Sul Teatro Apollo di Lecce

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di Fabio Tolledi

La discussione sulla riapertura del Teatro Apollo ha visto, in questi giorni, susseguirsi
dichiarazioni e interventi che suscitano enorme interesse, quantomeno per chi, come
me, fa la professione di regista e di direttore artistico.
Vorrei sviluppare alcune riflessioni, proprio partendo da alcune delle ultime
dichiarazioni. La riapertura del Teatro Apollo è un evento importante non solo per i
soldi pubblici che sono stati spesi e che costringono tutti, sia amministratori che
cittadini, ad un’attenta ipotesi di utilizzo.
Per ogni grande contenitore di eventi culturali è tendenza ampiamente consolidata e
diffusa il tentativo, innanzitutto, di costruire un sistema articolato ed avanzato. Non
ha senso, e non ha molta prospettiva, considerare il Teatro Apollo come una entità
isolata che organizza un cartellone per la stagione di prosa con qualche spruzzatina di
eventi lirico-sinfonici. Il Teatro Apollo può avere un ruolo centrale nel momento in
cui riesce ad inserirsi in un contesto articolato di offerta culturale che preveda
l’interazione tra differenti spazi e strutture che devono accettare la sfida per 365
giorni all’anno.
In questo senso è fondamentale la capacità di tutti di rendere Lecce non una città
aggredita dal turismo mordi e fuggi, ma luogo di vivacità culturale reale. Per fare
questo ci si dovrebbe liberare dalla terribile scorciatoia dei grandi eventi che possono
dare – ovviamente – un’enorme risposta di pubblico in termini di numeri, ma non
sono nella maniera più assoluta sufficienti per costruire un reale profilo di offerta
culturale di un territorio che va ben aldilà della cittadina leccese. Da qui parte
l’importanza delle strategie da adottare e delle sinergie da promuovere. Perché in
gioco è che tipo di città pensiamo per i prossimi venti anni. Il grande evento, come
detto, funziona un poco come il grande nome. Un’idea provinciale che non consente
di dare risposte adeguate ad un contesto in forte trasformazione. Una scorciatoia che
nutre una grandeur ridicola e irreale. Una scorciatoia che consente di non
programmare e gestire, ma di navigare confusamente a vista.
La prima risposta per sfuggire a questa inutile prospettiva è considerare, dunque, il
contesto più ampio dell’offerta culturale a Lecce. Teatro Romano, Anfiteatro, Teatro
di Rudiae, Teatro Paisiello devono costituire un sistema integrato di offerta culturale
capace di attrarre pubblici differenziati tra loro. Questo sistema deve inoltre interagire
con altri spazi (pubblici e privati) capaci di offrire un ventaglio di proposte variegate
per differenti tipologie. Questo sistema, come è evidente, non può essere pensato
solo attraverso l’offerta del cartellone della stagione di prosa.
Dal 2010 Astragali Teatro svolge la propria residenza teatrale al Teatro Paisiello di
Lecce. Il Teatro Paisiello è divenuto senza ombra di dubbio il teatro della città, non
solo per il fatto che è il teatro municipale. Per fare ciò sono entrati in azione differenti
livelli sia istituzionali che artistici. Ma, innanzitutto, al centro c’è stata la chiara
necessità di aprire il Teatro della città alla città. Per fare ciò sono state attuate
differenti strategie di coinvolgimento e (oggi si direbbe con un anglismo) di coworking,
dove non ha operato solo Astragali, bensì vi è stato un affiancamento di
diversi soggetti capaci di offrire un prodotto variegato, che ha portato il Teatro
Paisiello dalle 45 giornate di apertura all’anno ad avere 300 giornate di apertura.
Questo esempio – piccolo rispetto alla ben più complessa sfida che si muove dalla
questione del Teatro Apollo – ha visto la presenza di Comune e Regione al fianco de
facto, dell’Università e dell’International Theatre Institute dell’UNESCO, di
compagnie professionali di teatro, ognuna con la propria autonomia artistica e di
proposta, del circuito regionale dello spettacolo e del mondo della scuola dalle
primarie alle superiori, di operatori del teatro e della danza, dell’improvvisazione
teatrale e dell’offerta a prezzi accessibilissimi (penso al teatro a 99 centesimi).
Differenti operatori e il tentativo di recepire le molteplici esigenze di una città in forte
trasformazione. In questo senso pensare ad un sistema complesso significa
raccogliere la sfida che vede il nostro territorio tra gli ultimi posti per numero di
lettori di libri.
Queste sfide si vincono dimostrandosi all’altezza della complessità, con una idea di
intervento capace di capire quali siano i reali protagonisti della vita culturale di un
territorio.
Chi opera nel teatro? Chi nella danza? Quali sono le agenzie formative? Come
mettere assieme realtà (inspiegabilmente) separate come Università, Conservatorio e
Accademia? E tutto il mondo della Scuola non è forse oggi chiamato ad assumere
una sfida più importante per il futuro occupazionale delle future generazioni? Non
può anche questo essere il terreno della formazione di concrete reti che facciano fare
un salto di qualità al nostro territorio?
Vorrei spendere due parole sul ruolo strategico delle residenze artistiche.
La residenza artistica, in tutta Europa, è una forma di Teatro che si innerva in una
Comunità. Ne diviene luogo di incontro umano e pensante, passionale e civico. La
forma delle residenze è un modello di intervento a 365 gradi che, partendo dalla
Puglia, ha coinvolto tutte le Regioni d’Italia. Ora questo modello è entrato nella
nuova legge sullo spettacolo e rappresenta, pur nelle mille difficoltà, uno dei pochi
elementi positivi di novità nel panorama delle attività connesse al teatro. Mentre
scrivo, mi trovo a Udine, dove si sta svolgendo il secondo incontro nazionale delle
Residenze teatrali, promosso dal MIBAC. La discussione su questo tema in questi
mesi è stata molto vivace e aperta, a testimonianza di una grande vitalità a dispetto
delle risicate risorse messe a disposizione. Perché è importante questo riferimento
alle residenze teatrali? Perché la risposta più efficace per quello che riguarda la
gestione del Teatro Apollo deve prima di tutto partire da una attenta osservazione di
quello che un territorio è realmente e di quelli che sono altri modelli operanti a livello
regionale, nazionale, europeo e internazionale. Sembrano delle banalità di base, ma è
necessario prima di tutto vedere come Bari (città che vede la presenza di teatri
pubblici di altissimo prestigio e costo di gestione come il Petruzzelli e il Piccinni,
affiancati a teatri ‘privati’, ma fondamentali nella storia degli ultimi trent’anni di Bari
come Abeliano e Kismet) e Brindisi (con il non meno costoso Teatro Verdi) hanno
pensato la propria gestione. Bisogna essere capaci di osservarne aspetti positivi e
limiti, e da lì trarne indicazioni importanti.
Così per il paino internazionale. Sappiamo come funziona il teatro in Albania o in
Grecia? Il Teatro Nazionale di Tirana o i Teatri municipali di Corfù e Ioannina che
esigenze hanno? Il Teatro Nazionale di Atene come elabora la propria strategia di
intervento, come si relaziona con la prestigiosa Fondazione Kakoiannis? Faccio solo
esempi di strutture dove Astragali ha lavorato in questi anni. Ma questi sono i
soggetti che un territorio che si pensa come attrattore deve essere capace di osservare,
deve essere capace di avere come proprio alleato in una visione molto più lunga e
strategicamente importante.
Le fondazioni sembrano rappresentare lo strumento adeguato per dare autonomia di
gestione e per non gravare sulle casse debilitate delle amministrazioni comunali.
Ma la capacità gestionale si deve, sempre, coniugare con una visione artistica
complessa ed adeguata ai tempi. Non è lo strumento Fondazione di per sé che
garantisce questo. Le precedenti gestioni del Petruzzelli, ad esempio, ci devono fare
riflettere molto sui rischi che possono rappresentare. Altre Fondazioni hanno
dimostrato di poter esistere solo attraverso un sostegno, non più possibile, di autorità
pubbliche.
Servono profili adeguati, figure che, se ci si mette a ben guardare, già esistono nel
nostro territorio, ne rappresentano l’eccellenza, costituiscono l’appeal più profondo e
qualificante. Certo, qualcuno continua a pensare questi luoghi come la costiera
romagnola del nuovo millennio. Ma ciò che chiama l’attenzione di platee sempre più
vaste è costituito da una proposta molto variegata e complessa che non è solo il
divertentismo o la movida.
Questo è anche un grido di allarme per promuovere – e proteggere – la nostra
bellezza. Anche Gallipoli e Otranto dovrebbero essere pensate in questa direzione.
Luoghi dove il turismo di massa rischia di impattare in maniera devastante se non
accompagnato con una attenzione straordinaria verso la salvaguardia del patrimonio
naturale e culturale.
Sempre più persone approdano in questo luogo, non più periferico sebbene ancora
molto provinciale, attratte da un’offerta che allude ad una profondità e ad una
bellezza non solo naturale.
Allora bisogna mettersi a guardare con attenzione. Abbiamo mote professionalità di
alto profilo presenti nel territorio. Perché non accettare la sfida che oggi abbiamo
davanti a noi? Perché non pensare questo territorio con una prospettiva rigorosa di
crescita complessiva? Perché non costruire un sistema integrato dell’industria
creativa che sia in dialogo con le politiche culturali del territorio, che ne sia
strumento di coesione con la variegata galassia dell’associazionismo?
Un’ultima cosa, un poco eccentrica e un poco erudita. Ad Apollo sono sacri i lupi, e
questo ha sicuramente a che fare con Lecce. Ma gli sono sacri anche i cigni e le
cicale, e forse anche questo da un certo versante può avere a che fare con questa città
bella ed effimera. Ma non possiamo dimenticare che altri animali sacri al figlio di
Giove e di Latona, siano i falchi, i corvi ed i serpenti. Non vorrei che, in questo
dibattito, prevalessero le qualità peggiori di questi sacri animali, perché il Teatro
Apollo è, innanzitutto, un teatro dove una comunità sogna se stessa.
 
* Direttore artistico di Astragali Teatro
Presidente dell’Italian Centre dell’International Theatre Institute- UNESCO
pubblicato su Quotidiano di Puglia il 22/6/2016

Per una storia del teatro a Lecce (quarta e ultima parte). I teatri Paisiello e Politeama

di Alfredo Sanasi

 

Il teatro Paisiello fu considerato uno dei più eleganti dell’Italia Meridionale, ma il suo difetto più grave era il non avere uscite di sicurezza. Nel peristilio di ordine ionico furono posti i busti di Leonardo Leo e Giovanni Paisiello dello scultore Antonio Bortone e sul soffitto del teatro il pittore napoletano Vincenzo Paliotti raffigurò a tempera l’Armonia tra le nuvole e più in basso la Tragedia col tripode fumante ed il pugnale e la Commedia col tirso circondata dalle Grazie: nell’arco sopra la scena eseguì le figure allegoriche del Giorno e della Notte ai lati di un grande orologio.

L’edificio, dall’elegante struttura architettonica di gusto neoclassico, ben presto risultò insufficiente, per giunta il limitato palcoscenico condizionava la scelta del repertorio artistico, il minuscolo golfo mistico non poteva contenere un’orchestra di tutto rispetto. Perciò appena dieci anni dopo l’apertura del rinnovato teatro Paisiello, Lecce, in crescita, sia demografica che culturale, vide sorgere un Politeama, capace di accogliere un più ampio numero di spettatori e di ospitare scenografie ampie ed elaborate, secondo una tendenza già affermatasi nel Nord Italia e in Europa. Quando l’Amministrazione Comunale decise nel 1883 di costruire il Politeama sul suolo adiacente la Caserma del Castello, Donato Greco, imprenditore edile, nato a Galatone, accettò tutte le condizioni; il teatro doveva contenere non meno di millecinquecento spettatori, doveva essere costruito in muratura e in parte in legno e ferro, essere dotato di sistema antincendio, ultimato entro cinque mesi e destinato a rappresentazioni drammatiche e opere musicali.

Col nome di “Politeama principe di Napoli” fu inaugurato il 15 novembre del 1884 con l’Aida di G.Verdi e per la Puglia fu il primo esempio di struttura teatrale paragonabile a quelle costruite nelle grandi città del centro-nord.

Capace di accogliere circa 2000 spettatori era dotato di moderni macchinari per il cambio delle scene e illuminazione a gas trasformata in illuminazione elettrica nel 1909; la sua direzione artistica negli anni venti fu affidata al grande tenore leccese Tito Schipa.

In effetti la costruzione del Politeama avvenne in due tempi. All’inizio comprendeva la sola parte corrispondente alla platea di oggi, mentre la parte anteriore, l’odierno grande foyer, era scoperta e sistemata a giardinetto pubblico con al centro una fontana zampillante.

Solo nel 1913 fu ricostruito tutto in pietra, in luogo del giardinetto fu creato il grande vestibolo con lo scalone d’ingresso ai palchi, dal suo costruttore prese il nome di “Politeama Greco”.

Tutte le opere rappresentate al S.Carlo di Napoli furono allestite in identica edizione al Politeama, sicchè Lecce meritò la qualifica di secondo teatro del Meridione.

Nel 1893 fu data al teatro Regio di Torino la prima di “Manon Lescaut” di Puccini; l’anno successivo 1894 il grande musicista volle modificare il finale del primo atto e presentare l’opera così cambiata al Politeama di Lecce per il  debutto. Ma non solo tutte le grandi opere liriche passarono in quegli anni dal nostro Politeama, vi si rappresentarono numerose opere di prosa, le più in voga in quel periodo storico; val la pena per tutte di ricordare “La Nave” di G. D’Annunzio, che, presentata nel 1908 al Teatro Argentina di Roma, già l’anno dopo passò al nostro Politeama.

Oggi il Politeama è un teatro di prestigio, come può esserlo nelle debite proporzioni la Scala di Milano, il S.Carlo di Napoli, Il Teatro dell’Opera di Roma: è la storia stessa della nostra città e si identifica con tutti gli avvenimenti culturali, artistici, sociali e politici della gente che vi abita.

Nel corso di circa cento anni il Politeama è stato ristrutturato internamente. In considerazione che parte del teatro poggia sull’ex-fossato del cinquecentesco Castello di Carlo V sono state ricostruite in cemento armato le basi di sostegno, è stata sostituita la fatiscente pavimentazione lignea con del materiale ininfiammabile ed acustico, sono state demolite le ormai superate barbacce ottocentesche, sono state arretrate le colonne sotto i palchi, i posti in platea da 530 sono passati a 900.

Merita d’essere ricordato a questo punto un teatro oggi  scomparso che agli inizi del secolo scorso fu per vari decenni il ritrovo preferito dei Leccesi amanti del Teatro di Varietà. Era il Teatro S. Carlino, un baraccone ligneo, che soltanto all’esterno aveva la muratura in pietra.

il teatro San Carlino, non più esistente

Entrò in funzione nel 1908 e venne appoggiato alle possenti mura del Castello di Carlo V tra il Politeama e l’ingresso del Castello. Veniva tenuto con cura ed eleganza e poteva contenere poche centinaia di spettatori leccesi d’ogni ceto, sempre grandi “consumatori” di ballerine del varietà.

Inaugurato dunque nel 1908 ebbe vita breve per un curioso incidente occorso agli inizi degli anni 40. Allora il S. Carlino non era provvisto di lucine elettriche alle uscite di sicurezza, davanti alle quali venivano, durante gli spettacoli, collocati dei lumini schermati con della carta oleata rossa. Una sera particolarmente ventosa un lumino si spense più volte ed il vigile-pompiere importunò ripetutamente uno dei proprietari, Rocco Buda, perché gli fornisse varie volte dei fiammiferi per poter riaccendere il lumino. Il Signor Buda scocciato alla fine mollò un ceffone all’incauto pompiere che dovette ricorrere alle cure d’un infermiere per tamponare una abbondante emorragia. Fu la fine ingloriosa del S.Carlino.

Il giorno dopo agenti di Polizia e Guardia di Finanza appurarono numerose irregolarità e la multa si aggirò intorno alle quarantamila lire, pari ad almeno cinquantamila euro d’oggi; non potendosi pagare una tale somma il locale fu chiuso e poi demolito.

Mario Marti già circa venti anni fa osservava che potrebbe sembrare strano che solo dopo quattro anni dall’inaugurazione del San Carlino (1908), sorgesse nelle vicinanze del Politeama un terzo teatro, l’Apollo, capiente di ben 1600 posti.

Destinato anche a spettacoli di cinema e varieà, fu inaugurato nel maggio del 1912: evidentemente il teatro di prosa, l’opera lirica, il varietà ed il cinema interessavano fortemente l’intera popolazione leccese, compresi i meno abbienti e perfino gli analfabeti. All’origine era una sala, l’attuale ridotto, a cui venne aggiunta l’arena Apollo, ove ora è la platea e solo nel 1926 fu completata l’attuale struttura architettonica con cupola apribile.

prospetto del teatro Apollo col colonnato composito (1911)

Il Teatro Apollo divenne il terzo teatro costruito a Lecce, ma il secondo per importanza poiché vi si rappresentarono opere liriche ed opere drammatiche di vivo successo. La Sala Apollo, poi divenuto Teatro, costituiva, per quei tempi, quanto di più bello e civettuolo si potesse immaginare. Oggi è in completo abbandono, crollata la sontuosa e imponente facciata classicheggiante, si spera che entro tempi non troppo lunghi possa essere salvato, ben restaurato e riportato agli antichi splendori.

Nell’immediato secondo dopoguerra Lecce si è arricchita di nuovi teatri e nuove sale: sul viale Lo Re è sorto il cinema-teatro Massimo (in verità più cinema che teatro, soprattutto perché non mostra una buona acustica). In via Salvatore Trichese, a pochi passi da Piazza Mazzini, sono sorti, in costruzione elegante e moderna, il cinema-teatro Ariston, dove si sono svolti spettacoli musicali, varietà, operette e concerti di notevole livello artistico, ma oggi trasformato purtroppo in sala giochi, e l’accogliente Sala Fiamma, che ha ospitato conferenze, concerti e spettacoli di prosa e d’arte varia di tono raffinato e prestigioso.

Ultimamente, purtroppo, solo il Paisiello e il Politeama continuano a vivere con manifestazioni teatrali attive e culturalmente significative: in un’epoca come la nostra poco incline a coltivare serie attività artistiche, valori spirituali, morali ed educativi, il teatro ha perso molto del suo ruolo formativo, umano e sociale in una città che ha smarrito gran parte del suo empito e delle sue caratteristiche culturali, che l’hanno sempre distinta sino ad epoca recentissima.

 

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