L’acchiatura (il tesoretto nascosto)

di Armando Polito

La voce è da acchiare=trovare,  secondo una collaudata tecnica di formazione, come, in italiano, montatura da montare. L’acchiatura, come il lettore anche non salentino può immaginare, è l’ingrediente privilegiato di racconti popolari i cui protagonisti sono spiriti avventurosi e spiriti tout court, intendo dire fantasmi, streghe, gnomi e simili che in alcuni casi favoriscono, per lo più impediscono il ritrovamento di un tesoro. Acchiatura è pure il nome di un fondo insistente nel territorio di Rudie e mai toponimo, forse,  fu più allusivo pensando al fatto che da quel fondo e dalle zone confinanti sono emerse in passato le testimonianze archeologiche dell’antica città e se ieri esso era legato alla speranza del cercatore in proprio dilettante  o su commissione di trovare il pezzo della vita, oggi il tesoro che esso evoca può rappresentare, qui come altrove,  il volano di una nuova economia, a sconfessare chi afferma (e dubito che lo faccia in buona fede, oltretutto perché la durata nel tempo del potere è direttamente proporzionale a quella dell’ignoranza dei sudditi …) che con la cultura non si mangia.

immagine tratta ed adattata da Google Maps
immagine tratta ed adattata da Google Maps
http://viverelecce.altervista.org/html/immaginimie/anfiteatro.jpg
immagine tratta da http://viverelecce.altervista.org/html/immaginimie/anfiteatro.jpg

Ma qual è l’etimo di acchiare? Prendo prima in esame singolarmente le proposte altrui a me note:

a) Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si scostano dal dialetto toscano, con alcune ricerche etimologiche sulle medesime degli Accademici Filopatridi, Porcelli, Napoli, 1789:  “ACCHIARE, voce già antiquata, ed in di cui luogo oggi asciare per trovare, discoprire. È corrotto dallo spagnolo  Kallar, che dinota lo stesso”.

Al di là del sovvertimento fonetico che qualsiasi corruzione può comportare, debbo dire che nello spagnolo (ho consultato i dizionari storici a partire dal 1729) non c’è traccia di kallar, ma esiste callar col significato di smettere di parlare, che nemmeno facendo salti mortali si potrebbe collegare semanticamente con trovare. Callar, per farla completa, è dal latino chalare=sospendere, a sua volta dal greco χαλάω (leggi chalào)=allentare, abbassare. È intuitivo, a questo punto, che la voce spagnola ha aggiunto il dettaglio integrativo  della voce al significato di base ed è intuitivo pure di chi è figlio l’italiano calare. Credo, comunque, che kallar vada letto hallar, che in spagnolo esiste, significa soffiare ed è dal latino afflare, che sarà messo in campo nell’ipotesi etimologica che segue.

b) Vocabolario del dialetto salentino di Gerard Rohlfs, Congedo, Galatina, 1976: “Latino *applare<afflare=soffiare, spirare”.

L’etimo proposto non mi convince anzitutto per motivi fonetici: l’esito cchi nel dialetto salentino è frutto di una ben precisa evoluzione che coinvolge pure l’italiano. Da un lato ècchiu (vecchio) che è dal latino tardo e popolare veclu(m), forma sincopata di un precedente *vèculu(m), a sua volta variante del classico vètulu(m), diminutivo di vetus; dall’altro rècchia (orecchia) da aurìcula(m) attraverso la forma sincopata *aurìcla(m). Insomma il gruppo cchi è frutto di tul o di cul; c’è, poi, un altro caso: quello di scucchiare=dividere, che  è figlio di un latino *excoplare, forma sincopata da *excopulare, composto dai classici ex (con valore privativo) e copulare (= accoppiare, unire): in questo caso, dunque, cchi nasce da pul. In tutti e tre i casi ricordati ricorre costantemente la sincope. Lo stesso non succede in *applare, variante (per giunta ricostruita) del classico afflare che non è certo risultato, per sincope, da un precedente *affulare. Insomma, ho l’impressione che il Rohlfs si sia lasciato condizionare troppo dall’etimo, per giunta malamente trascritto, dei Filopatridi.

Esso suscita poi (e il discorso vale, per quanto detto, per i Filopatridi e, a cascata, per il Rohlfs) maggiori perplessità sotto il profilo semantico, perché per poter immaginare un collegamento debbo pensare a questo processo: prima di trovare una cosa ci si deve avvicinare ad essa e il ritrovamento coincide con il primo alito (si spera non puzzolente …) che si posa sulla cosa dopo che era restata in pace per un tempo più o meno lungo.

Passo ora, per quel che può valere, alla mia proposta ed esordisco con la voce italiana che secondo me è l’esatto corrispondente formale e sostanziale di acchiare. La parola magica sarebbe occhiare, variante di basso uso per adocchiare. Comincio dall’etimo di quest’ultima: da un latino *adoculare, composto da ad=verso+(latino tardo) oculare=aprire gli occhi, vedere. Togliendo la preposizione ad mi rimane oculare che ha dato vita ad occhiare.

Sì, ma come spiegare la a- di acchiare contro la o- di occhiare? A Nardò (LE) occhiale è ‘cchiali (plurale), a Ostuni (BR) è acchialu (singolare), in dialetto napoletano il cannocchiale era, a pochi decenni dalla sua invenzione, acchiaro a cannuolo, come è attestato nel poema di Giulio Cesare Cortese (1570-1640) Lo Cerriglio ncantato, VI, 6, vv. 1-2: Ma da coppa a la Torre de Cerriglio/uno teneva l’acchiaro a ccannuolo.

Ad ogni buon conto sono consapevole che, forse, tutto questo non basta per farmi affermare ca aggiu ‘cchiatu l’acchiatura (che ho trovato il tesoretto che cercavo) …

 

 

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7 Commenti a L’acchiatura (il tesoretto nascosto)

  1. Sul seguente link è disponibile una mappa navigabile della zona archeologica di Rudiae ottenuta sovrapponendo la mappa del Bernardini (tratta da “La Rudiae Salentina”) alle mappe satellitari di Google.
    La zona dell’Acchiatura è al centro sul limitare dia Via San Pietro in Lama (Lecce-Gallipoli).

    http://www.cavone.com/rudiae.htm

  2. Splendida idea, anche se la realizzazione meriterebbe un perfezionamento tecnico. Mi spiego meglio: mentre si procede con lo zoom la mappa di Google mantiene una definizione accettabile, quella del Bernardini peggiora drammaticamente la sua, perché, evidentemente, viene ingrandita con interpolazione di pixels la stessa immagine di base. Sarebbe un peccato che un’idea così bella non venisse perfezionata, anche perché la procedura non dovrebbe essere complicata ma dovrebbe seguire il processo inverso: bisognerebbe, cioè, partire da un’immagine della mappa del Bernardini ripresa alla definizione più alta possibile e sovrapporla al corrispondente livello di zoom dell’immagine tratta da Google Maps. Con riduzione progressiva (che non comporta assolutamente perdita di definizione) verranno ricavate tutte le immagini intermedie che, sovrapposte volta per volta alla corrispondente di Google, forniranno i frames intermedi fino al primo, che costituirà nel montaggio l’inizio della zoomata, per così dire, sovrapposta e parallela.

    • Nel riconoscerle la priorità nella formulazione dell’ipotesi in oggetto (visto che ci tiene tanto) e pur comprendendo la sua felicità, mi preme, però, aggiungere che alla stessa ipotesi sono giunto indipendentemente dalla sua, che a suo tempo non ho avuto la fortuna di leggere. Può anche non credermi, ma per me è fondamentale, e non solo per onestà intellettuale, evitare qualsiasi rischio di accusa di plagio e nella fattispecie credo che le ragioni fonetiche da me addotte mi mettano tranquillamente al riparo, a parte l’asterisco che precede il mio *adoculare e che, non per lei, ma per i non addetti ai lavori, indica che la voce è ricostruita, cioè non attestata e, ancora più importante, la spiegazione della a- iniziale di “acchiare” contro “occhiare”.

  3. Da profano appassionato mi viene intuitiva l’assonanza e la vicinanza tra “acchiatura” e “cchiauto”(la cassa da morto). Una volta lessi uno dei possibili etimi di chiavuto, coinvolgeva il greco antico e l’arabo e in entrambi i casi aveva il significato di cassa o di scrigno (quindi non per forza vincolato al contenitore del cadavere). Cosa ne pensate di questa stravagante fantasia? Saluti amici da Elio di Lizzano.

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