sempre oligarchica – prende dall’indefinibile “bene comune” tutto quello che gli serve per autoalimentarsi, comprese le tossine che dice di voler combattere con gli anticorpi che ritiene (lui) capaci di generare.
        Questa (pia) illusione determina l’origine del primo evasore del sistema: Stato, incapace di opporsi ai (veri) poteri che come una “Maschera” ne proteggono il sacro volto.
        In Italia, il problema è serio siccome l’enfatizzata Unità nazionale (eterodiretta) non ha creato gli Italiani – già di per sé stessi geneticamente compromessi – ma una massa anemica da alimentare con “pensieri deboli” presentati, in tutte le occasione, come forti, enfatizzando, al di là di ogni residuo buon senso, avvenimenti/finzioni come verità essenziali del quotidiano vivere. Non è una novità e, quindi, mi permetto dal Confucio pensiero: “Con i riti si governano i popoli”.

        • Condivido tutto, eccetto il “geneticamente compromessi”. Credo, invece, che il nostro essere “bastardi”, cioè frutto della confluenza millenaria di culture diverse, sia la dote più preziosa che abbiamo, anche se la stiamo rapidamente dilapidando.

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