Nacquero contadini, morirono briganti
di Valentino Romano (Capone editore). Postfazione di Monica Mazzitelli
Così umano. Così piccolo, meschino, speranzoso, maleodorante,
accaldato o raffreddato, rassegnato, misero, lacero e inumano il mondo
che emerge dalle pagine informate di Valentino Romano. La storia di
carta che fruscia non è qui; i generali impettiti, la lista degli
armamenti, il computo dei morti e dei vivi, gli accordi a palazzo, i
tradimenti regali, le convenzioni, i trattati, le alleanze, le
dichiarazioni in parlamento: carta che fruscia senza odore. Qui invece
c’è l’odore della storia, rimasto impigliato nelle pieghe dei suoi
protagonisti piccoli, quelli che fino a più di un secolo fa erano contadini abbracciati alla propria terra – quelli che non sono dovuti scappare via in cerca di fortuna oltreoceano – coloro che non lasciano traccia del loro passaggio, di cui non ci sono neanche più le tombe.
La Storia è di queste braccia, mani, piedi macinati dal tempo e
riassorbiti nel suolo di cui noi ci nutriamo senza sapere, conoscere.
Ma che magari giudichiamo.
“Briganti” li chiamiamo, come oggi chiamiamo altra gente
“clandestini”: nomi comodi per allontanare da noi, di uno o cento
passi, il desiderio disperato di sopravvivenza, o se possibile di una