Hemingway e Brindisi

Nel manifesto Hemingway a Bassano in divisa di volontario della Croce Rossa Americana nel 1918

 

Ernest Hemingway e la prefigurazione della fuga a Brindisi del ’43

60 anni fa il celebre scrittore americano intraprese la sua fuga all’altra vita

 

di Gianfranco Perri

Frederic: “nelle guerre tra le montagne, un giorno ti prendi una montagna e il giorno dopo il nemico te ne prende un’altra, ma quando incomincia un attacco un po’ serio bisogna scendere tutt’e due dalle montagne” –

Gino: “e quindi tu cosa faresti se avessi una frontiera fatta di montagne” –

Frederic: “una volta gli austriaci venivano sempre bastonati nel Quadrilatero attorno a Verona, li lasciavano scendere in pianura e li bastonavano lì” –

Gino: “ma i vincitori erano francesi, in casa d’altri è più facile risolvere i problemi militari” –

Frederic: “e già, quando si tratta del tuo paese non lo puoi usare così scientificamente” –

Gino: “eppure i russi l’hanno fatto, per intrappolare Napoleone” –

Frederic: “sì, ma quelli avevano un paese veramente enorme, se in Italia tentaste di ritirarvi per intrappolare Napoleone, vi ritrovereste a Brindisi”… Come a voler significare: “in Italia, il luogo più remoto dove si potrebbe pensar di andare per fuggire dal nemico, è Brindisi”.

Siamo nell’autunno del 1917, tra Gorizia e Caporetto, sul fronte del Carso dopo un’estate sofferta in battaglia sul Monte San Gabriele.

A farewell to arms Prima edizione – New York 1929

 

Addio alle armi Prima edizione italiana – Milano 1948

 

Siamo nelle pagine di uno dei primi capitoli di “Addio alle armi” – a mio avviso il più bello di tutti i romanzi di Hemingway. Il romanzo d’amore e di guerra, in essenza autobiografico, che vide la luce nel 1929 ispirato dall’emotiva – e formativa – esperienza del giovanissimo scrittore americano, arruolatosi volontario della Croce Rossa ed operante come autista d’ambulanza tra le truppe italiane impegnate contro gli austriaci sui fronti delle Alpi orientali, dove l’8 luglio 1917 rimase abbastanza seriamente ferito e, ricoverato per tre mesi in ospedale a Milano, fu poi condecorato per le sue azioni in guerra, prima di ritornare al fronte.

Settembre 1917 – Hemingway in convalescenza all’ospedale di Milano

 

Frederic è il giovane tenente medico americano – il protagonista del romanzo, appena rientrato in servizio al fronte dopo qualche mese trascorso in ospedale a Milano in seguito a una seria ferita subita nel mezzo di un improvviso attacco dell’artiglieria austriaca – e Gino è un ufficiale medico italiano incontrato nelle retrovie del fronte, nella sua Bainsizza, a nordest di Gorizia, oggi in Slovenia.

Proseguendo con il dialogo, Gino chiede: “Brindisi? Un posto terribile! Sei mai stato lì? (Have you ever been there?)” e Frederic risponde: “Not to stay”.

Quella risposta è stata tradotta in “solo di passaggio” che pur essendo una traduzione formalmente corretta, fa richiamare l’attenzione sul fatto che quella risposta non rifletterebbe la realtà autobiografica del personaggio, senza che ci sia una qualche spiegazione plausibile relativa a quell’eventuale inesattezza. Quella traduzione però, potrebbe anche non essere stata la più consona ad esprimere il senso voluto dall’autore: in quel contesto, quel rispondere “Not to stay” aveva il senso di “Not to stay there” e forse, meno letteralmente: “mai stato lì”.

Hemingway a Granada nel 1959

 

Hemingway in effetti non era mai stato a Brindisi, né alla data di quel dialogo né a quella della pubblicazione del romanzo, né peraltro ci passò mai in tutta la sua pur raminga vita. Però, evidentemente, sapeva bene di Brindisi e sapeva molto bene del suo carattere geografico e soprattutto storico di città limes, come del resto città limes – anch’essa quindi perfetta per la fuga – era la tropicale Key West, il punto continentale più meridionale e più remoto degli Stati Uniti, dove Hemingway si era rifugiato e dove aveva costruito la sua confortevole casa – è molto ben conservata e cerco di ritornarci ogni qualvolta vado a Key West – proprio quella dove nell’autunno e nell’inverno del 1928 scrisse la versione finale del suo “A farewell to arms”.

Traduzioni a parte, viene comunque da riflettere su quale fosse il senso vero di quel dialogo: «…Forse quelle battute andrebbero lette come una prolessi nascosta. Cosa infatti accadde dopo la ritirata di Caporetto? Certo, gli austro-tedeschi vennero fermati sul Piave e non arrivarono neanche fino a Verona, né tanto meno a Brindisi, ma fu in pianura che il loro tentativo di dare il colpo di grazia all’Italia ripetendo le tattiche usate a Caporetto venne sventato a giugno del 1918 nella battaglia del Solstizio. Il fallimento dell’ultima grande offensiva austriaca suonò la campana a morto per l’Impero austro-ungarico, per cui si può ben dire – parafrasando Hemingway – che solo quando gli italiani ebbero lasciato scendere in pianura gli austriaci poterono bastonarli, al punto che nel novembre dello stesso anno fu il Regio esercito a dare il colpo di grazia a quello Imperial-regio. [“Ritirate parallele: Hemingway, Comisso e la rotta di Caporetto” di U. Rossi in ‘900 Transnazionale’, 2019]

Certamente si può legittimamente osservare – e naturalmente è stato già fatto – che all’epoca della scrittura del romanzo, a fine 1928, Hemingway sapeva bene come era andata a finire la guerra e, se pur da lontano, poteva anche averne conosciuto alcuni dettagli attingendo alle fonti già disponibili e far quindi fare bella figura al personaggio Frederic, diretta replica del suo. Ma è anche stato detto che le battute apparentemente marginali nei dialoghi di ‘Addio alle armi’ appaiono molto meno gratuite di quel che può sembrare a una lettura distratta, anche in considerazione della teoria dell’iceberg propugnata proprio dallo stesso Hemingway, secondo la quale non tutto quel che il romanziere sa dei suoi personaggi e di quel che accade loro e al loro mondo deve essere esplicitato e comparire sulle pagine di un romanzo.

La casa di Hemingway a Key West

Ma come la mettiamo a proposito della “fuga a Brindisi” del settembre ’43? Qui non è facile trovare scappatoie. Al 1917, e neanche al 1928, fonti in proposito non ne sarebbero certo potute esistere. Eppure, a detta di Giancarlo Sacrestano, Hemingway con il suo Frederic «…parla di Brindisi, in un contesto storico, che egli non immagina: prefigura.»

Frederic cioè, in quell’autunno del 1917 e pertanto con praticamente un quarto di secolo d’anticipo, prefigura per la città limes Brindisi, la meta della fuga – la fuga di quegli stessi regnanti Savoia da quegli stessi attaccanti tedeschi – per da lì, come i russi dalla Siberia con Napoleone, attendere pazientemente la ritirata degli invasori: certamente abbastanza intrigante, anche se, forse e più semplicemente, solo premonitore.

«…Il re fugge: non so se partendo da Roma avesse già l’idea di arrivare a Brindisi, e questo non lo sa nessuno. È probabile che già ce l’avesse, però non possiamo esserne certi. Di fatto comunque, lui sapeva bene che Brindisi era un luogo di fuga, e lo sapeva anche perché lo aveva comprovato di persona quando ventisette anni prima aveva accolto, sulle banchine del porto di Brindisi, il suocero, a sua volta fuggiasco dal Montenegro, nel contesto del salvataggio dell’esercito serbo in biblica fuga verso Brindisi… Il re trova una città distrutta, con più del cinquanta per cento del patrimonio edilizio cittadino finito sotto le bombe degli Alleati. Le scuole deserte e buona parte della popolazione non in città in quanto sfollata nei paesi vicini. Erano rimasti ad abitarvi solo i funzionari necessari per fare andare avanti l’amministrazione della città e in particolare quella militare. Brindisi in quel momento – con quella sua posizione di città limes – diventa una capitale che rappresenta veramente un’Italia semidistrutta. Una capitale in cui il re non ha neanche abiti e deve rivolgersi agli artigiani locali per farsi cucire i vestiti, farsi fare le scarpe, insomma tutto quello che serve per andare avanti giorno dopo giorno…» [Giacomo Carito, 2015 – nella presentazione del libro “Brindisi persino capitale” di Antonio Mario Caputo]

E già molto tempo prima del ’43, a Brindisi erano fuggiti – se pur con fughe dalle cause e dagli esiti dissimili – Falanto, Spartaco, Cicerone, Pompeo e via via molti altri. E poi anche dopo il ’43, praticamente da subito dopo a partire dal 1945, quando cominciarono ad affluire a Brindisi, in fuga, i giuliani, i fiumani, i dalmati e quindi gli ebrei che venivano dall’Europa orientale e dall’Africa settentrionale. E poi ancora, trenta anni fa nel 1991, l’immane esodo degli Albanesi a Brindisi… Solo per citare alcune tra le più eclatanti, delle fughe a Brindisi.

Ernest Hemingway, che era nato nel luglio del 1889 a Cicero – adesso Oak Park – in Illinois negli USA, nel 1954 vinse il premio Nobel di letteratura e il suo stile di prosa succinto e brillante esercitò una potente influenza sulla narrativa americana e britannica del ‘900. Queste le sue tre opere maestre: “Addio alle armi” scritta nel 1929, “Per chi suonano le campane” del 1940 e “Il vecchio e il mare” del 1951. All’alba del 2 luglio 1961, nella sua casa di Ketchum nello Stato dell’Idaho, Hemingway si suicidò sparandosi un colpo di fucile, dopo che negli ultimi anni di vita le sue condizioni fisiche e mentali si erano acceleratamente aggravate.

La R. nave corvetta Baionetta giunge al porto di Brindisi il 10 settembre ’43
a bordo il re Vittorio Emanuele III e parte del suo governo in fuga da Roma

 

Chissà se in quegli ultimi terribili momenti di sublime tragicità il romanziere Hemingway abbia ripercorso tutti i suoi racconti con tutti i suoi personaggi e le loro gesta, che poi erano spesso state quelle sue, reali o immaginate poco importa, e chissà se nell’intraprendere quella sua ultima fuga si riconobbe prefigurando la fuga a Brindisi.

Sono state scritte e sono disponibili in praticamente tutte le lingue, decine di biografie di Hemingway, e quindi tralascio proseguire nel racconto di altri dettagli della sua vita e concludo aggiungendo solo un’ultima cosa. “C’è un’espressione inglese che si adatta perfettamente a Hemingway: “larger than life” – straordinario, esagerato, incredibile, fuori dall’ordinario; letteralmente più grande della (propria) vita. Di fatto, leggendario.”

 

 

BIBLIOGRAFIA

Hemingway E. A farewell to arms – Charles Scribner’s Sons, New York 1929

Hemingway E. Addio alle armi – Einaudi, Milano 1948

Shnert W. Ernest ‘Pappa’ Hemingway, larger than life – McCook Gazette, 14 May 2017

Rossi U. Ritirate parallele: Hemingway, Comisso e la rotta di Caporetto – Transnazionale 2019

Simonetti P. La “Partita Hemingway”: Hemingway e l’editoria italiana – Transnazionale 2019

Caputo A. M. Brindisi persino capitale – Hobos, Brindisi 2015

Encyclopaedia Britannica Ernest Hemingway – Encyclopaedia Britannica Inc. 2020

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