Per una storia del teatro a Lecce (terza parte). Quando fu costruito il Teatro Romano di Lecce?

di Alfredo Sanasi

Quando fu costruito il Teatro Romano di Lecce?

Certo non è facile proporre un’età indiscutibile, per la mancanza di elementi sicuri: ci dobbiamo infatti basare sullo studio di reperti archeologici per averne un’idea approssimativa. Non ci sembra molto convincente l’attribuzione del Teatro al periodo augusteo sostenuta di recente con molto calore e varie argomentazioni dagli studiosi che vedono il teatro come luogo d’incontro tra il princeps ed il popolo: senza teatri, si dice, l’aspirazione di Roma, già dal tempo di Augusto a diventare il centro culturale dell’impero, sarebbe rimasta  poco credibile (P.Zanker)(11).

In effetti tale datazione era stata già sostenuta dalla prof.ssa Delli Ponti circa mezzo secolo fa, ma già allora non ci sembrò molto credibile perché basata esclusivamente su alcuni frammenti di decorazioni fittili, di tipo augusteo, rinvenuti dal Bernardini nella zona del teatro ed ornati con serti disposti a festone e bende frangiate, anzi uno di essi è decorato con una testina muliebre. Se invece esaminiamo la statua virile di stile policleteo, ci si accorge subito, come abbiamo già detto, trattarsi di una replica d’un prototipo greco usato nell’arte iconica imperiale. La statua inoltre è simile per struttura a quella rinvenuta negli scavi intorno all’arco di M. Aurelio a Tripoli, attribuita a Lucio Vero.

Anche la nostra potrebbe essere attribuita allo stesso periodo e gli stessi elementi si riscontrano nel frammento di statua femminile, forse figurazione di Roma, presentata come una vergine amazzonica: buone ragioni che spingono il Bartoccini ad attribuire il monumento ad Adriano o a qualche suo immediato successore. Per giunta noi sappiamo da Pausania che allo stesso periodo adrianeo bisogna far risalire anche l’Anfiteatro e il Portus Adrianus nei pressi dell’odierna spiaggia di San Cataldo: tutti dati ed elementi che ci dicono che Lupiae assunse il suo massimo sviluppo durante l’età imperiale e non solo perché questa città era stata la fedele ospitatrice di Augusto nel suo viaggio segreto da Apollonia a Roma dopo l’uccisione dello zio Giulio Cesare, ma soprattutto per il favore che godette sotto gli imperatori della casa Flavia.

Certo bisogna fare qualche riserva su questa datazione (II sec. d.C.) perché si potrebbe pure pensare che le statue esaminate possano essere state aggiunte in un periodo successivo alla costruzione, ma allo stato attuale non si possono trarre conclusioni più certe circa la sua datazione. Ora se noi ci chiediamo quali tipi di spettacoli dovevano essere dati nel Teatro Romano di Lecce, si dovrà sicuramente pensare alla più ampia gamma di rappresentazioni.

Bisogna anzitutto ricordare che Salentini erano i primi scrittori che tradussero nella lingua di Roma un pò tutte le forme dell’arte teatrale del mondo greco ( L. Andronico era di Taranto, Ennio di Rudiae, come dire di Lecce, Pacuvio era di Brindisi) e quindi è ovvio pensare che i Leccesi amarono rappresentare nel loro teatro le opere di L. Andronico, Ennio e Pacuvio ispirate o tratte a volte quasi di peso dalle tragedie e i drammi satireschi di Eschilo, Sofocle ed Euripide, oltre alle commedie latine di Plauto, Terenzio e Cecilio e le altre forme teatrali minori, quali i mimi, le atellane, le pantomime. Proprio durante l’età imperiale si diffuse la mania delle recitationes, divenute un bene di consumo per i teatri e le sale di

Per una storia del teatro a Lecce (seconda parte)

di Alfredo Sanasi

Le prime tracce dell’esistenza di un  teatro antico a Lecce si scoprirono nel 1929, allorché, durante lo scavo delle fondamenta di una casa tra i giardini dei palazzi Romano e D’Arpe, nel vico dei Marescalchi, oggi via della Carta Pesta, si rinvennero tre gradoni a semicerchio, nonché due frammenti di statue di marmo, un altro di colonna di marmo brecciato e numerose lastrine di marmo colorato.

Lo scavo, ripreso circa dieci anni dopo, nel 1938, mise in luce che i tre gradoni a semicerchio delimitavano un’ area del raggio di mt.5,60, pavimentata con grandi lastre di marmo.

La cavea, ricavata in un banco di roccia, interamente rivestita di opus quadratum,  che un tempo dal Bernardini fu ritenuta di un diametro di soli 40 metri, oggi si ritiene che misuri un diametro di oltre 75 metri, ed è scavata ad un livello di circa tre metri al di sotto del piano della città antica. La parte superiore della cavea, sino alla summa cavea, doveva essere cinta da costruzioni a volte ed archi, simili a quelli dell’Anfiteatro.

la musa del teatro Melpomene (da httpwww.corfu9muses.com)

La gradinata è divisa in sei cunei da cinque scalette radiali. Ciascun cuneo è costituito da dodici scalini alti in media 35 cm. e larghi circa 75, ma questi costituiscono certamente solo l’ima cavea, mancano i sedili della media e summa cavea.

Sul pavimento dell’orchestra si notano numerosi fori, ove forse sorgevano piccole are in onore di Dioniso. Due scalette, situate ai punti estremi dell’orchestra , permettevano l’accesso al palcoscenico (pulpitum), lungo circa 32 metri e alto cm.70 dal piano di terra.

Un lungo canale davanti alla scena, profondo cm.50, era evidentemente destinato a raccogliere il sipario arrotolato. Sul piano della scaena si notano vari piccoli pozzi scavati forse in età medioevale e moderna, ma la grande buca che si vede al centro potrebbe essere, oltre che una cisterna posteriore, il luogo ove era posto l’impianto del deus ex machina. I vari canali che vi si notano e che proseguono anche oltre la grande buca, raccoglievano l’acqua che scendeva dai tetti a spioventi. Certo la frontescena doveva essere complessa e notevolmente ricca, visti i numerosi ed eccellenti ritrovamenti statuari.

Un pò tutti gli studiosi che si sono interessati alle sculture rinvenute nel Teatro Romano si sono meravigliati della ricchezza di tali ritrovamenti, ma molto probabilmente tali statue di marmo erano disposte in nicchie marmoree in una struttura a tre ordini:  oggi la maggior parte di esse si trova nel Museo Castromediano di Lecce. In situ rimane solo una statua loricata molto frammentaria e soltanto da pochi anni è stata rimossa una grande figura femminile acefala, coperta da un lungo chitone a fitte pieghe con un imation (mantello) sovrapposto. Di non molto fine fattura potrebbe raffigurare o un personaggio altolocato in ambito lupiense o meglio ancora un’ imperatrice impostata secondo l’Hera Borghese di scuola policletea o fidiaca.

Gia durante gli scavi del 1929 fu rinvenuta una statua virile acefala che reca sulla spalla sinistra una lunga clamide e sul torace è visibile il balteus che reggeva la spada (3). Agli stessi scavi del 1929 risale un frammento di statua muliebre, appartenente ad una riproduzione dell’Artemide di Gabi: raffigura una fanciulla vestita di corto chitone in atto di affibbiarsi la veste sulla spalla destra. Probabilmente era una riproduzione dell’originale di Prassitele (sec.IV a.C.)(4). Del gruppo di sculture rinvenute durante gli scavi del 1938 ricordiamo anzitutto un grande medaglione di marmo con al centro il busto idealizzato della dea Roma, tratto dallo schema della cosiddetta Athena Hope-Farnese (5).

Raffigura Athena un’altra statua acefala, vestita di peplo e himation ricadente sulla spalla sinistra, sul petto mostra l’egida: è copia di una statua similare esistente nella raccolta vaticana, la cosiddetta Athena Giustiniani.

Mal conservato si presenta un busto loricato, la cui corazza appare decorata con la quadriga del sole che sorge dalle onde e sotto due Nereidi sedute su ippocampi con le armi di Achille(6). L’amazzone ferita, riproducente il noto tipo di Berlino, acefala, è vestita d’un corto chitone che, caduto dalla spalla sinistra, lascia nudo tutto il seno da questa parte. L’originale, probabilmente di Policleto, fu eseguito nel 435 a.C. per il santuario di Artemide ad Efeso (7).Al Doriforo di Policleto rimanda una statua virile acefala raffigurante un atleta in riposo (8). Sempre nel 1938 fu rinvenuta una testa incorniciata da folti capelli e folti baffi che si congiungono ad una barba ondulata ben curata a ciocche (9). Ad Eracle rimanda probabilmente un torso rovinato, che presenta una forte tensione muscolare e tracce delle dita sul fianco destro. Si è fatta l’ipotesi che provenga dal Teatro Romano anche una testa di efebo dalle sembianze idealizzate, dai capelli ricciuti e disordinati (10).

Da questa rassegna di sculture si può arguire che il Teatro Romano di Lecce presentava, soprattutto sulla “frons scaenae” numerose opere scultoree risalenti ad archetipi greci. E se noi ricordiamo che fu atteggiamento spiccato dei Romani volersi circondare di sculture greche o comunque di belle copie di capolavori greci, siamo indotti a pensare che i Messapi leccesi, allorché in età imperiale furono fortemente plasmati dal gusto dei Romani, da questi trassero il desiderio di abbellire i loro monumenti con sculture greche o anche con copie di esse.

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1)       Della Seta, Italia antica, Bergamo 1928, p.133. Da tale interpretazione non si discostano successivamente neppure Aldo Neppi Modona, Gli edifici teatrali greci e romani, Firenze 1961, p.104 e B.Pace, Appunti sui teatri della Magna Grecia, in Djoniso X, 1947, p.272-273.

2)       A.Sanasi, Lecce Romana, in “La Zagaglia”, nn.30 e 34.

3)       La gamba destra è ritta e su di essa poggia il corpo, mentre la sinistra è portata lievemente in dietro e flessa. Sin dal suo ritrovamento fu ritenuta una riproduzione dell’Ares Borghese (S.Reinach, Repertoire de la statuaire grecque e romaine, t.II v.I Paris 1930, p.179).

4)       Secondo il Bartoccini le statue dovevano essere collocate in due nicchie sulla “frons scenae” e rappresenterebbero Augusto e Roma, ideata quest’ultima come un bellicosa vergine amazzonica, secondo un concetto che ebbe molta fortuna durante l’impero (Bartoccini, Il Teatro romano di Lecce, in “Dyoniso” 1936, n.3, p.107).

5)       Ha folti capelli divisi in due masse lungo i bordi dell’elmo, che ricadono sul petto con ciocche ondulate. La veste, scollata a punta, è decorata con la testa di Medusa, al di sotto della quale due serpenti con le code attorcigliate sugli omeri. Il Bernardini ritiene che questo medaglione, per lo stile piuttosto vigoroso, specialmente nel trattamento del collo, appare molto vicino a quelli dell’arco augusteo di Rimini (M.Bernardini, Lupiae, Lecce 1959, p.72).

6)       Ultimamente si è posto questo busto in rapporto ad Augusto da Prima Porta, però le Nereidi su mostri marini e la forma delle placche metalliche nella parte posteriore della statua fanno pensare piuttosto all’eta dei Flavi ( C.C. Vermeule, Hellenistic and Roman Cuirassed Statues, in Berytus XIII, 1959, p.46, n.98; Katia Mannino, in Lecce Romana e il suo teatro, a cura di F. D’Andria, Congedo editore 1999, pp. 46-48).

7)       Certo questa Amazzone di Lecce, pur ferita, non sembra esprimere vero dolore: è evidente lo sforzo del copista romano nel riprodurre i caratteri dell’archetipo in tutti i particolari: qui il problema formale va a scapito di quello emotivo e il foro che si scorge sul fianco sinistro sta ad indicare il punto d’appoggio a qualche sostegno.

8)       Il torso proveniente dal Teatro di Lecce poggia sulla gamba destra, mentre la sinistra appare leggermente spostata in avanti come nel famoso capolavoro policleteo.

9)       In essa M. Bernardini vide Zeus nello schema del dio di Otricoli, di recente invece è stata interpretata come la testa di Asclepio, soprattutto per la “corona tortilis” che compare intorno al capo (Bernardini, op. cit. p. 74; Katia Mannino, in Lecce Romana e il suo teatro, a cura di F.D’Andria, pp.38-40).

10)       Essa fu trovata nel 1869 nell’ex convento di Santa Chiara, situato proprio dinanzi al Teatro. Viene ritenuta una buona copia romana d’un originale greco forse collocabile nella cerchia dell’arte scopadea. Di recente si è pensato al volto idealizzato di Alessandro Magno e ricalcherebbe lo schema dell’Alessandro appoggiato ad una lancia di  Lisippo, perché questo tipo di statua riscuoteva un notevole successo in età romana (I.I. Pollit, Art in the Hellenistic Age, Cambridge 1986, pp. 26-31; K.Mannino, op. cit., pp. 45-46).

11)   Zancher, in D’Andria, Lecce Romana e il suo teatro, pp.35-37.

 

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