La litirnara (l’alaterno), ovvero povero Plinio e povero Linneo!

di Armando Polito

 

Questa essenza (le foto sono tutte mie) tipica della macchia mediterranea è ancora oggi ben presente sul nostro territorio; ho molti dubbi per domani, poiché certi cervelli (?) stentano perfino a riconoscere, magari recitando un ipocrita mea culpa per salvare la faccia e, spero tra poco, non solo quella… , che lo sviluppo non può continuare ad identificarsi nella cementificazione e nell’inquinamento.

Ne fornisco preliminarmente la scheda con le consuete note etimologiche:

nome scientifico: Rhamnus alaternus L.

famiglia: Rhammnaceae

nome italiano : alaterno, ranno lanterno

nome dialettale neretino: litirnara

Rhamnus o rhamnos nei dizionari latini è tradotto con biancospino; la voce è perfetta trascrizione del greco ῥάμνος (leggi ramnos) tradotto nei vocabolari greci con pruno1.

Alaternus è il nome di una pianta la cui attestazione vedremo fra poco. L., come tutti sanno ma nell’economia del post sono costretto a dirlo, è abbreviazione di (Carol Nillson) Linnaeus (1707-1778), il nome del naturalista svedese padre della nomenclatura binomiale.

Rhamnaceae è forma aggettivale dal già nominato rhamnus.

Alaterno è dal latino alaternu(m). Ranno è da Rhamnus e lanterno è deformazione di alaterno.

Litirnara  è una via di mezzo, al femminile (regola rispettata quasi costantemente con i nomi di albero) tra l’italiano alaterno  e il toscano linterno (altre forme toscane sono ilatro, iletro, lillatro) con eliminazione, rispetto al toscano, della n interna  e aggiunta di un suffisso aggettivale sul modello di farina>farnaru=setaccio (da *farinaru), fumu>fumaru =fumaiolo. Di solito il rapporto di affinità introdotto dal suffisso è, come negli esempi riportati, di natura strumentale, la quale non è di agevole riconoscimento nella nostra voce. Tale suffisso qui potrebbe avere una funzione generalizzante, ad indicare più varietà dello stesso genere, come succede, pur senza suffisso, al toscano ilatro. In latino un processo analogo è riconoscibile in acernus=di acero, da acer. Se fosse così il primitivo di alaternus sarebbe *alater.

In Acta plantarum (http://www.actaplantarum.org/acta/etimologia.php?nome=A), sito molto ben fatto ma con qualche sbavatura nelle parti non specificamente botaniche, leggo:

Il nome specifico alaternus era in latino il nome di un cespuglio non identificato; fu usato da Linneo per identificare questa specie per l’assonanza con “alternus” ossia alternato, con riferimento alle foglie alterne della specie. 

 

Di questa affermazione condivido il non identificato ma credo che il riferimento a Linneo meriti un approfondimento; ed è fatale che cominci dalle fonti.

Plinio (I secolo d. C.), Naturalis historia, XVI, 56: Fructum arborum solae nullum ferunt, hoc est ne semen quidem, tamarix, scopis tantum nascens, populus, alnus, ulmus atinia, alaternus, cui folia inter ilicem et olivam. Infelices autem existimantur damnataeque religione, quae neque seruntur umquam neque fructum ferunt. (Tra gli alberi non producono nessun frutto, cioè neppure seme, solo questi: la tamerice, che nasce soltanto per farne scope, il pioppo, l’ontano, l’olmo di Atina, l’alaterno  che ha le foglie tra la quercia e l’olivo. Sono ritenuti poi infelici e condannati dalla religione quegli alberi che non si piantano mai né producono frutto).

Columella (I secolo d. C.), De re rustica, VII, 6: Et quoniam de oviarico satis dictum est, ad caprinum pecus nunc revertar. Id autem genus dumeta potius, quam campestrem  situm desiderat: asperisque etiam locis ac silvestribus optime pascitur. Nam nec rubos aversatur, nec vepribus offenditur, et arbusculis frutectisque maxime gaudet. Ea sunt arbutus, atque alaternus cytisusque agrestis … (E poiché degli ovini s’è detto abbastanza tornerò ora ai caprini. Questa specie invece preferisce la macchia piuttosto che territorio campestre: essa pascola ottimamente anche in luoghi accidentati e selvatici. Infatti non disdegna i rovi né è tenuta lontano dai cespugli e gradisce massimamente piccoli alberi e arbusti come il corbezzolo, l’alaterno, il citiso selvatico …).

Delle due testimonianze solo quella di Plinio con il particolare descrittivo delle foglie ci illumina per un attimo ma non ci aiuta nell’identificazione, come correttamente si legge in Acta plantarum.

Passo ora alle dolenti note.

Proprio nell’anno in cui Linneo nasceva veniva pubblicato questo libro:

François Gentil, Louis Liger, Le jardinier solitaire, Benj. Tooke, Londra, 1706; a pag. 460 si legge: This plant is call’d Alaternus, because the Leaves of this Shrub stand alternately upon the Branches (Questa pianta è chiamata alaterno perché le foglie di questo arbusto stanno alternativamente sui rami).

È il classico esempio di affermazioni campate in aria perché si associa arbitrariamente alaternus con alternus e se ne dà una spiegazione dirottando senza ombra di dubbio sulla posizione delle foglie la diversità che Plinio aveva messo in campo per la forma (tra la quercia e l’olivo)2. Sarebbe bastato un forse per rendere il tutto più consono ai miei gusti …

Nelle opere di Linneo non c’è ombra di questa etimologia e, se per assurdo l’avesse adottata, ora sapremmo chi ne sarebbero stati i veri genitori. Ma il Gentil e il Ligier si erano inventato nel modo che ho detto un etimo destinato a fare furore ed il Ligier in combutta con altri (se è difficile trovare il responsabile fra due, figurarsi fra quattro!) pensò bene di ribadirlo poco più di dieci anni dopo:

Louis Liger, George London, Henry Vise, Joseph Carpenter, The retir’d gardener, N. Tonson, Londra, 1717, pag. 402: This Shrub is call’d Alaternus, because its Leaves are rang’d alternatively on the Boughs (Questo arbusto è chiamato alaterno perché le sue foglie sono collocate alternativamente sui rami).

E, quando ormai Linneo aveva da tempo deciso e pubblicato il nome per la nostra pianta, anzi aveva fatto abbondantemente in tempo pure a morire:

Gerge Don, A general history of the dichlamydeous plants, editori vari, Londra, 1832, v. II, pag. 30: Alatèrnus (from alternus, alternate; leaves) (Alaterno da alternus, alternato; foglie).

La serie presentata è la dimostrazione lampante di come una interpretazione più o meno attendibile, ripresa acriticamente, diventi con passaggi successivi una certezza altrettanto passivamente accettata fino a diventare verità molto probabilmente ingannevole.

Qualcuno potrebbe mettere in campo il fatto che in alcuni codici alaternus si alterna ad alternus3Intanto si tratta  di autori di qualche secolo posteriori a Plinio e Columella che, come abbiamo visto, ci hanno lasciato solo alaternus, per cui bisogna supporre che alternus sia corruzione di alaternus e non viceversa. Si può pure ipotizzare, proprio perché si tratta di autori tardi, che questa corruzione sia nativa, cioè  non imputabile al copista, per cui diventerebbe, paradossalmente, un arbitrio l’emendamento di alternus in alaternus proposto da tutti i filologi.

Se questo non basta, aggiungo che è degli autori classici (sulla  maggior parte di quelli del nostro tempo è meglio stendere un velo pietoso), poeti, storici, naturalisti etc., il rispetto di certi canoni espressivi, di quelli  comunemente accettati in primo luogo, senza escludere coerenza e fedeltà ai propri particolari. Il lettore comprende bene che questo rispetto è particolarmente importante nel caso di uno scritto scientifico che non deve lasciare adito, per principio metodologico, ad equivoci di sorta. Sotto questo punto di vista è fondamentale oggi tener conto dell’usus scribendi degli autori del passato. Se tutti coloro che con sicumera hanno parlato di foglie alternate avessero fatto attenzione all’usus scribendi di Plinio, si sarebbero accorti che Plinio di regola, sottolineo di regola, privilegia le differenze di forma sottintendendo il riferimento, per quelle di colore o altro lo dice espressamente. Ecco perché cui folia inter ilicem et olivam (ha foglie tra la quercia e l’olivo) si riferisce unicamente alla forma e, come ho detto fin dall’inizio, non contiene alcun riferimento etimologico al nome della pianta.

______________

1 Sulla sostanziale genericità di Rhamnus e, dunque, sulla difficoltà di un’identificazione precisa, già il Linneo si era espresso in Philosophia botanica, Trattner, Vienna, 1763, pag. 178, ove include  la voce nell’elenco di quelle di origine greca con questa etichetta: Graeca obscura, quamplurima eruuntur difficillime, et eruta dubia tamen persistunt (Le parole greche oscure: moltissime difficilmente vengono chiarite e, chiarite, tuttavia, rimangono dubbie).

2 Il dettaglio pliniano ispirò in epoca moderna anche la creazione di vocaboli greci nuovi, composti dall’unione di due voci del greco classico. Valga per tutte le testimonianza di Pierre Belon che in Les observations de plusieur singularitez et choses memorables , trouvées en Grece, Asie, Iudée. Egypte, Arabie, et autres pays estranges,  Cavellat, Parigi, 1588, a pag. 87 così scrive: Il n’y a habitant en tout le mont, qui ne sçache nommer l’arbre que Pline appelle Alaternus, de son vray nom ancien, duquel Theophraste avoit usé, Philica: mais à Corphu et en Crete ils le nomment Elęprinos; car il a sa fueille entre le chesne verd et l’Olive, comme Pline a escrit (Non c’è abitante in tutto il monte [Athos] che non sappia nominare l’albero che Plinio chiama alaterno a differenza del suo vero nome antico che Teofrasto aveva usato, filica ; ma a Corfù e a Creta lo chiamano Elęprinos poiché ha la sua foglia di un colore verde tra quello della quercia e quello dell’olivo).

Dopo aver detto che per la precisione il nome usato da Teofrasto è φιλύκη (leggi filiùke) e che da un umanista mi sarei aspettato, perciò, una più fedele trascrizione latina (filyke) aggiungo che la ę di Elęprinos è una scelta grafica per rendere Ἐλαίπρινος (leggi Elàiprinos) che, ripeto, non esiste nel greco classico ma nasce dalla fusione di due parole classiche: ἐλαία (leggi elàia)=olivo + πρίνος  (leggi prinos)=quercia.

Il lettore noterà che il Belon rapporta la caratteristica pliniana al colore della foglia e non, come più avanti nel testo principale dimostrerò, alla sua forma.

A distanza, poi, di quasi 250 anni il pezzo del Belon fu ripreso in greco nel quinto volume di ATAKTA, Everart, Parigi, 1835, pag. 355, al lemma ΦΙΛΥΚΑ (leggi filiùka) che riporto, seguito dalla mia traduzione,  nel dettaglio tratto da

da http://books.google.it/books?id=TA0UAAAAQAAJ&pg=PA355&dq=%E1%BC%98%CE%BB%CE%B1%CE%B9%E1%BD%B9%CF%80%CF%81%CE%B9%CE%BD%CE%BF%CF%82&hl=it&sa=X&ei=3a8AU9CrO4PhywO68IHYBA&ved=0CDkQ6AEwAQ#v=onepage&q=%E1%BC%98%CE%BB%CE%B1%CE%B9%E1%BD%B9%CF%80%CF%81%CE%B9%CE%BD%CE%BF%CF%82&f=false   

 

(ΦΙΛΥΚΑ. Φιλύκη, greco di Teofrasto (Storia delle piante V, 6, §2, VII, 7, §7), Ramnus alaternus (Alaterne) dei botanici. In Belon (Osservazione I, 16 e 42,  colonne 38 e 87) sul monte Athos si chiama Φιλύκα, a Corfù e a Creta Ἐλαίπρινος per il fatto che il colore delle foglie è tra quello dell’olivo e della quercia, inter ilicem et olivam, come dice Plinio (XVI, 26, §45).

3 Per esempio, nella tradizione manoscritta di Macrobio (V secolo),  Saturnalia, III, 20, 3.

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Un commento a La litirnara (l’alaterno), ovvero povero Plinio e povero Linneo!

  1. Ho appena letto con enorme piacere questa affascinante lezione di storia filologica e botanica. Oltre a ringraziare te, mi permetto di indicare che l’immagini non corrispondono a Rhamnus alaternus ma a Phillyrea latifolia (a foglie opposite, sia detto per inciso). Comunque, si tratta di una confusione abbastanza frequente tra noi botanici. Tanti auguri.

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