Libri| L’una e tre (DiscorDanze)

di Laura De Vita

 

L’una e tre (DiscorDanze), edita da ArgoMenti Edizioni nel 2019, è l’ultima silloge poetica di Paolo Vincenti, giornalista e scrittore salentino dalla ricca formazione culturale e politica.

Non è affatto un caso che la precedente opera del poeta avesse come titolo L’una e due – DiscoRdanze (Edizione La Fornace, Galatina 2016): la lancetta del pendolo che scandisce la vita stessa ha scoccato un solo minuto, in realtà sono passati tre anni e non è cambiato nulla, il caos permane, più dirompente di prima, creando appunto le “discordanze” del sottotitolo.

Come la precedente opera, anche L’una e tre è suddivisa in due parti: “disco” e “danze” che, come messo in evidenza da Abele Longo nella interessante prefazione, omaggiano il postmoderno la prima ed il classicismo la seconda, sia negli argomenti che nel linguaggio formale. Una poesia che oscilla tra lo sperimentalismo e il classicismo quindi, sfociando in forme linguistiche innovative ed originali, ma sempre densissime del pathos che alberga in tutte le intime lacerazioni umane. Se nella prima parte l’autore osserva il caos che lo circonda e sembra abbandonarsi ad un sentimento di repulsione e disgusto, nella seconda quel che prevale è il senso dell’irrisione e dello scherno (divertitevi ghiottoni, mangioni che siete, vanesi e viveurs…).

Anche se potrei citare molte liriche significative che sono rappresentative della poetica dell’autore e che hanno incontrato il mio particolare e personale gradimento (CoabitazioniNell’animaVita al minutoQuesto tempoMordace), emblematico è il componimento dal titolo Distonico:

Tutto è disarmonico
e io distonico
mi sento comico
nel mondo illogico
quasi matematico
il disastro ultimo

Come si può notare, la poesia di Vincenti è essenziale e al contempo estremamente efficace: se il suo obiettivo era quello di mettere in risalto l’assurdità della realtà odierna, egli ci è riuscito perfettamente.

Vincenti è uno scapigliato del XXI secolo (e con gli scapigliati del XIX secolo ha in comune la rivendicazione della propria indipendenza, il rifiuto del perbenismo falso e bigotto, l’identificazione tra arte e vita, il polemico bisogno di verità e molto altro) ed i suoi versi sembrano scritti in stato di ebbrezza, scanditi dal ritmo incessante di uno strumento a percussioni e la sensazione che il lettore prova nel leggerli è quella di essere risucchiato in un mondo distorto, dove nulla va come dovrebbe andare e dove il protagonista è totalmente fuori luogo ed incapace di mischiarsi a tanto scempio.

Si tratta di una poesia estremamente lucida, perché il poeta pensa e sceglie accuratamente i versi da utilizzare per descrivere cinicamente e criticare in maniera irriverente la realtà alienante e distopica del mondo che lo circonda e dove, volente o nolente, è costretto a vivere. Ma non vi è rassegnazione: da individuo libero e fiero, sempre fedele ai suoi valori e alla sua profonda umanità, continua a cercare l’innocenza perduta e, attraverso questa sua tenace opera di resistenza, riesce a ristabilire un giusto ordine delle cose; un uomo che, attraverso la desolante e spiazzante descrizione della “rottura” ritrova la sua unità ed il suo esatto posto nel mondo.

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