NARDÒ RIVOLUZIONARIA. Protagonisti e vicende di una tipica ribellione d’età moderna

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Prefazione al volume di Marcello Gaballo.

 

Una storia dimenticata

di Marcello Gaballo

 

La storia narrata in questo libro è, per molti versi, una storia dimenticata.

Dalla metà del diciassettesimo secolo ad oggi, cronisti, storici, studiosi e semplici appassionati hanno scritto pagine e pagine sulla rivolta di Nardò del 1647. Le angherie patite dalla città per decenni, la disperata ribellione contro il proprio signore, la vendetta di quest’ultimo ai danni dei cittadini a lui maggiormente invisi, gli omicidi senza processo, le persecuzioni che durarono per anni, l’impegno di alcuni neretini di fronte alle magistrature napoletane e spagnole sono stati raccontati in vario modo, a volte con dovizia di particolari a volte nel contesto di altre tematiche di carattere storico. Nondimeno questa vicenda resta, sotto molti punti di vista, una storia dimenticata.

Dimenticata dai neretini.

Forse non interessati alla storia dei propri antenati, forse non adeguatamente informati e sensibilizzati, i cittadini di Nardò non hanno certo una memoria consolidata e condivisa sull’argomento. Nelle scuole non se ne è quasi mai parlato, né se ne parla e, nonostante una tendenza diffusa negli ultimi anni a recuperare le tradizioni, le musiche, i canti dei nostri avi, gli antichi idiomi e le pagine di storia locale, la vicenda dei martiri di Nardò è rimasta (e tuttora rimane) fuori dalle aule, lontana dalla sensibilità comune, estranea agli interessi della città.

Dimenticata dalla Chiesa.

La rivolta vide tra i suoi fautori numerosi ecclesiastici. Sei di questi furono barbaramente uccisi, senza alcun processo e con la connivenza di monsignor Giovanni Granafei, a quel tempo vicario del vescovo di Nardò Fabio Chigi. La Chiesa dell’epoca non fece nulla o quasi in difesa dei propri figli e, per i secoli a seguire, la loro triste fine cadde nel più profondo dimenticatoio. Nella lunga teoria di vescovi, canonici, sacerdoti e chierici che si è dipanata dal 1647 ad oggi, nessuno ha mai pensato di dover “confrontarsi” con queste figure, nessuno ha mai ritenuto di dover garantire loro un riscatto morale e spirituale negato dalla storia.

Dimenticata dalle istituzioni.

Sfogliando l’elenco delle strade cittadine, ci si imbatte in “via Martiri Neretini”; consultando la mappa topografica, si può ritrovare questa via all’estrema periferia del paese: la penultima strada ad immettersi sulla statale 174 che porta a Galatone. È questo l’unico segno tangibile tributato al sacrificio del 1647: un segno che io stesso richiesi alla Commissione Toponomastica nella mia breve esperienza da consigliere comunale. Nessuna piazza o via del centro, nessuna targa commemorativa, nessuna stele, null’altro è stato dedicato alla memoria dei neretini che combatterono e morirono in difesa della propria città, dei propri diritti, della propria dignità.

Una dimenticanza che affligge e mortifica. I popoli si fondano sulla propria memoria, sulla propria storia o, perlomeno, sulle pagine più importanti di essa. Perché dunque Nardò ha da sempre rinunciato a riscoprire, a fare propria e a preservare una pagina tra le più gloriose della sua vita ultramillenaria? Perché non è stata capace di far rivivere in una grande strada, in una piazza, in un segno concreto il ricordo degli uomini che, in nome della propria appartenenza ad una città, hanno combattuto, sono insorti, si sono impegnati in una lotta disperata che ha portato alla morte di tanti di essi?

Probabilmente non esiste una risposta per queste domande o forse è una risposta poco edificante. Ciò dovrebbe invitare ad arrendersi? A mettere da parte il ricordo, le emozioni che questa storia sa ancora suscitare, gli insegnamenti che da essa si possono trarre, solo per assecondare l’indifferenza che alberga in molti? Personalmente dico no!

Da più di due decenni, il far tornare alla luce queste gloriose pagine della storia cittadina è divenuto per me un impegno personale o, per meglio dire, un vero e proprio obbligo morale nei confronti dei protagonisti della ribellione. Circa vent’anni fa, visitando l’archivio di Simancas, ebbi modo di consultare alcune fonti di prima mano sulla vicenda: un fondo documentale all’epoca pressoché inesplorato. Nelle ore trascorse nella città spagnola, le lunghe controversie giuridiche, le cronache della rivolta, i resoconti sulle sanguinose gesta del duca di Nardò e la ribellione dei suoi sudditi, il ruolo del re, dei suoi ministri, dei viceré e delle autorità locali rivissero sotto i miei occhi, donandomi un’emozione tuttora viva.

Negli anni a seguire, parte di questa documentazione ha visto la luce grazie ad alcuni studiosi pugliesi, molti dei quali gravitanti attorno al Centro Studi Conversanesi, come Aurora Martino, che desidero ringraziare per la preziosa collaborazione fornita e per l’enorme mole di informazioni restituite con i suoi scritti. Molto restava tuttavia da dire sulle vicende neretine. Per questo ho ritenuto indispensabile continuare le mie ricerche: a Napoli, presso il fondo Brancacciano, dove ho raccolto altre cronache dell’epoca; presso la Biblioteca della Società di Storia Patria, dove ho ritrovato i manoscritti sul processo intentato ai ribelli; e ancora a Nardò, nell’archivio del Capitolo della Cattedrale e in numerosi altri scrigni di fonti. Per anni tutto il materiale raccolto, trascritto e conservato, ha rappresentato la base per articoli, come quelli pubblicati annualmente sul sito della Fondazione Terra D’Otranto[1] e per opere di divulgazione, come Nardò a fumetti,[2] una storia illustrata dedicata ai piccoli neretini affinché germogliasse in loro un desiderio di conoscenza sulla storia della propria città.

Nonostante questi miei interventi personali e la pur ricca bibliografia esistente sull’argomento, ritenevo tuttavia giunto il momento di elaborare un lavoro più organico sulla vicenda, un’opera capace di incastonare i fatti di Nardò in un contesto storico più vasto ed articolato. Per questo decisi di affidare il frutto di anni di studio, letture e ricerche a qualcuno che, per preparazione e sensibilità, potesse essere in grado di donare loro una nuova veste. Questo qualcuno è stato Alessio Palumbo, il quale ha aderito con trasporto ed entusiasmo al mio progetto e che per questo ringrazio. Quest’opera è, in sintesi, il connubio tra un’antica passione e l’entusiasmo di giovani studiosi. Essa rappresenta dunque un tributo scientifico ma anche sentimentale ai fatti del 1647.

Risvegliare nei suoi lettori un interesse, una passione, anche una semplice curiosità su quanto accaduto; far comprendere ai neretini vecchi e nuovi e, soprattutto, a chi ne cura la formazione sin dalle prime classi scolastiche, l’importanza di riscoprire e conservare gelosamente il proprio passato; inculcare, in chi ne ha il potere, l’obbligo morale di garantire un riscatto (conoscitivo, civile, religioso) alle vittime di quella che fu una vera e propria barbarie: sono questi i principali obiettivi che questo volume si pone. L’auspicio è che riesca ad ottenerli tutti e tre. Se così non fosse, nondimeno avrà rappresentato, per i suoi autori e per chiunque vi abbia contribuito, un gradito impegno personale per studiare, ricordare, ripercorrere e rivivere una vicenda esemplare.

 

[1]https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/08/16/lolocausto-di-nardo-un-tributo-doveroso-ai-suoi-martiri-a-363-anni-dalla-loro-tragica-fine/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/08/20/20-agosto-1647-lolocausto-di-nardo-seconda-parte/.

[2] M. Gaballo, Nardò a fumetti. Pagine di storia, cronologia ed altre notizie, Lecce, Conte Editore, 1996.

 

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