Luci ed ombre nella partecipazione delle donne salentine alla Prima Guerra Mondiale

      

 

 di Paolo Vincenti*

Molti studi ottimamente prodotti negli ultimi anni sulla partecipazione delle donne alla Prima Guerra Mondiale hanno dimostrato come il loro impegno nella Grande Guerra in tutta Italia sia stato ampio e variegato. Da questi studi è emerso un universo femminile quasi prismatico, se solo si superano i consunti stereotipi che stancamente si tramandano. Oltre ai settori più tradizionali e conosciuti, infatti, come quello delle infermiere e delle crocerossine, vi furono moltissimi campi di applicazione in cui le donne riversarono il proprio ingegno, la costanza, la versatilità. La loro partecipazione fu legata prima di tutto all’assistenzialismo, sia di matrice cattolica che laica. Soprattutto le donne di estrazione aristocratica ed alto borghese incoraggiarono la nascita di associazioni di beneficenza, che si prendessero cura dei soldati impegnati al fronte, attraverso donazioni, raccolte fondi, invio di beni di prima necessità, quali generi alimentari, indumenti caldi, medicine. L’area del volontariato in cui maggiormente si esplicò la beneficenza legale, anche nel Salento, fu quella sanitaria, nello specifico della Croce Rossa. Molte furono le infermiere salentine che partirono per le zone di guerra[1].

Un ruolo rivestito dalle donne durante la guerra che merita ulteriori approfondimenti è quello delle madrine di guerra, le quali si prendevano cura di alcuni soldati, adottandoli per tutta la durata del conflitto. Inizialmente le madrine di guerra provenivano dall’alta società, ovvero dai ceti aristocratici, ma successivamente furono anche le ragazze del popolo a farsi madrine e avviare una corrispondenza epistolare con i soldati sul fronte; non di rado, queste frequentazioni si trasformavano in fidanzamenti e quindi matrimoni quando i soldati riuscivano a ritornare vivi dal campo di battaglia[2]. Molto note sono le figure di madrine di guerra al Nord, poco invece nel Sud e nello specifico nel nostro Salento. Queste donne, anche conosciute come “Dame di carità”, operavano nell’ambito dell’associazionismo cattolico e si facevano promotrici di iniziative benefiche a favore dei soldati feriti sul fronte e mutilati, e ancor di più degli orfani e delle vedove di guerra.

Al di fuori dei ruoli classici di maternage, sui quali torneremo nel corso di questo contributo, molte furono le donne impegnate nelle professioni intellettuali, come insegnanti, scrittrici e giornaliste. Fra queste ultime, una particolare menzione meritano le giornaliste di guerra[3]. Nel Salento, svariate furono le donne intellettuali che vissero in primo piano l’età della Prima Guerra Mondiale. Tutte sono state oggetto di approfonditi studi e dunque di esse faremo solo una rapidissima carrellata. Fra le altre, possiamo citare: la professoressa Giulia Lucrezi Palumbo (1876-1956)[4], Giulia Poso (1879-1963)[5], Maria Luigia Quintieri (1881-1973)[6], Maddalena Santoro (1884-1944)[7], Oronzina Quercia Tanzarella(1887-1940)[8], Maria Panese Tanzarella (1888-1981)[9], Maria Rosaria Filieri (1895-1944)[10] e, inoltre, Magda Roncella (1882-1939)[11].          La partecipazione delle donne alla Grande Guerra costituisce un determinato filone di studi che ha visto nell’esperienza del primo conflitto mondiale il momento storico che determinò un concreto passo verso l’emancipazione femminile. In effetti, le donne dovettero fare di necessità virtù. Esse rivestirono ruoli di supplenza degli uomini. In assenza dei loro compagni, che avevano lasciato abbandonate le campagne, divennero contadine. In città, entrarono anche nell’industria pesante, metallurgica, meccanica,operando in campi di applicazione eminentemente maschili. «Nel 1918 le donne costituivano il 25 per cento della manodopera negli stabilimenti ausiliari di Torino, il 31 per cento in quelli di Milano, l’11 per cento in quelli di Genova, e rispettivamente il 16, il 22 e il 20 per cento in quelli non ausiliari delle stesse città», scrive Antonio Gibelli in La grande guerra degli italiani 1915-1918. «In complesso negli stabilimenti ausiliari le donne occupate erano circa 80 mila alla fine del 1916, salirono a 140 mila nel 1917, per toccare il massimo di quasi 200 mila alla fine della guerra»[12].  Oltre a sostituirsi agli uomini, le donne ebbero anche ruoli attivi. Non solo operaie, ma anche portalettere, autiste di mezzi pubblici, telegrafiste, impiegate negli Uffici notizie per le famiglie dei militari[13]. Impegnate anche direttamente sul fronte, come le Portatrici carniche, la più conosciuta delle quali è Maria Plozner Mentil, unica donna a cui sia stata intitolata una caserma in Italia[14]. Queste donne portavano beni di conforto e rifornimenti ai soldati sul fronte. Dai paesi circonvicini esse si arrampicavano sulla montagna fino ad arrivare in prima linea esponendosi al rischio mortale[15].  «La Grande Guerra sperimenta la duttilità e l’elasticità che le donne hanno sempre messo a disposizione delle mutevoli occasioni di lavoro che via via si presentavano o che, abilmente, riuscivano ad accaparrarsi»[16].Tutto ciò, nonostante «la diffidenza degli uomini che percepivano come un’usurpazione quell’intraprendenza femminile, quasi un sovvertimento dell’ordine naturale e un attentato alla moralità»[17]. La guerra portò ad una insperata emancipazione femminile dacché lavori che fino ad allora erano esclusiva prerogativa del genere maschile divennero, per il precipitare degli eventi, accessibili alle donne. Di pari passo con l’emancipazione però andava lo sfruttamento, essendo i salari delle donne comunque inferiori e le ore lavorative maggiori. Se non appartenenti alle classi sociali più agiate e quindi ammesse alle professioni intellettuali, come quella della maestra, al più come sarte e ricamatrici, per le donne delle classi sociali meno abbienti non vi era alternativa al duro lavoro dei campi, nel quale esse profondevano ogni energia senza nessuna protezione sociale o legislativa.

Soprattutto in città, nelle attività impiegatizie o ancor peggio nelle fabbriche, alle donne venivano destinate le mansioni più umili, spesso degradanti. Vi è infatti una nutrita schiera di studiosi che tende a smontare la ottimistica teoria dell’emancipazione femminile durante gli anni della Grande Guerra, e considera invece le donne comunque relegate in ruoli di secondo piano, anche in settori di più immediato protagonismo, come appunto quelli che stiamo trattando. Secondo questa scuola di pensiero, cioè, le donne non riuscirono neppure in un simile contesto ad uscire da schemi fissi, da un ruolo tradizionale che le vuole vittime di un cliché[18]. Anzi, secondo questi studiosi, la guerra diventa vieppiù fattore demarcatore delle discriminazioni di genere, mettendo impietosamente in risalto quanto la donna sia diversa dall’uomo, per esempio nella forza fisica, con riferimento alla strage, alla violenza, al sangue, teatri dai quali ella si tiene convenientemente lontana. «Anche quando si mobilitano a sostegno della guerra le donne lo fanno a partire dalla loro estraneità di genere alla guerra. Sia che assistano feriti e mutilati, sia che si occupino di forme di assistenza sociale alle famiglie dei combattenti, sia che si impegnino nella propaganda di guerra, le donne vivono la guerra come un evento cui si sentono estranee e di cui conoscono esclusivamente gli effetti nefasti», scrive Augusta Molinari[19].

Vi era, prima, una quantità di donnine carine, eleganti, ben vestite, ben inguantate, ben calzate, scintillanti di gioielli, abituate a non occuparsi che dei propri vestiti e della propria pettinatura, o tutt’al più, di teatri e di ricevimenti, abituate ad essere carezzate, viziate, adulate pei loro bei vestiti, per la loro bellezza e per la loro frivolezza. Vi era una quantità ancor più grande di buone mamme, di brave massaie, avvezze a non pensare che alla casa, al marito e ai figli; care, dolci covatrici il cui orizzonte si limitava, ingenuamente e divinamente, all’orlo del nido. Vi era una quantità molto minore – per fortuna, gridavano gli uomini! – di donne “intellettuali” che si occupavano dei problemi della vita femminile, parlavano nei congressi, scrivevano nei giornali, reclamavano diritti, fra la cortese, sottilmente ironica disattenzione maschile. Vi era poi                        un’ enorme massa di donne povere, popolane, operaie, piccole impiegate, contadine, avvezze a subire senza contrasto il dominio maschile, ad offrire umilmente, in caso di bisogno, il proprio aiuto alla gestione domestica, con un lavoro poco considerato, e miseramente pagato. Su tutto ciò, d’improvviso, s’è spiegato il rosso baleno della guerra; e tutto ciò si è mutato, prodigiosamente».

Questa lunga citazione riportata da Giovanna Bino[20] ci sembra significativa.

Le crocerossine avevano comunque bisogno dell’autorizzazione paterna (o di un membro maschile della famiglia) per poter partire.  Alcuni medici, per esempio, non permettevano alle infermiere di entrare nella sala chirurgica, ma le relegavano a mansioni secondarie come quella di assistenza e di pulizia delle sale. Emblematico della diffidenza maschile nei confronti della partecipazione delle donne alla guerra è quanto scrive Gida Rossi, in un gustoso passaggio del suo libro, che riportiamo:

 

Però – povere donne! – quante ne sono state dette contro di noi! Anche noi abbiamo combattuto una ben aspra battaglia e non contro l’Austria soltanto. Pur stimandoci una per una, e far le debite eccezioni, fu moda per certi signori uomini dir male di tutte, fare di un caso tutti i casi, di una leggerezza tutte le leggerezze, di una colpa un numero infinito di colpe. Sintomatico un articolo apparso con tanto di firma sul Carlino del 5 febbraio 1916; e senza che il Carlino lo facesse seguire da un qualsiasi commento: segno evidente che esso rappresentava l’opinione pubblica del giornale. Taccio il nome dell’autore per rispetto a sua madre. L’articolo “L’altra faccia” tra molte parole diceva così: «La massa delle donne è assente o inerte. La donna, quando ha fatto una mezz’ora di calza al giorno, comperato un biglietto per una lotteria di beneficenza e ha versato una lacrimuccia sulla carneficina della guerra, ha la coscienza di aver mirabilmente assolto il suo compito. Dotate di una concezione realistica della vita, esse non vedono aldilà della salute del figliuolo e biasimano la guerra solo perché mette in pericolo una persona amata, o l’agiatezza in cui sono use… Il concetto di Patria o di Nazione è troppo vasto per tali anguste fronti (!!). Sono un po’ come certi insetti, per cui la sola ragione di vivere è un atto d’amore… Le vere apostole sono rare: poche elette, o asessuali per età o per struttura. Le femmine possono essere delle persone e non delle personalità». E finiva con una freddura: «La guerra è lunga, ma in compenso le sottane della donna diventan sempre più corte». C’era da schiaffeggiarlo! Ma si trattava di un medico e mobilitato per giunta. Stava, è vero, a parecchi chilometri dalla zona d’operazione, ma era mobilitato e poteva dire cavallerescamente tutti gli improperi che voleva. Risposi indignata. Il Carlino, cavalleresco due volte anche lui, non volle pubblicare l’articolo. Pubblicò il Giornale del Mattino. Ferveva allora più che mai tutta quella molteplice opera femminile, che, ora, a tanti anni di distanza, pare ancora più portentosa, e abbondava il materiale fra le mani da gettare in faccia all’impudente. Ed ebbi almeno la soddisfazione di sapere che le signore di Bologna, indignate anch’esse, chiusero le porte in faccia al cavaliere[21].

 

E tuttavia «la Grande Guerra degli uomini aveva ormai infranto l’universo femminile; dalle agiate alle popolane, dalle istruite alle analfabete, le donne si trovarono negli spazi pubblici fino ad allora “maschili”; tutte furono coinvolte da un evento che ne ridisegnò ruoli e percorsi nella scena economica, sociale e politica. Se la borghese, non spinta al lavoro dalla necessità materiale, si impose per ottenere l’accesso all’istruzione e alle professioni, al suffragio e al riconoscimento dei propri diritti in quanto persona, la lavoratrice fu per lo stato “risorsa femminile” confinata tra i campi e le fabbriche»[22].

Protraendosi poi il conflitto, e venendo a mancare i mezzi di sussistenza, nella grave crisi che l’economia di guerra aveva necessariamente procurato, le donne furono capaci di inscenare plateali manifestazioni di ribellione, un acceso spirito antimilitarista le portò in tutta Italia a manifestare, violando secolari tabù, a favore della pace e per la fine della guerra[23].

Anche nel Salento, le sommosse e le manifestazioni dettate dalla fame e dall’indigenza coinvolsero diversi Comuni della provincia di Lecce[24], oltre al capoluogo, come testimonia il bel libro di Salvatore Coppola, Pane!…Pace!,[25]. Queste agitazioni sono tutte documentate nelle carte dell’Archivio Storico di Lecce. Si soffermano sull’argomento, Liliana Bruno e Daniela Ragusa[26]. Attraverso queste carte si è documentato Salvatore Coppola poiché negli archivi locali vi era una assoluta mancanza di evidenze, e non solo nelle prefetture e sottoprefetture (nonostante la rilevanza penale degli accadimenti) ma anche nella stampa locale. Nei giornali dell’epoca, nessuna notizia, ciò al fine di stendere un velo di silenzio sulle sedizioni per non accendere gli animi e fomentare ulteriori disordini. Vi era, infatti, una precisa volontà da parte dello Stato non solo di reprimere le sommosse, ma anche di farle passare sotto silenzio, di non dare voce alle protagoniste di quelle agitazioni. Lo spiega molto bene Coppola, il quale, in un recente saggio, informa su come si sia documentato per la compilazione del libro. Infatti, non essendoci, come detto, nei fondi archivistici locali e nazionali, «praticamente traccia di manifestazioni di protesta per il pane e contro la guerra di cui furono protagoniste in Terra d’Otranto le donne», egli ha dovuto utilizzare come fonti «i fondi giudiziari dell’Archivio di Stato di Lecce e dell’Archivio Centrale dello Stato che ci testimoniano di un ampio movimento di lotta e di protesta che ha avviato il processo di abbattimento delle barriere domestiche delle donne salentine». Approfondisce poi la sua indagine per testimoniarci «quanto quelle manifestazioni siano state spontanee e quanto abbiano influito sulle stesse le organizzazioni socialiste (neutraliste e pacifiste) e le parrocchie (legate al messaggio di pace del Vaticano). Quello che appare assodato è che le donne riuscirono ad appropriarsi di un ruolo di presenza attiva sul territorio che fino ad allora non avevano mai avuto, avviando così la lotta per la propria emancipazione»[27].

Ricostruire la storia delle rivendicazioni femminili negli anni della Grande Guerra, almeno dal punto di vista documentale, mancando testimonianze scritte delle protagoniste di quei sommovimenti, è un compito meritorio e diremmo un dovere civile dello storico impegnato sul campo. Far emergere questi episodi di microstoria contribuisce ad ampliare le nostre conoscenze sulla ricezione del grande evento bellico da parte delle classi subalterne. Oltre ai diari e alle lettere e cartoline dal fronte dei soldati impegnati in trincea (che hanno dato vita alla sterminata produzione della memorialistica di guerra, oggetto negli ultimi anni di crescente attenzione da parte degli studi di settore[28]), la storia della partecipazione popolare alla guerra si arricchisce anche delle ricostruzioni prodotte dagli studi di genere. «La storia di genere», per seguire le parole dello studioso Coppola, «favorisce un’attenzione sempre crescente verso la “storia dal basso”, ovvero verso la storia di quanti, negli anni di guerra, sono stati soggetti attivi e partecipativi, anche se per molti anni emarginati nel racconto del “grande evento”. La loro è la guerra di quanti, vivendo all’interno del “fronte interno”, sono stati protagonisti attivi che, grazie ad una metodologia storiografica basata su quella che comunemente è indicata come “prospettiva dal basso” o, per utilizzare un termine caro al mondo accademico, “approccio microanalitico”, emergono con il vissuto di mogli, figlie, madri e sorelle lontane dal fronte e protagoniste della Storia in una regione periferica e marginale come il Salento»[29].

Dunque, il Salento negli anni della Grande Guerra fu interessato da un generale fenomeno di mobilitazione che coinvolse a più livelli la società della Terra d’Otranto.Nella città di Lecce, principale presidio ospedaliero fu il nosocomio della Croce Rossa Italiana, allocato nel 1915 nel grande ospedale civico inaugurato due anni prima, e dove presero servizio le Dame della Croce Rossa, come apprendiamo da Valentino De Luca, che riporta tutte le informazioni tratte dalla stampa locale dell’epoca[30]. A questo ospedale si aggiungevano altri due ospedali di riserva della Marina Militare, allocati nell’Istituto Argento dei Gesuiti e nell’Istituto Vittorio Emanuele II diretto dalle Marcelline. In particolare, il presidio del Collegio Argento ebbe anche tre sottosezioni: una nel Seminario diocesano, una nell’Edificio scolastico De Amicis e un’altra nell’ex Convento di Sant’Antonio dei Padri Osservanti dell’ordine dei Minori, divenuta Infermeria Presidiaria cittadina[31]. A questi nosocomi si aggiunse l’Ospedale di riserva contumaciale allocato nell’Istituto Palmieri, che divenne struttura sanitaria di primo sgombero, dove cioè venivano ricevuti i feriti che provenivano dall’Albania e dalla Macedonia, i quali stazionavano in questo presidio per un periodo limitato, in osservazione, prima di essere trasferiti altrove[32]. Per completare il quadro dell’offerta sanitaria leccese, occorre aggiungere l’Ospedale civile già menzionato, l’Ospedale militare di Santa Rosa, successivamente divenuto Distretto militare “Pico”, l’Ospedale del Manicomio. Nello stesso 1915 vi fu la visita di alcune Dame della Croce Rossa presso l’Ospedale della Croce Rossa cittadina, ma anche nell’Ospedale del Collegio Argento e in quello dell’Educandato delle Marcelline[33]. L’Ospedale della Croce Rossa, in particolare, divenne un’eccellenza nazionale tanto che nel luglio 1915 la stessa Duchessa D’Aosta, Elena D’Orleans, Ispettrice Generale della Croce Rossa, venne a Lecce per visitare i tre ospedali militari, ricevuta con tutti gli onori dalle massime autorità cittadine, come la stampa dell’epoca non mancò di sottolineare[34]. Le Dame della Croce Rossa, le Dame di carità, le socie dell’Unione femminile cattolica, le suore Marcelline[35] e le Suore D’Ivrea furono le grandi protagoniste della assistenza medica e sanitaria leccese nella prima fase, quella più acuta, della guerra, sotto il vigile comando del Generale medico Marcelliano Tommasi[36]. All’Ospedale climatico di Santa Rosa, in cui venivano curati i tubercolitici, prestavano invece servizio le Suore Riparatrici provenienti da Napoli[37]. Quanto alle donne civili prevalentemente appartenenti all’alta borghesia, le quali in vario modo si prodigavano per alleviare le sofferenze dei soldati malati, emergono alcuni nomi, come quelli di Titina Lopez y Royo e Maria Pranzo, dame della Croce Rossa, Giuseppina Lala, la soprano Marisa Laudisa, alcune delle quali animatrici dei numerosi “trattenimenti”, ossia feste di beneficenza e cerimonie di gala che servivano a raccogliere fondi[38]. Alcune di queste serate memorabili si tennero nel Teatro Apollo, molte nel Politeama e anche nella sala Dante Alighieri dell’Istituto tecnico Oronzo Costa.

Alle donne testé citate, occorre aggiungere tutte le infermiere che prestavano servizio anche nell’Ospedale civile e le assistenti del Pronto Soccorso della Stazione. Quando infatti iniziarono ad arrivare a Lecce i treni ospedale con i primi feriti e malati, che poi si fecero sempre più numerosi fino a poter parlare di una vera invasione, tutte queste donne costituivano l’avanguardia dell’assistenza sanitaria, si potrebbe dire “la prima linea”, o con un termine moderno “il front office”, esponendo se stesse a gravi rischi e perfino alla morte; si pensi al grande contagio della spagnola che coinvolse anche Lecce e che nel 1918 toccò la sua fase più acuta. Un notevole contributo diede l’Istituto dei Ciechi diretto da Anna Antonacci che per alcuni periodi, per esempio durante le feste natalizie, si impegnava, come molte famiglie leccesi, ad ospitare alcuni soldati degli Ospedali militari. L’Istituto dei ciechi partecipò alla Commissione Provinciale per la lana del soldato, costituitasi a Lecce, come in tutta Italia, con lo scopo di fornire ai militari impegnati sul fronte degli indumenti caldi con cui affrontare i rigori dell’inverno, specie nelle zone di montagna dove più pungente era il freddo. Il Comitato realizzò attraverso le signore e signorine che vi aderirono, molti chili di lana, sia grezza che lavorata, che serviva a produrre gli indumenti per i soldati[39]. Le Dame di Carità inviavano sul fronte anche berretti, guanti, maglie, panciere, calzettoni, panciotti, tutti realizzati a mano. Questi indumenti venivano spediti dai vari Comitati per la lana al Comitato centrale, che si occupava poi di smistarli direttamente nelle zone di guerra. Chi non poteva lavorare a maglia inviava dei denari che sarebbero stati spesi per acquistare la lana. Al Comitato centrale di Milano affluirono da tutti i comuni d’Italia giubbe, mutande, maglie, sciarpe, scarpe, ed anche scaldarancio per la raccolta dei quali si costituì un apposito Comitato a Torino[40]. A Lecce, nell’ambito del Comitato per la lana, fu particolarmente attiva nell’invio di scaldarancio la signora Antonietta Reale[41]. La città fu fra le prime d’Italia nella produzione di indumenti di lana, cui lavorava alacremente un numero cospicuo di operaie stipendiate[42], accanto alle quali prestavano servizio molte a titolo gratuito, come le Dame di Carità;  Il Comitato per la lana era animato dalla giornalista Emilia Macor, alias Bernardini (1865-1926), moglie di Nicola Bernardini, uno dei più attivi giornalisti salentini, direttore della Biblioteca Provinciale di Lecce. Definita “la Matilde Serao del giornalismo leccese”, fu presente, soprattutto sulla rivista «La provincia di Lecce», diretta dal marito, con numerosissimi articoli di vario genere[43].  Un altro nome di donna molto attiva nell’ambito della scuola e della formazione è quello di Maria Luceri De Matteis, vice Preside della Scuola Magistrale Niccolò Tommaseo, alla quale venne affidata la guida della scuola per analfabeti, all’interno dell’Ospedale militare delle Marcelline. De Matteis, la più anziana maestra leccese, esponente del movimento cattolico, stimatissima in città, assunse l’impegno gratuitamente[44]. La beneficenza leccese e salentina fu molto attiva soprattutto con i già citati “trattenimenti” al Teatro Apollo, con la devoluzione dell’incasso delle serate alla causa dei soldati feriti; in particolare, era destinato alla Croce Rossa il ricavato della vendita delle cartoline che distribuivano alcune canzonettiste (sarebbe interessante conoscerne i nomi) a margine delle rappresentazioni teatrali.

A titolo gratuito prestavano servizio le ragazze impiegate all’Ufficio Informazioni. Infatti, come in tutta Italia, anche a Lecce venne costituita una sezione dell’Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare, nel giugno 1915, di cui fu Presidente Elisa Daniele Zaccaro[45]. A seguito della vasta eco dell’efficienza dei suoi presidi ospedalieri militari, a Lecce giunsero personalità di spicco della politica nazionale ed estera, persino i rappresentanti della Croce Rossa americana, tutti invariabilmente ricevuti dal Vescovo Mons. Gennaro Trama e dal Sindaco, il Principe Sebastiano Apostolico Ducas, ovvero le più alte personalità, civili e religiose, della società leccese[46].

Le nostrane crocerossine si prodigavano in tutti i modi, tanto da essere considerate delle eroine. «Vestite nel loro costume di prammatica e calzate di immacolate scarpette di pelle, le crocerossine si dimostrarono all’altezza del loro compito, svolgendo un importante ruolo nelle corsie di ospedale, supportando l’opera dei medici a servizio degli infermi. “Militi gentili”, affratellate da un sentimento di grande amore e pietà, le infermiere volontarie della Croce Rossa di Taranto dettero prova di grande coraggio, competenza ed estremo sacrificio..». Così scrive Maria Alfonzetti nel suo saggio “Per la Patria”: il contributo delle donne alla Grande Guerra[47], in cui si occupa dell’opera della scrittrice crocerossina Delia Jannelli, Per la Patria[48].

Alla Croce Rossa si deve anche un’importante opera di mediazione nella spinosa questione dei prigionieri di guerra, intervenendo pure in Terra d’Otranto per portare a termine diversi scambi di prigionieri fra i vari Stati in guerra[49].

Come si può capire, la situazione di emergenza provocò molto disagio, in città, sia all’istituto delle Marcelline, le quali dovettero trasferirsi in altra sede, per l’esattezza a San Cesario, per continuare a svolgere le lezioni, sia al Liceo Palmieri, dove le lezioni vennero del tutto sospese. Del resto, la presenza degli ospedali contumaciali creava un grande allarmismo anche presso l’opinione pubblica per il rischio di temute infezioni ed epidemie[50]. Un’altra benemerita salentina fu la signora Eugenia Zagaria, che costituì il Comitato per la raccolta dell’oro[51]. Questa iniziativa si collocava in quella più ampia del Prestito Nazionale, anche detto Prestito della Vittoria, ossia la sottoscrizione promossa dal Governo di titoli emessi per il Prestito di guerra, aventi un tasso di interesse molto basso e quindi popolare. L’idea della Zagaria di raccogliere oro da destinare all’erario, che potesse essere fuso per la causa, trovò immediati consensi e la raccolta di monili d’oro e d’argento di tutte le fogge fu davvero consistente. La stampa locale diede ampio risalto al Comitato “Pro oro alla Patria”: tutte le offerte con l’indicazione del loro valore nominale in denaro venivano versate alla Delegazione del Tesoro di Lecce[52].

Anche a Lecce e provincia dunque emerge un eccezionale protagonismo femminile nella temperie storica che il Paese stava attraversando. Le donne sono attive in svariati campi e il loro protagonismo sembra incontrastato in quello della beneficenza. Tuttavia permane un radicato atteggiamento sciovinista se addirittura interviene un provvedimento governativo per frenare le spese voluttuarie, ovvero di lusso, a favore di una condotta di vita più morigerata nel rispetto del grave periodo storico che l’Italia stava attraversando. La norma non menzionava le donne, ma era palese lo spirito che informava il provvedimento, se tutti i commenti giornalistici all’iniziativa, in provincia di Lecce, si rivolgevano direttamente ad esse[53].    Si pensi ad alcuni articoli del giornale cattolico «L ‘Ordine», organo della Diocesi di Lecce che nasce per ispirazione del Vescovo Trama e nel periodo in analisi è diretto da Don Pasquale Micelli[54], che invitava costantemente le donne ad assumere atteggiamenti consoni al loro status e ad imitare fra le mura domestiche la vita severa che il soldato conduceva sul fronte[55]. Le rimproverava chiaramente della loro vanità nell’ ostentare gioielli e vestiti alla moda, addirittura auspicando la gogna per quelle donne che, dimostrandosi abbagliate dal lusso, disonoravano le loro famiglie e screditavano il sacrificio dei loro parenti, fidanzati, mariti o fratelli, impegnati sul fronte[56]. In altre occasioni il settimanale «L’Ordine» critica le donne, condannando il loro spirito di emulazione nei confronti degli uomini. Esse, questo l’assunto del giornale, assumendo ruoli ed atteggiamenti maschili, perdono il carattere precipuo della loro natura, quasi si disumanizzano, e ciò le porta a censurabili derive come il materialismo e l’ateismo[57].

D’altro canto, specchio della situazione di ancora eccessiva marginalizzazione della donna è lo scarso accesso alle professioni intellettuali e in particolare a quelle scientifiche.  Le donne, quando riescono a superare quella soglia e ad entrare nel mondo delle professioni, devono misurarsi con inveterati pregiudizi maschili che albergano perfino in uomini di scienza che, a cagione della loro formazione, dovrebbero dimostrare apertura mentale e invece si rivelano ottusi e conformisti.  Ci dà un preciso spaccato del clima di imperante maschilismo che regnava in quegli anni Ennio De Simone, in un suo recente contributo, in cui si occupa dell’accesso delle donne all’istruzione superiore, ancora bassissimo, e della marginalizzazione delle pochissime donne scienziate che in quel tempo il Meridione d’Italia poteva contare[58]. Questo gap non colmato testimonia la difficoltà delle donne pur talentuose ad imporsi nei più svariati ambiti della società. Tuttavia, se si può tracciare un bilancio a consuntivo della nostra trattazione, questo vede sicuramente una netta demarcazione nell’ambito del protagonismo femminile salentino fra le donne appartenenti alle classi sociali più alte, in ispecie le intellettuali, le quali ebbero tutte dopo la guerra brillanti occasioni di carriera nei più svariati ambiti, e le appartenenti alle classi sociali meno abbienti, ossia le umili contadine e lavoratrici che dovranno scontare ancora a lungo la propria atavica condizione di subalternità. Luci ed ombre insomma, ed il nostro non può che essere un bilancio parziale che vuole sollecitare altri studiosi affinché producano ulteriori approfondimenti.

 

* Società di Storia Patria per la Puglia, paolovincenti71@gmail.com

 

Note

[1]La Croce Rossa fu fondata nel 1864 a Milano e il primo Presidente fu il dott. Cesare Castiglioni. Al 1908 si fa risalire la nascita ufficiale del Corpo Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, comunemente dette Crocerossine, anche se l’attività delle “dame della Croce Rossa” ha inizio già nella seconda metà dell’Ottocento ed un primo abbozzo di definizione formale dei compiti e della struttura del gruppo risale al 1888. Le Crocerossine italiane alla vigilia della Grande Guerra erano già 4.000 e dopo il conflitto giunsero ad 8.000 unità, secondo alcuni calcoli perfino a 10.000. Sulla storia della Croce Rossa, si veda: A. Frezza, Storia della Croce Rossa Italiana, Firenze, Poligrafo Fiorentino,1956; Storia della Croce Rossa Italiana dalla nascita al 1914, a cura di C. Cipolla e P. Vanni, Vol. I, Saggi – Vol. II  Documenti, Milano, Franco Angeli, 2013; Donne al fronte. Le Infermiere Volontarie nella Grande Guerra, a cura di S. Bartoloni, Roma, Jouvence, 1998; Le crocerossine nella Grande Guerra, a cura di P. Scandaletti e G. Variola, Udine, Gaspari, 2008; Accanto agli eroi. Diario della Duchessa d’Aosta. 1: maggio 1915 – giugno 1916, a cura di A. Gradenigo e P. Gaspari, Prefazione di Amedeo Di Savoia, Udine, Gaspari, 2016. Per il Salento: T. Barba Bernardini D’Arnesano, La Croce Rossa a Lecce. La sezione femminile, Lecce, Grifo, 2013.

[2] Sulle madrine di guerra: S. Bortoloni, L’associazionismo femminile nella prima guerra mondiale e la mobilitazione per l’assistenza civile e la propaganda, in Donna lombarda, 1860-1945, a cura di A. Gigli Marchetti e N. Torcellan, Milano, Franco Angeli, 1991, pp.65-91; A. Molinari, La buona signora e i poveri soldati. Lettere a una madrina di guerra (1915-1918), Torino, Scriptorium,1998 .

[3] Sul ruolo delle donne nel giornalismo di guerra: Aa.Vv.,Scrittrici/giornaliste. Giornaliste/scrittrici, Atti del convegno: Scritture di donne tra letteratura e giornalismo, Bari 29 novembre – 1 dicembre 2007, a cura di A. Chemello e V. Zaccaro, Università di Bari, 2011; A.  Buttafuoco Cronache femminili. Temi e momenti della stampa emancipazionista in Italia dall’Unità al fascismo, Università di Siena, Dipartimento di studi storico-sociali e filosofici, 1988. Per il Salento, con riferimento alla pubblicistica bellica e post bellica: G. Caramuscio, Stampa e opinione pubblica a Lecce tra provincialismo, nazionalismo ed ecumenismo (1914-18), in «L’Idomeneo – Il Salento e la Grande Guerra. Atti del Seminario di Studi. Lecce, Monastero degli Olivetani, 5 dicembre 2014 », Società Storia Patria per la Puglia, Sezione di Lecce, n.18, Università del Salento, Lecce, 2014, pp.51-110; Idem, Il milite noto. Modelli di eroismo bellico in opuscoli commemorativi salentini, in Aa. Vv.,“Colligite fragmenta”. Studi in memoria di Mons. Carmine Maci, a cura di D. Levante, Campi Salentina, Minigraf, 2007, pp.487-516; Idem, Elaborare il lutto bellico. Gli opuscoli commemorativi di caduti nel Salento (1915-1923), in «Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali», a. IV, n. 2, 2015, pp. 459-500.

[4] Su Giulia Lucrezi Palumbo si vedano: A.  Invitto, Biografia intellettuale di Giulia Lucrezi Palumbo. Tesi di Laurea, Università di Lecce, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 2004-2005; G. Caramuscio, Giulia Lucrezi-Palumbo: soggettività femminile e cultura tra Risorgimento e Guerra fredda (1876-1956), in «L’Idomeneo – Storie di donne», Società di Storia Patria per la Puglia Sezione di Lecce, n.8, Galatina, Panico, 2005, pp. 117-156; Idem, L’officina del sentimento. Parola pubblica e scrittura privata di donne salentine negli anni della Grande Guerra. Giulia Lucrezi Palumbo dopo la pace di Versailles, in «Controcanto»,  Alessano, a. V, n.3, 2009, pp. 6-9; R. Basso, La prima professoressa salentina Giulia Lucrezi Palumbo (1876-1956), in Oltre il segno. Donne e scritture nel Salento (sec.XV-XX), a cura di R.  Basso, Copertino, Lupo, 2012, pp.200-203; G. Caramuscio-P. Morciano, La voce leccese della Patria: Giulia Lucrezi Palumbo, in L’officina del sentimento. Voci gesti segni femminili in Terra d’Otranto davanti alla Grande Guerra (1915-1924), a cura di G. Caramuscio, in corso di stampa.

[5] Su di lei, tra gli altri: M. C. Guadalupi, Giulia, Brindisi, Tip.Ragione,1964; R. Basso, La sfida della professione, il richiamo del privato Giulia Poso, in Oltre il segno cit.., pp.204-214.

[6] Per Maria Luigia Quintieri si rimanda a: M. G. Calogiuri, “Colla ragione come col cuore”. Autrici meridionali tra modernità e tradizione, Lecce, Milella, 2008, pp.73-111; Eadem, Impegno educativo e milizia politica Maria Luigia Quintieri (1881-1973), in Oltre il segno. cit., pp.216-221;

[7] Su Maddalena Santoro ha scritto D. De Donno, Intellettuali e fascismo. Un percorso al femminile. Maddalena Santoro (1884-1944), in «Ricerche Storiche», n.2, Lecce, 2010, pp.349-372; Eadem, Saper soffrire, saper amare, saper piacere Maddalena Santoro (1884-1944), in Oltre il segno. cit., pp.230-241; Eadem , Maddalena Santoro e la guerra, in L’officina del sentimento cit.

[8] Su di lei hanno scritto: R. Basso, Stili di emancipazione, Lecce, Argo, 1999, pp. 41-81; Eadem, Le scritture di Oronzina Tanzarella (Ostuni 1887-Roma 1940), in Aa.Vv., Il filo di Arianna. Materiali per un repertorio della bibliografia femminile salentina (sec.XVIII-XX),a cura di  R. Basso e M. Forcina, Lecce, Milella, 2003, pp.109-126; Eadem, Vestale della scuola pubblica Oronzina Quercia Tanzarella(1887-1940), in Oltre il segno. cit., pp.242-247; P. Morciano, La guerra antiretorica di Oronzina Quercia Tanzarella, in L’officina del sentimento cit.

[9] Sulla Tanzarella si possono consultare: K. Di Rocco, Maria Panese Tanzarella. Attivista cattolica nell’Italia fascista, in «Parola e storia», a. I, n. I, 2007, pp.59-77; Eadem , Militanza cattolica,in Oltre il segno. cit., pp.248-253.

[10] Sulla Filieri si veda: M. R. Filieri, Oltre la scuola, la parola pubblica, in Oltre il segno. cit., pp.254-259; G. Caramuscio, L’officina del sentimento. Parola pubblica e scrittura privata di donne salentine negli anni della Grande Guerra. Maria Rosaria Filieri e il lutto femminile, in «Controcanto», Alessano, a. IV, n.4, 2008, pp.9-11; M. R. Filieri, Maria Rosaria Filieri dalla pietas alla celebrazione, in L’officina del sentimento cit.

[11] Per la Roncella si rinvia a: G. Caramuscio, L’officina del sentimento. Parola pubblica e scrittura privata di donne salentine negli anni della Grande Guerra. Magda Roncella dopo Caporetto, in «Controcanto», Alessano, a. V, n.1, 2009, pp.11-13; Idem, Come fiammelle nell’ombra. Magda Roncella dopo Caporetto, in L’officina del sentimento cit.

[12] A. Gibelli, La Grande Guerra degli Italiani, Milano, Bur, 2009, p.193.

[13] E. Schiavon, Interventiste nella Grande Guerra. Assistenza, propaganda, lotta per i diritti a Milano e in Italia (1911-1919), Firenze-Milano, Le Monnier, 2015; La Grande Guerra delle italiane. Mobilitazione, diritti, trasformazioni, a cura di S. Bortoloni, Roma, Viella, 2015.

[14] R. Rossini – E. Meliadò, Le donne nella Grande Guerra 1915-18. Le portatrici carniche e venete, gli angeli delle trincee, Mantova, Sometti, 2017.

[15] M. Faraone,“Un po’ di polenta, un pezzettino di formaggio e una bottiglia d’acqua, perché sorgenti lassù non ci sono”: intervista con Lindo Unfer, «recuperante» e direttore del museo della grande guerra di Timau in «Quaderni di Studi Interculturali» Rivista semestrale a cura di Mediterránea, n. 2, 2015, pp. 22-30.

[16] G. Bino, Le fragili braccia muliebri, un miracolo di energia, in «Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali», a. IV, n. 2, 2015, p.502.

[17] A. Gibelli, La Grande Guerra cit., p. 193.

[18] Tanto vero che, quando nell’esasperazione portata dalla guerra molte donne in tutta Italia crearono agitazioni e sommosse contro il governo affamatore (come vedremo più avanti), oggetto delle loro vibranti proteste furono non solo bersagli maschili, ma anche femminili, nello specifico le madrine di guerra e le donne appartenenti all’alta borghesia, viste come parte del sistema e della retorica patriottica maschile.

[19] A. Molinari, Donne e ruoli femminili nell’Italia della Grande Guerra, Milano, Selene Edizioni, 2008, p.15.

[20] Haydée (pseudonimo di Ida Finzi), La Grande Guerra delle donne, in «Illustrazione Italiana», 20 maggio 1917, cit. in G. Bino,  Le fragili braccia muliebri, un miracolo di energia cit., pp.503-504.

[21] G. Rossi,  Da ieri a oggi: (le memorie di una vecchia zitella), Bologna, 1934. Trascrizione a cura di L.  Barchetti, in Le donne nella guerra, pp.1-2. https://www.storiaememoriadibologna.it/crocerossine-nella-grande-guerra-896-evento

[22] G. Bino, Le fragili braccia muliebri, un miracolo di energia cit., p.505.

[23] S. Soldani, Donne senza pace. Esperienze di lavoro, di lotta, di vita tra guerra e dopoguerra (1915-1920) in «Annali dell’Istituto Alcide Cervi»,  n.13, 1991, pp.11-56; G. Procacci, La protesta delle donne delle campagne in tempo di guerra, Ivi, pp.37-86; E. Guerra, Il dilemma della pace. Femministe e pacifiste sulla scena internazionale, Roma, Viella, 2014; G. Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella grande guerra, Roma, Bulzoni, 1999.

[24] Uno su tutti, Tricase: E.  Morciano, Guerra e pane. La rivolta delle donne tricasine durante la prima guerra mondiale, in «Il volantino», settimanale cittadino di Tricase, n. 37/2015, pp. 4-5 e n. 38/2015, p. 3.

[25] S. Coppola, Pane!…Pace!, il grido di protesta delle donne salentine negli anni della Grande Guerra, Castiglione D’Otranto, Giorgiani Editore, 2017. Del libro è stata realizzata una riduzione teatrale dall’associazione ruffanese “Voce alle donne”, con Chiamate. Donne tra amore e guerra, a cura di Fulvia Liquori e Ippazia Annesi.

[26] L. Bruno – D. Ragusa, Vogliamo gli uomini nostri… basta il sangue versato. Sommosse di donne salentine per il pane negli anni della Grande Guerra, in «Dire in Puglia», V/2014, Mibac, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia, Viterbo, BetaGamma Editrice, 2014, pp. 107-112. Il numero della rivista è interamente dedicato alla Prima Guerra Mondiale.

[27] S. Coppola, Grande Guerra e storia di genere, in «L’Idomeneo. La Grande Guerra e i Vent’anni de L’Idomeneo», Società di Storia Patria per la Puglia, sezione di Lecce, n.26-2018, Università del Salento, Lecce, 2018, p.85.

[28] A. Gibelli, La Grande Guerra. Storie di gente comune:1914-1919, Roma-Bari, Laterza, 2014.

[29] S. Coppola, Grande Guerra e storia di genere, cit., pp. 92-93.

[30] V. De Luca, Lecce negli anni della Grande Guerra, Galatina, Editrice Salentina, 2019, pp.75 ss.

[31] Ivi, pp.79-80.

[32] Ivi, p.86.

[33] Ivi, p.81.

[34] Ivi, p.82.

[35] Sulla storia delle Marcelline, si vedano, fra gli altri: O.  Colangeli, Istituto Marcelline. Notizie storiche, in «La Zagaglia», n.35, Lecce, 1967, pp.306-322; V. De Luca, Le suore “Marcelline” di Lecce e l’ospedale militare di riserva nell’Educandato “Vittorio Emanuele II”, in  La Grande Guerra in Terra D’Otranto. Un progetto di Public History, a cura di G. Iurlano, L. Ingrosso, L. Marulli, Monteroni di Lecce, Edizioni Esperidi, 2018, pp.313-324.

[36] V. De Luca, Lecce cit., p.84.

[37]Ivi, p.118.

[38]Ivi, pp.104-105.

[39]Ivi, p.141.

[40] Si rimanda a: L. Marrella, Fiocchi di lana e scaldarancio. Microstorie per una lettura del ventennio fascista, Manduria, Barbieri Selvaggi Editori, 2018.

[41] V. De Luca, Lecce cit., p.143.

[42] Ivi, p.146.

[43] Su di lei, si vedano almeno: A.  Pellegrino, Una personalità da scandagliare: Emilia Bernardini Macor(1865-1926) redattrice e giornalista, in Il filo di Arianna. Materiali per un repertorio della bibliografia femminile salentina (sec.XVIII-XX),a cura di  R. Basso e M. Forcina, Lecce, Milella, 2003, pp.127-139; Eadem, Cronista di moda e di costume, in  Oltre il segno cit.,  pp.192-199; Eadem , Emilia Bernardini Macor. Cronista di moda e di costume, Galatina, Congedo, 2006.

[44] V. De Luca,  Lecce cit., p.93. Su Maria Luceri De Matteis, fra gli altri: R. Basso, Donne e giornali. La Rappresentazione del femminile nelle pagine di alcuni periodici salentini (1884-1943), in «Studi salentini», n. LXXXIV-LXXXV, 2007-2008;                  G. Caramuscio, Virtuosi ed operosi. Modelli educativi e pratiche didattiche nella scuola salentina tra  Ottocento e Novecento, in «L’Idomeneo», Società Storia Patria Sezione Lecce, n.6-2004, Lecce, Grifo Editore, 2004, pp.81-127; D.  Levante, Maria De Matteis Luceri, insegnante e scrittrice salentina tra Otto e Novecento. Primo approccio, in Humanitas et civitas, Studi in memoria di Luigi Crudo, a cura di G.  Caramuscio e F. De Paola, Società Storia Patria Sezione Lecce, Galatina, Edipan, 2010, pp. 79-100.

[45] Ivi, pp.72-73.  «L’Ufficio Centrale aveva la sede principale a Bologna, città dove era nato, e il suo scopo primario era quello di regolare e coordinare tutta la complessa macchina che legava Sezioni e Sottosezioni impartendo le disposizioni di carattere generale. Inoltre, doveva corrispondere con le Autorità militari mobilitate e territoriali e con le Autorità civili, riceveva dai Cappellani militari l’elenco dei militari degenti negli ospedali mobilitati e trasmetteva gli estratti a Sezioni e Sottosezioni interessate, e formava uno schedario relativo a tutti i militari di cui giungesse notizia»: E. Erioli, L’“ufficio per le notizie alle famiglie dei militari”: una grande storia di volontariato femminile bolognese, in Bollettino Del Museo Del Risorgimento, Archiviare la guerra: La Prima Guerra Mondiale attraverso i documenti del Museo del Risorgimento, a cura di M. Gavelli, n.50, Bologna, 2005, p.80.

[46] Interessante, per ricostruire il clima nel quale si viveva in quegli anni, leggere le lettere pastorali inviate dal Vescovo Trama, così come dai suoi colleghi di Terra D’Otranto, quali Tommaso Valeri, arcivescovo di Brindisi e Ostuni, Agostino Laera, vescovo di Castellaneta, Gaetano Müller di Gallipoli, Nicola Giannattasio di Nardò, Carlo Giuseppe Cecchini e poi Orazio Mazzella, arcivescovi di Taranto (Lettere Pastorali dei Vescovi di Terra d’Otranto, a cura di D. Del Prete, Roma, Herder Editrice,1999, pp. 11 e sgg.), ad eccezione di Luigi Pugliese, vescovo di Ugento, che non inviò lettere ma alcune Notificazioni al clero e al popolo:  E. Morciano, La “Grande Guerra” nelle carte dell’archivio Storico Diocesano di Ugento, in «Bollettino Diocesano S. Maria de Finibus Terrae Atti ufficiali e attività pastorali della Diocesi di Ugento – S. M. di Leuca»,  a cura di Mons. Salvatore Palese, a. LXXXI – n. 2, Luglio-Dicembre 2018, p.807.

[47] M. Alfonzetti, “Per la Patria”: il contributo delle donne alla Grande Guerra, in «Dire in Puglia»,V/2014, Mibac, Viterbo, BetaGamma Editrice, 2014, p.113,

[48] D. Jannelli, Per la Patria, 24 maggio 1915-24 maggio 1919, Taranto, Tip. Arcivescovile, 1923 (Ristampa Edita, 2014). Sulla Jannelli (1887-?), tra gli altri, G. Caramuscio, Parola pubblica e scrittura privata di donne salentine negli anni della Grande Guerra. Il diario di Delia Jannelli crocerossina, in «Controcanto», Alessano, a.VI, n.2, 2010, pp.12-15; Idem, Anche noi soldati. Le memorie di Delia Jannelli crocerossina di Taranto, in L’officina del sentimento cit.

[49] C. E. Marseglia, Prigionieri austro-ungarici in Terra d’Otranto, in «L’Idomeneo – Il Salento e la Grande Guerra. Atti del Seminario di Studi. Lecce, Monastero degli Olivetani, 5 dicembre 2014 », cit., pp.141-156. Sui prigionieri di guerra: G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra. Con una raccolta di lettere inedite, Torino, Bollati Boringhieri, 2000.

[50]  V. De Luca, Lecce cit., p.153.

[51]  Sulla raccolta di oro: G. Lucrezi  Palumbo, Oro a la patria: discorso a le alunne de la Regia Scuola Normale di Lecce: 11 maggio 1917, Lecce, Tip. Editrice Salentina F.lli Spacciante, 1917.

[52]  V. De Luca, Lecce cit., pp.183-184. Sul prestito della vittoria: M. De Matteis, Tutti per la patria. Tutto per la grande Italia. Conferenza tenuta a Specchia, per la Propaganda del Prestito della Vittoria e per incarico dell’ ill.mo sig. R. Provveditore agli Studi dott. Gaetano Boglio, il 6 marzo 1916, Matino, Tip. D.Siena, 1916; G. Doria, Il prestito nazionale della vittoria, Ostuni, Tip. G. Tamborrino, 1916.

[53] G. Caramuscio, Stampa e opinione pubblica a Lecce tra provincialismo, nazionalismo ed ecumenismo (1914-18), in «L’Idomeneo – Il Salento e la Grande Guerra. Atti del Seminario di Studi. Lecce, Monastero degli Olivetani, 5 dicembre 2014 », cit., p. 85.

[54]  E. Bambi, La stampa salentina nel periodo fascista, Manduria, Lacaita, 1981, pp.145-146.

[55] G. Caramuscio, Stampa e opinione pubblica a Lecce tra provincialismo, cit., p.97.

[56] Ivi, pp.100-101.

[57] Ivi, p. 104. A proposito de «L’Ordine» e più in generale della pubblicistica salentina nel periodo bellico, si vedano: G. Pisanò, Da “Fede” a “Vedetta”: cultura e ideologia nella stampa periodica salentina del ventennio fascista, in Idem, Studi di italianistica fra Salento e Italia secc. XV-XX, Galatina, Edizioni Panico, 2012, pp.113-146; V. Serio, Il giornalismo cattolico salentino davanti alla Grande Guerra: L’Ordine 1914-18, in Nei giardini del passato. Studi in memoria di Michele Paone a dieci anni dalla scomparsa (2000-2010), a cura di P. I.  D’ancona e M. Spedicato, Monastero di S. Maria della Consolazione, PP. Cistercensi di Martano, XII, Lecce, Edizioni Grifo, 2011, pp. 617-638; G.  Caramuscio, La religiosità della guerra. Tradizione cattolica e linguaggi della Nazione nel Salento prefascista (1911-1924), in Ministerium pauperum. Omaggio a mons. Salvatore Palese, a cura di M.  Spedicato, XVII, Lecce, Edizioni Grifo, 2013, pp. 149-188. Fra le intellettuali salentine, occorre citare anche la giornalista Emma Fiocco (1899-1984), allieva di Giulia Lucrezi e Giulia Poso, esponente dell’associazionismo femminile cattolico, che proprio su  «L’Ordine» scrisse diversi articoli durante il periodo della guerra: R. Basso, Donne e giornali. La Rappresentazione del femminile nelle pagine di alcuni periodici salentini (1884-1943), in «Studi salentini», n. LXXXIV-LXXXV, 2007-2008.

[58] E. De Simone,  La Scienza col volto di donna. Figure poco note e dimenticate di studiose salentine, in Aa.Vv., La Compagnia della Storia. Omaggio a Mario Spedicato, Tomo II, Luoghi, figure, linguaggi del Salento moderno e contemporaneo, a cura di        G. Caramuscio, F. Dandolo, G. Sabatini, Società Storia Patria per la Puglia, Sezione Lecce, «Quaderni de L’Idomeneo», Lecce, Grifo, 2019, pp.875-912.

 

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Un commento a Luci ed ombre nella partecipazione delle donne salentine alla Prima Guerra Mondiale

  1. MADDALENA SANTORO (1884-1944)

    RICORDANDO CHE L’HISTORIA si può veramente deffinire una guerra illustre contro il TEMPO … e, insieme, la sollecitazione a FARE “TRIVELLAZIONI” in tutte le direzioni proprio sul tema delle “donne salentine” nel commento all’intervento del prof. Armando Polito (cfr. “Il nostro idiota e suicida abbarbicamento al presente”, Fondazione Terra d’Otranto, 11/02/2017: https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/11/nostro-idiota-suicida-abbarbicamento-al-presente/), relativamente alla figura di “Maddalena Santoro (1884-1944)[7]: [7] Su Maddalena Santoro ha scritto D. De Donno, Intellettuali e fascismo. Un percorso al femminile. Maddalena Santoro (1884-1944), in «Ricerche Storiche», n.2, Lecce, 2010, pp.349-372; Eadem, Saper soffrire, saper amare, saper piacere Maddalena Santoro (1884-1944), in Oltre il segno. cit., pp.230-241; Eadem , Maddalena Santoro e la guerra, in L’officina del sentimento cit.” (cfr. Paolo Vincenti, “Luci ed ombre nella partecipazione delle donne salentine alla Prima Guerra Mondiale”, Fondazione Terra d’Otranto, 15/04/2021), forse, è opportuno e utile ri-segnalare il mio “Allegato” su “IL LIBRO. Nicola Fanizza, “Maddalena Santoro e Arnaldo Mussolini. La storia d’amore che il duce voleva cancellare”, Edizioni Dal Sud, Bari 2016, pp. 158, e. 15,00” (cfr. https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/11/nostro-idiota-suicida-abbarbicamento-al-presente/#comment-62688); e su Maddalena Santoro, ancora, i materiali allegati (30/05/2017) all’articolo “Libri/ Fascismo, antifascismo e chiesa cattolica nel Salento” (cfr. Paolo Vincenti, Fondazione Terra d’Otranto, 25/02/2012: https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/02/25/libri-fascismo-antifascismo-e-chiesa-cattolica-nel-salento/#comment-63291).

    Federico La Sala

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