Nardò. San Giuseppe e la fera ti li cumitati

di Marcello Gaballo e Armando Polito

Sgombriamo il campo, senza perdere tempo, da ogni possibile equivoco; i cumitàti, cioè gli oggetti di creta (dai vasi ai fischietti alle statuine del presepe), protagonisti, insieme con il santo, di una fiera un tempo attesissima da ogni famiglia per rinnovare soprattutto il corredo di stoviglie, non hanno niente a che fare con  comitati, voce alla quale il pensiero subito vola in un paese (e ci riferiamo all’Italia) che prolifera di delegazioni, commissioni e chi più ne ha più ne metta, le quali, dopo aver proliferato, prolificano poco, anzi, il più delle volte abortiscono (e forse è un bene, visti, quando ci sono, i risultati…).

Cumitàti è una di quelle parole che nel corso del tempo hanno subito un vero e proprio terremoto; e questo fenomeno, si sa, colpisce più violentemente le zone vicine all’epicentro, nel nostro caso Nardò.

Se paragoniamo la nostra voce ad un edificio lo troveremo perciò meno malridotto man mano che ce ne allontaniamo. Fuor di metafora, lo studio delle varianti è fondamentale per risolvere il problema etimologico che ci siamo appena posto.

interno del laboratorio “La Terracotta” di Gianpiero Indino a Lucugnano (Lecce)

Gli artigiani che lavorano la creta sono cumitàri a Manduria (Ta) e cotumàri a Latiano (Br); le stoviglie di creta sono per il Tarantino còmiti a Manduria e còtumi ad Avetrana; per il Brindisino còtime a Brindisi e a Francavilla Fontana, cuètimi a Carovigno; per il Leccese còtume a Gagliano, cotime a Castro, Gallipoli, Minervino, Maglie, Otranto, Sogliano, Tricase, Ugento, còtimi a Novoli, Taurisano, Vernole, còtame a Galatina; còtimu a Salve, còtima a Calimera, a Lucugnano e a Zollino.

Tutte le voci precedenti designanti le stoviglie sono secondo il Rohlfs da un greco dialettale *kòtumon.

interno del laboratorio “La Terracotta” di Gianpiero Indino a Lucugnano

Le voci ricostruite ma delle quali non esiste attestazione rappresentano per il filologo l’ultima spiaggia, in attesa che qualche fortunato ritrovamento testuale (proprio come succede, con risvolti più ampi, in archeologia) confermi la sua ipotesi di lavoro. Crediamo che in questo caso per la conferma  non bisogna neppure attendere: l’etimo ce lo suggerisce una parola di uso corrente nel greco classico:  kotùle, che ha il significato di piccolo vaso, tazza, coppa e indica pure un’unità di misura corrispondente circa a un quarto di litro; kotùle, a sua volta, è diminutivo di kottìs o kotìs=testa.1  

È indubbio che ci sono rapporti strettissimi tra il ricostruito *kòtumon e l’attestato kotùle, ma altrettanto chiaro che bisognerebbe, poi, rendere conto del passaggio –l->-m-; kotìs, che è il padre di tutti, ci toglie d’un sol colpo da ogni difficoltà se pensiamo che il suffisso –mos/mon3 in greco è frequentissimamente usato per conferire al nuovo vocabolo (aggettivo o sostantivo che sia) un rapporto di affinità con la voce di base4. Dunque non un *kòtumon che nasce come voce indipendente ma come figlio di kotìs grazie all’aggiunta del suffisso –mon.

interno del laboratorio “La Terracotta” di Gianpiero Indino a Lucugnano

A questo punto è chiarissimo che cumitàri di Manduria è forma aggettivale sostantivata da *kòtumon e che il cotumàri di Latiano è derivato per metatesi dalla voce di Manduria attraverso la trafila cumitàri>*cutimari>cutumàri.

Ancora più chiaro, poi, a questo punto, che il neritino cumitàti è deformazione di deformazione, forse per influsso di comodo (già presente nel còmiti di Manduria) e, forse, pure con un ulteriore passaggio per metonimia dall’artigiano al suo prodotto.

 

interno del laboratorio “La Terracotta” di Gianpiero Indino a Lucugnano

 

Gianpiero Indino di Lucugnano (Lecce), uno degli ultimi artigiani della terracotta, nel suo laboratorio
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3 Commenti a Nardò. San Giuseppe e la fera ti li cumitati

  1. Belle ed interessanti queste ricerche etimologiche di parole che ormai vanno sparendo e che spesso i giovani neanche più conoscono.In realtà il vernacolo è una lingua parallela che ha tutta la sua dignità linguistica, trova fondamento nelle radici storiche più lontane e rappresenta anch’essa la nostra identità culturale e le nostre radici, da non sradicare, ma valorizzare e conservare.

    • Approfitto del suo gioco di parole per osservare, a beneficio soprattutto dei non salentini, che esso è basato solo sull’assonanza e non su una figura etimologica. Per l’etimo di “cutulare”, infatti, di cui “còtula” è la prima persona singolare del presente indicativo, rinvio alla nota n. 8 del post leggibile in https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/08/17/sul-termine-naca-la-culla-dei-nostri-avi/. Il predetto gioco di parole, poi, comporta anche un incrocio con il nesso “cutulare la cota”=scodinzolare. Faccio ancora a tal proposito notare che opportunamente il sig. Giulio ha lasciato senza accento “cotula” (il che obbliga a leggere “cotùla”) proprio perché un “còtula” (che, peraltro, a quanto mi risulta, non esiste nel salentino) sarebbe stato un diminutivo del citato “coda”.

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