Libri. Un romanzo storico in quel di Parabita

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di Paolo Vincenti

 

L’amore per la piccola patria può avere diverse sfaccettature e portare  uno storico a farsi romanziere. Così l’erudito Ortensio Seclì  lascia le ricerche e la saggistica e profonde la sua abilità scrittoria nell’invenzione narrativa.  E dopo “Il giardino grande” (2012), pubblica, sempre con l’editore Il Laboratorio di Parabita, “Per amore…solo per amore” (2014). A dire il vero,  la commistione dei generi non è trovata di poco momento e lo sanno bene gli appassionati lettori dei romanzi storici.

In questo genere letterario di gran successo infatti si colloca il libro di Seclì, che unisce alla piacevolezza della fiction, la precisione del dato storico,  in un impianto narrativo solido cui fa da basamento la pluridecennale esperienza letteraria dell’autore.

La complessa vita sociale, politica e religiosa  parabitana fa da sfondo alla narrazione e si intreccia alle varie love stories raccontate. Nell’ordine:  quella sfortunata e senza prole fra il duchino Giovanni e l’ aristocratica napoletana Olimpia, che monopolizza la prima parte del libro e la cui sfortuna viene attribuita da un lato alla fama da jettatore che il nobiluomo Della Valle, padre di Olimpia si porta dietro, e dall’altro alla “maledizione di Rosaria”, vale a dire la protagonista della storia d’amore del precedente libro di Seclì, la quale, a detta di Lucia la Greca, madre di Giovannino, dopo aver disonorato la famiglia dei Ferrari in vita, a causa del matrimonio fra lei, popolana, e l’altolocato Don Saverio, continuava a portar sfortuna anche dopo morta. Poi la storia d’amore, pure molto tormentata, fra Vincenzo Ferrari, figlio di quella stessa Rosaria Cataldo, e Lucia Nicolazzo, che occupa la parte centrale del libro;  l’amore di Andrea Giannelli, noto esponente liberale del risorgimento salentino, e Agnese, una dei tre figli di Vincenzo e Lucia; la storia d’amore, complice Giuseppe Ferrari, fra l’umile falegname Gaetano e la bella Concetta;  e infine la storia d’amore fra lo stesso Giuseppe, terzo figlio dei signori Vincenzo e Lucia, anche Sindaco di Parabita dal 1857 e il 1860, ed una esponente del popolo, tanto povera quanto onesta e timorata di Dio, Nunziata.

Il libro dunque si caratterizza come una saga famigliare, e a fare da trade union fra le vicende narrate è proprio l’amore che impasta le vite dei protagonisti, dà sale alla storia globale raccontata, a partire dal titolo del libro che richiama quello di un film del 1993, “Per amore solo per amore”, tratto dall’omonimo romanzo di Pasquale Festa Campanile, ed anche il refrain di una bellissima canzone di Roberto Vecchioni (“Per amore mio”).  Ma le biografie dei personaggi e l’orizzonte temporale dell’Ottocento parabitano preso in esame, si presentano complementari, in quanto le vicende personali sono sempre gravide di conseguenze che riguardano la collettività e le scelte individuali o famigliari degli aristocratici Ferrari si riflettono gioco forza sui destini della comunità, ancora all’epoca asservita ai ricchi feudatari. Una nota di merito alla scrittura di Seclì che scorre piana, limpida, adamantina per tutto il libro.  Molto bella la copertina opera del pittore-poeta Giuseppe, Pippi, Greco, mentre la progettazione grafica è di Sandra Greco.

Già recensendo suoi precedenti lavori, ho scritto che Ortensio Seclì è fedele metodologicamente  alla scuola storica degli Annales, quella dei vari Bloch, Lefebvre, Braduel, che cioè considerava la storia non solo, crocianamente, sotto il profilo etico-politico, ma anche nei suoi interessi  economici, sociali, antropologici, psicologici. Georges Lefebvre infatti affermava che “la storia non è scritta una volta per sempre, non è composta di una specie di materia morta e irrigidita per l’eternità, ma è in perpetua gestazione, si evolve con la civiltà degli uomini e con gli avvenimenti che segnano la loro esistenza”.

I ricercatori come Ortensio Seclì  non si accontentano di ricordare il passato ma lo reinterpretano, lo ricostruiscono sempre alla luce delle nuove acquisizioni che di volta in volta sgretolano parte di quelle che erano ritenute verità tradizionali. Il merito maggiore di questi due libri di Ortensio Seclì è quello di aver dato un volto, un cuore, sentimenti, a quei personaggi della storia parabitana che altrimenti sarebbero restati solo dei nomi incorniciati dalle due date di nascita e di morte. Seclì ha dialogato con l’Ottocento parabitano, ha animato i ritratti di questi dignitari del passato, gli ha dato colore, spessore, flatus vocis quasi, dalle righe intense dei suoi dialoghi.

Chiaro che l’autore abbia il culto della storia, il gusto di riportare all’attenzione dei contemporanei le vestigia del passato, e sebbene la sua ricostruzione sia  corretta filologicamente, essa è vivificata dall’invenzione letteraria, che sembra confermare l’assunto precedentemente svolto, ossia della storia intesa come continua ricerca. Senza mai perdere di vista l’alta funzione della storia. Significativo è a tal proposito quanto l’ autore fa dire a Don Giovannino, il quale parlando sul letto di morte, col frate Padre Damiano, sentenzia: “ La storia! La morte non ha alcun potere su di essa perché anche quando sembra che la storia sia stata cancellata, un bel giorno torna dal mondo dell’oblio nel quale sembrava fosse stata dimenticata e si impone prepotente agli uomini… è la memoria di noi, di ciò che abbiamo fatto, di come abbiamo saputo operare che viene conservata dalla storia e che ritorna anche dopo secoli a farci giudicare dal mondo”.

L’inclinazione di chi scrive si fa manifesta nelle ultime dieci pagine del libro dove il romanzo vira più decisamente verso il saggio storico, con le vicende relative alla nascita della Banca Popolare di Parabita. In questo cambio di passo sembra quasi che Seclì abbia voluto recuperare  la sua prima vocazione e con questa  suggellare la fortunata parentesi narrativa. Nel complesso, un buon libro, a cui dà lievito l’interesse della materia trattata e  dà sentimento, insufflata nell’impianto generale dell’opera, la passione di chi la muove.

 

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