Nel libro di Nicola Manieri Elia “C’era Una Volta…”

nicola manieri elia

 

di Nicola Manieri Elia

C’era Una Volta…

…ciò che nella “Storia” resterà per sempre.

 

Agli albori della storia, circa dodicimila anni fa, esisteva, a Ovest delle Colonne d’Ercole, una terra circondata dalle acque, in cui prosperava un regno dalla florida economia e dalle belle arti, ma… nel giro di un giorno e una notte, scriveva Platone nei suoi dialoghi con Crizia e Timeo, questa terra scomparve negli abissi dell’oceano, per misteriose cause naturali. “Atlantide” era il suo nome, dal nome del suo primo mitologico Re, Atlante figlio di Nettuno, forse presagio di quella fine… in fondo al mare.

Quel mondo passato, meraviglioso e affascinante, che si inabissa così d’improvviso nella notte dei tempi, lascia a noi o a chi gli si avvicina con l’immaginazione e col pensiero, ancora oggi a distanza di tanti millenni, una spiacevole sensazione di vuoto che vorremmo ricolmare riportandone a galla almeno la storia.

Quanti storici, studiosi, pensatori, sin dall’antichità, sono stati attratti da quel fantastico mondo scomparso… mentre altri, in epoche diverse, hanno tentato di cancellarne ogni traccia e ogni riferimento per opportunità politica o culturale.

Nel Medioevo, infatti, l’esistenza di una terra oltre i limiti del mondo allora conosciuto, non la si poteva nemmeno lasciare immaginare alla gente comune per non destabilizzare i cardini immodificabili della cultura di quel periodo. Era più che necessario, per i detentori della scienza di allora, che il mondo di Atlantide al di là delle colonne d’Ercole, con tutta la sua storia reale o virtuale che fosse, venisse occultato, caricandolo di pregiudizi e di paure e impedendone anche il semplice “racconto”, affinché non si permettesse alla mente umana e ai naviganti di mare e di pensiero, di varcare i limiti imposti dalla scienza ufficiale del tempo.

Non ci sono certezze sulla vera esistenza di quel mondo reso così verosimile dai racconti di Platone, da risultare comunque vivo e vero, tanto da entrare a far parte della storia, o come realtà concreta o come realtà di pensiero. Ma ogni cosa che entra a far parte della storia a qualunque titolo, la storia stessa ci insegna, in essa sarà per sempre e per quanto gli uomini possano e vogliano tentare di occultare un evento o una corrente di pensiero, non potranno mai cancellarlo da essa, come se non fosse mai esistito o pensato.

Quanti altri mondi scomparsi, o che si credevano tali, continuano a vivere in noi e nella storia successiva, in modo celato o manifesto, a volte in maniera ancor più intensa, quando l’uomo, per opportunità personali, ha cercato volutamente di cancellarli? La storia è piena di questi esempi, da quelli storici eclatanti, fino, nel nostro piccolo, ai mondi passati anche recenti delle nostre origini, belli e affascinanti nel ricordo, e poi apparentemente scomparsi o volutamente fatti scomparire!

Quanti esempi ci vengono alla mente in questo contesto, che ci aiutano a meditare su tutto ciò…

Nell’antico Egitto ci fu un Faraone, Akhenaton, che, ebbe l’ardire di trasformare radicalmente la religione e il clero di allora, radicato e consolidato da millenni di storia. Questi, come tutti sappiamo, fu il primo promulgatore della religione monoteista e dopo la sua morte, per rivalsa, si cercò di riportare lo stato delle cose a com’era prima del suo intervento e di far sparire ogni traccia della sua esistenza terrena, cancellando ogni segno e simbolo che riconducesse a lui e al suo successore Tutankhamon. Ma sia il nome di Akhenaton e Tutankhamon, sia la religione monoteista, sono sopravvissuti a quei tentativi di occultamento: oggi, per interesse e conoscenza, hanno superato gli altri faraoni e spiazzato le religioni politeiste del tempo.

Gesù di Nazareth, vissuto in Giudea, al tempo di Ponzio Pilato, governatore di quella regione durante l’Impero Romano, si cercò di farlo scomparire dalla storia già dalla nascita e fin dopo la morte. Viene spontaneo chiedersi: quanti, al tempo in cui Gesù era in vita, potevano considerare e conoscere il suo nome, rispetto a quanti invece conoscevano e temevano quello dell’Imperatore? E oggi, a distanza di due millenni, quante persone considerano o semplicemente conoscono il nome di Gesù di Nazareth in tutto il mondo, rispetto a quanti sanno solo dire chi sia l’imperatore Tiberio e cosa abbia fatto durante il suo regno? Come e perché, un apparente “povero Cristo”, dopo essere stato ucciso e occultato ha superato in maniera spropositata nei millenni della storia successiva, la notorietà dell’imperatore del mondo di allora? L’unica cosa che possiamo dire è che tutto ciò che è nella storia, non può sparire da questa, e nella storia stessa ogni cosa avrà in seguito l’importanza o la risonanza che si merita, quasi beffeggiando l’impegno che gli uomini mettono nel modificare, amplificando o occultando, certi eventi.

Tra gli ordini monastici del Medioevo si distinsero per gesta e conoscenza i Templari, di cui si cercò, tramite la scomunica, di accaparrarsi le ricchezze e di farne scomparire ogni traccia. Oggi, tra tutti gli ordini monastico-cavallereschi di allora, sono quelli che suscitano più interesse e… forse anche proseliti.

Con un salto pindarico e, senza immaginare ancora cosa la storia ci riservi in seguito, mi sono ritrovato con la mente al tempo dei primi anni di scuola – e non solo ai primi – quando nell’insegnamento della storia, dopo aver dato il giusto risalto allo studio dei Greci e dei Romani, si nominavano gli antichi stati italiani, tra i quali spiccava il Papato, il Piemonte col Regno di Sardegna, il Regno Lombardo-Veneto e poi, appena accennato, il Regno di Napoli, senza che ci potesse nemmeno sfiorare l’idea che di fatto era stato per oltre mezzo millennio il nostro regno, con Napoli capitale e i suoi Regnanti dai Normanni fino ai Borboni, quasi del tutto sconosciuti a noi studenti. Era quasi come se la nostra terra non fosse mai esistita almeno fino a quando è entrata nella storia con i vari Mazzini, Garibaldi e Vittorio Emanuele II Primo Re d’Italia, ecc…

Mi chiedevo allora, studente, noi chi eravamo prima dell’arrivo dei Piemontesi? Il nostro mondo, la nostra comunità, la nostra terra, i nostri padri non avevano una storia prima di quella data? Sconosciuti figli di NN, eravamo costretti quindi a studiare la storia, che era solo la “Storia degli altri”… Due risposte molto semplici mi venivano spontanee per quei problemi così posti: o noi non avevamo una “storia propria degna di nota” che riguardasse il Regno di Napoli con la sua economia, i suoi regnanti, i suoi artisti, oppure, per la politica dell’insegnamento di allora, era opportuno non farcela conoscere. Quella storia doveva scomparire anche dalla memoria, immolata al nobile ideale della nostra bella “Italia Unita” (o piuttosto immolata agli interessi del Nord e della sua, di lì a breve, industrializzazione, realizzata con il capitale, prima, e la manodopera, poi, prelevati dal Sud). Era meglio che la nostra “vecchia” storia scomparisse, perché il sentimento patriottico per l’Italia non fosse adombrato da rancori su quanto ci era stato tolto e quanto ancora avremmo dovuto subire.

Ed ecco che, come Atlantide, pure quel nostro mondo così ricco, anche d’arte, colori, musica e poesia (basti pensare a Napoli del Settecento) nel giro di pochissimo tempo scompare rapidamente nel nulla per evidenti opportunità politiche.

Nella storia, però, e in noi con essa, anche se occultato, resterà per sempre.

La nostra economia subì quindi una brusca frenata. Avevamo perso gran parte delle nostre ricchezze, ma in compenso avevamo imparato a produrne altre, che consistevano nell’aiuto reciproco, nell’affetto e nel calore umano, nuovi valori su cui contare per vivere dignitosamente e superare le difficoltà quotidiane, all’insegna del rispetto per la vita, dei doveri a essa legati e dei rapporti umani.

Avevamo dato vita a un nuovo mondo, il “Nostro Mondo Meridionale”, misero nell’economia, ma ricco nei valori umani, nella sopportazione delle difficoltà con determinata accettazione di ogni regola e dovere.

Accettare di emigrare per lavoro, lontano dai propri affetti; accettare di partire in guerra per la nuova patria affrontando lutti e gravi disagi familiari; accettare e rispettare la persistenza delle classi sociali, senza invidie, rancori e recriminazioni, quale struttura portante della società in cui si svolgeva la “Vita”, sufficiente da sola a ripagare ogni sacrificio; erano gli esempi di un mondo basato sull’Essere e non sull’Avere. Un mondo pieno di difficoltà, ma anche di tanta umanità e poesia; un mondo vero e concreto, ma comunque destinato anch’esso a evolversi e quindi a scomparire. Siamo passati così, in breve tempo, da un mondo basato sui “doveri pacatamente accettati”, a un altro dai “diritti a volte a prescindere” per un “Avere” che spesso rende gli uomini schiavi di se stessi, insoddisfatti, inappagabili e “miseri” in tutti i sensi.

È banale quindi fare delle critiche a quel mondo avendo come riferimento quello attuale e viceversa, specialmente considerando che quest’ultimo non è altro che la progressione del primo. Sarebbe come se un figlio professionista misconoscesse il padre contadino che ha faticato per dare una professione alla sua discendenza o viceversa. Non possiamo giudicare una cosa fuori dal suo contesto. Non possiamo dire e nemmeno pensare, per non rasentare la stupidità, che ieri era meglio o peggio di oggi. Ogni organizzazione sociale è stata determinata dalla stessa società secondo le sue esigenze del momento e il rispetto per quelle sue regole, anche se errate o inadatte per il mondo successivo, è d’obbligo da parte di ognuno al di fuori di esso.

La facile critica che si potrebbe fare oggi è quella della miseria della povera gente. A tal proposito, però, posso affermare che tra i pochi superstiti di allora, i maggiori nostalgici di quel mondo, sono proprio quelle persone provenienti dalle classi meno abbienti. Il vedere quei vecchietti e vecchiette illuminarsi nel volto ai ricordi belli e brutti della loro infanzia, e iniziare racconti interminabili sulla loro vita, esperienze, conoscenze e rapporti anche con i cosiddetti “signori” senza che si possa percepire alcuna invidia verso di questi, ma rispetto e addirittura gratificazione per la loro “vicinanza”, mi fanno ricredere sul concetto di “miseria”, che può avere diverse accezioni, di cui quella economica, non è certo la peggiore. Al contrario, non ho mai notato quello stesso trasporto illuminante che ho riscontrato nei poveri anziani, nelle parole e nel volto dei sopravvissuti “signori” del tempo, a evidenziare che quel mondo era veramente una realtà diversa da quello che oggi possiamo immaginare e stupidamente criticare. Quel mondo era e sarà il mondo ormai estinto delle nostre origini. Un’altra “Atlantide” inabissatasi così repentinamente nei flutti inesorabili del Progresso e del Divenire, per dare vita e spazio a quello attuale.

A quel mondo, senza nostalgia, ma con tanto affetto, sono dedicate le riflessioni e le poesie che seguiranno.

(prefazione del libro Passò lu Tiempu)

 

Titolo: “Passò lu Tiempu

Autore: Nicola Manieri Elia

Europa Edizioni; Collana: Edificare Universi

Pagine: 120

Prezzo: 15,90; Ebook: 5,49; Isbn: 9788868547387 

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