Da Marittima: zolle di storie e di ricordi, nel solco della tradizione

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di Rocco Boccadamo

Nella piccola località che mi ha dato i natali, non sono, invero, molte le ricorrenze che riescono a preservarsi di là dal tempo, senza sostanziali scalfitture, e cui, insomma, di generazione  in generazione, si continua immancabilmente ad annettere un substrato di valore e d’importanza, soprattutto sul piano ideale e morale, cercando, altresì, a ogni singola cadenza, di inquadrarle in una cornice di adeguata visibilità e solennità.

Al primo posto, fra esse, si colloca la festa del Patrono, S. Vitale martire, che si svolge annualmente, per secolare tradizione, il 28 aprile.

E ciò, giacché non v’è marittimese che, a prescindere dalla cifra della sua personale fede religiosa e relativa concreta pratica, non si senta legato al Protettore, milanese d’origine, milite cavaliere nelle schiere dell’imperatore romano Nerone, a un certo punto della sua vita convertitosi al cristianesimo e, quindi, per quest’ultima scelta da lui considerata irrinunciabile, costretto ad affrontare e subire il martirio.

Vitale ebbe per sposa Valeria, che lo rese padre di due figli, Gervasio e Protasio: e, però, qui mette conto di rimarcare non tanto la composizione del focolare domestico del Santo, quanto la circostanza particolare che tutte e tre le persone care al capo famiglia fecero la sua medesima, gloriosa fine.

Sullo specifico tema, mi piace rammentare un episodio, diciamo così, moderno, marginale ma in certo qual modo indicativo, capitatomi, anzi, in fondo, da me promosso, un paio d’anni fa, in occasione di una breve puntata nel capoluogo lombardo per rivedere i figli e i nipotini ivi residenti.

Era di pomeriggio e a un certo punto, dopo un giro insieme nel vicino Museo della Scienza e della Tecnica, mi trovavo con Andrea in zona S. Ambrogio e, lì, il piccolo, teneva a indicarmi l’Istituto presso il quale sarebbe andato a frequentare le Scuole elementari.

Sennonché, parallelamente, a me, ebbe ad accendersi una lucina nella mente, dopo di che afferrai per mano Andrea, chiedendogli di starmi sul passo sino all’interno della contermine, omonima Basilica e, precisamente, sin dopo l’altare.

Il nipotino mi veniva dietro in silenzio, dando però a vedere di essere un po’ stupito di tale itinerario.

Arrivati a destinazione, indirizzai il suo sguardo e la sua attenzione su due figure di scheletri, rivestiti di paramenti sacri, che giacevano in un’urna di vetro illuminata e in bella vista sotto l’altare, sussurrandogli che quei resti appartenevano ai Santi fratelli Gervasio e Protasio, figli di S. Vitale, protettore di Marittima, paesello dei nonni paterni e luogo di una parte delle sue vacanze estive al mare.

Andrea strabuzzò gli occhi, incantato, e proferì un sostenuto: ”Ma, come, nonno…! Che mi stai dicendo? Si tratta proprio dei resti veri di due Santi?”.

Naturalmente, fu intensa la scena del racconto del piccolo ai genitori, alla nonna e, il giorno seguente, ai cuginetti.

In  seno a passate narrazioni e rievocazioni, mi è già occorso di intrattenermi intorno alle celebrazioni in onore di S. Vitale e, fra l’altro, di porre in risalto che, dal punto di vista stagionale e specialmente del clima, l’evento, per consuetudine radicata, segnava, nel sentir comune dei marittimesi, una sorta di spartiacque fra l’inverno compreso il marzo capriccioso da un lato e la bella stagione dall’altro.

A suffragio di ciò, il 28 aprile coincideva anche, nella maggior parte delle mura domestiche del paesello, con l’introduzione del riposino pomeridiano, evento, per la verità, affatto gradito da noi ragazzi.

Che l’estate fosse non lontana, era confermato da un’ulteriore, puntuale circostanza.

Il Comitato festa ingaggiava, ogni anno, due Complessi Bandistici, che diffondevano le loro sinfonie, sia seguendo la processione lungo le vie del paese con il simulacro del Patrono, sia esibendosi schierati sull’apposita “cassa armonica”, autentica selva di luminarie, allestita nella piazza.

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Orbene gruppi di “bandisti”, specialmente se provenienti dall’entroterra e da località montane e, perciò, normalmente più fredde, subito dopo mezzogiorno e in attesa di riprendere le loro prestazioni, si recavano a piedi da Marittima all’insenatura “Acquaviva”, transitando giusto davanti all’abitazione dei miei genitori, per fare o prendere il primo bagno.

Così andavano, di solito, le cose sul piano meteorologico; nondimeno, ogni tanto, accadeva qualche eccezione.

Guarda caso, in questo periodo del 2017, alla vigilia o quasi di S. Vitale, in queste plaghe salentine, il clima è, se non precisamente freddo, fresco assai, il mattino e la sera le temperature segnano 7-8 gradi. Di conseguenza, ci si meraviglia, dimostrando tuttavia di aver memoria corta.

Mi spiego. Correva il 1961, io avevo appena compiuto vent’anni, dall’estate precedente ero fidanzato con A. e da pochi mesi avevo preso a lavorare a Taranto, dove anche A. risiedeva con la sua famiglia.

Per quella festa di S. Vitale, così come ci fu il mio ritorno a Marittima, i miei genitori invitarono e si proposero di ospitare anche A.

Successe, purtroppo, che, la sera del 28, nonostante il calore emanato dalle sfarzose luminarie, in giro, sulla strada centrale del paese, percorso d’elezione delle passeggiate, su e giù, dei ragazzi e delle ragazze, ma anche degli adulti, e, parimenti, nella piazza dove campeggiava la cassa armonica su cui si esibivano a turno le bande musicali, spirava un’arietta se non proprio fredda, fresca e non da poco.

Rammento che A., la quale, qualche tempo prima, aveva avuto problemi di salute, per prudenza indossava un cappottino sopra il vestito e, tuttavia, sia lei, sia mia madre, all’epoca quarantaquattrenne, sua compagna di passeggiata nell’ambito della festa, a un certo momento avvertirono il bisogno di non trattenersi oltre all’aperto e pensarono di chiedere ospitalità alla famiglia di E. F. che abitava esattamente in piazza, tra la cassa armonica e la Chiesa Madre.

I padroni di quella casa si dimostrarono lietissimi di accogliere le due donne, tra loro e la mia famiglia, a parte i legami di compaesani, esistevano anche quelli di compari e comari, poiché un figlio di E.F, A. detto U., era stato, nel 1948 o 1949, mio padrino di Cresima.

E qui, pure su tale punto ho già avuto modo di riferire, quando si diventa compari, si rimane tali per sempre.

Non venga da sorridere, il mio padrino (o nunnu) U.F. regalò a me  figlioccio (o sciuscettu) una banconota da 500 lire italiane, accompagnando la consegna del dono con la frase: “Ecco, con questi soldi, potrai comprarti un paio di pantaloncini”.

Per chiudere la parentesi, devo ricordare che, tra padrino e figlioccio, a contare non è davvero l’entità del regalo intercorso, bensì l’intensità del sentimento che viene a instaurarsi fra le due figure.

Per dire, compare U., una quarantina d’anni dopo, già sposato e padre di due figlie arrivate alla maggiore età, in un’occasione, incontrandomi insieme con la primogenita, oltre che salutarmi e farmi salutare dalla figlia, ebbe a raccomandare a quest’ultima: “Senti, quando, un giorno, io non ci sarò più, ricordati che, per qualsiasi cosa, potrai fare affidamento su questa persona, ti rivolgerai a lui”.

Anche ora, U. se n’è andato da un bel pezzo, la sua figliola in discorso mi dà sempre segno di considerazione, rispetto e amicizia, un particolare, a mio avviso, bello e positivo.

Il capo famiglia E.F., esile e di statura medio bassa, si distingueva, pure in vecchiaia, per il suo incedere di buona lena, dava quasi l’impressione di muovere lesti i propri passi, magari a piedi scalzi, con piacere; io, sin da piccolo, me lo godevo quando transitava davanti a casa mia per portarsi dal paese a un suo fondo agricolo situato luogo la litoranea fra l’Acquaviva e la Marina dell’Aia.

Ritornando ad A. e alla mia, allora giovane, mamma, stettero bene insieme, per qualche ora, all’interno dell’abitazione di E.F., avendo agio, dal 1° piano, di osservare i compaesani numerosi nella piazza sottostante per la festa, come pure di ascoltare le arie eseguite dalle Bande musicali che si alternavano sulla cassa armonica.

Dal punto di vista dello svolgimento materiale, adesso, ovviamente, la festa di S. Vitale è profondamente cambiata, in linea, del resto, con i radicali mutamenti verificatisi, nei decenni, su scala generale.

Nondimeno, la ricorrenza mantiene il suo tradizionale valore e significato e seguita a essere sentita anche nell’animo dei marittimesi del terzo millennio.

 

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