Una conversazione a cinque su olio extravergine di oliva e olio lampante

Anche l’olio di oliva lampante del Salento leccese è usato per le frodi?

di Antonio Bruno

Mentre il dibattito sull’olio lampante del Salento leccese continua, il Nucleo agroalimentare del Corpo forestale dello Stato, a seguito di una lunga indagine iniziata nel settembre del 2010 e finalizzata a verificare la filiera di qualità dell’olio extravergine di oliva, hanno riscontrato, presso diversi stabilimenti di confezionamento a Firenze, Reggio Emilia, Genova e Pavia documenti di trasporto falsificati utilizzati per regolarizzare una partita di 450mila chilogrammi di olio extravergine di oliva destinata ad essere commercializzata, per un valore di circa 4 milioni di euro.

L’ipotesi degli investigatori è che i documenti siano stati contraffatti per ingannare sulla vera natura del prodotto che, secondo la Procura di Firenze, conterrebbe olio di oliva deodorato, di bassa qualità e dal valore commerciale tre volte inferiore a quello etichettato come extravergine.

La deodorazione è un’operazione di rettifica dell’olio di oliva che consente di trasformare oli di oliva non commestibili di scarsa qualità in oli di oliva senza difetti, ma che una volta subito questo trattamento non possono più essere commercializzati come oli di oliva extravergine. Questa pratica illecita diventa quasi obbligatoria quando passa molto tempo tra la raccolta dell’oliva e la sua trasformazione, visto che potrebbero insorgere fermentazioni dannose alla qualità del prodotto, o in caso di super-maturazione delle olive o ancora nei casi di cattiva conservazione delle stesse.

La Procura di Firenze, che sta svolgendo indagini approfondite su una nota azienda estera proprietaria dal 2005 di alcuni importanti marchi italiani di olio extravergine di oliva per accertare i reati di frode in commercio e di falso materiale, ha chiesto di effettuare accertamenti analitici idonei a verificare la vera natura del prodotto nell’ambito dell’udienza di incidente probatorio del 15 marzo prossimo.

Un nuovo metodo diagnostico, recentemente acquisito dal Consiglio oleicolo internazionale (Coi), consente di accertare, attraverso la presenza del livello di alchil esteri nell’olio, la deodorazione del prodotto che così spiegherebbe la manomissione dei documenti e la presenza di alcune sostanze all’interno dell’olio che non dovrebbero essere presenti in concentrazioni tali in un olio di qualità.

Proprio di recente l’Unione europea ha stabilito un limite per la concentrazione degli alchil esteri fissando delle soglie massime, superate le quali un olio non potrà essere etichettato come extravergine, a garanzia della qualità del prodotto e dei consumatori europei.

I limiti introdotti prevedono che un extravergine è tale se la somma degli esteri etilici e metilici da acidi grassi è inferiore a 75 milligrammi per chilo. L’introduzione di tali parametri chimici consentirà di scoprire se il tipico condimento mediterraneo è genuino oppure se è stato ottenuto da olive di scarsa qualità o se è stato miscelato con oli deodorati.

La Dott.ssa Jolanda De Nola Buyer dell’olio salentino, con grande capacità di gestione, commerciale e di innovazione e con forte personalità e competenze tecniche ha scritto:

Gentile Antonio,

innanzitutto ti ringrazio per tenere sempre vivo il dibattito e la circolazione di informazioni sul comparto olio e agricoltura del nostro Salento.

Mi permetto di scrivere in merito all’argomento della centrale a biomassa in quanto di centrale interesse per la nostra economia.

Vedo con immensa tristezza che ancora una volta non abbiamo capito nulla.
L’obiettivo principale dovrebbe essere valorizzare LA QUALITA’, e non svilirla.
Il Salento e tutta la Puglia hanno le potenzialità per diventare protagoniste delle migliori produzioni mondiali di olio extravergine di oliva, per qualità e quantità. Ma gli interessi politici, economici e mafiosi portano sempre in direzioni diverse.

Il Salento potrebbe e dovrebbe vivere solo di turismo e olio extravergine di oliva.

L’olio extravergine di oliva di può vendere al giusto prezzo solo se i contadini diventeranno IMPRENDITORI, quindi bisognerebbe puntare sul ricambio generazione per far rifiorire l’olivicoltura.

Questo si può fare. Si può fare. Si può.

Ma questo non interessa a chi da sempre gestisce il comparto per i propri interessi personali.

A chi converrà produrre olive per produrre energia? che tristezza, che dolore, siamo custodi da secoli della produzione dell’alimento più nobile a antico della dieta mediterranea, l’oro liquido dei greci e dei romani, e oggi noi pensiamo di farne solo energia bruciandolo.

Che tristezza…che bassezze, scendiamo sempre più in basso.

Ecco quello che sappiamo fare invece di promuovere la ricerca, lo sviluppo dello studio universitario sull’olio extravergine di oliva e le sue immense proprietà nutrizionali e salutistiche, tutto il mondo ci invidia questa meraviglia, e noi invece di investire sulla promozione, sullo sviluppo, sul marketing di prodotto, cosa facciamo??? lo vogliamo bruciare…

Lo sviluppo porterebbe cultura e conoscenza, e questo significa capacità di decidere e comprendere…arma pericolosa per chi invece vuole dominare l’ignoranza.

Bene, nient’altro da dire, solo una grande tristezza.

Jolanda

Oreste Caroppo Presidente de “La Rinascita del Salento”, movimento aderente alla rete del Coordinamento Civico ha scritto:

Grazie al Centro Studi Agronomi per aver dato voce all’importante acceso dibattito, inevitabilmente carico di indignazione della gente che ama il sud della Puglia, che si sta sviluppando in tutto il territorio, sul tema del degrado del nostro settore olivicolo a seguito dell’ipotesi strumentale dell’impiego come biomassa del nostro olio d’oliva salentino, al fine della creazione di grosse centrali a biomasse oleose nel Salento!
E’ la longa manus della mala Green Economy Industriale, che dopo aver tentato di danneggiato il nostro paesaggio, con deserti artificiali di pannelli fotovoltaici e mega pale eoliche, a fini di frode statale e di speculazione ai danni delle tasche dei cittadini, ora vuole fiaccare anche quanto di più prezioso abbiamo dalla nostra terra, l’olio d’oliva, dopo aver già proposto di far biomassa legnosa dalle ramaglie, nascondendo la necessità invece di impiegarne una parte almeno per fare compost in luogo, triturandole in loco sui terreni, al fine di evitare il ricorso massiccio a fertilizzanti di sintesi, necessario se tutta la biomassa di apparente scarto, viene asportata dai terreni!
Così, costringendo all’uso, comunque innaturale, dei fertilizzanti di sintesi, spezzando i cicli rigenerativi della stessa campagna, a ben vedere nei bilanci globali della CO2 fossile che vengono presentati vi è una voce che manca! Quanto costa in termini di CO2 fossile immessa in atmosfera la produzione dei fertilizzanti chimici, il loro trasporto nei campi, la loro diffusione in essi, ecc.?
Tutto fa vedere quanto sia menzognera e strumentale la favola dei benefici per il clima posta a fondamento mistificatorio della follia pugliese delle energie verdi in forme industriali sempre e comunque di grave impatto ambientale!
Ma al di là di questo, perché ricorrere a fertilizzanti chimici quando sono le stesse colture che con gli scarti si autoproducono compost fertile per i loro apparati radicolari!? Non lo si riesce a comprendere osservando tutto ciò in una prospettiva di “buona fede”!
Ora, con la scusa dei fuochi accesi nei campi dai contadini, si son giustificati inceneritori di biomasse ramaglie, ed in realtà anche rifiuti, a fini termoelettrici, di potenze fino ad 1MW, quando bastava un’ordinanza dei sindaci per vietare quei fuochi inutili fumosi ed indiscriminati nei campi, ed invitare i contadini a triturare le ramaglie e altri scarti in loco, al fine di farne compost. Non a caso nel mercato vi sono biotrituratori che triturano e spargono sminuzzati scarti vegetali e organici in generale sui suoli, che in piccolissime pezzature vanno incontro a rapidissimi processi di compostaggio naturale al suolo. Ordinanze che ora occorre chiedere, in sostituzione di quelle che obbligano al conferimento delle ramaglie nelle centrali a biomasse! Spezzando l’alimentazione di queste nocive centrali industriali, cioè volte alla vendita dell’energia prodotta e non all’autoproduzione ed autoconsumo dell’energia elettrica, ridimensionando esponenzialmente il ricorso all’uso di fertilizzanti chimici di dubbia salubrità, e garantendo sempre e comunque la filiera del legno da potatura per i camini domestici, sacri fuochi familiari, e per la produzione del pellet! Serviva alimentare queste centrali a biomasse solide con scarti locali, secondo la filiera corta, quale allora migliore trovata delle ramaglie e degli scarti di potatura dei prossimi uliveti per giustificarne l’autorizzazione spiegando che si sarebbe eliminato il problema dei fuochi nei campi! Problema risolto portando tutta la biomassa in uno stesso luogo, magari alle porte di una città e accendendo lì nelle fornaci di quell’industria elettrica un fuoco perenne, 24 ore su 24! Questa l’hanno chiamata soluzione ecocompatibile! Ma allora non era meglio lasciar accendere quei fuochi sparsi nei campi che diluivano i fumi anziché concentrarli tutti a danno di una comunità?!

Così, in questa macchina mefistofelica di strumentalizzazioni e mistificazioni, oggi, se notate, l’olio d’oliva si vuole impiegare per grosse centrali di potenza superiore al MegaWatt!
Perché? Perché la legge della “filiera corta” intervenuta da alcuni mesi, vieta di bruciare biomasse a fini energetici che non siano prodotte nel raggio di 70 km. Questo ha tagliato le gambe agli imprenditori, legati trasversalmente con diversi partiti politici e con lobby di potere poco chiare, che avevano progetti per grosse centrali a biomasse oleose in cui bruciare oli di importazione. La trovata dell’uso dell’unico olio in abbondanza prodotto già nel raggio di 70 km nel Grande Salento, l’olio d’oliva, permetterebbe di dimostrare subito che esiste già una filiera locale di approvvigionamento di queste centrali, e favorirebbe oggi l’ottenimento delle autorizzazioni!
Insomma, la problematica non è complessa, le trame non sono invisibili, sono solo artatamente nascoste, ma una volta comprese … in una sorta di voltastomaco sociale il problema si è comunque già risolto, e la razionalità, la chiarezza e la moralità ispirata dal bene comune inscindibile dal bene per l’ambiente, per la natura e la vita, fa tornare a trionfare la verità ed la giustizia!

La Mala della Green Economy Industriale ora vuole pure bruciare tutto l’olio d’oliva del Grande Salento per fare costruire lucrose speculative e nocive centrali a biomasse oleose !
E’ una setticemia di corrotti, che per frodare Stato e citta…dini al contempo, corrompono tutto il nostro tessuto socio-politico-economico, strumentalizzando e calpestando al contempo l’ “ecologia”!

Alessandria Isernia  ha scritto:
L’impianto utilizzato per trasformare gli oli vegetali in energia è identico ad un grande motore diesel (come quelli usati per le navi). Ergo in un motore diesel non possono essere bruciati “gusci di noci e nocciole e scarti agricoli essiccati oltre a mais, arachidi derrate andate a male comprese le bucce degli agrumi essiccate che contengono alcool fatte macerare e mischiate all’olio lampante”. O forse lei auspica che accanto alla centrale a biomasse liquide (antieconomica e poco ecologica) sorga anche un inceneritore di biomasse solide?
La combustione è certamente il metodo più diretto per ottenere energia dalla materia, ma esistono anche altre modalità più ecologiche e più efficaci per ottenere energia dagli scarti organici: si chiama biodigestione. Attraverso un processo naturale di fermentazione anaerobica della materia si ottiene un gas da cui si estrae il metano, la cui combustione ha una resa energetica di gran lunga superiore a quella della biomassa oleaginosa, e un impatto in termini di emissioni molto più contenuto. La massa che rimane dopo la fermentazione (il cd. digestato) viene sottoposta ad ulteriore fermentazione, questa volta aerobica, per essere trasformata in compost.

Antonio Crescente ha scritto:
Lei li chiami come vuole, inceneritori, caldaie, motori, ma oggi le tecnologie sono alternative e si compensano tanto è vero che si parla di ibrido ed in un investimento del genere è sottointeso che il produrre energia da fonti alternative fa… si che la risorsa possa essere piu di una, complementare o alternativa che sia. L’importante che si produca energia in modo competitivo (sia chiaro) tanto è vero che lei riconosce che qualche elemento esiste gia in materia, e la vedo anche un po competente, ma se non altro è che affianco non possa nascere una cooperazione tra università e laboratori di ricerca su nuove miscele di combustibili, metodi e tecnologie e che la Puglia non possa essere pioniera nel campo. Forse lei un po’ politicizzata ne fa una polemica; bene accette sono le osservazioni costruttive ed anche critiche, ma molte volte bisogna guardare oltre il muro.
Alessandria Isernia  ha scritto:

Spero che convenga con me sul fatto che produrre energia in modo competitivo significa soprattutto produrre energia in modo sostenibile.
Sostenibile sia per quel che concerne l’aspetto economico che per quello ecologico. Ora, produrre olio lampante comporta l’utilizzo di notevoli risorse in termini di lavoro ed energia. Ha senso destinare questo prodotto come combustibile per produrre altra energia? E’ antieconomico.
Se poi si considera che l’olio lampante non è uno scarto ma un prodotto che una volta rettificato (se sbaglio, prego gli esperti agronomi che leggono di correggermi) viene utilizzato per gli alimenti conservati sott’olio e dunque ha una sua precisa collocazione sul mercato, la non praticabilità di questa scelta appare ancora più evidente.
Ancora, se consideriamo che, come è stato già detto prima di me dagli esperti certamente più competenti, destinare il lampante ad usi energetici indurrebbe gran parte degli olivicoltori a produrre esclusivamente lampante perchè più conveniente, con conseguente diminuzione della produzione di vergine ed extravergine e di fatto la scomparsa del Salento dal mercato dell’olio d’oliva alimentare.
La produzione per uso no food inoltre comporterebbe certamente meno restrizioni nell’uso di prodotti chimici il che comporta un determinato impatto ambientale.
Le risorse ambientali sono il primo patrimonio da tutelare, se queste sono compromesse non si può produrre un bel niente.
Invece che incentivare il lampante come fonte rinnovabile, si incentivi l’olio extravergine come fonte di vita!

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