Volti delle donne di un tempo

Spettacolo teatrale “Volti delle donne di un tempo”

Sabato 21 settembre, ore 21 – Chiesa di S. Ambrogio della Vittoria,

Via Spagliardi, Parabiago (MI)

volti

L’U.N.C.I. (Unione Nazionale Cavalieri d’Italia) – Sezione Provinciale di Milano, in collaborazione con l’Associazione Regionale Pugliesi di Milano e l’Associazione “Fabbrica di Sant’Ambrogio”, con il patrocinio della Regione Lombardia, la Provincia di Milano e la Città di Parabiago (MI)  promuove lo spettacolo teatrale “Volti delle donne di un tempo”, scritto e diretto da Paolo Rausa.

Tratto dalla raccolta di racconti “Volti di carta, Storie di donne del Salento che fu” di Raffaella Verdesca, rappresenta attraverso la storia di 6 donne esemplari, vissute fra le due guerre e nel periodo postbellico, il percorso faticoso delle donne del sud per emanciparsi dalla fatica, dalla violenza e dalle intimidazioni, alle quali queste donne coraggiose rispondono con determinazione e grande dignità. Questi esempi rappresentano le donne  mediterranee e in particolare del nostro Sud, il Salento, la “Porta d’Oriente” come lo definisce l’autrice di questa raccolta di racconti che possiamo definire una vera e propria epopea.

Sono ritratti i volti vivi di Vincenzina, operaia in una fabbrica di tabacco, di Nunziata, moglie di emigrante, di Teresina, contadina violata nel corpo e nello spirito, di Immacolata, curiosa e desiderosa di apprendere la cultura diversa degli ebrei, sfuggiti alla deportazione e che trovano al sud un momentaneo luogo di pace in attesa di raggiungere la terra promessa, di Uccia la mammana, che vive donando la vita e alla fine viene premiata con una vita trovata e adottata, e infine di Caterina, resa vedova per una diagnosi sbagliata, mortale per il marito, e che ora non si dà pace e lavora giorno e notte per assicurare il cibo e un futuro ai figli.

Donne di un tempo, ma che ritroviamo nelle tante donne acrobate di oggi che lottano per la vita nel nostro Sud e nel Mediterraneo, discriminate e oggetto di violenza, ma imperterrite nell’affermare il diritto al lavoro, all’istruzione e agli affetti.

Lo spettacolo è stato presentato in prima assoluta il 26 dicembre 2012 alla Casa di Riposo “Capece” di Nociglia (Le) in versione ridotta e successivamente la notte del 31 dicembre, ovvero alle 5 di mattina del 1° gennaio 2013, in versione completa al Faro della Palascìa (Otranto) nell’ambito della manifestazione l’Alba dei Popoli, organizzata da Legambiente in collaborazione con il Comune di Otranto, l’8 di marzo al Palazzo della Cultura di Poggiardo (Lecce), il 12 marzo allo Spazio Oberdan-Cineteca Italiana di Milano, l’11 agosto a Parabita (Le), nella piazza centrale del paese, e il 15 settembre a Biella.

Lo spettacolo è dedicato all’attrice di teatro Franca Rame (Villastanza di Parabiago, 18 luglio 1929 – Milano, 29 maggio 2013), di cui verrà letto al termine dello spettacolo il monologo “Lo stupro”.

L’ingresso è gratuito fino ad esaurimento posti.

                                                                                       Il regista Paolo Rausa

Info: U.N.C.I., www.unci.parabiago.it, unci@unciparabiago.it, tel. 0331551976; Associazione Regionale Pugliesi di Milano, www.arpugliesi.com, 3474024651; Associazione La Fabbrica di Sant’Ambrogio, tel. 3387576502-3384845157; www.italia-express.it, paolo.rausa@gmail.com, 3343774168.

Volti delle donne di un tempo, a Parabita

Spettacolo teatrale “Volti delle donne di un tempo”

Domenica 11 agosto, ore 21,30 – Piazza Umberto I, Parabita (Le)

 

Volti di donne_Locandina_Parabita copia

Il Comune di Parabita (Le) in collaborazione con l’Associazione ‘emergenze sud – cantieri culturali aperti’ di Parabita e l’Associazione Regionale Pugliesi di Milano  promuove lo spettacolo teatrale “Volti delle donne di un tempo”, scritto e diretto da Paolo Rausa.

Tratto dalla raccolta di racconti “Volti di carta, Storie di donne del Salento che fu” di Raffaella Verdesca, rappresenta attraverso la storia di 6 donne esemplari, vissute fra le due guerre e nel periodo postbellico, il percorso faticoso delle donne del sud per emanciparsi dalla fatica, dalla violenza e dalle intimidazioni, alle quali queste donne coraggiose rispondono con determinazione e grande dignità. Questi esempi rappresentano le donne  mediterranee e in particolare del nostro Sud, il Salento, la “Porta d’Oriente” come lo definisce l’autrice di questa raccolta di racconti che possiamo definire una vera e propria epopea.

Sono ritratti i volti vivi di Vincenzina, operaia in una fabbrica di tabacco, di Nunziata, moglie di emigrante, di Teresina, contadina violata nel corpo e nello spirito, di Immacolata, curiosa e desiderosa di apprendere la cultura diversa degli ebrei, sfuggiti alla deportazione e che trovano al sud un momentaneo luogo di pace in attesa di raggiungere la terra promessa, di Uccia la mammana, che vive donando la vita e alla fine viene premiata con una vita trovata e adottata, e infine di Caterina, resa vedova per una diagnosi sbagliata, mortale per il marito, e che ora non si dà pace e lavora giorno e notte per assicurare il cibo e un futuro ai figli.

Donne di un tempo, ma che ritroviamo nelle tante donne acrobate di oggi che lottano per la vita nel nostro Sud e nel Mediterraneo, discriminate e oggetto di violenza, ma imperterrite nell’affermare il diritto al lavoro, all’istruzione e agli affetti.

Lo spettacolo è stato presentato in prima assoluta il 26 dicembre 2012 alla Casa di Riposo “Capece” di Nociglia (Le) in versione ridotta e successivamente la notte del 31 dicembre, ovvero alle 5 di mattina del 1° gennaio 2013, in versione completa al Faro della Palascìa (Otranto) nell’ambito della manifestazione l’Alba dei Popoli, organizzata da Legambiente in collaborazione con il Comune di Otranto, l’8 di marzo al Palazzo della Cultura di Poggiardo (Lecce) e il 12 marzo allo Spazio Oberdan-Cineteca Italiana di Milano.

L’ingresso è gratuito fino ad esaurimento posti.

Poggiardo. Quei “volti di carta” emergono quieti dal Novecento

poggiardo volti chiarello
ph Antonio Chiarello

di Francesco Greco

Quei “volti di carta” emergono quieti dal Novecento, da un passato perduto, ma non nei valori che invece sono immortali. Arrivano a noi, nell’epoca dell’hashtag, con dolcezza, ma anche la grande forza dialettica del loro vissuto. E ci raccontano storie che oggi che la trasmissione della memoria è soffocata dalla perfida gramigna della tv-spazzatura e dai suoi squallidi mèntori, mestatori di un feticismo che si trasfigura in patologia della contemporaneità. “Guai se li dimenticassimo, se non attribuissimo a queste storie la giusta considerazione: a quelle donne dobbiamo tutto…”, ammonisce il regista Paolo Rausa: è nato a Poggiardo (Lecce) ma vive a Milano.

Un 8 marzo modulato sul filo della memoria quello che ha avuto luogo a Poggiardo (Palazzo della Cultura) davanti a un pubblico in prevalenza femminile, coinvolto, emozionato. La compagnia teatrale “In Scena!” ha riproposto “Volti delle donne di un tempo”, liberamente tratto da “Volti di carta” (Storie di donne del Salento che fu), dalla scrittrice salentina (nata a Copertino, nel Leccese, vive in Calabria, ha casa a Roma) Raffaella Verdesca, che presenzia sempre alle rappresentazioni del suo testo in cui è riuscita a catturare l’anima segreta di un tempo….

La sua gallery di donna è un “caso” editoriale: grazie anche alle presentazioni qua e là il libro, pur edito da una piccola casa editrice, la “Albatros”, vende senza tregua. E a ogni replica, le emozioni si rinnovano, anzi, si moltiplicano, come sempre accade quando c’è sintonia fra un testo e chi lo assimila e lo propone, all’insegna della poesia con la “p” maiuscola. La narratrice irrompe in scena, apra la sua enorme valigia colma di foto in bianco e nero: il vento le sparge nell’aria, cadono qua e là… E le storie delle sei donne-archetipo prendono vita. Vincenzina è quinta di dodici figli, la chiamano “la Moretta”, ha la pelle bruna e i capelli scuri “come una spremuta di uva nera”. “La prima cosa che ho imparato nella vita è di crescere alla svelta…”. Infatti la madre la chiama alle 3 perché deve andare a lavorare alla “frabbica”(così nel “secolo breve” chiamavano i magazzini dove si lavorava il tabacco selezionando le foglie: Perustiza, Erzegovina, Xanti-Iaca…

Portata dalle note grike intrise di nostalgia dovuta alla lontananza di “Encardia andra mou paei” (Franco Corlianò), arriva Nunziata: è una “vedova bianca”, è rimasta sola e sta scrivendo una lettera che affiderà alla rondinella al marito che vive lontano, alla “Merica”, dove lavora in una fabbrica di ferro: “Ci siamo sposati in fretta – confida con qualche errore di grammatica alla carta – non abbiamo avuto neanche il tempo di conoscerci meglio, intendo anche  carnale… Mi ammazzo di fatica per portare avanti il forno e per badare a tua madre… Marito mio vieni presto che non mi fito più resistere lontana di te”.

Teresina invece lavorava nei campi la terra del barone don Ignazio, che un giorno l’ha violentata come un animale e ora vorrebbe il bambino che è nato. La lusinga: “Se mi dai il bamnbino, non ti farò mancare nulla, e neanche alla tua famiglia. E poi ti troverò qualcuno che sarà disposto a sposarti!”. Ma lei, donna fiera e orgogliosa, si accaserà con Marcello, vedovo (“Serafina se l’è portata via una polmonite fulminante”) con due bambini piccoli, reduce dalla guerra “brutta storia!”.

Immacolata è una “fanciulla semplice e curiosa” che vive davanti al mare di Nardò, quando un giorno vede arrivare camion carichi di profughi ebrei. La gente accoglie gli stranieri con “malumore e diffidenza”. Fra di loro c’è Efrem: “Bello il mare… Questa terra, dove tutto luccica di un bianco splendente, è benedetta dal Signore, è Barakà…”. Lui le fa conoscere la cucina yddish (dall’hummus, antipasto con salse al sesamo, alla melanzana e ai ceci, all’harrosset, impasto di fichi, melograno, mele, datteri, noci e vino rosso), lei vermicelli col baccalà, rape e fichi secchi con le mandorle). “Credo che tutte le religioni del mondo nascono dall’amore”, filosofeggia lei, e lui, innamorato: “Quando l’uomo pensa, Dio sorride”. Si sposarono vicino al mare, che mandava il suo augurio: “Shalom! Pace!”.

E poi la storia di Uccia Capirizza, la mammana (levatrice) che un giorno d’inverno aiuta una ragazza a partorire sotto un ulivo, va in paese a chiedere aiuto, torna e la puerpera non c’è più: così diventa mamma a 50 anni chiamando Futura “la creatura che il destino mi aveva fatto incontrare”. Infine Caterina, vedova “bella e altera” (“il suo volto non era sfiorito con gli anni e il corpo era ancora vigoroso… ma il cuore era addolorato per la perdita del marito” Vincenzo, a 56 anni: diagnosi sbagliata, malasanità). Tutti i maschi del paese “sguardi pieni di desideri”, ma lei cresce da sola quattro figli facendo la sarta giorno e notte: “Ora che i miei figli si sono affermati nella società, posso dire di essere orgogliosa di quello che ho fatto e spero che anche loro lo siano di me… una donna e madre che ha lottato per la sua dignità”.

La chiave di lettura del testo e dello spettacolo è quindi multiforme: storica, antropologica, sociale, ecc. E’ anche qui la ragione del successo con cui viene accolto: prossima tappa della tournèe ad aprile a Lecce. Recitano Rosaria Pasca, Maria Orsi, Florinda Caroppo, Ninetto Cazzatello, Norina Stincone, Francesco Greco, Cinzia Carluccio, Tiziana Montinari, Michele Bovino, Lucia Minutello che con pasquale Quaranta (P40) cura canzoni e musiche. Un 8 marzo da ricordare, a futura memoria.

Raffaella Verdesca e i suoi Volti di carta, oggi a Copertino

Copertino, Piazza Umberto, ore 18

8 Marzo 2013 – Volti di carta

Ornella Castellano dialoga

con l’autrice Raffaella Verdesca

La raccolta “Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu” è composta da venti racconti ispirati alla vita del popolo salentino nel secolo scorso.

Le fatiche e i sogni di contadini, vedove, soldati e gente comune vengono filtrati dalla sensibilità femminile, quella delle protagoniste, soggetti in primo piano o talvolta echi di sottofondo a vicende che un tempo scandirono la vita tanto nei centri rurali del tacco italico quanto nel resto della nazione. S’intrecciano folclore e storia dando vita a spennellate d’ingenuità contadina e di profonda saggezza umana. Il riscatto e l’emancipazione risiedono nelle mani delle donne, continua a pensare qualcuno ancora oggi, e le storie custodite in questo libro gliene danno piena conferma mettendo in luce il coraggio di mogli, sorelle, figlie e madri capaci di addolcire la brutalità delle ingiustizie e dei sacrifici con la forza del proprio essere culla di vita. E’ proprio questo prezioso messaggio di positività e coraggio che le donne portano in sé a trasformare la fine in un nuovo inizio, la sciagura in insegnamento e il dolore in dignità.

Non manca tra i righi il tocco poetico dei canti popolari, è particolarmente curato il divertimento nato dai paradossi, dalla semplicità dei personaggi, è vitale il tratteggio di personalità capaci di respirare anche a libro chiuso.

Se da una parte si lavora a sdrammatizzare, dall’altra si lascia intatto il lirismo del dolore e la sacralità della conoscenza, quella di chi deve lottare per sopravvivere e vivere per conquistarsi sereno e onore: le nostre radici sono l’assicurazione migliore sui nostri frutti.

Motivazioni

Da una valigia piena di vecchie fotografie e ricordi, salta fuori l’idea di raccontare storie utili a restituirci il valore del passato rivalutando quello del presente.

In questa raccolta si è lasciata la parola al Salento e ai ritratti che delle sue genti portano alla luce momenti di vita e voci di donna capaci di raccontarla.

Il periodo storico che fa da sfondo al libro è quello attorno alle due guerre, momento importante per enfatizzare la forte volontà popolare di ricostruzione dei princìpi e dei sentimenti contro il caos della miseria, della violenza e del sopruso sempre perpetrato ai danni dei più deboli.

Le donne di “Volti di carta”, all’apparenza parte integrante di quest’ultima categoria, raccontano invece gioie e dolori con l’integrità di un Titano, pronte a chiarirci gli orizzonti del nostro essere.

Siamo tutti figli di una madre e da questa abbiamo ricevuto e imparato la vita, la stessa che qui si cerca di non far dimenticare e soprattutto di fare amare secondo i giusti meriti.

 

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ph. Stefano Crety

Verdesca Raffaella è nata a Lecce e qui ha conseguito il diploma di maturità classica proseguendo poi i suoi studi pressola Facoltàdi Medicina e Chirurgia di Pisa.

Ha pubblicato i romanzi Chandra Mahal (Il Filo, 2005) e Deliri di una verità (Gruppo Albatros Il Filo, 2010) e le raccolte dei racconti All’ombra dell’Arca (Il Filo, 2007), Racconti per ridere- La lisca (Gruppo Albatros Il Filo, 2010) e Volti di carta- Storie di donne del Salento che fu (Gruppo Albatros Il Filo, 2012).

 

Scheda del libro:

Autore: Raffaella Verdesca

Titolo dell’opera: “Volti di carta – Storie di donne del Salento che fu

Editore: Gruppo Albatros Il Filo

Anno di stampa 2012

Formato: 21x14cm – 171 pagine

Numero illustrazioni: 26. Prezzo: 12 Euro.

Prefazione di Pier Paolo Tarsi. Patrocinio della Fondazione Terra d’Otranto

Cod  ISBN 978-88-567-5710-1

Il libro può essere ordinato all’indirizzo mail ordini@ilfiloonline.it  e in qualsiasi libreria italiana fornita da PDE.

 

Poggiardo, Volti delle donne di un tempo

Venerdì 8 marzo 2013 ore 20.30

Palazzo della Cultura 

Poggiardo

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Con lo spettacolo teatrale “Volti delle donne di un tempo”, scritto e diretto da Paolo Rausa, l’Amministrazione comunale di Poggiardo, con la Consigliera alle Pari Opportunità, e in collaborazione con l’Associazione regionale pugliesi di Milano, celebra la ricorrenza dell’8 marzo presso il Palazzo della Cultura di Poggiardo.

Tratto dalla raccolta di racconti “Volti di carta, Storie di donne del Salento che fu” di Raffaella Verdesca, rappresenta attraverso la storia di 6 donne esemplari, vissute fra le due guerre e nel periodo postbellico, il percorso faticoso delle donne del sud per emanciparsi dalla fatica, dalla violenza e dalle intimidazioni, alle quali queste donne coraggiose rispondono con determinazione e grande dignità. Questi esempi rappresentano le donne mediterranee e in particolare del nostro Sud, il Salento, la “Porta d’Oriente” come lo definisce l’autrice di questa raccolta di racconti che possiamo definire una vera e propria epopea.

Sono ritratti i volti vivi di Vincenzina, operaia in una fabbrica di tabacco, di Nunziata, moglie di emigrante, di Teresina, contadina violata nel corpo e nello spirito, di Immacolata, curiosa e desiderosa di apprendere la cultura diversa degli ebrei, sfuggiti alla deportazione e che trovano al sud un momentaneo luogo di pace in attesa di raggiungere la terra promessa, di Uccia la mammana, che vive donando la vita e alla fine viene premiata con una vita trovata e adottata, e infine di Caterina, resa vedova per una diagnosi sbagliata, mortale per il marito, e che ora non si dà pace e lavora giorno e notte per assicurare il cibo e un futuro ai figli.

Donne di un tempo, ma che ritroviamo nelle tante donne acrobate di oggi che lottano per la vita nel nostro Sud e nel Mediterraneo, discriminate e oggetto di violenza, ma imperterrite nell’affermare il diritto al lavoro, all’istruzione e agli affetti.

Lo spettacolo vede la partecipazione di Rosaria Pasca, Norina Stincone, Florinda Caroppo, Francesco Greco, Maria Orsi, Paolo Rausa, Ninetto Cazzatello, Tiziana Montinari, Cinzia Carluccio, Michele Bovino e Lucia Minutello; musiche e canzoni di P40 e Lucia Minutello.

 

Info: Ufficio Cultura Comune di Poggiardo 0836.909812-909819www.comune.poggiardo.le.it – facebook.com/Città di Poggiardo.

Donne salentine alle 5 di mattina. Ad Otranto

otranto

 

di Francesco Greco

 

Il 2013 è donna. E’ entrato pudico e pregno di belle promesse scacciando un anno vecchio che in tanti non vedevano l’ora di rottamare poiché è coinciso con sacrifici da lacrime e sangue, disastri d’ogni genere e default infiniti. E l’ha fatto portato dalle voci di donne dell’altro secolo, sulla frequenza della memoria e dell’identità, che narrano le loro storie tormentate ma dignitose, per tentare di sfuggire al tempo insonne che come un tarlo infido corrode tutto sino a non lasciare tracce.

Vincenzina la “tabbaccara” (tabacchina), quinta di undici figli, detta la “Moretta” per la carnagione olivastra e il colore dei capelli, Nunziata “vedova bianca” che scrive lettere sgrammaticate al marito Nicola che è partito per la Merica dove lavora in una fabbrica di ferro, Teresina che iniziata al sesso dal barone Ignazio, che la crede una sua proprietà, sposa Marcello Musca, soldato tornato dal fronte che ha perso la moglie a causa di una polmonite ed è rimasto solo con due bambini da crescere, nonostante le lusinghe del potente nobiluomo, Immacolata invece va a nozze con Efrem, soldato ebreo scaricato a Santa Maria al Bagno (Nardò): “Domani ti cucino un piatto di vermicelli con il baccalà… Credo che tutte le religioni del mondo nascano dall’amore”. La “mammana“ (levatrice) Uccia Capirizza che aiuta una ragazza a partorire e poi “decisi di prendere con me quella creatura che il destino mi aveva fatto incontrare e dal quel giorno divenni madre…”. Caterina giovane vedova “bella e altera”, che rifiuta le proposte di matrimonio dei paesani e si dedica alla sua famiglia lottando “per la sua dignità e per il futuro dei figli”.

Una gallery di donne del mondo di ieri, che abbiamo troppo velocemente relativizzato, senza metabolizzare i suoi valori immortali, per tuffarci in una modernità alienante che formatta ogni individualità, e che riappaiono sotto altre forme, ma con tutta la grande forza dialettica anche oggi, all’epoca di Facebook. Dopo la commovente performance il 26 di dicembre a Nociglia (alla Casa di riposo fra gli anziani grati) – una esperienza che fa il paio con l’altra che il regista ha vissuto due anni fa con i detenuti-attori nel Carcere di Milano-Bollate in un’altra sua rappresentazione dal titolo “Natura e Cultura nel mondo romano” , in attesa di recitare a Roma e l’8 marzo di nuovo in Salento, al Teatro Illiria di Poggiardo,  aspettando la prima alba dell’anno nuovo (foto di Filomena Giorgino) nel punto più a est d’Italia (Otranto), lo spettacolo tratto da “Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu” della scrittrice pugliese Raffaella Verdesca è stato rappresentato dalla Compagnia “Ora in scena!” di Poggiardo a Punta Palascìa, alle pendici del celebre Faro, alle 5 del mattino, davanti a un pubblico attento e coinvolto, impressionato dalla cifra neorealistica del testo adattato dal regista teatrale Paolo Rausa, un maestro del teatro italiano, quello fatto con poche risorse ma con tanto cuore, che ha già rappresentato in diversi luoghi della penisola “L’idea di Italia nella letteratura: da Dante a Pasolini” nell’occasione del 150° dell’Unità dell’Italia e l’anno scorso l’opera teatrale “Sguardi sul Mediterraneo. Miti Leggende Storie”.

Altri personaggi: Rosaria Rita Pasca (Donna anziana che affida al vento le vecchie foto e i documenti), Norina Stincone (Vincenzina), Pippi (Francesco Greco), Maria Orsi (Nunziata), Paolo Rausa (Nicola ed Efrem), Ninetto Cazzatello (Marcello), Tiziana Montinari (Teresina), Francesco Greco (Don Ignazio, il barone), Cinzia Carluccio (Immacolata), Florinda Caroppo (Uccia Capirizza), Lucia Minutello (Caterina). Musiche di Pasquale Quaranta (P40), regia tecnica di Ornella Bongiorni.Dopo lo spettacolo, tutti sulla terrazza a guardare l’orizzonte che lentamente scolorava nell’alba. Tamburi e tamburelli hanno acceso il ritmo della pizzica. Una ragazza, Silvia Primiceri, di Casarano, addolciva il freddo dell’attesa passando con un vassoio di dolcetti fatti da lei (il suo sogno è aprire una pasticceria: auguri!). La luna piena campeggiava discreta come in una scenografia a picco sulla location, illuminando le scogliere di una atmosfera carica di energia dolce e le centinaia di persone giunte da ogni parte del mondo al beneaugurante appuntamento con l’Alba dei Popoli. Persino un missionario italiano che lavora in Nicaragua. Decine i reporter e i cineoperatori armati di videocamera, smartphone e quant’altro per immortalare l’evento. Faceva la comparsa persino un branco di delfini nuotando davanti al Faro e poi verso Badisco (l’approdo di Enea è colmo di monnezza!). Ma il sole, offuscato da una barriera di nuvole che occultava la costa albanese, tardava a sorgere. Previsto per le 6 e 40, per la Storia, è riuscito a vincere l’ostacolo solo alle 7 e 20 del primo giorno del nuovo anno salutato da una scarica di flash. Il tempo di un ultimo vortice di pizzica e di un altro brindisi accompagnato da una fetta di mascarpone (il panettone quaggiù non è molto popolare: richiama l’odiata iconografia leghista), e la folla si è sciolta come ipnotizzata dall’astro sovrano dell’universo. Tutti avevano sul viso un sorriso di infinita dolcezza e di quieta bellezza: le ragazze avvolte in sciarpe pesanti e plaid colorati e gli uomini con cappelli e giubbotti pesanti. E mentre i delfini sparivano leziosi all’orizzonte verso Porto Badisco, la socialità spontanea e contagiosa di un rito solenne, il cui fascino è immutato nel tempo, rendeva l’atmosfera serena e gaia, come se tutti, scaldati dallo stesso sole,dalla sua energia,appartenessero alla stessa etnia che include i popoli di tutto il mondo, condividessero un comune immaginario e avessero trovato il loro Graal, una formula magica capace di sintonizzarti con gli altri, il mondo, gli Universi possibili.

Ciao Otranto, e grazie per quest’altro Capodanno con tutti i Popoli della Terra: ci si vede fra un anno…

Si son materializzati alcuni dei Volti di carta

Una bella serata quella del 2 dicembre, organizzata dalla nostra Fondazione e dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Nardò, presso la sala conferenze nel chiostro dei Carmelitani di Nardò.

Raffaella Verdesca ha concluso il primo tour di presentazioni del suo “Volti di Carta…” iniziato con Parabita, poi Galatina, Lucugnano ed infine Nardò.

Sala gremita, pubblico selezionato ed attento, in buona parte di Nardò, ma anche con diverse presenze da Copertino. Non poteva essere diversamente, vista la conterraneità dell’autrice, di Pier Paolo Tarsi che ha introdotto e moderato, di Ivan Raganato, che ha deliziato i presenti con la lettura di uno dei racconti.

Molto esauriente e di ottimo livello la presentazione del volume da parte della senatrice Maria Rosaria Manieri (che a conclusione della serata è stata designata componente del comitato scientifico della Fondazione), il cui intervento, di circa un’ora, ha sviscerato i numerosi aspetti letterari dell’opera e soprattutto la condizione femminile salentina di ieri e di oggi, intercalando la lettura di numerosi e significativi stralci tratti dai venti racconti che il libro contiene.

Una autentica rivelazione è stata l’esibizione del gruppo Petrameridie, forse alla prima comparsa a Nardò, che hanno offerto delle selezioni musicali di grandissimo livello, sapientemente coordinate dall’anima del gruppo, Daniele Vigna.

Ma la serata ha riservato anche dei colpi di scena, inaspettati per il pubblico presente e per la stessa autrice, essendo intervenute due delle signore che figurano come volti di carta nel volume. Allora bambine oggi signore in età avanzata, hanno voluto portare la testimonianza dei tempi che furono, emozionando e persino commuovendo molti dei presenti.

La prima delle signore è la ragazza di copertina, che aveva  cucito da sé il costume da bagno indossato nella foto, la seconda è la signora Tetta, che più volte si è emozionata, sino ad interrompere la toccante storia di vita da lei vissuta e abilmente narrata dall’autrice nel racconto “O si fa l’Italia…”.

Il reportage della serata è stato effettuato dal socio Stefano Crety, le cui foto offriamo ai lettori che non son potuti intervenire.

L’occasione è utile per ringraziare quanti hanno partecipato, oltre ad Andrea Greco, Anna Rita Della Bona e Gianluca Verdesca, che hanno anch’essi contribuito a rendere ancor più piacevole la serata.

 

 

Qui il video della serata

 

da sinistra: Ivan Raganato, la senatrice Manieri, l’autrice Raffaella Verdesca, il vicepresidente Pier Paolo Tarsi e due dei componenti del gruppo Petrameridie
Pier Paolo Tarsi e tre dei componenti del gruppo Petrameridie
da sinistra: la senatrice Manieri, Raffaella Verdesca, Pier Paolo Tarsi e la signora Tetta, protagonista di uno dei racconti
da sinistra: Ivan Raganato, la senatrice Manieri, Raffaella Verdesca, Pier Paolo Tarsi e la signora Tetta

Pier Paolo Tarsi intervista “la ragazza di copertina”
il saluto tra l’autrice e la ragazza di copertina
Macello Gaballo nomina la senatrice Manieri componente del comitato scientifico dell Fondazione

ad maiora!

 

 

 

Il bel libro “Volti di carta” di Raffaella Verdesca, edizioni Albatros, presentato a Parabita

 


di Rocco Boccadamo

Per uno straordinario processo, o meglio prodigio, di suggestione, martedì 16 ottobre, nella magnifica cornice della sala della macina di Palazzo Ferrari – saggiamente scelta dal “Presidio del libro” parabitano, cui si deve l’organizzazione dell’evento  – si avvertiva, aleggiante e sovrastante rispetto ad ogni altro elemento, la presenza e la vitalità ideale di tutti i venti personaggi delle storie reali raccontate o rievocate dall’autrice.

Come a dire che il folto drappello di figure femminili posto ad animazione delle pagine del volume, di certo riconducibile dal punto di vista anagrafico a stagioni lontane, giustappunto al Salento che fu, trasudi, insieme, attualità e sia calzante, anche adesso, in funzione di linea guida, giammai cancellabile, per la testimonianza, la proclamazione, la rivendicazione e la difesa dei valori morali, con la dignità al primo posto.

Donne  vere e, ciascuna a modo suo, piene dentro.

Altro “prodigio”, nella specifica circostanza, è che la tavolozza di volti, coscienze e personalità, quale si trova riflessa nel libro, rispecchia l’animo, l’essenza fondamentale e le inclinazioni elettive della scrittrice: il suo perenne guardare avanti, la sua “operosità” volta a tessere, con i pensieri e con le parole, una tela speciale, ovvero idonea  non soltanto ad avvolgere la quotidianità, ma pure ad essere stesa per il futuro, a  beneficio delle generazioni a venire.

Raffaella Verdesca è brava in modo eccezionale a raccontare e a coinvolgere, e però, forse, ciò che più conta e le conferisce merito, è la sua visione positiva del percorso umano, dei rapporti interpersonali a livello di comunità, la spontaneità e la naturalezza nel credere fermamente alle strade maestre, lineari: la verità, è verità e basta.

Sono stato permeato da un getto d’autentico piacere e di schietta gioia nell’assistere alla presentazione dei ”Volti di carta”.  Ho potuto maggiormente apprezzare le fasi della cerimonia, giacché, qualche mese addietro, mi era stato concesso il privilegio di scrivere una recensione dell’opera.

Per concludere, formulo l’augurio che le storie della Verdesca vadano a stimolare l’interesse di un vastissimo numero di lettori, specie salentini.

“Volti di carta, Storie di donne del Salento che fu”, racconti di Raffaella Verdesca

di Paolo Rausa

Belle queste donne del Sud estremo, il Salento, la “Porta d’Oriente” come lo definisce l’autrice di questa raccolta di racconti che possiamo definire una vera e propria epopea. Coriacee, abituate a combattere sino allo stremo per difendere la propria dignità, violata nel corpo e nello spirito. Decise a riscattare la propria onorabilità sociale e familiare. Raffaella Verdesca ha già pubblicato diversi romanzi e raccolte di racconti. E ci ha già stupito con la sua inventiva narrativa. Ci colpisce ora in questi racconti la sua capacità di immedesimarsi tanto nei personaggi da prestare loro espressioni e modi di dire con l’uso di un linguaggio originale, adattato alla vita e alle vicende eroiche di queste donne che hanno fatto della resistenza civile la loro cifra vitale. L’emozione ci sorprende leggendo i ritratti di Annina, Assunta, Carmela, Rosetta, Mimina, Carmelina, Teresina, Immacolata, Crocefissa, Ippolita, ecc., sui cui volti  è sempre rigata la sofferenza e la preoccupazione del presente. Narrare le loro storie è stato un atto d’amore e di giustizia postuma, resa a sorelle che hanno fatto della loro esistenza un esempio di nobiltà, che non muore con loro. Ecco perché questi ritratti, così magnificamente delineati da Raffaella Verdesca,  li sentiamo così vicini ed esemplari, specie di questi tempi. Appartengono ad un’epoca  che è immediatamente precedente alla mia, quella di mia madre e di mia nonna, che ho conosciuto e ammirato. Sempre vissute del poco, rese vedove e orfane anzitempo dalle guerre e dalle malattie, queste

Volti di carta, di Raffaella Verdesca

una delle foto che compaiono nel libro

 

di Rocco Boccadamo

 

Un libro e, insieme, anzi ancor più, un aggraziato scrigno di tesori preziosi, sottoforma di mirabile miscellanea di volti, immagini, storie, vicende, eventi, ansie, aspettative, frammenti pungenti di sofferenza e sconforto e, tuttavia, sempre, con l’ideale “traguardo” conclusivo dell’appagamento interiore, della quiete, della pace.

Al cospetto e sullo sfondo di un palcoscenico avulso dal tempo, che dischiude il suo contenuto, e i segreti con cui è animato, semplicemente in virtù di un cordone conduttore uniforme e costante, filato con la pazienza, la tenacia, la forza, le fatiche, gli sforzi positivi di comuni interpreti d’ogni età, i quali, in svariati modi e con sequenze talvolta imprevedibili, sembrano emanare, tutti indistintamente, fasci di raggi di fiducia, giammai il capo chinato alla passiva rassegnazione, tramandandosi, perpetuandosi inarrestabilmente, nei peculiari, rispettivi ruoli, significati e destini.

Vale da solo, ha una sua anima espressiva ed è forte, già il titolo “Volti di carta”; non meno indicativo e pregnante, il secondario con funzione esplicativa “Storie di donne del Salento che fu”. 

Stando al nome intero scelto per il battesimo, la presentazione del lavoro scrittorio rimanda chiaramente ai precedenti decenni, addirittura a un secolo addietro, e però, sin dalla premessa, s’innesta subito il particolare dell’isolamento da una predeterminata fase temporale.

Difatti, il cuore della narrazione dà luogo a battiti completamente in sintonia anche con le sfaccettature quotidiane del terzo millennio; lo stesso senso autentico degli accadimenti snocciolati lungo le pagine calza alla perfezione con le vicissitudini che, in tanti aspetti, caratterizzano il nostro oggi.

Sono venti i passaggi di storie e argomenti nel percorso del volume, eterogenei solo in apparenza, comunque innestati fra loro con saggia naturalezza. In ogni scalino del lavoro si avvertono, nitidamente, la mano, la passione e il “credo” intenso dell’autrice.

Raffaella Verdesca, in fondo, propone fotografie, fatti e ambienti terzi, parlando, in parallelo, di sé, mettendosi in discussione, svelando pareti della propria interiorità.

E un simile esercizio, può espletarlo con esito positivo e successo solo una persona che sia “piena” dentro, che abbia da dare agli altri, da raccontare:

I volti di carta di Raffaella Verdesca

volti-di-carta

di Paolo Vincenti

“Mi affascina il mistero delle vite  / che si dipanano lungo la scacchiera  / di giorni e strade, foto scolorite  / memoria di vent’anni o di una sera..” e ancora “Mi piace rovistare nei ricordi  di altre persone, inverni o primavere  / per perdere o trovare dei raccordi  / nell’apparente caos di un rigattiere:  / quadri per cui qualcuno è stato in posa,  / un cannocchiale che ha guardato un punto,  / un mappamondo, due bijou, una rosa,  / ciarpame un tempo bello e ora consunto,  / pensare chi può averli adoperati,  / cercare una risposta alla sciarada  / del perché sono stati abbandonati  / come un cane lasciato sulla strada.  / Oggetti che qualcuno ha forse amato  / ora giacciono lì, senza un padrone,  / senza funzione, senza storia o stato,  / nell’intreccio di caso o di ragione”.

Questi versi di Francesco Guccini (“Vite”)  mi vengono in mente leggendo il libro “Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu” (Albatros Il Filo 2012) di Raffaella Verdesca, che l’autrice mi ha donato, con una bellissima dedica, qualche giorno fa.

Si tratta di una serie di storie raccontate con perizia dalla Verdesca che hanno come protagoniste donne, vere o inventate, del nostro antico Salento. Ritratti di donne forti come le pietre salentine, coraggiose, abbarbicate con orgoglio e dignità a quella vita grama ma unica e quindi degna di essere vissuta fino in fondo.

Donne d’altri tempi, madri, sorelle, mogli, nonne, vissute in quell’arco temporale che è racchiuso fra le due guerre mondiali, quando la realtà “aspra e terragna” di un Salento contadino molto più povero di adesso, non aveva da offrire ai propri figli altro che sacrifici e sudore e lacrime per sbarcare il lunario, quando altri erano i valori su cui si fondava questa nostra società e

Volti di carta. Pezzi di storia da conservare nei “Silos della memoria”

di Pino de Luca

È che ognuno ha le sue paranoie. Tu ti sei studiato lo Zen, il Tao e lo Yoga, anni e anni di psicanalisi che ti sei fatto e ti sei fatta fare. Tutti urlano perché le fiamme saettano magari a cento metri e tu sei li, capace di mantenere la calma mente il fuoco ti lambisce il culo. Sorridi guardando il mondo isterico e ti bei del self control, godi pensandoti come Man the Food soprattutto foneticamente.

Una mail, un libro, e ti ritrovi a perdere le staffe, seduto con lacrime che ti rigano il volto perché qualcuno, anzi qualcuna, una Raffaella qualunque, vergando delle pagine con parole fluenti, ingenue e affilate, ha rimestato la tua memoria, ha portato a galla pezzi di dolore riposti faticosamente nell’oblio.

Un libro che si fa film, racconti che diventano letteratura, pezzi di storia da conservare nei “Silos della memoria” che costituiscono quell’immenso giacimento di riserve morali capaci di fare umani dei bipedi implumi, di rendere le loro aggregazioni corpo sociale.

Volti di Carta si chiama il Libro di Raffaella Verdesca. Non ho sbagliato a scrivere Libro perché di Libro si tratta, con la lettera maiuscola. Letto a pezzi, finito e voglia di riprenderlo da capo. Spremuta di Arneo condita con pezzi di

Piccolissime porzioni di un’antica civiltà contadina. Prefazione a Volti di carta

di Pier Paolo Tarsi

 

Se un albero scrivesse l’autobiografia,

non sarebbe diversa dalla storia di un popolo

Kahlil Gibran

«Prendi una cosa qualsiasi e scoprirai che è legata a tutto il resto dell’universo». L’uomo che un secolo fa scrisse questa frase – così semplice eppur così densa di significati – si chiamava John Muir. Americano di origine scozzese, fu un attivo naturalista ed ecologista ante-litteram, abituato a esplorare paesaggi selvaggi e a lottare col pensiero e con l’azione per la loro salvaguardia da ogni contaminazione. Capace di comprendere gli elementi come inestricabilmente intrecciati e sussistenti solo in relazione l’un con l’altro, Muir voleva insegnarci con quelle parole come ogni cosa in natura si riveli legata all’altra e sussista in equilibrio dinamico solo come parte di un tutto, non potendo affatto esistere se non come elemento di un sistema che la trascende e la ricomprende. La vita, infatti, si genera e si sostiene ovunque solo nel mezzo di relazioni ininterrotte tra anelli e momenti tutti assolutamente essenziali: solo quando ogni frammento è interconnesso al resto di cui fa parte, e finché ne fa parte, siamo di fronte al meraviglioso fluire del complesso naturale vivente. Quanto fin qua accennato chiarisce anche la ragione fondamentale per cui alterare o, peggio ancora, annientare – come tuttavia l’animale sedicente sapiens continua imprudentemente a fare – un solo tratto di questo continuum, una sua sola infinitesimale parte, significhi in realtà mettere a repentaglio l’intero, il tutto, l’ecosistema, il cosmo organizzato. «Qualunque cosa tocchi, lo fai a tuo rischio e pericolo» chiosava appunto lo stesso Muir a conclusione del pensiero con cui abbiamo inaugurato queste nostre riflessioni: distruggere una qualunque porzione dell’esistente, anche quella più apparentemente ininfluente, significa offendere tutta la vita intera. In natura, allora, nulla è secondario, nulla è inferiore o, peggio ancora, inutile, inessenziale: nella parte – anche la più piccola – vi è sempre contenuta la dignità, la nobiltà e la stessa possibilità di esistenza del tutto.

Perché, si starà forse chiedendo il lettore, introdurre un libro di materia narrativa con questi accenni? Che attinenza hanno queste affermazioni sulla vita naturale con le pagine che seguono? Perché indugiare in tali argomenti? Proviamo di seguito a rispondere a tali legittime domande, mostrando come

Libri/ Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu

di Michele Stursi

Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu

di Raffaella Verdesca, Albatros 2012

Mi fido del vento. Soprattutto quando sono fuori dal mio Salento e poi è maggio, il cielo è terso e il sole impotente. Mi fido del vento perché ho scoperto che dietro ai suoi sbuffi, all’apparenza casuali, tende quasi sempre a nascondere qualcosa. Per poco, però, perché so anche che non riesce a mantenere a lungo i segreti.

C’è vento, appunto, un vento pungente, quando Giorgio mi avverte che è arrivato un pacco per me. “Ecco, sarà stato il vento”, penso io allora, rincorrendolo all’interno della portineria. In realtà mi consegna un sacchetto giallo ocra del quale decido di non conoscere subito contenuto e mittente. Non lo apro, quindi: ho intenzione di godermi sino in fondo questa strana sensazione che mi fa vibrare come una corda di violino, emettendo di continuo delle mute onde di curiosità che mi solleticano il palato. Lo abbandono sul letto e vado a fare una passeggiata, convinto che ci sia troppo vento per restarsene chiusi in casa.

È ancora giorno quando rientro deluso dalla magra pesca: il sacchetto dal contenuto ignoto mi guarda ansioso, lo afferro di scatto e non posso fare a meno di vedere sul lato corto nome, cognome e indirizzo del mittente, che mi

Ecco l’ultimo libro della nostra Raffaella: Volti di carta

      Volti di carta

Storie di donne del Salento che fu

 

La raccolta “Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu” è composta da venti racconti ispirati alla vita del popolo salentino nel secolo scorso.

Le fatiche e i sogni di contadini, vedove, soldati e gente comune vengono filtrati dalla sensibilità femminile, quella delle protagoniste, soggetti in primo piano o talvolta echi di sottofondo a vicende che un tempo scandirono la vita tanto nei centri rurali del tacco italico quanto nel resto della nazione. S’intrecciano folclore e storia dando vita a spennellate d’ingenuità contadina e di profonda saggezza umana. Il riscatto e l’emancipazione risiedono nelle mani delle donne, continua a pensare qualcuno ancora oggi, e le storie custodite in questo libro gliene danno piena conferma mettendo in luce il coraggio di mogli, sorelle, figlie e madri capaci di addolcire la brutalità delle ingiustizie e dei sacrifici con la forza del proprio essere culla di vita. E’ proprio questo prezioso messaggio di positività e coraggio che le donne portano in sé a trasformare la fine in un nuovo inizio, la sciagura in insegnamento e il dolore in dignità.

Non manca tra i righi il tocco poetico dei canti popolari, è particolarmente curato il divertimento nato dai paradossi, dalla semplicità dei personaggi, è vitale il tratteggio di personalità capaci di respirare anche a libro chiuso.

Se da una parte si lavora a sdrammatizzare, dall’altra si lascia intatto il lirismo del dolore e la sacralità della conoscenza, quella di chi deve lottare per

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