Le amarene dell’Arneo

LETTERATURA GASTRONOMICA

LE AMARENE DEL FANTASMA

 

Divenute sciroppose al sole in un tegame di creta coperto da una lastra di vetro le amarene all’acquavite fanno… “ risuscitare i morti”

 

 

di Giulietta Livraghi Verdesca Zain

Era abitudine della zona che, almeno dieci volte l’anno, i signori si riunissero per una battuta di caccia. A queste, chiamiamole pure vacanze, il nonno non mancava mai e poiché spesso si andava lontano, l’assenza si protraeva per diversi giorni; al ritorno c’era sempre l’eccezionalità di una preda a solleticare una festosa curiosità, tanto più che il nonno era solito imbalsamare le sue numerose “vittime”. La sua casa, infatti, straripava di cimeli e chiunque, entrando, capiva subito che ivi abitava un cacciatore incallito, ancor meglio se veniva ammesso nella sala grande, dove una ricca collezione di armi sovrastava il lupo cacciato in Sila, l’aquila abbattuta nel Gran Sasso, il cinghiale nero (che a detta del nonno era stato uno dei migliori bocconi), le volpi nostrane e tutta una legione dei più svariati uccelli. E lo zoo imbalsamato cresceva giorno per giorno, poiché non succedeva mai che il nonno tornasse col carniere vuoto. Una sola volta era accaduto, ma “tutto per colpa del fantasma” precisava nel suo orgoglio di cacciatore. “Ovverosia per colpa delle amarene” rettificava la nonna con un risolino. Ne nasceva una piccola scaramuccia coniugale che si concludeva immancabilmente con il racconto dell’avventura.

In quel tempo – ancora lontano dalla riforma agraria – nel Salento esisteva un grande latifondo chiamato “Arneo”. Chilometri e chilometri di terreno macchioso, dove, unico segno di vita, erano gli stazzi, pigiati di bestiame e seminati alla lontana, essendo la zona un ottimo pascolo. Fra stazzo e stazzo si infittiva il groviglio delle frasche e si snodava tutto un labirinto di sentieri che i pastori del luogo chiamavano “le strade perse”. Nella zona più isolata e più

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