Leggende popolari: la “manu longa”

di Gianfranco Mele

 

Scena dal film “The Ring”

 

In una serie di leggende italiane si ritrovano  mostri d’acqua per lo più legati a personificazioni femminili e accomunati sia da caratteristiche simili (abitano nei pozzi, sono avidi di carne e sangue dei bambini che risucchiano nelle loro tane acquatiche), che da nomi somiglianti. Ad esempio, al sud, in Campania queste figure prendono il nome di Maria Catena, Marica Catena, Maria Crocca, Maria Forbice, Maria Longa,[1] Mano Longa; in Sicilia Marrabecca,[2] Mamma Rrabecca, Mammadraga. In Veneto la  Marantega è identificata nella befana ma anche in uno “spauracchio per bambini” che “si dice sia nel pozzo e nei fossi”.[3] Tale figura è stata identificata con la progenitrice dei Lari (Larunda),[4] e  deriverebbe in ogni caso dal latino Mater Antiqua, corrotto nel dialettale Mare Antiga.[5]

Non si può  non notare l’affinità di queste figure, e persino dei nomi (specie nel caso della “Marica Catena” campana), con Marica, antica dea delle acque e delle paludi, e con  il termine di origine preindoeuropea mara = acque, acquitrini, paludi.[6]  Con la Mammadraga siciliana (descritta anche nelle Fiabe di Pitrè) siamo addirittura alle corrispondenze/fusioni tra mostri d’acqua femminili, la citata “Mater Antiqua”, e il “drago” acquatico. Una figura analoga sarda è la Pettenedda, una sorta di vecchia strega dalle unghie lunghissime come artigli, e dai capelli arruffati che non si ricompongono nemmeno sotto i ripetuti colpi del suo pettine; la Pettenedda, come tutte queste altre creature leggendarie, acciuffa i bambini che si sporgono ai bordi dei pozzi.

Statuina arcaica raffigurante Marica

 

La Mano Longa è ricorrente in altre regioni del Sud: in questo caso è rappresentata come una enorme, lunghissima e mostruosa mano che avrebbe trascinato in fondo al pozzo i bambini che vi si sporgevano. Analoga rappresentazione (“Manu Longa”, “Manu Nera”) è nella tradizione pugliese.

Una curiosa occasione in cui ho sentito rievocare  questa storia della Manu Longa è stata qualche decennio fa, quando chiamai un operaio per farmi ripulire e restaurare la cisterna d’acqua piovana che avevo in campagna, e costui alla vista di quel vecchio pozzo mi disse scherzando, ma rievocando tra sé e sé antiche suggestioni ricevute da bambino, “non è ca mò essi la Manu Longa cu ni cchiappa, no?”.[7]

Ritornando di recente con una discussione sull’argomento, la mia amica Rossella, informatrice di Sava, mi racconta che da bambina sentiva parlare spesso di una figura similare, in questo caso denominata “la Tantazioni”:

«Mia nonna mi diceva “non ti vvicinari ca la tantazioni ti tira abbasciu… non voleva addirittura che saltassi sul coperchio di ferro del pozzo, chiuso con un paio di lucchetti… era vietato fare rumore attorno al pozzo per non disturbare la tantazioni»

 

Allo stesso modo, Anna Maria da Sava mi racconta:

«Mia madre mi diceva di non avvicinarmi ai pozzi e di non specchiarmi perchè altrimenti un essere orribile chiamato Malombra mi avrebbe trascinata dentro l’acqua. Tutto ciò mi incuteva terrore, ma funzionava»

 

Una figura analoga doveva essere quella che mia nonna chiamava “Mammacabella” (da notare l’assonanza nel nome, con la Mamma Rabecca e con la Mammadraga del folklore siciliano): non ricordo moltissimo, se non il fatto che si trattava di una vecchia evocata come spauracchio per bambini.

La storia del mostro che abita i pozzi, le fontane o i corsi d’acqua, e ha sembianze femminili (in genere di vecchia strega) o di drago (o rettile, o anfibio) o miste, ricorre un po’ ovunque, in alcuni casi con curiose e complesse corrispondenze tra una serie di creature magiche (dal basilisco al drago alla  strega al folletto alla salamandra alla mandragora: si vedano, al proposito, le varie ricerche del Borghini).[8] Curiosamente, a Bormio, in provincia di Sondrio, per evitare che i bambini si avvicinassero troppo ai corsi d’acqua con il rischio di essere trascinati via dai vortici, si ammoniva che negli inghiottitoi rumoreggianti si annidava la mandràgola, un mostro spaventoso che sarebbe balzato dalle acque e li avrebbe divorati. Ugualmente, a Morignone,  la mandragola viene descritta come “un drago del fiume”, in agguato tra i gorghi e pronta a risucchiare i bambini in un sol boccone. [9] Sempre in quei paraggi, a Frontale, la mandràgola è un mostro “che abita nei gorghi del torrente”, una sorta di drago che si nutre della carne dei bambini. [10] A Grosio una raffigurazione analoga viene designata con il nome di Marantula (altra variante, Maramantula), animale immaginario “presente nelle fontane e nei corsi d’acqua, evocato per mettere in guardia i bambini dal mettersi in pericolo sulle scarpate dei greti”. [11] In una leggenda del Lago di  Garda, la Mandragola è una figura femminile che rapisce i giovani e li nasconde in fondo al pozzo.[12]

Il tema delle figure infernali o demoniache che appaiono dal fondo di un pozzo appare anche in questo passo tratto dagli atti di un processo del Tribunale del santo Officio di Oria (1738). In questo caso però, la figura è maschile e si tratta del “demonio” che a più riprese appare a Maria Caterina Salinaro, una praticante cattolica e consorella dell’Ordine Carmelitano di Francavilla Fontana:

«Un giorno pur avendo avuto parole in casa mia ed essendo stata maltrattata da mio fratello, mi vidi alla disperazione e la sera verso un’ora di notte mentre tirava l’acqua del pozzo dentro l’orto, da dentro detto pozzo mi comparve il detto demonio in forma di uomo, ma in maniera spaventosa, tal che avendomi io atterrita, mi disse che voleva ripigliare con esso l’amicizia, onde io caddi nuovamente nel consenso e mi contentai, per la qual cosa la notte seguente mi comparve in forma d’uomo ed ebbe con me il commercio carnale e continuammo ogni notte per lo spazio di due altri anni nel vizio della disonestà»[13]

 

Note

[1]    In una variante della leggenda, “Maria Longa” cattura e divora i bambini che si sporgono verso qualsiasi  spazio ritenuto pericoloso (es. davanzali, balconi ecc.); cfr. Giovanni Vasso, La leggenda di Maria Longa e la terribile sorte dei bambini, https://ecampania.it/event/leggenda-maria-longa-e-terribile-sorte-bambini/

[2]    https://catania.italiani.it/marabbecca-un-mostro-che-vive-nelloscurita-e-tramuta-tutto-in-nulla/

[3]    Dante Bertini, Cante e cantàri. Poesie in dialetto veneto con aggiuntovi un glossario, Quaderni di Poesia Ed., 1931, pag. XIV

[4]    AA.VV Tridentum vol. 3-4, Rivista bimestrale di Studi Scientifici, Stabil. Tip. Zippel, 1900, pag. 135

[5]    Da approfondire, anche, corrispondenze varie con il mostro del folklore germanico e slavo denominato Mare. Si tratta anche in questo caso di una figura mitologica (originariamente) femminile la cui caratteristica principale è il cavalcare il petto dei dormienti: è inoltre figura associata ai cavalli, dei quali intreccia anche le criniere. Qui, la corrispondenza è soprattutto nei confronti dei folletti di cui parliamo nel corso di questo articolo, mentre da un punto di vista dell’etimo si potrebbe intravedere una somiglianza con le citate figure-mostro femminili alle quali abbiamo già attribuito derivazione dal protoindoeuroeo  mara. Tuttavia, nel caso del Mare-incubo cui ci stiamo qui riferendo,  l’etimologia è controversa: c’è chi la attribuisce ad un protoindoeuropeo mer (schiacciamento, oppressione), chi al greco Μόρος (destino). Lo studioso Massimiliano Palmesano, che sta svolgendo una ricerca sulle leggende campane intorno ai “mostri” abitanti dei pozzi, nei commenti di discussione in un suo post su facebook osserva che nel tempio alle foci del Garigliano la dea Marica era chiamata anche Mara, notando anch’egli una costante presenza di assonanze nei vari nomi dati a questi personaggi della fantasia popolare: da Marica, Mara, a Maria (cui bisognerebbe aggiungere, come abbiamo già osservato, anche il ricorrente “Mamma” (Mater).  Alla lista dei “mostri” acquatici campani e del meridione in generale, il Palmesano aggiunge anche il Marranghino  (che nel folklore lucano è una specie di folletto equivalente al Laùru salentino)  e la “Rancicodena”.

[6]    Claudia Giontella,  Marica ed i Palici: un confronto fra entità “terribili” cultualmente reinterpretate in senso benefico,  in “Usus Venerationem  Fontium, Atti del Convegno Internazionale di Studio su “Fruizione e Culto delle Acque Salutari in Italia”, a cura di Lidio Gasperini, Roma-Viterbo 29-31 ottobre 1993, Tipigraf Editrice, 2006, pag. 235

[7]    Trad.: “non vorrei che uscisse fuori dal pozzo la Manu Longa per acchiapparci e trascinarci a sè”

[8]    Alberto Borghini, Mandraule, la salamandra, in: «Varia Historia. Narrazione, territorio, paesaggio: il folklore come mitologia», Aracne Editrice, Roma, 2005; Alberto Borghini, Folletto e sfera del basilisco: folletto-rettile; folletto-uccello. Alcuni spunti, in Saggi del Museo italiano dell’immaginario folklorico, 2006; Alberto Borghini, Gianluca Toro, Mandragola, salamandra e rettili: elementi di corrispondenza, in “Lares”, vol. 76, n° 2, maggio-agosto 2010

[9]    Remo Bracchi, Nomi e volti della paura nelle valli dell’Adda e della Mera, De Gruyter, 2009, pag. 91

[10]  Remo Bracchi, op. cit., pag. 93

[11]  Remo Bracchi, op. cit., pp. 93-94

[12]  Alberto Borghini, Gianluca Toro, Mandragola, salamandra e rettili: elementi di corrispondenza, in “Lares”, vol. 76, n° 2 (maggio-agosto 2010), pag. 130

[13]            ACO (Atti Curia di oria), Fondo Stregonerie e Sortilegi,  fasc. 5, “Confessione di Maria Caterina Salinaro in data 18 aprile 1738”

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