Canisciare e cagnisciare, ovvero quando basta una g a fare la differenza

di Armando Polito

Chi non conosce il gioco enigmistico della zeppa? Grazie a lei, per  esempio, è facile passare dall’astronomia alla gastronomia, dal canone al cannone, da amando ad Armando, da matto a Matteo. La superfetazione di regola è caratterizzata da assenza di rapporti etimologici o semantici tra la parola di partenza  e, dopo la sua cura ingrassante, quella di arrivo. Dico di regola, ma non mancano le eccezioni, sia pure solo di rilievo semantico, e lascio al lettore decidere  qual è quella più inquietante tra gli ultimi due degli esempi addotti …

Le due parole del dialetto salentino che campeggiano nel titolo non si sottraggono alla regola  e ci accingiamo a scoprire perché.

Canisciare

I moderni ferri da stiro, con i i loro avveniristici (quando funzionano  e se non esplodono …)  sistemi di controllo della temperatura e del suo adeguamento al colore e al tipo di tessuto da stirare, hanno azzerato quel rischio di ingiallimento (nei casi migliori …) della stoffa (soprattutto quella bianca) chec era sempre in agguato quando il ferro da stiro era un pesante contenitore  in ghisa dalla forma di una barca a fondo piatto. in cui  i pezzi di carbone incandescente avevano la funzione di riscaldarne la base.; sicché allora anche l’olfatto aveva la sua primaria importanza nella stiratura, anche se quando si avvertiva una vaga puzza di bruciato il macello per lo più era già avvenuto …

Faccio notare la maggiore economia della voce dialettale nell’esprimere un concetto che in italiano richiederebbe la circollocuzione lasciare ingiallire il tessuto per distrazione o imperizia a causa del calore eccessivo. Purtroppo lo stesso concetto non è riuscito a trasferire dalla lingua ai fatti il protagonista della vignetta.

* Ti sta costando cara la cura del ferro che il medico ti ha prescritto in combutta con tua moglie …

 

Nè varrà a rivalutarlo l’etimologia che ora vi propone …

Per il Rohlfs canisciare è “da un latino volgare *canidiare, dal greco καπνίζω=faccio fumo”.  La proposta, peraltro formulata in modo non dubitativo, mi pare poco convincente  sul piano fonetico perché non è chiaro come dal primo segmento di καπνίζω (leggi capnizo), cioé  καπνί- (leggi capni-) si sia arrivati a cani– di *canidiare; mi sarei aspettato, per assimilazione (e non per strana sincope) canni-. Nulla da eccepire, invece, sul secondo componente, cioé –izo (leggi –izo) che, attraverso il latino volgare –idiare, ha dato vita all’italiano  -eggiare di maneggiare, corteggiare , etc, etc. Va detto, però che, se questo suffisso è di lontana origine greca, non lo è sempre il primo segmento della parola che lo esibisce. Faccio l’esempio di manisciare=sbrigarsi, darsi da fare; esso suppone un latino volgare *manidiare in cui il primo segmento è manus=mano, che non è certamente parola di origine  greca. Insomma: il latino volgare avrebbe aggiunto (nella stragrande maggioranza dei casi) il suffisso greco a parole non necessariamente di origine greca. Ci sono pure casi in cui la parola greca è passata tal quale in latino: è il caso di caminus (da cui il nostro camino) che è dal greco κάμινος (leggi càminos). Per quanto finqui detto mi pare più plausibile ipotizzareper la nostra voce la seguete trafila: *caminidiare>*caminisciare>canisciare  (per sincope dal precedente), anche perché i rapporti tra κάμινος e κάπνος (leggi capnos)=fumo sono tutt’altro che certi.

 

Cagnisciare
Per questa voce il Rohlfs si limita a dare il significato, che è quello di aborrire, avere a schifo.  Mentre per canisciare  mancava  il corrispondente italiano, qui invece esso è, almeno dal punto di vista formale, cagneggiare, attestato da  Benedetto Varchi (1503-1565) nel suo  L’Ercolano:” … e quei bravoni o bravacci che fanno il giorno su per le piazze, e si mangiano le lastre e vogliono far paura altrui coll’andare e colle bestemmie, facendo il viso dell’arme, si dicono cagneggiarla o fare il crudele“. Tale significato continua  edulcorato nella locuzione italiana guardare in cagnesco, che, tuttavia semanticamente ancora non corrisponde all’esatto significato della voce dialettale, nella quale si manifesta ancor più edulcorato, pur chiarendone l’etimologia di base, che è dalla parola cane assunta ancora una volta dalla presunzione umana a simbolo di ostile negatività. E l’effetto è sempre quello: tenersi lontano da qualcosa che per noi costituisce, se non un pericolo, un motivo di fastidio, non solo fisico ma anche psicologico, com’è capitato al mio gatto …

 

*Fanno schifo e per un gatto come me il colmo è cagnisciarle. Mi stai facendo venire una crisi dì identità.

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5 Commenti a Canisciare e cagnisciare, ovvero quando basta una g a fare la differenza

  1. Armando ti chiederei di spiegarmi perchè la chiami “superfetazione” quella tra le parole “canisciare” e “cagnisciare”. Te lo chiedo perchè a me risultava che la “superfetazione” era “una aggiunta inutile” mentre qui non è una aggiunta inutile perchè cambia proprio il significato della parola.Grazie!

    • Stando alla definizione corrente della voce in questione avresti ragione, anche se l’autore della superfetazione (vedi tanti stupri architettonici e paesaggistici) non percepisce affatto l’inutilità (per non parlare del danno) artistica e magari anche funzionale, del suo intervento, anzi ne è fiero, perché gli arreca profitto …
      Io ho applicato alla parola questo sentimento egoistico. Lasciamo perdere “amando/Armando” sennò mi accusano di protagonismo, ma in “matto/Matteo” (quando l’ho scritto non pensavo certo, e nemmeno ora penso, al santo, nonostante la mia laicità rabbiosa, ai confini dell’ateismo …) la superfetazione verbale ha le stesse caratteristiche di quella dello speculatore palazzinaro: pur non avendo nulla da spartire con la costruzione originaria, non è nella logica del suo creatore un’aggiunta inutile, ma fonte di profitto; nel mio caso un illuminante gioco di parole, il solo che non entrerà mai nel vasto e scoppiettante (per me sono solo scorregge) repertorio di chi da qualche anno cerca di non rendere visibile (e per un gioco di parole illuminante è il massimo … della contraddizione) il nulla.
      Passando, invece, a “canisciare/cagnisciare” la presunta superfetazione diventa utile solo per mantenere il gioco della zeppa, che, però, qui, quasi certamente perché non coinvolge nessun politico …, non offre il destro ad evocazioni di carattere critico, come, invece, nel caso di “matto/Matteo” pur non essendoci nemmeno tra loro nulla di etimologico in comune. Un caro saluto dal palazzinaro della parola.

  2. E da questo “cagnisciare” devo per forza chiederti se vi è correlazione con “cagna cagna”, nel senso di suscitare invidia, come dicevano i bambini quando uno mangiava qualcosa di fronte ad altri che non potevano averne

  3. Nel Novolese ( canisciare si dice durante la vendemmia deriva da “canisce” nei filari vengono riempite di uva e trasportate dai forzuti contadini a spalla subbra lu trainu.

    Cagnisciare si dice quando abbiamo una repulsione schifare qualcosa.

    un saluto da Torino
    Ersilio Teifreto

  4. Bellissima integrazione e la correlazione balza evidentissima dalla definizione che di “fare la cagna-cagna” hai dato. Solo che in “cagnisciare” c’è stato un passaggio umanizzante più spinto: da “guardare in cagnesco” ad “aborrire”, “schifare” (anche in riferimento al cibo); in “fare la cagna-cagna” persiste l’immagine dell’animale che difende il suo cibo e nello stesso tempo, con atteggiamento (ben noto a chi possiede un cane o un gatto) quasi provocatorio (probabilmente connesso con la difesa del territorio) lo esibisce a chi non ce l’ha; e questa immagine bestiale noi umani siamo riusciti a traslarla dal cibo ad altro, sentimenti compresi …

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