La mutilazione dell’ulivo

ULIVO A MATITA

di Maria Grazia Presicce

 

Urlavano i rami le foglie, urlava la terra, urlava tutto il creato ma chi mozzava non sentiva. Troncava troncava con fare frenetico e il fragore assordante della sega, che affondava bramosa i suoi denti nei tronchi, copriva urla e lamenti.

E le zanne taglienti s’accanivano irruenti e incoscienti squarciavano.

Accaniti e solerti i potatori affondavano le lame tra fronde e rami che, inermi ed inerti, come colombe colpite da un botto cadevano giù.

Dissanguati, i tralci frondosi giacevano l’uno sull’altro: ultimo abbraccio dopo una vita insieme vissuta.

E amputava la sega tra la danza dei potatori sui rami, incuranti del fruscio dei caduti, della preghiera che da ogni ramo trafitto si levava!

Ad ogni squarcio la ferita si dilatava, fino a mostrarsi candida e tonda a quel cielo che la sfiorava e capiva lo strazio.

Nudo dolorante e silente piangeva il moncone mostrando lo stremo l’affanno lo scempio.

Trasudava la linfa sulla ferita e gemeva l’ulivo raccolto nella sua pena.

Dov’era quell’uomo che tanto aveva amato i suoi pregi e lo aveva rispettato onorato difeso nel tempo? Dov’era quell’umano che ne aveva curato ogni squarcio, adorato ogni fuscello ogni foglia fino a farne segno di pace e d’amore? No, non era più degno l’uomo dei suoi favori, dei suoi valori, dei suoi doni preziosi.

Monchi e spogli i rami gridavano al cielo tutto lo spasimo il livore e condannavano chi li aveva troncati in quel barbaro modo. Stille lucenti, tacite colavano sulla rossa terra straziata e l’intera natura avvertiva e accoglieva lo stremo. Era svenata stremata vinta la sua dolce portentosa creatura e nemmeno madre natura riusciva a colmarne il tormento.

Seguitavano, i monconi recisi, a supplicare il cielo le nuvole il sole il vento, li pregavano di trattenere la corsa e asciugare e le ferite lenire. All’imbrunire, sgomento, il tronco spogliato, chiese  perdono agli uccelli che, senza rifugio, scappavano mesti cercando altrove riparo. Allorquando la notte scurì col suo manto il creato e la luna e le stelle le ombre schiarirono, pietà chiese l’ulivo per la sua indegna nudità, per la mancanza del sontuoso vestito. Si sentiva Sansone senza capelli, nudo, senza forza e voleva coprirsi o forse divenire fantasma pur di non rivelarsi mostro moderno fatto di artigli.

Purtroppo, l’uomo evoluto ha dimenticato che, come Sansone, l’ulivo ha nella sua chioma argentea la forza e ne amputa d’impeto gli arti, stremandolo deturpandolo. Così agendo lo avvilisce, lo evira senza coscienza, per solo tornaconto economico, scordando che l’ulivo è essere attivo e vitale e vive e dà vita fino a quando viene rispettato ed amato.

Non c’è amore nel mutilare. Un affetto non si monca, si coltiva, si nutre e non si svena. Semplicemente si ama.

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2 Commenti a La mutilazione dell’ulivo

  1. bravissima !un grazie è pochino : in antico i miei nonni – gli zìi- curavano con una ” mistura fatta in casa ricavata da un pietra dura ( marmulina ) ben cotta ( non bruciata ) e spenta con acqua di pozzo, poi, diluita con la medesima e l’aggiunta di una attenta parte di solfato di rame ( detto contadinamente vetriolo )-evidentemente siamo lontani dalle carte senapate e dall’olio canforato delle sante nonne nostre e del sentimento pregevole del saper curare senza offendere-grazie ancora Maria Grazia e continua -con tanto bene per tutti peppino .

  2. la ringrazio del commento. quanto vorrei che il mio urlare silente insieme ai lamenti e agli urli degli ulivi martoriati giungessero a quanti ( sugli alti scranni italiani ed europei) pensano o immaginano di avere nelle mani la giusta cura per quest’albero di pace e d’amore e smettessero di moncarli ed estirparli per tornare al rispetto e alle cure dei nostri avi con dedizione, amore e rispetto. devono smettere i nostri moderni coltivatori di avvelenare con i diserbanti la terra e con l’incuria le piante. devono smettere di volere solo un guadagno facile scuotendo forzatamente le chiome per far cadere le olive invece di raccoglierle, devono smettere di moncarli in quel modo barbaro e cominciare a ” fare la rimonda ti lu siccu” come si diceva una volta e come facevano i nostri avi quando alcuni rami cominciavano ad avere le foglie secche. voler sterminare i nostri amati ulivi è davvero un delitto!

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