L’antichissima e nobile famiglia Imperiale, da Genova in Terra d’Otranto (seconda parte)

primo piano nobile di palazzo Imperiale a Genova

 

di Mirko Belfiore

La figura che più di tutti contribuì con le proprie azioni al consolidamento del potere economico e politico della famiglia fu Vincenzo Imperiale (1518-1567), riconosciuto uomo di cultura e titolare, già verso la fine del Quattrocento, di un florido banco.

Vincenzo, uno dei massimi esponenti dell’aristocrazia mercantile genovese, seppe allargare velocemente le maglie finanziarie della famiglia, risultando in molte aree (Roma, Napoli, Sicilia, Bologna, Milano e persino in Spagna) proprietario di rendite, assegnatario di appalti e commerci vari. Vincenzo, si servì dei proventi dei suoi affari, investendo in una delle sue passioni principali: la cultura della Grecia antica. Le sue competenze e i suoi interessi spaziavano dai grandi volumi d’età classica, come Plutarco e Ovidio, primo nucleo della biblioteca di famiglia, ai dipinti di celebri artisti, il tutto conservato presso il Palazzo signorile fatto costruire nel 1560, in un angolo della succitata Piazza Campetto, dall’architetto Giovan Battista Castello detto il Bergamasco e affrescato nei decenni successivi da Luca Cambiaso e Bernardo Castello, affermati artisti locali.

Famiglia Imperiale di Genova. Nella tela è raffigurato Giovanni Vincenzo Imperiale con la sua famiglia(Domenico Fiasella-Giovanni Battista Casoni, 1642, olio su tela, Genova,

 

A testimonianza ulteriore, della poliedricità del ricco finanziere e della profondità di interessi e di amore per la “Grecità”, troviamo la serie di Viri Illustres, gruppo scultoreo di notevoli dimensioni e di pregevole fattura, allestito nella Villa suburbana di Sampierdarena, detta la Bellezza, caratterizzato dalla presenza di statue di grandi uomini dell’antichità greca e modelli d’opere d’arte antica, ulteriore conferma di una tendenza di gusto, che si confermerà nelle generazioni successive.

Gio. Giacomo, figlio di Vincenzo e primo esponente della famiglia che salì alla carica di Doge della Repubblica di Genova, rappresenta il prototipo dell’uomo politico, impegnato nel governo della Cosa pubblica e sempre attento agli affari di famiglia. Fece tracciare, nel 1587, Via Imperiale, oggi Via di Scurreria, acquistando e riqualificando l’area prospicente il palazzo di famiglia e creando un tracciato, in asse con il portale dello stesso, che, ancora oggi, conduce alla Cattedrale di Genova. A Gio Giacomo, succedette Gian Vincenzo, sublime punto di incontro di tutte le anime in cui era caratterizzata la famiglia: politica, finanza e cultura. Seppe coniugare, con risultati eccellenti, le caratteristiche che ogni buon patrizio genovese doveva incorporare, l’abilità negli affari e la predilezione verso le diverse forme d’arte. Gian Vincenzo, oltre a saper raccogliere le redini finanziarie del patrimonio economico lasciatogli dai suoi predecessori e ampliandone ulteriormente i profitti, fu un riconosciuto poeta e un attento collezionista di opere pittoriche e letterarie. Figura di spicco dei circoli letterari cittadini e amico di alcuni dei più importanti uomini di lettere della Genova Cinque-Seicentesca come il Chiabrera, il Grillo e il Cebà, quanto di autori di fama internazionale come Torquato Tasso. Gian Vincenzo accumulò un ingente patrimonio e una collezione artistica fra le più importanti dell’epoca, che annoverava nomi di artisti del calibro di P.P. Rubens, A. Van Dick, Raffaello, il Veronese, Giulio Romano, Correggio, Annibale Carracci, Tintoretto, Parmigianino, Guido Reni e artisti locali come Luca Cambiaso, Domenico Piola e Bernardo Castello.

Ritratto di Giovanni Vincenzo Imperiali (Anthony Van Dick, 1625, olio su tela, U.S.A., Washington D.C., The National Gallery of Art)_

 

Attenti alle oscillazioni del mercato finanziario europeo e vigili su quelle che erano le dinamiche politiche della Corte  spagnola, gli Imperiale seppero destreggiarsi nell’accaparramento di quei mercati finanziari che, all’interno dell’Impero spagnolo, risultavano fra i più redditizi. Il re spagnolo Filippo II, travolto dai debiti e indebolito dall’annosa guerra contro le Sette Province Unite, dovette ricorre spesso alle finanze liguri. Questo solido monopolio, impostosi con forza durante i decenni centrali del XVI secolo, già verso la fine dello stesso secolo e gli inizi del successivo mostrò però i primi segni di cedimento: le palesi difficoltà della Corona nella restituzione dei capitali prestati spinse l’élite genovese a rivolgere gradualmente i propri interessi verso ambiti più sicuri; ed è proprio in questa fase che il Mezzogiorno d’Italia divenne “terra di conquista” per chiunque detenesse cospicui capitali, permettendo agli imprenditori della Repubblica di radicarsi senza ostacoli e prepotentemente nel Viceregno napoletano. La “diaspora” di questa ricca oligarchia, che del resto fu fortemente voluta dallo stesso Governo spagnolo, desideroso non solo di nuova liquidità, ma anche di allentare la radicata feudalità locale, dimostrò come i genovesi seppero approfittare, con lungimiranza, della difficile congiuntura asburgica di fine secolo.

Lapide dedicatoria, sintesi operato famiglia Imperiale nell’edificazione, ampliamento e arricchimento del Palazzo di Genova

 

Il progressivo accaparramento delle attività più redditizie dell’epoca, come l’acquisto di cariche civili ed ecclesiastiche, la gestione delle finanze pubbliche e bancarie, la compra-vendita di feudi e, soprattutto, dei titoli nobiliari ad essi connessi, consentì a questo potente gruppo di potere di conquistare un intero apparato economico come quelle del Vicereame, rivaleggiando con l’antica nobiltà meridionale.

Sala della Gerusalemme Liberata- Bernardo Castello 1617

 

Sala delle Gesta di Cimone l’Ateniese, Palazzo Imperiale di Piazza Campetto 8

 

Ed è in questo nuovo scenario che si muove Davide Imperiale (1553-1586), figlio di Andrea, a sua volta fratello di Vincenzo, il quale si rese illustre nella battaglia di Lepanto del 1572. Egli partecipò allo scontro con la sua squadra di galee, distinguendosi per il suo eroismo nel proteggere, con una delle sue navi, l’ammiraglia dove si trovava il comandante delle forze cristiane, Marcantonio Colonna, alla quale l’Imperiale, salvò la vita. Secondo la vulgata, Filippo II, entusiasta e impressionato dal coraggio del genovese, gli lasciò in dono il titolo di una serie di feudi situati Vicereame spagnolo, il marchesato della città di Oria e le proprietà dei feudi di Francavilla e Casalnuovo, in Terra d’Otranto. In realtà Davide entrò in possesso di questi territori nel 1575, pagando moneta sonante, prototipo di quei genovesi con cui Filippo II continuò a barattare per tutto il ‘500, vendendo terre, uffici e donativi in cambio di buona moneta, con la speranza di poter risollevare le finanze spagnole ormai allo stremo. Inizialmente, fra le condizioni presentate nell’accordo, era previsto uno dei tanti sgravi fiscali dell’epoca, la cosiddetta clausola del “retro vendendo”, patto che consentiva al venditore, quando credeva più opportuno, di riprendersi il feudo restituendo un importo pari a quello pattuito nell’atto di vendita. L’Imperiale non si fece né sfruttare né circoscrivere dal Re e utilizzando la sua dimestichezza negli affari, dettò le sue regole, si impose nell’acquisto di queste terre e approfittando a sua volta del bisogno indispensabile di denaro della Spagna asburgica, arrivò ad ottenere il feudo libero da ogni obbligo. Con queste premesse Davide divenne padrone senza limitazioni, esercitando diritti non solo sulla tassazione di ogni reddito e attività locale, ma anche sulla giurisdizione penale e civile.

Sala Gesta di Cimone l’Ateniese – Luca Cambiaso 1560-62

 

La struttura economica commerciale si basava totalmente sull’appalto di tutte le attività più redditizie: sale, carne, olio e farina mentre le funzioni di polizia urbana che riguardavano l’ordine, l’esattezza dei pesi, le licenze, ecc. venivano garantite da un catapano che aveva il compito di vigilare la piazza assistito da due baglivi, mentre la giustizia veniva amministrata da un giudice di nomina feudale. Nelle loro mani il potere feudale seppe coesistere con innovazioni e riforme di ogni genere finalizzate al miglioramento del tenore di vita delle classi più povere tramite l’istituzione di opere e lasciti benefici, la promozione dell’istruzione pubblica attraverso l’introduzione dei Padri Scolopi e lo sviluppo di un programma edilizio volto all’ammodernamento strutturale dei feudi. Il governo di Davide non durò tantissimo anche perché lo stesso morirà accidentalmente, nel giugno del 1575, per le ferite provocategli da Giovanni Battista Doria durante una rissa scoppiata a Finale Ligure nel monastero di Monte Oliveto, tra un gruppo di fuoriusciti della nobiltà vecchia genovese.

Stemma degli Imperiale

 

L’erede al feudo Michele I (1565-1616), secondo marchese di Oria e Casalnuovo, nato a San Pietro in Galatina il 17 agosto 1616 e sposato con Maddalena Spinola di San Luca, figlia di Filippo, ebbe parecchi figli (testò il 14 dicembre 1590 notaio L. Chiavari). Dimorò a Genova fino al 1593, anno in cui quasi certamente si trasferì nel suo feudo pugliese, se già nel gennaio del 1594 ritroviamo notizia, nei Libri Battesimali della Matrice di Francavilla, della nascita di suo figlio Filippo, battezzato dall’arciprete Vinciguerra e tenuto in fonte dal nobile napoletano Vespasiano Caracciolo.

Si deve a Michele I, uno dei primi ampliamenti del castello di Francavilla, attuato per accogliere degnamente la famiglia e la sua corte. La nuova residenza venne ingentilita con alcune trasformazioni che poi diverranno radicali nel secolo successivo, portando la struttura originaria da fortezza difensiva a residenza nobiliare. Dopo un ventennale governo di relativa pace e prosperità, alla morte di Michele, Francavilla conobbe un periodo di incertezze.

Infatti, Davide II (1594-1623), terzo marchese, sposo della cugina Veronica Spinola figlia di Giovanni Battista, battezzato a Francavilla nel 1592, non riuscì a governare a lungo, poiché venne ucciso a Napoli il 9 aprile 1623 da un sicario del Marchese di Pescara e di Vasto, nemico degli Imperiale.

Egli lasciò come suo erede il figlio Michelino, nato il 27 luglio dello stesso anno e battezzato a Francavilla. Proprio per la minore età dell’erede, la tutela spettò alla nonna Maddalena Spinola, sostenuta dagli zii del piccolo marchese: Carlo (?-?), Giovanni Battista (1596-1668) e Agostino (?-?), insieme al cardinale Lorenzo, i quali, anche se non introdussero novità rilevanti, dimostrarono una forte sensibilità sociale e culturale operandosi per rendere meno dura la triste condizioni della popolazione. Lorenzo, infine, introdusse arti e mestieri facendo giungere in città orefici, calderari, tessitori, vasai, etc. Uscito di minore età, Michele II (1623-1664), cercò di seguire l’esempio datogli dagli zii, creando i presupposti di una politica fondata non solo sull’agricoltura, ma anche su iniziative di carattere artigianale e commerciale che avrebbero potuto risollevare in modo effettivo e dignitoso le sorti della popolazione. Queste iniziative avrebbero di certo fruttato molto di più, se non fosse sopraggiunta nel Regno di Napoli una particolare situazione politica, caratterizzata da un’intollerabile pressione fiscale e da numerose insurrezioni popolari, di cui la più importante si rivelò quella di Masaniello del 1636.

In questo frangente Michele: “si dimostrò prode cavaliere, correndo nel 1648 in difesa delle province di Bari e Terra d’Otranto e con mille pedoni e trecento cavalli mise alla strette Matteo Crispano, sovvertitore di popoli e ribellatosi contro il governo di Lecce”, imponendosi ai rivoltosi e portando la pace nella regione. Sebbene per questa sua fedeltà alla monarchia spagnola avesse ottenuto nel 1639 il titolo di Principe di Francavilla, tuttavia egli dovette affrontare serie difficoltà. La Spagna, non potendo colpire direttamente la Francia, retta dal cardinale Giulio Mazzarino e avversaria di sempre, decise di scagliarsi contro Genova, ritenuta alleata dei francesi, emanando il 7 maggio 1651 un provvedimento che prevedeva il sequestro di “tutti i luoghi et anco burgensatici che hanno i Genovesi in questa Provincia di Terra d’Otranto”. L’Imperiale fu costretto a dimostrare, sulla base di prove circostanziate, la sua devozione alla Corona ed “espose come avesse aiutato il Viceré nelle passate rivoluzioni; come avesse presa Taranto e come per tali servizi fosse stato nominato Gran Guardasigilli, Gran Camerario e Maggiordomo Maggiore”. Riuscendo a dimostrare la sua innocenza e soprattutto la sua devozione piena e quella della sua famiglia, il nobile rientrò, subito in possesso dei suoi titoli e dei suoi possedimenti.

 

Per la prima parte:

L’antichissima e nobile famiglia Imperiale, da Genova in Terra d’Otranto (prima parte)

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