Una strana società

scultura-con-anguria

[1]

di Maria Grazia Presicce

 

Viviamo in un periodo astruso: la società è cambiata, le distanze si sono accorciate e la famiglia si è disgregata.

La bella famiglia patriarcale non esiste più. Un tempo, quando il nucleo familiare rimaneva circoscritto nel paese d’origine, gestire la vecchiaia dei propri cari diventava semplice. I vecchi genitori potevano, tranquillamente, rimanere nelle loro dimore e nel loro ambito ed erano i figli, a turno, che si alternavano nell’assistenza.

Ricordo mio nonno quando, all’improvviso nonna ebbe bisogno di assistenza, chiamò a raccolta i figli e con semplici e autorevoli parole comunicò loro che dovevano avvicendarsi nella sua casa – per i turni decidete come meglio vi pare – e finì lì. Fu una circostanza normale per figli e nipoti trascorrere dei giorni a casa di nonna. Nessuno si oppose, anzi, diventò una festa ritrovarci nella grande casa di tanto in tanto.

Ora tutto è mutato, si ha bisogno di figure straniere che badino, a pagamento, ai nostri vecchi. Finché tutto fila liscio e s’incappia in brave persone, queste figure fanno pure comodo, i problemi sorgono quando sopravvengono  inconvenienti di vario genere. Accade spesso che, dopo averle regolarizzate ( si usa dire così) e trattate in modo familiare, questa gente ti si rivolti addosso e pretenda più del dovuto. Ti rendi conto a questo punto, che ciò che hai fatto per loro è na pàssula a mbocca a lu puercu [2]. Grazie alle garanzie che hanno, danno tutto per scontato, vedono solo diritti, doveri ben pochi. Il fatto è che i sindacati italiani, queste “specialissime” associazioni inutili e mangia soldi, favoriscono questo loro speculare, cosicché la spavalderia di molti viene premiata e vengono gratificati anche il sopruso e le frottole.

Viviamo in una società in cui egna bona la mia tela, scatta e crepa ci la tesse![3] Ognuno pensa al proprio tornaconto ed è sempre indaffarato e sollecito a fottere l’altro, anche nelle stupidaggini. La tracotanza, il menefreghismo, la villania, l’aggressività, la coercizione sono i sentimenti che predominano.

Chi la pensa, la vede e vive in maniera diversa, è costretto a rintanarsi nel suo angolino e per ben campare  è costretto a tacere ed accettare anche i soprusi di chi li sta intorno sempre  pronto ad alzare la voce, e non solo, per far valere le sue ragioni,  che sono sempre e comunque le sue e basta!

La semplicità, la schiettezza, la sensibilità, la bonarietà non si sa più dove albergano.     Questi sentimenti non esistono quasi più.

Considerando, però, la ritrovo ancora negli indiani che vivono nel mio ambito. Li osservo spesso. Pur vivendo nella nostra realtà, le persone di origine indiana ( non solo a mio dire) continuano ad essere il loro semplice mondo. Non li ho sentiti mai urlare, imprecare. Conducono al pascolo il bestiame e con fare tranquillo le seguono passo dopo passo, con quell’indolenza che le è naturale. Li scorgo al crepuscolo quando rientrano col gregge, loro avanti, dietro i cani. Unica modernità, il cellulare fisso all’orecchio. Continuando a chiacchierare, fanno un cenno di saluto e quando  c’incontriamo  salutano con un inchino a mani giunte e un sorriso.

La loro seraficità, mi ricorda mio nonno quando placido e pacifico, dopo la pennichella pomeridiana, scendeva giù e soleva sedere sul grande sasso bianco sistemato a mo’ di panchina vicino al portone della masseria. S’accendeva con lentezza la lunga pipa di terracotta con la cannuccia di canna e se ne stava per ore silenzioso a fumare e osservare ciò che intorno accadeva, dando, di tanto in tanto, qualche dritta a qualcuno affaccendato in qualche incombenza.

Osservare…allora si aveva il tempo di osservare in silenzio.

Qualche volta puoi farlo ancora in qualche luogo lontano dal frenetico mondo di adesso. Rifletti e t’accorgi allora  quanto è vuota quest’umanità. Vuota di valori primari.   Vive per far soldi, sempre più soldi fino a non sapere che farsene. Spesso si vive, senza sapere di  vivere, si fa senza sapere di  fare. Mi spiego meglio: diceva mia nonna che si viveva per la corte[4] e per la morte.  Nel senso che bisognava non fare brutte figure nella vita di ogni giorno, nel rispetto delle ricorrenze e vivere secondo coscienza facendo del bene per meritarsi, un giorno, un posto in paradiso. Oggi si vive solo per la corte.

La corte di un tempo era  semplice, essenziale corte di vita . Man mano, col tempo le corti, si sono duplicate, poi triplicate e nell’attuale società si sono centuplicate e lo strano è, che sono i meno abbienti che hanno incrementato la corte, fino a farla divenire corte suprema d’idiozia.

Basta un semplice evento per trasformarlo in corte. In una corte grottesca, dove tutti recitano “ a soggetto”: la parte dello sbruffone di turno!

Osservavo ad un ricevimento  delle belle sculture di frutta.  Ne ammiravo l’impegno e l’ingegno: certo che “le sculture di frutta sono essenziali per la corte in tempo di crisi!”

Davvero magnifiche opere del nulla! Frutta che non si potrà nemmeno mangiare e andrà dritta in pattumiera dopo la… corte!

Più in là un cesto è colmo di bottiglie di vino. Sull’etichetta primeggiava la foto del festeggiato.  Lo “stampato”, sta festeggiando la prima comunione. Se, tanto mi dà tanto, chissà cosà si farà per il giorno del suo matrimonio!

Non posso fare a meno di ricordare la mia prima comunione e quella dei miei coetanei. Rivedo il mio vestito bianco e quello di mia sorella e il da fare della mamma per prepararci quel mattino e non farci arrivare  in ritardo alla messa.

Ci si confessava il pomeriggio del giorno prima, già quello era stato un evento.

– Ora e fino a domani, dovrete stare attente a non fare peccati e comportarvi bene! – Aveva ammonito la catechista – e mi raccomando, da stasera a digiuno! –

Dopo la cerimonia in chiesa, si tornava a casa. Si baciava la mano a mamma e papà Si pranzava in famiglia. Il pomeriggio si rimetteva l’abito bianco e ci recavamo a trovare i parenti non molto distanti da casa. Ad ognuno si baciava la mano per chiedere perdono di qualche scorrettezza commessa nei loro confronti. C’era chi regalava qualche soldino, pochi spiccioli per un gelato, delle caramelle. Qualcun altro un libretto di preghiere, una coroncina. La festa era tutta lì. Era per tutti così, non c’erano corti di sorta e ci bastava ed eravamo contenti. Altri tempi però!



[1] Scultura con anguria da google immagini, www.unafotoalgiorno.com

[2] Un dolcetto dato al maiale

[3] Basta che  bene la mia tela non importa che stia male chi  la  realizza. ( letteralmente: chi la tesse)

[4] Le ricorrenze

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