La leggendaria casa di Virgilio

 

di Nazareno Valente

Le narrazioni ed i miti, partoriti a partire dal Basso Medioevo, associarono al Virgilio poeta un Virgilio dotato addirittura di poteri magici.

C’è infatti tutto un filone di leggende, ormai cadute in disuso per mancanza di anime candide disposte a crederci, che illustrava le opere di magia compiute dal poeta a beneficio dell’umanità, a cominciare da quella che l’aveva visto creare una prodigiosa mosca di bronzo in grado di liberare Napoli dal flagello delle mosche. Ma non solo: le stesse fognature di Napoli si tramandava fossero state fatte da Virgilio, così come una statua umana che, soffiando in una tromba, proteggeva il clima dagli effetti negativi del vento di Favonio, ed ancora altre meraviglie assortite. Tra le quali — pensate un po’ — anche un miracolo che risolverebbe la vexata quaestio su chi abbia effettivamente edificato le colonne romane posizionate sulla collinetta nord del porto Brindisino. Basterebbe infatti riabilitare il racconto popolare che ne attribuiva a Virgilio la costruzione, compiuta nello spazio d’una sola notte allo scopo di abbellire il luogo dove risiedeva, per avere la soluzione a portata di mano. Residenza anch’essa facente parte delle tante storielle generate dalla fervida fantasia della cronachistica locale, che hanno il loro apice appunto nella presunta casa di Virgilio.

Ed è infatti dalla leggendaria casa di Virgilio che s’inizia questo viaggio alla scoperta degli immaginosi racconti che legano il poeta alla città di Brindisi sperando che, così facendo, non si finisca per deludere coloro che li hanno ritenuti sino ad ora realistici.

Come già raccontava con la dovuta cautela Annibale de Leo, «poco lontana dal mare, ed in faccia all’imboccatura del porto interno, presso le due antiche colonne» si può vedere «un’antica casa … la quale per antica tradizione si dice essere stata la casa di Virgilio». Lo studioso brindisino era infatti troppo colto per dare un incondizionato credito alle dicerie popolari, cui lasciava spazio più per assecondare le certezze dei lettori che per effettivo coinvolgimento. Per questo preferiva riportare l’informazione accompagnandola con un «si dice» che lasciava indefinito, pur rendendolo implicito a chi avesse voluto intendere, il suo pensiero.

Alcuni secoli prima, meno circospetto s’era dimostrato Giovanni Battista Casmiro nel dare presenti nella nostra città i resti, non solo della casa di Virgilio, ma anche di quella di Pompeo. Altro però era il contesto: la sua “Epistola apologetica”, indirizzata nel 1567 a Quinto Mario Corrado, s’inseriva nell’accesa diatriba sorta con Oria per il titolo arcivescovile. Era quindi scontato che l’opera del notaro brindisino fosse ispirata al più radicale campanilismo ed in tale ottica vanno in parte interpretate le sue affermazioni.

 

Va per altro ricordato che la notorietà di cui godeva Virgilio nel periodo medievale era tale che la sua figura attirava fake news più di quanto il nettare sappia fare con le api. Non c’era infatti città, per quanto appena sfiorata dal poeta mantovano, che non sfornasse racconti incentrati sulla sua figura. Per questo motivo, fu tutto un fiorire di bufale che, come già riferito, fecero assumere a Virgilio addirittura le sembianze del mago, per fortuna benevolo.

Era quindi del tutto naturale che anche la città di Brindisi partecipasse a questo gioco creativo, sfruttando la favorevole circostanza d’aver ospitato il sommo poeta latino nei suoi ultimi istanti di vita. Quella della casa virgiliana vicina alle Colonne rappresenta certo la narrazione più radicata e la meno logorato dal tempo e che, rispetto alle altre dicerie, gode addirittura di maggiori consensi adesso che in passato. Forza della moderna cultura e delle innumerevoli fonti d’informazione alternativi ai polverosi libri.

Con ogni probabilità, la leggenda prese piede nel XIV secolo, vale a dire nel momento in cui la fama di Virgilio era al culmine, elaborata dalla cerchia di eruditi brindisini con l’evidente intento di risollevare il prestigio cittadino allora scaduto ai minimi storici dopo i fasti d’epoca romana. I primi riscontri oggettivi si hanno però agli inizi del XVI secolo, quando il racconto trovò ospitalità in un’operetta in distici elegiaci dell’ecclesiastico monopolitano Aurelio Serena attivo in quel periodo.

Nella “Descriptio portus Brundusii” (Descrizione del porto di Brindisi) il Serena ci riferisce che «è proprio certo che Virgilio abbia abitato a Brindisi, tant’è che i resti della sua casa si possono vedere tuttora», dando così per scontato sia che il poeta di Andes avesse vissuto a lungo nella nostra città, sia che la casa vicina alle colonne fosse stata davvero di sua proprietà. C’è però da tener presente che, pur considerando la duttilità dei letterati del tempo, il Serena era tuttavia un verseggiatore e la “Descripsio” un lavoro con intenti squisitamente poetici, sicché le argomentazioni storiche in esso contenute andrebbero valutate con la dovuta cautela, prima d’essere prese per buone.

Basterebbe osservare che, oltre alla chicca della casa virgiliana, il Serena tenti pure di far passare che il castello di Terra sia impresa del «potente Federico che prese nome dalla barba rossa», arrivando così a confondere Federico I Barbarossa con Federico II, per evidenziare come le sue conoscenze storiche non fossero davvero un granché.

In effetti l’edificio indicato dal poeta monopolitano pare improponibile come casa di Virgilio anche da un punto di vista strutturale. È infatti una costruzione che è già tanto se può considerarsi della fase di mezzo dell’Alto Medioevo, per cui bene che vada non sembra avere nemmeno la metà degli anni che gli si vorrebbero attribuire. La sua vecchiezza è talmente inadeguata allo scopo che può pure ipotizzarsi che il nucleo iniziale della leggenda riguardasse esclusivamente la zona dove si riteneva che Virgilio fosse morto e che, soltanto in seguito, si pensò di integrarla arruolando una casa in stile classico posizionata più o meno nei paraggi. In qualsiasi modo si sia evoluto il racconto, conviene ricordare che tra il Settecento e la prima metà del secolo scorso i più la indicavano come la “cosiddetta” casa di Virgilio, lasciando presagire che era il frutto d’una tradizione popolare e nulla più. Che questo fosse il pensiero ricorrente è comprovato dalla circostanza che, a differenza di quanto sarebbe dovuto avvenire con un reperto antico di quell’inestimabile valore, la casa sia sempre stata adibita ad esclusivo uso privato e, sempre per fini privati — per consentire un miglior utilizzo dei locali da parte dei suoi proprietari — si decise perfino che fosse incorporata in una nuova struttura, che è poi quella adesso visibile.

Ma, se anche l’edificio avesse i duemila anni che non ha, sarebbe comunque improbabile che Virgilio l’abbia mai potuta eleggere a sua dimora abituale. Il carattere del poeta, le consuetudini di quell’epoca, le caratteristiche della nostra città ed i riscontri storici inducono comunque a dubitarne.

La documentazione cita solo due circostanze in cui Virgilio passò per Brindisi: il famoso viaggio della primavera del 37 a.C., raccontato con dovizia di particolari dal poeta Orazio, e quello con destinazione Atene del 19 a.C. che si sarebbe dimostrato fatale. Il che non preclude che non vi possano essere state altre occasioni: Mecenate, cui il poeta era molto legato, gli chiedeva a volte di tenergli compagnia nei suoi frequenti viaggi, e non è detto che in alcuni di questi vi fosse Brindisi come fuggevole meta.

In ogni caso si trattava di viaggi di studio e di lavoro che non comportavano la necessità di avere una propria casa, anche perché in quelle occasioni era usuale fruire della generosa ospitalità di qualche danaroso amico. Proprio Brindisi fornisce un evidente esempio che così avveniva. Come sappiamo, Cicerone frequentò con ben maggiore assiduità la nostra città,  pur tuttavia non pensò mai di comprarsi una casa, perché ogni volta veniva ospitato da qualche amico brindisino. Figuriamoci Virgilio che la visitava al seguito di Mecenate che, ricco sfondato com’era, possedeva ville un po’ dappertutto.

Il poeta per altro non amava vivere nel caos delle grandi città, tanto è vero che, come ci racconta il suo biografo Elio Donato (IV secolo d.C.), soggiornava raramente pure nella stessa Roma («Romae, quo rarissime commeabat»). Lo storico Svetonio (I secolo d.C. – II secolo d.C.) ci fa in aggiunta sapere che, sebbene avesse a Roma una casa messagli a disposizione appunto da Mecenate, presso i suoi orti sull’Esquilino, se ne tenne per lo più distante preferendo risiedere in luoghi più tranquilli, lontano dalla gente, in Campania e in Sicilia («habuitque domum Romae Esquiliis iuxta hortos Maecenatianos; quamquam secessu Campaniae Siciliaeque plurimum uteretur»). Era poi così schivo e probo che a Napoli lo chiamavano «Parthenias», vale a dire il verginello. E proprio Napoli, dove divideva una villa con gli amici Vario e Tucca, in una zona isolata sulla via Puteolana, costituiva la sua residenza prediletta. Brindisi, che a quel tempo era una metropoli e che per certi versi assomigliava molto più a Roma che alla tranquilla periferia di Napoli, non rientrava di certo tra le città in cui il poeta avrebbe scelto di dimorare.

Di conseguenza si fa fatica a pensare che un tipo come Virgilio, così amante della quiete, abbia potuto decidersi a mettere su casa nelle vicinanze del porto brindisino che a quei tempi era uno dei posti più caotici e vivaci, percorso com’era dai continui rumori generati dalle innumerevoli tabernae, da vivaci lupanaria e da un arsenale sempre in piena attività. Avesse deciso di comprare casa dalle nostre parti, Virgilio avrebbe certamente preferito un posto più appartato, magari nella zona del Casale, dove non a caso dimorava l’establishment brindisino.

Deve aggiungersi che, per quanto casto e riservato, il nostro era abituato bene e non si sarebbe mai negato gli agi che le sue notevoli possibilità economiche gli consentivano. Ad ascoltare Svetonio, possedeva un patrimonio di quasi dieci milioni di sesterzi («Possedit prope centiens sestertium»), valutabili all’incirca in dieci milioni di euro, e quindi in grado di permettersi un’abitazione di ben altra collocazione e consistenza di quella che il Serena e la tradizione popolare gli hanno voluto assegnare. Si pensi poi che un viaggio sino a Brindisi, la cui durata allora non si calcolava in ore ma in parecchi giorni, non si faceva da soli e con un paio di valige: ci voleva quanto meno un amanuense che fungesse da segretario, quattro o cinque schiavi che pensassero ai bagagli ed agli altri bisogni quotidiani, e in più la compagnia di qualche fidato amico — tra i quali non potevano certamente mancare Vario e Tucca — con il loro rispettivo seguito di servitori. Pur prescindendo dall’effettiva epoca di costruzione, la modesta casa vicina alle colonne non avrebbe mai potuto soddisfare neppure alla lontana a tutte quelle necessità.

Al tirar delle somme, appare del tutto inverosimile che quella che viene detta la casa di Virgilio lo sia mai davvero stata.

 

È invece plausibile che, in quei pressi — ma io sarei propenso a credere molto più all’interno della città — Virgilio abbia trascorso gli ultimi istanti di vita, come per altro riportato sulla lapide eretta nel 1930 la quale per l’appunto non la indica come dimora del poeta ma unicamente come luogo dove egli «l’ultima volta salutò la Saturnia terra».

Come dire che c’era maggiore conoscenza degli avvenimenti passati, quando il progresso non aveva ancora reso possibile di connettersi in rete e di sfogliare Wikipedia, e si era pertanto costretti a consultare i tanto impervi libri custoditi nelle biblioteche.

 

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