Considerazioni sulla “veduta” di Ugento del Pacichelli del 1703

di Luciano Antonazzo

 

Delle mura messapiche e di quelle bizantine della città di Ugento, negli ultimi decenni, si sono occupati diversi istituti di ricerca e diversi studiosi, sia italiani che stranieri.

Per quanto riguarda le più recenti ed esaustive pubblicazioni dei nostri connazionali, il prof. Antonio Pizzurro ha parlato diffusamente delle mura messapiche nel suo Ugento- Dalla preistoria all’Età Romana[1]. A lui ha fatto seguito il prof. Giuseppe Scardozzi con La cinta muraria di Ugento[2] e da ultimo la prof. Giovanna Occhilupo ha realizzato un importante lavoro dal titolo Ugento – La città medievale e moderna[3] nel quale ha dedicato un capitolo alle Mura medievali, ossia alla cinta muraria bizantina, lunga circa un chilometro, realizzata verso il X secolo per proteggere la parte alta della città.

Per i loro lavori i succitati autori si sono avvalsi della cartografia storica pervenutaci su Ugento: la “veduta” della città del Pacichelli del 1703, la Pianta iconografica dell’antica e moderna città di Ugento, realizzata dall’arch. Palazzi nel 1810 e la Pianta generale dei beni della casa Colosso in Ugento, realizzata dall’ing. Giuseppe Epstein nel 1897.

La dott.ssa Occhilupo nel suo testo rimarca come attorno alle mura della città, sia messapiche che bizantine, vi sia notevole confusione e discordanza tra gli studiosi riportandone le diverse opinioni.

La sua analisi parte dalla veduta della città che il Pacichelli (1634 – 1695) inserì nel secondo volume de Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodici province, edito postumo nel 1703.

Veduta della città di Ugento – Pacichelli 1703

 

Si tratta di una pianta pseudo prospettica nella quale la città è vista da Est. In basso è evidenziato il borgo dal quale si diparte una strada che conduce alla fortificazione bizantina. L’accesso alla città per chi proveniva dal borgo era quello di Porta Paradiso, ma accanto a questo il Pacichelli ne riporta un secondo denominato Porta Piccola[4]. Sono quindi riportati gli edifici più importanti della città, indicati numericamente ed elencati in legenda. Alle spalle del centro urbano è raffigurata la cinta muraria messapica con tre porte denominate Porta S. Giorgio, Porta Santa Croce e Porta S. Nicola. Oltre le mura è raffigurato il mare su cui si affacciano altri centri urbani sovrastati da rilievi montani.

Questa pseudo-pianta però non è realistica in quanto vi sono delle incongruenze sia con lo stato dei luoghi che con quanto riportato da diversi documenti, sia anteriori che posteriori al 1703. Che detta riproduzione, assieme ad altre, non fosse del tutto affidabile lo si evince dal giudizio che ne diedero i posteri. Infatti, se il Regno di Napoli in prospettiva agli inizi raccolse molti elogi, successivamente fu oggetto di critiche severe.  Pietro Antonio Antonio Corsignani dichiarò che il Pacichelli incorreva in “vari abbagli”, come era “solito fare in quella sua opera,[Il Regno di Napoli..] affastellata senza discernimento” (1738. I, p.27)[5], mentre Lorenzo Giustiniani giunse a dire che si trattava di opera “con rami rozzi daddovero[6] e mal fatti” e “scritta da uomo acciabattante qual egli era[7]. Altri sollevarono dubbi sulla veridicità delle informazioni da lui riportate nelle sue opere, nelle quali si sarebbe dovuto “distinguere ciò che egli stesso ha veduto, da ciò che ha udito narrare per tradizione[8]. Anche studi recenti hanno accertato che la fama del Pacichelli è da ritenersi in larga misura usurpata. Risulta infatti che egli si limitò a riportare notizie raccolte qua e là, e che i suoi viaggi si svolsero solo dopo che aveva consegnato il manoscritto agli editori[9].

La prima osservazione da farsi è che egli, nel descrivere la città, dice che era “un miglio distaccata dal mare”, mentre in tutti i documenti, più o meno antichi, si dice (come in effetti era ed è) che la città distava dal mare “quattro miglia”; inoltre, nei due scudi ai vertici superiori della pianta non è raffigurato lo stemma di Ugento, benché lo stesso, come documentato, fosse stato adottato dalla città almeno dalla prima metà del ‘500[10].

In terzo luogo, nella cerchia delle mura messapiche indica a N/E della città, col n. 4, Porta S. Nicola, in corrispondenza dell’ex monastero dei Celestini, a Nord del borgo. In realtà questa porta era situata a S/O della cinta muraria bizantina e la conferma si ha, oltre che da innumerevoli documenti, dal fatto che detta porta prese la denominazione dell’esistenza nei suoi pressi di una chiesetta intitolata a S. Nicasio[11], appena fuori le mura.  Ed ancora, nel circuito delle mura messapiche col n. 3 è indicata a N/O porta S. Giorgio, mentre la stessa si trovava esattamente a N/E, nella contrada che da sempre è stata identifica col toponimo Santi Giorgi[12]. A N/E egli colloca invece Porta Santa Croce che certamente prese il nome dalla contrada S. Croce, poi Acquarelli[13], che si trovava a N/O dell’antico centro abitato.

E veniamo alla cosidetta Porta piccola che il Pacichelli colloca a S/E della muraglia bizantina, a poca distanza da Porta Paradiso sita a N/E, dalla quale secondo Salvatore Zecca irruppero in città i turchi nella loro incursione del 1537[14].

Dell’esistenza di questa porta non si è mai avuta cognizione ed il solo a parlarne fu il Pacichelli che ebbe come primo emulo l’arch. Palazzi il quale nella sua Pianta Iconografica di Ugento, la collocò, identificandola col n. 17, alle spalle della cattedrale, al vertice posteriore del suo lato destro (vista di fronte).

Tutti i successivi studiosi e scrittori locali, con dei distinguo, hanno preso per veritiera la “veduta” del Pacichelli, ma nei documenti pervenutici è rimarcato che due erano gli accessi alla città: Porta Paradiso[15] e Porta S. Nicola. Il primo di questi documenti è del 1634; si tratta dell’apprezzo che fece il tavolario Giulio Cesare Giordano in occasione della messa all’asta del feudo di Ugento. Vi si legge: “La città di Ugento […] è posta su una cima di Montetto murata attorno con bastioni, torri et altre fortificazioni, tiene li suoi ingressi per due parti, una dimandata la Porta di Paradiso, nella regione di levante, e l’altra dimandata Porta di Santo Nicola nelle regione di Ponenente […][16].  

Il feudo fu aggiudicato a Don Emanuele Vaaz de Andrada e nel documento della presa di possesso è precisato che la comitiva entrò in città da “Portam dictam del Paradiso” e che attraversando la piazza giunse a Porta S. Nicola[17]. Non vi è menzione di nessuna altra porta.

Oltre un secolo dopo, nell’apprezzo del tavolario Luca Vecchione del 1761, si legge che la città di Ugento si trovava: “quasi nel mezzo del feudo, sopra un dolce colle, da ogni intorno murato: si entra in essa mediante due porte: una detta del Paradiso, che riguarda Oriente, l’altra nominata di Santo Nicola coll’aspetto ad Occidente[18]. Anche qui non si accenna ad altre porte.

È verosimile che qualche decennio dopo vennero aperti altri varchi nella muraglia bizantina, ma fino ai primi dell’Ottocento, quando cominciarono ad essere usurpate le antiche mura bizantine[19], non si è rinvenuta alcuna testimonianza documentale in proposito.

Ma tornando alla famigerata “Porta piccola”, da dove salta fuori?

La spiegazione si trova nei protocolli del notaio Francesco Carida, di proprietà privata. In diversi suoi atti rogati tra il 1679 ed il 1696 troviamo che l’abitazione dei Papadia (corrispondente all’attuale sede degli uffici per il turismo che dà su Piazza A. Colosso e fa angolo von via Barbosa) era sita “in strada ubi dicitur la porta piccola di S. Vincenzo[20], o “ in strada ubi dicitur la porticella di S. Vincenzo[21], “in strada ubi dicitur la Porticella[22], “in strada ubi dicitur la porta piccola della chiesa di S. Vincenzo[23], “in strada ubi dicitur la porticella di S. Vincenzo[24], “ in strada ubi dicitur la porticella[25], “in strada ubi dicitur la porticella della Cattedrale di Ugento[26], “ in strada ubi vulgo dicitur la porticella della chiesa di S. Vincenzo[27], “in strada ubi dicitura la porticella[28], in strada ubi dicitura la porta piccola di Santo Vincenzo[29].

La denominazione ufficiale della strada era via Sferracavalli e come dice il notaio “dal volgo” era detta della

“porticella della chiesa di S. Vincenzo” perché conduceva alla porta secondaria e laterale di accesso alla cattedrale; non si trattava pertanto di un piccolo accesso aperto nella antica muraglia per comodità dei cittadini. Lo conferma anche il fatto che allora, fra il costone roccioso su cui sorge la cattedrale ed il piano sottostante, vi era un dislivello a strapiombo di oltre una decina di metri. Ai piedi di questo costone roccioso, prima che fosse realizzata l’attuale Via dei Cesari, correva un viottolo che permetteva ai contadini di raggiungere i propri poderi che si sviluppavano fino all’incrocio con Via Sallentina, nella contrada Barco. Tale dislivello venne superato solo alla fine dell’Ottocento con una ripida e lunga scalinata, oggi denominata salita Brancia, che si sviluppa in quattro rampe per un totale di una sessantina di gradini.

Tralasciando la disamina della rappresentazione e dell’ubicazione imprecisa di alcuni edifici della città raffigurati nella pianta del Pacichelli, è da attribuirsi dunque agli errori in essa contenuti la gran confusione che si è creata successivamente. Il Pacichelli (o chi per lui) probabilmente prese per buono, o equivocò, quanto riferitogli senza appurarne la veridicità e raffigurò una porta inesistente. A lui seguì il Palazzi il quale nella intestazione della pianta scrisse che la stessa era stata realizzata anche “per supplire alla deficienza delle memorie del primiero lustro di essa Città”. Probabilmente fu per perpetuare una fallace memoria che egli riportò l’esistenza di quella porta nelle mura bizantine mai esistita.

In effetti la città, data la sua esiguità all’interno delle mura, non necessitava di nessuna altra porta oltre le due documentate. Per recarsi nei fondi fuori le mura erano sufficienti le stradine che correvano attorno alla muraglia e per recarsi nei paesi limitrofi o alla marina erano sufficienti le strade che originavano dalle due porte poste ad Est ed a Sud/Ovest dell’abitato e distanti tra loro in linea d’aria circa 250 metri.

 

Delle mura messapiche

Il primo accenno alle mura messapiche è verosimilmente individuabile nel breve passaggio della Stima dei beni della Contea di Ugento, redatta da Troano Carafa nel 1530, in cui si dice: “La città a quattro miglia dal mare è cinta di forti mura con fossato[30].  Esplicitamente delle mura messapiche parla invece padre Secondo Lancellotti nel suo Il Mercurio Olivetano. Testualmente egli scrisse:

“Con l’occasione, che io l’anno 1616. girando per notare l’antichità, e raccorre le cose più degne dè nostri luoghi, mi trovai in queste parti, e mi trattenni l’inverno, fui chiamato a predicare la Quaresima ad Ogento. Hora è questa una città di sì pochi abitatori, che io credo, che non passino il numero di 500. […]. Dicevano gli Ogentini, che già la loro era una gran Città, ma non mi mostravano scrittore antico, che ne parlasse. […]. Ne meno apparivano vestigia di edifitij antichi a Città pretesa sì nobile convenevoli. È posta sopra un colle assai ben pietroso. Quindi, questo è ben vero, vedesi giù alla pianura un terzo di miglio lungi, gran giro di sassi coperti da gli sterpi, e dalle spine, e questo affermavano essere dell’antico Ogento. Io per curiosità fui quivi appresso, e volsi scavare un poco e vidi realmente essere una muraglia di pietre grandi, e quadrate secondo l’usanza di quei tempi, e tanto più stupij della rovina di tanta città, & e ancora quasi d’ogni memoria d’essa”[31].

Dopo quella pseudo prospettica del Pacichelli del 1703, la più datata pianta della città di Ugento si deve all’architetto Angelo Palazzi del 1810. La sua intestazione recita: Pianta iconografica dell’antica e moderna città di Ugento rilevata nel mese di febbraio dell’anno 1810 per supplire alla deficienza delle memorie del primiero lustro di essa Città. Nella planimetria, espressa in canne napoletane e piedi francesi, il sud è rappresentato in alto ed assieme al nucleo cittadino con le mura bizantine e i suoi torrioni, vi sono rappresentati il borgo e le diverse vie di comunicazione. Il tutto è circoscritto dalle mura messapiche il cui perimetro non presenta interruzioni. In alto, a destra, è raffigurato lo stemma antico di Ugento, e alla sinistra e ai piedi della pianta si sviluppa la legenda esplicativa dei diversi elementi raffiguratevi indicati con dei numeri. Il circuito messapico è contrassegnato col n. 1 e nella Annotazione si legge: “Antiche mura rilevate dai ruderi esistenti, e dalle traccie che tuttavia sovrastano, le quali il tempo non ha finora cancellato, della larghezza di circa palmi 18 per quanto si è potuto raccogliere. Il perimetro effettivo di detta città è di miglia italiane due e mezzo, e quarantanove canne lineari. L’estensione di suolo che occupavasi dall’antica città è ỻe [tumulate] 185, e passi quadri 1101, considerato il tomolo di passi quadri 1600 e ciascun passo di palmi 8[32].

Alla base della pianta vi è una dedica appena percettibile non riportata da alcuno degli studiosi che l’hanno visionata e tantomeno è presente nelle riproduzioni che ne sono state fatte a stampa. In essa si legge: “Dedicata al Sig. d.(?) Gius.pe  Colosso”. Si trattava dell’Arcidiacono e Cantore don Giuseppe Colosso sr. (1745-1833), personaggio di profonda cultura ed erudizione che scrisse diverse importanti opere rimaste inedite. Fra queste quella riguardante la storia di Ugento ispiratagli probabilmente proprio dalla pianta del Palazzi dato che egli la intitolò: “Antichità di Ugento esposte da Adelfo Filalete, O sia Rischiaramento su la Pianta iconografica dell’antica e moderna città di Ugento, rilevata dall’Architetto Angelo Palazzi l’anno 1810, e dell’Annotazione su la stessa dal medesimo fatta[33].

A questa pianta fece seguito nel 1897 la Pianta generale dei beni della Casa Colosso in Ugento, realizzata dall’Ingegnere Giuseppe Epstein con scala in metri 1: 10.000. In questa pianta sono raffigurati la città ed i territori circostanti con relativi toponimi, mentre con linee tratteggiate sono rappresentate le parti della muraglia messapica ancora visibile al suo tempo.

Riferisce il prof. Domenico Novembre in una sua pubblicazione che lo stesso Epstein aveva in precedenza ispezionato la cinta muraria e ne aveva stabilito il perimetro in 7 km.[34] A tal proposito Pizzurro, rifacendosi al citato autore, scrive:

“Nel 1889 Apstein (Epstein) misurò le mura e le trovò lunghe m. 7.000, in quanto sosteneva di aver trovato tracce di mura sia nella parte settentrionale (al di là della masseria Crocifisso) sia in quella orientale (al di là della cisterna del Serpe). Purtroppo non ci è giunto alcun rilievo di Apstein né la descrizione del perimetro della cinta muraria da lui rilevata”[35].

Ho il piacere, in questa occasione, di sottoporre all’attenzione degli studiosi proprio quella che ritengo sia una copia dell’originale (e malridotta) pianta realizzata dall’Epstein nel 1889, andata evidentemente perduta. La pianta in oggetto reca l’intestazione “UGENTO dentro le sue antiche muraglie”, mentre allo spigolo inferiore destro si legge. “Rilevò e disegnò Gius. Epstein – ing. l’anno (?) 1889”.

Pianta di “Ugento dentro le sue antiche muraglie” – Ing. G. Epstein 1889

Imm. 2

 

Di detta copia, assolutamente inedita, sono venuto casualmente in possesso e dal suo confronto con le altre due citate è possibile verificare il progressivo disfacimento delle mura messapiche.

È racchiusa in una cornice che misura cm. 39,5 x 30 ed è espressa anch’essa in metri con scala 1: 5.000, ciò che permette, a differenza del variabile valore della canna napoletana, di risalire all’effettiva lunghezza delle mura rilevata dall’Epstein. Misurando i vari tratti del perimetro (comprensivi dei tratti mancanti all’altezza della Cripta del Crocifisso e di quelli verosimilmente corrispondenti alla presenza di porte ubicate sulle strade di accesso alla città), complessivamente il tracciato misura circa 95 cm, corrispondenti sul terreno a circa 4.750 m., misura molto vicina a quella definitivamente accertata di m. 4.900 circa. Risulta pertanto errata e priva di fondamento la lunghezza delle mura messapiche di 7.000 metri attribuitagli.

Vi è rappresentata la città e il territorio compreso entro la cerchia messapica con alcuni toponimi ed il nome dei proprietari dei deversi appezzamenti di terreno.  Non vi è legenda ma per ognuna delle strade è indicato il nome del luogo o abitato verso cui conduce.  Vi sono raffigurate le nuove strade per Taurisano, per Gemini, per la marina di Torre S. Giovanni e per Gallipoli. Vi è delineato il percorso della futura Ugento – Casarano (1893) e la variante D’elia per via Monteforte. Vi è anche indicata l’ubicazione di una “antica tomba” lungo la strada che attraversava la contrada Colonne, poco prima che la stessa ripiegasse a S/O verso masserie Mandorle. Il circuito murario messapico è rappresentato con linee continue, tratteggiate o interrotte, a seconda dello stato delle mura, se intatte, con tracce visibili o inesistenti. Non vi sono indicate torri o porte specifiche. Un lieve differenza nel circuito con quella del Palazzi è riscontrabile nel tratto a sud/est, all’altezza dell’estremità sinistra della Terra dell’Aia. Per il Palazzi le mura formavano una specie rientranza a forma di cuneo fra la strada delle Pastane e la via vecchia per Acquarica. Secondo l’Epstein questa deviazione non c’era ed il percorso da lui tratteggiato proseguiva quasi per linea retta.

Si evidenzia anche come la strada delle Pastane (come appurato dagli studiosi succitati) si sviluppava a ridosso, o al di sopra, delle mura. Si differenzia ancora questa pianta con quella del Palazzi per quel che concerne il tracciato della vecchia via per Taurisano. Questa stradina partiva dalla via della Madonna della Luce (ex Sallentina), dal lato sinistro della chiesetta di S. Lorenzo, ed attraverso i campi giungeva ad incrociare la via per Taurisano che proseguiva, costeggiando le mura, fino all’incrocio tra la via per Melissano e quella per Casarano. Nella pianta dell’Epstein si vede invece chiaramente come questa strada sia stata interrotta dalla creazione di nuovi fondi agricoli. Il tratto occultato di questo sentiero conduceva direttamente a quello che il Palazzi riportò sotto la denominazione di “Torrione di S. Giorgio”, verosimilmente già demolito ai tempi dell’Epstein dato che egli nella sua pianta rappresenta il breve tratto di mura verso la nuova strada per Taurisano con una linea punteggiata. Come ritengono gli studiosi, il torrione prese la denominazione di S. Giorgio dalla porta omonima e nei suoi pressi una ventina di anni fa fotografai una grande lastra in pietra quasi integra che, se non è stata rimossa o distrutta, dovrebbe essere ancora sul posto. Molto probabilmente fungeva da copertura ad una tomba. Se ne riporta l’immagine:

Manufatto in pietra rinvenuto in prossimità del torrione S. Giorgio delle mura messapiche

 

Note

[1] A. PIZZURRO, OZAN UGENTO. Dalla Preistoria all’Età Moderna, Edizioni Del Grifo, Lecce 2002.

[2] G. SCARDOZZI, La cinta muraria di Ugento, Edizioni Leucasia, Presicce 2007. Accanto a questo testo è da menzionarsi l’ultima sua opera dal titolo Topografia antica e popolamento dalla Preistoria alla tarda Antichità – La Carta archeologica di Ugento, Edizioni Quatrini, Viterbo 2021.

[3]G. OCCHILUPO, Ugento – La città medievale e moderna – Metodologie integrate per la conoscenza degli abitati, Claudio Grenzi Editore, Foggia 2018.

[4] Le due porte sono contrassegnate rispettivamente con i numeri 11 e 12.

[5] P. A. CORSIGNANI, Reggia Marsicana ovvero memorie topografiche-storiche di varie Colonie, e città antiche e moderne della Provincia de i Marsi e di Valeria, Presso il Parrino, Napoli 1738, parte I, p. 277.

[6] Daddovero – arc. letterario = davvero

[7] L. GIUSTINIANI, La Biblioteca storica, e topografia del Regno di Napoli, Stamperia Vincenzo Orsini, Napoli 1793, p. 110.

[8] G. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana del cavaliere abate Girolamo Tiraboschi, presso la Società Tipografica, Modena 1793, l. I, p. 98.

[9] V.: G. DE ROSA – A. CESTARO (a cura) Storia della Basilicata. 3. L’Età moderna, Editori Laterza, Bari (Ed. Digitale: dicembre 2021), p. 137. Le “vedute” utilizzate da Pacichelli sono opera del cartografo Francesco Cassiano da Silva  

[10] V.: L. ANTONAZZO, Gli stemmi della città di Ugento, Tip. Marra, Ugento 2016.

[11] Questa chiesetta bizantina era sita a pochi passi a nord della chiesetta della Madonna del Corallo, fuori le mura.

[12] Not. F. Carida, protocollo del 22/11/1683, c. 139v. Questo atto conferma che la località S. Giorgio era adiacente ad ovest all’Armino, suffeudo che si trovava ad Est del feudo di Ugento; vi si legge infatti “in loco ubi dicitur Santo Giorgio, iusta bona feudi nuncupati l’Armino ex occidente”.

[13] Not. F. Carida, protocollo del 10/1/1684, c. 12r.

[14] S. ZECCA, Portus Uxentinus vel Salentinus, Editore Mariano, Galatina 1963, p. 44.

[15] Se, come detto, Porta San Nicola derivava la sua intitolazione dalla vicina chiesetta di S. Nicasio, Porta Paradiso aveva assunto questa denominazione per la presenza nei suoi pressi di un giardino murato. Infatti il termine “paradiso” deriva dal persiano pairidaeza  (= giardino recintato) reso in greco con  paràdeisos. Il giardino in questione non corrispondeva però a quello realizzato dai conti Pandone sui lati nord ed ovest del castello, ma a quello degli Urso, esistente in parte ancora di fronte all’attuale ingresso al castello stesso.

[16] Archivio di Stato di Napoli, atto del notaio Leonardo Aulisio del 31 gennaio 1643 attinente all’acquisto del feudo di Ugento da parte di Pietro Giacomo d’Amore (Emptio Civitatis Ugenti pro Petro Jacobo de Amore).

[17] ASLe, Sez. Not., 46/39, not. G. F. Gustapane, protocollo del 15 marzo 1636, cc. 197r-216r.

[18]V.: G. OCCHILUPO, Ugento – La città medievale e moderna, cit. Appendice documentaria, p. 155.

[19]V.: L. ANTONAZZO, Trasformazioni urbane a Ugento tra Ottocento e Novecento, Edizioni Leucasia, Presicce 2005.

[20] Not. F. Carida, prot. del 6 gennaio 1679, c. 2v.

[21] Idem. Prot. del 30 ottobre 1683, c. 114r.

[22] Idem, prot. del 4 gennaio 1684, c. 3v, prot. del 11 gennaio 1684, c. 39r.; prot. del 18 settembre 1685.

[23] Idem, prot. del 21 febbraio 1685, c. 3r.

[24] Idem, prot. del primo agosto 1685, c. 60v.

[25] Idem, prot. del 18 settembre 1685, c. 111v.

[26] Idem, prot. del 5 dicembre 1685, c. 142r.

[27] Idem, prot. del 6 gennaio 1693, c. 1r.

[28] Idem, prot. del 3 settembre 1696,

[29] Idem, prot. del 8 luglio 1697, c. 108r.

[30] V.: F. CORVAGLIA, Ugento e il suo territorio, Editrice Salentina, Galatina 176, p. 77. Questo inciso potrebbe far riferimento anche alla cinta muraria bizantina, ma è improbabile data la morfologia del terreno che solo a nord e ad ovest delle mura, per essere pianeggiante, consentì la realizzazione di un fossato prospiciente il castello. Per quanto concerne il fossato antistante le mura messapiche, la sua esistenza per il momento è stata accertata limitatamente ad una porzione del lato est, in contrada Armino.

[31] S. LANCELLOTTI, Il Mercurio Olivetano, overo la Guida per le strade d’Italia, per le quali sogliono passare i Monaci Olivetani, Perugia 1628, pp. 55-56.

[32] La canna napoletana variava a seconda dei luoghi da un minimo di m. 2,14 ad un massimo di m. 2,37. Il Pizzurro, dando alla canna napoletana il secondo valore stabilì il perimetro delle mura messapiche in m. 5.237 (A. PIZZURRO, Ozan …, cit.p. 246). Rifacendosi invece al primo valore la lunghezza delle mura sarebbe stata di m. 4.729, misura più vicina ai circa m. 4.900 stabiliti negli anni Novanta del secolo scorso dagli studiosi.

[33]Ricalca pedissequamente questa operetta, anche nella ripartizione dei capitoli, l’opuscolo Memorie sulle antichità di Ugento 1857, di autore anonimo custodito presso la Biblioteca Provinciale Nicola Bernardini di Lecce ed edito a cura dello scrivente nel 2003 per Edizioni Leucasia.

[34] D. Novembre, Ricerche sul popolamento antico del Salento con particolare riguardo a quello messapico, in Annuario del Liceo Ginnasio “G. Palmieri”, Lecce 1965-66, pp. 78-79.

[35] A. PIZZURRO, Ozan …, cit., p. 247.

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2 Commenti a Considerazioni sulla “veduta” di Ugento del Pacichelli del 1703

  1. Questa ed altre storie del Salento, che non è soltanto “Sule, mare e jentu”, postulano l’edizione di tutto il suo sapere in una compendiosa Enciclopedia, di cui dovrebbe farsi carico per il coordinamento l’Università che ne ha assunto il nome.

  2. Complimenti per il ritrovamento della pianta di Ugento del 1889 disegnata da Epstein. Sarebbe utile pubblicarne una riproduzione a tutta pagina nel prossimo numero stampato della Rivista della Fondazione.

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