Tra Casanova e Don Giovanni: 125 anni fa nasceva Rodolfo Valentino

di Marco Carratta

La vicenda umana di Rodolfo Valentino è indissolubilmente legata alla parabola storica del cinema.

Per una curiosa coincidenza infatti, nello stesso anno in cui a Parigi viene proiettato quello che è accreditato come il primo “film” della storia (un documentario di 45 secondi, girato dai fratelli Auguste e Philippe Lumière, che riprende l’arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat), in provincia di Taranto nasceva colui che sarebbe diventato di lì a poco il primo divo del giovane mondo della celluloide: Rodolfo Valentino. A questa coincidenza ne segue un’altra meno piacevole, perché la fama di Rodolfo Valentino è anche dovuta al fatto che terminò la sua giovanissima esistenza a soli 31 anni, all’apice del successo, nello stesso anno, nello stesso mese e nella stessa città, New York, in cui avviene la proiezione del primo film sonoro, Don Giovanni e Lucrezia Borgia. Una vera e propria rivoluzione che segnò l’inizio dell’inesorabile declino del mondo in cui Valentino era stato protagonista, quello che cinema muto.

Nato il 6 maggio 1895 a Castellaneta, cittadina in provincia di Taranto, Rodolfo Alfonso Raffaello Pierre Filibert Guglielmi di Valentina d’Antonguolla, questo il suo vero nome, era il terzogenito di Giovanni Guglielmi, un veterinario ed ex capitano di cavalleria con una spiccata passione per l’araldica, e di Marie Berthe Gabrielle Barbin, di origini francesi e dama di compagnia di una nobildonna del luogo. In una delle tante biografie dedicate a Rodolfo Valentino, questi viene definito come “un visionario alla ricerca di altre realtà”; la sua naturale apertura a valori e tratti culturali estranei e lontani lo porta fin da giovanissimo, complice la madre, a vivere in diverse città italiane e straniere. Rimasto orfano di padre a soli 11 anni, per volontà della madre viene iscritto ad un collegio in Umbria, dal quale però verrà radiato a causa della sua poca passione per lo studio e dell’indole disubbidiente ed irrequieta. Proverà, senza successo, ad entrare all’accademia di Marina di Venezia, per poi frequentare, questa volta con profitto, l’Istituto Bernardo Marsano di Sant’Ilario di Genova, dove ottiene il diploma di tecnico agrario. Grazie alla licenza superiore si guadagna un viaggio premio a Parigi offertogli dalla madre, e nella capitale francese scopre un mondo incredibile, stimolante ed effervescente. Nei locali parigini alimenta la passione per la danza già coltivata nei locali notturni frequentati da adolescente a Perugia.

Il periodo parigino però finisce presto ma è talmente intenso da trasformare per sempre la sua esistenza.

È la capitale francese a far capire a Rodolfo che non sarebbe stata certamente Castellaneta il luogo dove poter esprimere la sua personalità eclettica. Diciottenne si imbarca per l’America sul mercantile Cleveland ma non era il “classico” emigrante diseredato. Scrive Enrico Deaglio: “era diverso dal dago (dispregiativo usato in America per identificare l’immigrato di origine latina) dalla pelle scura e dall’inglese smozzicato. Il ragazzo sapeva ballare. Sapeva indossare i vestiti, aveva imparato a Parigi. Era naturalmente elegante, parlava l’inglese, poteva sostenere una conversazione, scriveva poesie, amava comprare libri, leggerli e collezionarli”. Con queste credenziali arriva a New York il 23 dicembre del 1913. Certamente non è ancora il Rodolfo Valentino divo del cinema, e probabilmente neanche pensava di fare l’attore; d’altronde come avrebbe potuto proprio lui che da ragazzino veniva soprannominato “pipistrello” per il suo aspetto poco piacevole.

Nella città americana dissipa i suoi averi in frivolezze e si vede presto costretto a lavorare. Fa il cameriere e il giardiniere, e tutto quello che guadagnava lo investiva per continuare nella sua passione: la danza. Ogni giorno frequentava una sala da ballo e presto diviene un taxi dancer, un ballerino pagato da signore per far coppia con loro. La danza diventa sempre di più il suo mondo, e inizia a pensare in grande; sembra che scrivesse lettere utilizzando la carta intestata del lussuoso hotel newyorkese Waldorf Astoria per dimostrare alla famiglia di aver ottenuto un successo repentino, successo che effettivamente non avrebbe tardato ad arrivare.

Rodolfo lascia New York per trasferirsi prima a San Francisco e poi ad Hollywood, dove grazie ad una rete di conoscenze fa il suo esordio, ventitreenne, nel cinema come comparsa nel film L’avventuriero. In California si fa chiamare prima Rodolfo di Valentina, poi Rudolph Valentino, e dopo una dozzina di pellicole in cui interpreta piccoli ruoli, un ballo stravolse la sua vita. Fu un tango a farlo diventare la prima star di Hollywood, il tango che apre I quattro cavalieri dell’Apocalisse, il film del regista Rex Ingram uscito nelle sale il 6 marzo 1923 tratto dall’omonimo romanzo di Blasco Ibáñez.

Il film lo trasforma in una celebrità ambita. Partecipa alla pellicola La Commedia Umana dello stesso regista, e La Signora delle Camelie in cui interpreta il ruolo di Armand. Il 1921 termina con un altro enorme successo grazie alla sua interpretazione nel film Lo sceicco, uscito il 20 novembre. Con il film Sangue e Arena per la regia di Fred Niblo del 1922 conferma la sua ascesa e viene “proclamato icona del sex appeal”.

Nel marzo dello stesso anno sposa in Messico Nataša Rambova, al secolo Winifred Shaughnessy Hudnut, una ricca ereditiera americana e un’artista eclettica. Un personaggio celebre nell’ambiente cinematografico, danzatrice, scenografa, costumista, sceneggiatrice e collezionista d’arte. Rodolfo aveva lavorato con lei sul set de La signora delle Camelie di cui era scenografa e costumista, inaugurando un sodalizio artistico-lavorativo che avrebbe avuto grandi successi.

Charlie Chaplin nella sua biografia scrive che Rodolfo Valentino, nonostante tutto, aveva sempre un’aria triste, schiacciato dal successo e con una scarsa fortuna con le donne, soprattutto le sue due mogli.

Rodolfo si era già sposato nel 1919 con Jean Acker, e anche questa unione fu infelice. Sia Jean Acker che Nataša Rambova facevano parte del celebre “clan di lesbiche” capeggiato dalla famosa attrice Alla Nazimova di cui entrambe le mogli di Rodolfo erano amanti.

Relazioni che servivano a proteggere le attrici dai pettegolezzi sui loro legami omosessuali e che dimostrano anche quanto Rodolfo Valentino fosse estremamente aperto rispetto alle diverse identità sessuali. Nataša Rambova, inoltre non era solo la moglie di Rodolfo ma anche il suo “boss”, capace di imporre con autorità le scelte artistiche e professionali di suo marito, ed è anche merito suo e delle sue conoscenze se Rodolfo Valentino tra il ’21 e il ’22 recita in ben 9 pellicole.

Dopo l’uscita de Il giovane Rajah di Phil Rosen, Rodolfo Valentino si trova a gestire non solo un successo enorme ma anche la pressione di produttori smaniosi di scritturarlo per nuovi lavori da un lato, e dall’altro la moglie che pretendeva di gestire il suo lavoro con modi autoritari. Decide così di prendersi una pausa dalla settima arte e di dedicarsi alla poesia intraprendendo un lungo viaggio in Europa che lo riporta in estate anche nella sua Castellaneta: è il 1923.

Tornato a Hollywood dopo il viaggio in Europa, nel 1924 lavora al film Monsieur Beaucaire del regista Sidney Olcott, esperienza che segna anche la fine della collaborazione e, da lì a poco, del rapporto sentimentale con la moglie Nataša Rambova. Un anno dopo, nel novembre 1925, escono L’aquila e Il cobra, l’unico film in cui il divo interpreta il ruolo di un italiano. Nella sua carriera era stato un gaucho argentino, un torero spagnolo, un cospiratore russo, uno sceicco arabo, e ora un nobile italiano. Sempre nel ruolo del seduttore e sempre straniero. Rodolfo Valentino era diventato il divo con il quale il cinema cominciò a orientare i desideri di milioni di persone in tutto il mondo.

Il suo incontestabile successo porta anche a toni e i giudizi esasperati su di lui. In Italia i suoi film erano quasi sconosciuti. I quattro cavalieri dell’Apocalisse viene proiettato solo nel 1923, a due anni di distanza dall’uscita negli States; sorte simile per un altro film di successo, Lo sceicco, uscito in America nel 1921 e in Italia nel 1924. Altre pellicole apparvero postume, e ciò a causa del risentimento della borghesia italiana verso gli emigrati, amplificato dalla richiesta fatta da Rodolfo Valentino di ottenere la cittadinanza americana. Inoltre, nell’Italia fascista, Benito Mussolini aveva imposto il proprio stile, “ovvio che Rodolfo Valentino, l’italiano più famoso d’America, non fosse benvoluto dal Duce. Troppo ambiguo, uno che se ne era andato in America e non era tornato per combattere” e, cosa ancora più grave, “non aveva fatto mistero di essere rimasto disgustato dall’uccisione di Giacomo Matteotti. Perciò il Duce aveva ordinato che dell’attore non si parlasse sui giornali e che i suoi film non fossero ben accolti”. Anche in America la stampa più retrograda lo critica aspramente: non sopportava che ad incarnare il sogno erotico di milioni di donne fosse un uomo entrato nella storia del cinema a passo di danza con la sua fragilità mediterranea e la sua eleganza effeminata, il contrario del cowboy macho, coraggioso e rude tanto caro agli statunitensi. Rodolfo subiva anche un altro tipo di pregiudizio, quello anti-italiano: “interpretò solo un ruolo di italiano, in un film minore. Negli altri film era russo, francese spagnolo e soprattutto arabo … Intervistato sul suo ruolo di arabo, difese questa cultura, mettendola in relazione con le sue origini meridionali”, una presa di posizione scomoda nei primi anni Venti, proprio mentre il Congresso approvava forme legislative che riducevano drasticamente le quote legali di immigrazione straniera. Ma il vero e proprio “caso Valentino” scoppia nel luglio del 1926, a causa del noto articolo diffamatorio apparso sul quotidiano Chicago Tribune dal titolo Piumino rosa cipria, in cui un anonimo, prendendo spunto dall’installazione di un distributore di cipria in un bagno pubblico per soli uomini scrisse:

“Una macchina che vende cipria! In un bagno maschile! Homo Americanus! Ma perché, ci si chiede, qualcuno, senza far troppo rumore, non ha annegato Rudolph Guglielmo, alias Valentino, anni fa? Davvero le donne amano questo tipo di “uomo” che si mette la cipria in un locale pubblico e si aggiusta la pettinatura in un pubblico ascensore? Hollywood è la scuola nazionale di mascolinità … Valentino è un piumino di cipria … Se il signor Valentino è il prototipo dei nuovissimi maschi d’America, meglio che il matriarcato trionfi. Meglio un mondo di donne virili che di uomini effeminati.”

Si era superato il limite e Rodolfo Valentino non può far finta di nulla. Sfida apertamente l’autore dell’articolo ad un incontro di boxe, ad accettare fu il giornalista sportivo del The New York Evening Journal Frank O’Neill, visto che nessuno della redazione del Chicago Tribune aveva rivendicato la paternità dell’editoriale. Rodolfo Valentino vince l’incontro disputato sul tetto dell’Hotel Ambassador di New York di fronte a decine di giornalisti. In quelle settimane l’attore stava compiendo una tournée promozionale del film Il figlio dello sceicco diretto da George Fitzmaurice, una sorta di sequel del film Lo sceicco del 1921. È l’ultimo film di Rodolfo Valentino. Il 15 agosto collassa nella sua camera d’albergo di New York e il 23 agosto 1926 alle 12:10 muore di peritonite dopo sette giorni di degenza al Polyclinic Hospital della stessa città. Aveva compiuto 31 anni da pochi mesi ed era all’apice della carriera.

Quando viene annunciata la sua morte ci sono scene di isterismo collettivo a New York. Di fronte alla Campbell’s Funeral Home, sotto una pioggia battente, ci sono disordini, cariche della polizia a cavallo, svenimenti (l’attrice Pola Negri, la diva del cinema di origine polacca e sua ultima amante perse i sensi ben tre volte), vetrate in frantumi, un’auto ribaltata, feriti, arresti, bimbi dispersi. Arrivano anche alcuni membri della Lega fascista del Nord America con una corona di fiori con su la scritta “From Benito Mussolini”, un tentativo disperato di impadronirsi della figura del divo. Ad impedirglielo furono i membri dell’alleanza antifascista con in testa Vittorio Vidali e Carlo Tresca. E poco importa se alcune delle camicie nere erano delle comparse della Campbell’s e che l’ambasciata italiana dichiarerà la propria estraneità all’iniziativa e negherà che il duce avesse mai ordinato una corona di fiori.

Ai suoi funerali, due, uno a New York e dopo il trasferimento del feretro in California a Hollywood, partecipano migliaia di persone. Nei giorni successivi più di 60 donne dichiarano di aspettare un figlio da lui e si parla di una trentina di suicidi legati in qualche modo alla scomparsa di Rodolfo Valentino.

Ripercorrere la vita di Rodolfo Valentino non è un’impresa facile, in questo articolo ho riportato le notizie ricavate dalla biografia scritta da Emilia Costantini Rodolfo Valentino. Il romanzo di una vita, i saggi raccolti in Rodolfo Valentino. Un mito dimenticato a cura di Angelo Romeo, il romanzo storico di Enrico Deaglio La zia Irene e l’anarchico Tresca, il libro scritto dal manager dell’attore S. George Ullman Valentino As I Knew Him e la puntata della trasmissione Wikiradio in cui Gianluca Favetto racconta Rodolfo Valentino e da cui ho preso il titolo di questo articolo.

Interessanti sono anche altri prodotti culturali e artistici che negli anni sono stati dedicati alla commemorazione del mito di Rodolfo Valentino come il testo Adagio dancer di John Dos Passos, i due film Valentino, il primo di Lewis Allen e il secondo di Ken Russell, e lo sceneggiato radiofonico in quindici puntate di Emilia Costantini con Raul Bova.

 

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