di Maria Grazia Presicce
M’accoccolo su un gradino sbilenco e lascio vagare lo sguardo nel non silenzio di una natura scomposta; friniscono le cicale, gli uccelli cinguettano tra le alte chiome degli eucalipti inondati di sole. Una lucertolina verde e lucente solleva il capino curioso, poi fugge tra i secchi fuscelli di una fantomatica aiuola.
Va il mio pensare, odo sussurri parole richiami… avverto effluvi di terra di piante, di sole che scalda: essenze d’amicizia scanzonata, di affetti sinceri. Si tinge il mio sguardo d’azzurro di verde di lilla di gioia che profuma d’infanzia, di semplici tenerezze.
Ritrovo tra pietre e sterpaglie il filo integro del mio essere e lo sguardo accarezza ogni cantuccio, ogni anfratto di questo paesaggio tanto amato e ora lasciato nell’incuria assoluta. Regna sovrano abbandono e tristezza eppure avverto ancora il suo cuore che batte all’unisono col mio e mi dona carezze, parole sincere, sussurri di bimba, dolci melodie che hanno fatto di me una donna sensibile schietta che continua a serbare un cuore di bimba.
E va oltre lo sguardo, racchiude le facciate delle case cogli alberi eterni che mi hanno visto bambina… un motivetto sovviene, un ritmo dolce tenero sgorga dal cuore e si spande come gocce di pioggia sul suolo assetato “o Madonnina dall’azzurro manto/ ascolta questo piccolo mio canto/ bambino caro, / caro mio Gesù ascolta tutti i bimbi di quaggiù” e il canto va sommesso nell’aria cheta del mattino esce dalla finestra della scuola e va a rallegrare i cuori di grandi e piccini.
Non finiscono le emozioni, i ricordi m’attorniano, intime tracce, passato e presente s’intrecciano. Trame colorate di un vissuto integro e mai abbandonato nell’oblio dai sentimenti.
Mi vengono incontro a frotte le emozioni riposte.
“I cipressi che a Bolgheri alti e schietti, va da San Guido in duplice filar, come in corsa giganti giovinetti mi venivano incontro e mi guardar… “.
Ecco anche il viale della mia infanzia andava da Corsari alla mia masseria in “duplice filar” e va ancora solitario nell’abbraccio degli alti cipressi che lo proteggono.
M’avvio sul sentiero sterrato che dopo le ultime case del villaggio si raccorda col viale.
E’ il sentiero di sempre, terra rossa e sassi s’incastonano come gioielli preziosi ritagliando la carrareddha adornata da alberi di fichidindia e di fichi su un lato e sull’altro da un muretto a secco sberciato che delimita un canale di scolo.
E’ lento il mio andare, ogni passo carezza il suolo suscitando emozioni riposte,
godendo di stupori inattesi.
Va la strada coi suoi cipressi in fila indiana e dietro un cipresso c’è ancora il pilone dove sostavamo a pulire gli stivaletti prima di giungere a scuola. E’ ancora intatta la vasca, non contiene più acqua però e il campo intorno non ha più la vigna ma filari di angurie stendono rasoterra i tralci coi loro grossi frutti maturi.
Contemplo il paesaggio che m’invoglia ad andare su quella via che da scuola mi riportava alla mia casa nella masseria di mamma e papà.
Lenta m’avvio…mi sento accolta ancora persino dai sassi.
All’inizio del viale gli alberi son radi, più maestosi e verdeggianti però ci sono ancora i pini che ci regalavano le pigne a Natale per il presepe.
Il silenzio ed il sole sovrastano e permeano ogni dove. Nei campi non anima viva, deserto anche il viale all’ombra dei cipressi. Sosto tranquilla…vaga lo sguardo, abbraccia uno ad uno ogni albero in fila, l’emozione accompagna i miei passi. Sono sempre magnifici questi cipressi, giganti benevoli che continuano a svettare nel cielo, pare che il tempo non li abbia sfiorati, ma solo accarezzati.