Io i paesini li amo, amo i loro vicoli, amo di essi la noia e quella fottuta routine

Nardò. Piazza Salandra
ph Aristide Mazzarella

di Stefano Manca

Ha cominciato Marchionne, definendo Firenze una città «piccola e povera». Da lì la rivolta dei fiorentini e dell’allora sindaco Matteo Renzi. Un mese fa una concorrente di Nardò del Grande Fratello ha dichiarato di provenire da «un paesino della Puglia». Infuocate reazioni: «Paesino? Come si permette? Siamo 30mila!», ha reagito uno. «Siamo 32mila!», ha detto l’altro. «Siamo 38mila!», ha rilanciato un altro ancora. «Siamo 38mila marine escluse!», ha precisato un altro demografo. Ho smesso di leggerli prima che superassero Tokyo. Adesso la questione si ripresenta a Lecce. Una residente del centro non trova parcheggio nel fine settimana e lascia l’auto in sosta vietata con un biglietto: «Se dev’essere spostata citofonate al civico 8 di questa via. ‘Sti cazzo di paesani hanno intasato Lecce». Per «paesani» l’automobilista intendeva coloro i quali nel weekend abbandonano la provincia (il «paese», appunto) e vanno a Lecce (la «metropoli», evidentemente). In tutti e tre i casi citati («città piccola», «paesino», «paesani») i piccoli centri sono percepiti come le residenze di chi parte in svantaggio, di chi deve recuperare, di chi non sa allacciarsi le scarpe. Persino chi oggettivamente ci vive, in un paesino, ne rifiuta l’etichetta. Se il paese vi fa schifo, datelo a me. Io i paesini li amo, amo i loro vicoli, amo di essi la noia e quella fottuta routine, amo Totò e Peppino che arrivano a Milano e tirano fuori le galline dalla valigia, amo pure chi il paesino lo lascia, amo quel sentirsi un inviato all’estero quando scrivo di fatti minuscoli avvenuti a sei chilometri da casa mia, amo le biografie vere e quelle inventate che si mescolano nella piazza, amo l’arrivo del cantante vintage e se ne parla per otto mesi, amo il campanile e stanotte amo la mia mente chiusa perché così non entrano gli spifferi delle vostre cazzate.

 

La maschera è caduta

ph Mauro Minutello
ph Mauro Minutello

di Stefano Manca

 

La vicenda della xylella un merito ce l’ha: ha fatto venire fuori i caratteri.

La vulnerabilità degli alberi ha ceduto il passo alla vulnerabilità degli uomini.

Dal “peace and love” alla violenza verbale reiterata per qualcuno il passo è stato brevissimo.

L’ipocrisia d’ora in poi non basterà più.

La maschera è caduta. Finalmente.

E per questo non finiremo mai di ringraziare i vecchi e amati ulivi.

Un gioco, A Difesa Del Territorio E Dei Suoi Prodotti Agricoli

anguria

di Stefano Manca

 

A 19 anni cominciai a prendere confidenza con Lecce, le sue viuzze e i suoi locali e le sue feste e le sue menate. Mi invaghii con moderazione di una ragazza che aveva lasciato la provincia tarantina e preso una stanza in affitto nei paraggi di Porta Napoli. Pranzavo spesso da lei. Quando si arrivava alla frutta portavamo l’anguria sul terrazzo e facevamo un gioco indimenticabile. Sputare i semini cercando di fare “canestro” nei vasi delle piante. Chi faceva più canestri, vinceva. Niente soldi né targhe né coppe: chi perdeva scendeva a fare il caffè. Avevamo a disposizione venti semini a testa. Vorrei chiedere a tutti gli assessori comunali della provincia di fare proprio questo gioco low cost inventato da due universitari poco seri e promuoverlo ad Evento A Difesa Del Territorio E Dei Suoi Prodotti Agricoli. Un sindaco qualunque potrebbe tagliare il nastro. I concorrenti comincerebbero ad addentare fette d’anguria per poi sparare i semini. La giuria sarebbe composta dalla pro loco e da qualche commercialista in pensione. Non dite subito no. Pensateci.

Avetrana e Brembate

AVETRANA: SARAH SCAZZI - CERIMONIA TUMULAZIONE SALMA

di Stefano Manca

Sarebbe stato individuato l’assassino di Yara Gambirasio. Quando venne ritrovato il corpo della ragazza, i genitori chiesero da subito ai giornalisti riservatezza e rispetto, rivendicando con dignità il diritto di vivere il proprio dolore senza “condivisioni” esterne. Giornali e tv, salvo sporadiche eccezioni, in questi anni hanno seguito la “preghiera” dei coniugi Gambirasio. Mi torna in mente un altro omicidio: quello della piccola Sara Scazzi. Ad Avetrana, quanto a mass media, non andò come a Brembate. Mentre scrivo non ricordo come si chiama la madre di Yara ma so perfettamente i nomi dei parenti della piccola di Avetrana. Colpa dei giornali cattivi? Della tv del dolore? Non ci credo! Quasi tutte le interviste a familiari e vicinato di Sara erano concordate con i soggetti intervistati, che ospitavano in casa telecamere e taccuini. Alcuni operatori per riprendere Michele Misseri nel suo giardino salivano sul terrazzo dei vicini di quest’ultimo (con il permesso ovviamente dei padroni di casa, che facevano strada con encomiabile gentilezza). Tralasciando un attimo gli ascolti stratosferici, era la comunità di Avetrana ad alimentare il delitto di Avetrana. Intendiamoci: a chi dice che giornali e tv, alimentati o no, ad un certo punto si sarebbero dovuti comunque fermare o limitare, dico che probabilmente ha ragione. Però mi chiedo: come mai a Brembate l’omicidio di una ragazzina è stato trattato in maniera doverosamente più discreta di Avetrana? Telegiornali e giornali erano e sono sempre gli stessi: a Brembate sono diventati di colpo rispettosi?

Vendere frutta in strada? non si può

frutta e

VENDERE FRUTTA IN STRADA? NON SI PUO’
Fa discutere una recente pronuncia della Corte di Cassazione

di Stefano Manca
Una sentenza che sembrerebbe “storica”. La Cassazione infatti ha stabilito che i commercianti sorpresi a vendere frutta e verdura in spazi aperti andranno incontro a condanne penali (legge 283/1962). Tutto è cominciato a Pomigliano D’Arco, dove un fruttivendolo si è rivolto alla Suprema Corte per co…ntestare un’ammenda subita per aver esposto i suoi prodotti lungo il marciapiede. I giudici hanno però confermato che «la messa in commercio di frutta all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti costituisce una violazione dell’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari».
Niente più frutta in strada, quindi. Da questo momento anche i marciapiedi di Nardò e dintorni, strapieni di venditori, sono da considerarsi per legge “igienicamente inidonei” alla vendita. Le marmitte dei veicoli di passaggio, infatti, “condiscono” pericolosamente i prodotti esposti. Per quanto riguarda invece la presenza o meno di veleni nei terreni in cui quegli ortaggi e quei frutti sono nati, attendiamo che la magistratura ci dica qualcosa con la medesima puntualità.

Ogni paese ha i suoi “personaggi”

gratta

di Stefano Manca

Ogni paese ha i suoi “personaggi”. Soggetti con problemi psichici più o meno gravi che vedi passeggiare senza meta, quasi protetti dalla città che li ha eletti a mascotte. Fanno l’autostop oppure chiedono l’orario. A volte provano a salire sul primo autobus che passa loro davanti, fregandosene del biglietto e della destinazione. Con la loro bizzarra anarchia riescono sempre a farti sorridere. Uno di loro vive nella mia città. E’ un ragazzo alto e magro, attorno ai trent’anni. Lo incontro al mare d’estate. Le attività che gli riescono meglio sono: farsi regalare arachidi dall’anziano venditore di noccioline e soprattutto intrufolarsi alle feste private. Gli addetti alla sicurezza provano ogni volta a respingerlo ma alla fine, stremati, lo lasciano entrare. Stamattina lo incrocio casualmente in una tabaccheria. Il ragazzo tira fuori una moneta e indica con il dito alla tabaccaia i “gratta e vinci” accanto alle caramelle. La donna incassa l’euro. Il ragazzo va a sedersi al tavolino all’angolo per “grattare” il tagliando appena acquistato. Nel frattempo entra un altro cliente. Va verso la tabaccaia ma vede il ragazzo e di colpo cambia direzione. Con una pacca gli sorride e si offre volontario per verificare il biglietto. “Vediamo se hai vinto”, dice premuroso. Il “volontario” esamina la giocata e fa cenno al ragazzo che ha perso. Saluta, lasciandolo col biglietto in mano. Secondo cliente, stessa scena. Direzione tabaccaia, poi nota il ragazzo e cambia rotta. “Vediamo, dai, vediamo se hai vinto, amico!”.
Rinunciamo alle nostre commissioni quotidiane per aiutare un diversamente abile a fargli capire se ha vinto al “Gratta e vinci”. Commoventi…

A vent’anni manifestavo anch’io a Roma, quando Bush e Blair…

forza

di Stefano Manca

Poco fa Servizio Pubblico ha mandato in onda il filmato della manifestazione berlusconiana di ieri a Roma. C’erano anche alcuni pullman partiti dalla mia città. L’inviato di Santoro ha avvicinato uno di questi miei compaesani che manifestavano – avrà avuto una ventina d’anni, boh? – e gli ha chiesto qualcosa sulle ultime vicende di Berlusconi. Quello non sapeva niente della decadenza e anche alcuni ragazzi neretini che erano con lui ridacchiavano senza rispondere a nulla.

A vent’anni manifestavo anch’io a Roma, quando Bush e Blair bombardavano mezzo mondo. Io e i miei amici, cresciuti a pane e Micromega, fieri delle nostre idee, coi thermos di caffè e i pullman presi di notte dal piazzale Agip di via XX Settembre. E quando nel corteo ci avvicinavano i giornalisti, parlavamo con loro di pace e diritti umani e del mondo che sognavamo. Questi non sapevano manco perché erano lì. Che schifo.

Venghino siori, venghino…

totò

di Stefano Manca

In molti festeggiano perché un colosso mondiale dei supermercati, l’azienda tedesca Lidl, aprirà con ogni probabilità uno dei suoi discount anche a Lecce. Avanti tutta coi curricula, muovetevi meridionali pigroni, qui servono addetti alle vendite e commessi specializzati.
Si annuncia in pompa magna l’ennesima infornata di posti di lavoro. Il mercato. Lo sviluppo del territorio. Tutto quello che volete. Ma io, per sicurezza, mi faccio un nodo al fazzoletto. Chissà che fine farà tra qualche anno lo spropositato entusiasmo di oggi, quando vi accorgerete in che condizioni di precariato lavorano in realtà moltissimi addetti alle vendite e commessi. Ascoltateli, quei ragazzi, e poi scrivete ancora di sviluppo del territorio, se avete coraggio.

Tempi moderni

chaplin tempi moderni

di Stefano Manca

 

Rischiare la vita per un rave party, dopo essersi imbottiti di droga. E’ accaduto ad una 22enne di Santa Cesarea Terme nella notte tra venerdì e sabato. Il rave – così si chiamano queste feste illegali a base di alcol, droga e musica elettronica – si è svolto nelle campagne tra Lecce e Torre Chianca. La ragazza pare sia fuori pericolo. A 22 anni le mie droghe erano i biglietti ferroviari di terza classe che mi portavano lontano da qui.

I concetti di Concettina

 

ph Ernesto Treccani (da lombardiabeniculturali.it)
ph Ernesto Treccani (da lombardiabeniculturali.it)

di Stefano Manca
Ho incontrato al supermercato Concettina, un’anziana donna che vive nel mio quartiere. Mi ha detto che ieri in televisione ha visto “quel programma di Canale Cinque, Le Iene”.
“Italia Uno, Concettì: Italia Uno”, l’ho corretta.
“Ah già, Italia Uno. Insomma, c’erano i bambini di una scuola che non avevano da mangiare e quello ha detto: noi siamo delle Iene”.
Avevo seguito anch’io quella vicenda ma non volevo interromperla. Concettina si riferiva a quello che sta accadendo a Vigevano, dove il sindaco leghista Andrea Sala si rifiuta di coprire le spese per la mensa scolastica dei bambini delle famiglie meno abbienti. All’ora di pranzo la scena da quelle parti è pertanto questa: i bambini “ricchi” a tavola e quelli “poveri” in un angolino. Concettina mi ha raccontato che da bambina a Piazza Umberto (la piazza che ospita lo storico istituto scolastico della mia città) gli scolari poveri come lei andavano al refettorio e c’erano pasti caldi per tutti.
“Oggi è tutto al contrario. Anziché dare da mangiare ai poveri fanno mangiare i ricchi. Non si capisce niente”, ha detto sconsolata spingendo il carrello.

Polacche e giornalisti

da webeing.net
da webeing.net

di Stefano Manca

 

Pensavo, sere fa, a quando intervistai una badante polacca appena licenziata, la quale ce l’aveva a morte con l’Italia. Mi raccontò che non avrebbe più accettato alcun lavoro nel nostro Paese a meno di dieci euro all’ora. Non le dissi nulla di quell’inchiesta di “Reset” sui giornalisti precari italiani pagati due euro a pezzo.

Per avercela a morte con l’Italia non sapeva che doveva mettersi in fila.

Montecitorio, luogo sacro della democrazia

montecitorio

di Stefano Manca

Non mi piacciono Grillo e la sua concezione di politica. Ma l’altro giorno ho condiviso un suo intervento in cui sottolineava come una giovane deputata del Movimento Cinque Stelle sia stata offesa a Montecitorio da due parlamentari del Pdl. Gli epiteti erano: “bella bambina”, “bagascia”, “bambola”. Adesso si registra un episodio ancora più grave. La location è sempre la stessa: Montecitorio, luogo sacro della democrazia. Anche se sembra di stare nei peggiori bar di Caracas, come recita uno spot. E’ accaduto, dicevo, che un parlamentare del Movimento Cinque Stelle, Matteo Dall’Osso, abbia perso il filo del discorso durante un suo intervento. E giù risatine e insulti da parte dei deputati di Pd e Scelta Civica. L’unico dettaglio è che Matteo Dall’Osso è affetto da sclerosi multipla, una malattia che può portare anche a disturbi cognitivi e perdita di memoria. Non so più cosa pensare di questo paese in fiamme. Ve li immaginate Moro, Berlinguer e Almirante che ridono in aula di un ammalato?

Quelli di destra e quelli di sinistra

ambulante

di Stefano Manca

 

Mi è capitata tra le mani la relazione finale di un dossier sull’immigrazione in provincia di Lecce. Numeri molto interessanti. Due dati in particolare hanno colpito la mia attenzione. Il primo ha come fonte la Camera di Commercio di Lecce e risale, fresco fresco, al 30 giugno 2013: le imprese salentine avviate da extracomunitari negli ultimi dodici mesi passano da 4481 a 4750 (269 nuove imprese, +6%). Le imprese salentine avviate da italiani che hanno chiuso i battenti nell’ultimo anno sono invece 321.
L’altro dato invece è dell’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità): gli stranieri in Italia pagano affitti più alti del 10-20%. Lecce rientra in queste percentuali.
Pertanto, quando uno, che per brevità e semplicità definiremo “di destra”, vi dirà che loro arrivano qui, aprono attività e gli italiani chiudono, sappiate che non è poi così sbagliato. E quando uno, che per brevità e semplicità definiremo “di sinistra”, vi dirà che loro arrivano qui e alcuni italiani furbi ne approfittano per affittare case malridotte a prezzi alti, sappiate che ha ragione pure lui.
Sappiate che hanno tutti ragione.

Lo scoop mancato

da tuttocina.it
da tuttocina.it

di Stefano Manca

 

Qualche mese fa entrai nel negozio di un commerciante cinese per acquistare un giocattolo per il mio cagnolino. La commessa, più o meno ventenne, mi fece strada tra i vari reparti. Non si esprimeva molto bene in italiano. Nel senso che utilizzava inconfondibili espressioni salentine, che inutilmente provava ad “italianizzare”. Anche i suoi tratti erano tutt’altro che asiatici. Con una scusa ebbi poco dopo la conferma che si trattava di una ragazza di un comune dell’entroterra leccese. Una ragazza salentina, dunque, alle dipendenze di un imprenditore cinese. Mi venne in mente di intervistarla, raccontando la globalizzazione e lo strapotere economico di un’area del pianeta partendo da qui, da uno sperduto paese meridionale. Lasciai perdere. Non ne parlai al mio caporedattore. Troppo provinciale, mi dissi. Devo smetterla di fare il provinciale, mi ripetei. Adesso L’Espresso dedica la copertina al fenomeno degli italiani alle dipendenze di imprenditori cinesi. Ecco, a parte lo scoop mancato (lo dico con ironia, ragazzi) ho imparato che forse il mondo conviene ogni tanto osservarlo con gli occhi del provinciale.

Daniele Greco vince la medaglia d’oro nel salto triplo

 

Daniele Greco (da fiammeoroatletica.it)
Daniele Greco (da fiammeoroatletica.it)

 

L’atleta salentino conquista il primo posto ai Campionati europei indoor. La sua Galatone in festa

 

di Stefano Manca

Di “straniero” ha solo il cognome, ma l’atleta 24enne Daniele Greco è italianissimo. Viene da Galatone, in piena terra salentina. Lo scorso due marzo Daniele, specializzato nel salto triplo, conquista a Goteborg la medaglia d’oro ai Campionati europei indoor. Greco diventa campione d’Europa nel salto triplo, “volando” per oltre diciassette metri: 17.70, per la precisione. Medaglia d’argento e di bronzo per due atleti russi, rispettivamente Samitov (17.30) e Fyodorov (17.12). In questi casi sono i centimetri a fare la differenza. Lo sa bene anche Raimondo Orsini, l’allenatore che segue Daniele dal 2003. E fu proprio Orsini ad indirizzare Greco all’atletica leggera. Seppur giovanissimo Daniele vanta già un glorioso curriculum: è stato infatti uno dei protagonisti dello sport italiano anche un anno fa, alle Olimpiadi di Londra. Per la prima volta un cittadino galatonese approda nella manifestazione sportiva più prestigiosa del mondo. È il 9 agosto 2012: sotto gli occhi di tutto il pianeta, il triplista salentino salta per 17.34 metri, ottenendo un lusinghiero quarto posto nella classifica finale. Anche senza medaglia, pochi giorni dopo la città di Galatone festeggia l’atleta che rientra da Londra.

E adesso arriva l’oro di Goteborg. Il Salento riesplode di gioia. Galatone è pronta ad accogliere nuovamente il “suo” campione. Uno di poche parole che dialoga con i ragazzi. Uno dei suoi ultimi incontri lo ha tenuto in un istituto superiore di Nardò qualche settimana fa, poco prima di gareggiare in Svezia. Daniele risponde alle domande dei suoi quasi coetanei. Poi, armato di semplicità, se ne va, conquista l’oro, sventola il tricolore, si commuove e ringrazia Gesù. Nel frattempo la grande stampa racconta la sua impresa.

E la sua Galatone? Cittadini, amministratori, amici e familiari lo aspettano con entusiasmo. Qui non ci sono calciatori miliardari o veline o scontri tra tifoserie. Qui c’è “solo” un oro da festeggiare, conquistato da un ragazzino con la faccia pulita che salta più di tutti.

 

 

Il Comune di Lecce contro Marina Orfei

Botero, Gente del circo con elefante (2007)
Botero, Gente del circo con elefante (2007)

di Stefano Manca

 

Tra accuse di inquinamento, sversamento di liquami e presentazione di documenti falsi, l’Assessore alle politiche Ambientali si scaglia contro il  Circo che staziona nei pressi dello Stadio Via del Mare. Lecce ospita così probabilmente per l’ultima volta un circo con animali.

 

E’ la famiglia che ha fatto la storia dell’arte circense in Italia e nel mondo. Da quasi due settimane è a Lecce Marina Orfei, figlia del celebre Paolo, capostipite e fondatore del circo che porta il suo cognome. Sembrava tutto pronto per emozionare e divertire il pubblico salentino tra clown, acrobati e… animali. Già, gli animali. Proprio loro, senza volerlo, hanno aperto le danze delle polemiche. Si parte lo scorso 21 febbraio: l’Assessore alle Politiche Ambientali del Comune di Lecce, Andrea Guido, partecipa alla manifestazione che cittadini e associazioni hanno organizzato davanti al piazzale dello stadio Via del Mare (è qui che stazionano i tendoni del Circo Orfei). Si protesta contro l’utilizzo di animali negli spettacoli circensi, un tema che sta interessando molte città italiane. A Lecce però accade dell’altro. Venerdì primo marzo in conferenza stampa l’assessore Guido fa sapere che il Comune ha imposto l’immediata sospensione degli spettacoli del Circo Orfei, con tanto di ordinanza che costringe i proprietari a smontare immediatamente la struttura. I motivi di questa decisione appaiono tutt’altro che trascurabili. Il circo si sarebbe dovuto occupare dello smaltimento dei rifiuti prodotti durante la permanenza leccese. Gli uffici comunali avrebbero però riscontrato che la documentazione attestante l’accordo con una società barese che avrebbe dovuto smaltire i rifiuti, è falsa. Inoltre, secondo alcuni sopralluoghi degli ispettori comunali lo sversamento dei liquami sarebbe avvenuto lungo le strade pubbliche. Dulcis in fundo: alcuni residenti del quartiere che ospita il circo affermano di aver trovato del letame nei contenitori riservati alla raccolta differenziata. Accusa, quest’ultima, confermata dalla polizia municipale.

Ricapitolando: secondo il Comune si tratta di inquinamento e falsificazione di atti finalizzata all’ottenimento delle autorizzazioni comunali necessarie per l’allestimento degli spettacoli. A margine della conferenza stampa scoppia il putiferio. Spunta in sala Giuseppe Spada, marito di Marina Orfei, che inveisce contro l’assessore Guido: “Ci avete rovinato, avete mandato intere famiglie sul lastrico, per colpa vostra ora non abbiamo neanche i soldi per andare via da questa città. Abbiamo pagato tutto quello che c’era da pagare e non si può far chiudere un circo in questo modo dopo che in passato ci avevano dato tutte le autorizzazioni del caso”. Lapidaria la replica di Guido: “Ci porti in Tribunale. La nostra decisione è irrevocabile e noi siamo a conoscenza del trattamento che riservate agli animali e dell’inquinamento che producete con i vostri spettacoli. A Lecce non verranno mai più circhi che basano il loro spettacolo sugli animali”. Ma a poche ore dallo scontro arriva un nuovo comunicato dell’assessore Guido, una sorta di parziale dietrofront: “Per evitare il rischio di procurare un grave danno economico alla famiglie degli operatori a seguito del circo, situazione che, a quanto pare, non è tra le più floride, ho preferito ammorbidire la mia posizione. Per queste ragioni ho messo da parte anche gli attacchi rivolti in pubbliche sedi alla mia persona e al ruolo istituzionale che rivesto optando per una soluzione più accomodante della vicenda anche se le responsabilità della cattiva condotta degli operatori circensi verranno valutate in altre e più opportune sedi. Non avrei mai sopportato di arrecare danno a persone che nulla hanno a che vedere con gli illeciti riscontrati, per i quali saranno solo i responsabili a pagare”. Pensare che poco meno di un anno fa lo stesso Circo “sbarcò” ad Alezio, ricevendo per mano del Comandante dei Vigili Urbani Bruno Manco un’onorificenza “per lo spettacolo presentato, l’impegno artistico dimostrato, la cura degli animali e l’intrattenimento artistico che ha riunito insieme tutta la cittadinanza” (agosto 2012). Da Lecce invece gli Orfei “sbaraccheranno” domenica tre marzo, e di onorificenze non c’è nemmeno l’ombra. Anzi, quelle di questi giorni infatti sono probabilmente le ultime esibizioni nel capoluogo di un circo con animali. Una data storica, insomma. Il consiglio comunale ha già infatti deliberato all’unanimità il divieto di ospitare d’ora in poi tali spettacoli.

Questa vicenda è passata rapidamente da temi come il rispetto per gli animali ad altrettanto valide questioni come ambiente e legalità (ricordiamo che è in piedi l’accusa di aver presentato al Comune di Lecce documenti falsi per ottenere autorizzazioni). Il web intanto ospita i pareri dei salentini. Ma forse le uniche opinioni di cui avremmo bisogno  sono quelle degli animali. “Come si vive in gabbia?”, si dovrebbe chiedere ad un elefante.

 

Stefano Manca

stefano manca

Stefano Manca, classe ’81, è nato e vive a Nardò. Dal 2000 ad oggi ha collaborato con diversi periodici locali. Negli anni 2006-2007 è stato redattore della rivista bimestrale leccese “L’Impaziente”. Si è classificato al primo posto nei premi letterari “Bianca Gallone” (2000) e “NuArtFestival-Rassegna Internazionale delle Arti Universitarie” (2008). Attualmente collabora con il settimanale salentino “Belpaese” e con la sezione “Socialnews” del portale Tiscali.

Per la “Fondazione Terra d’Otranto” ha scritto i racconti:

Inno alla provincia

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/11/26/inno-alla-provincia/

 

Parabrezza hd

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/26/parabrezza-hd/

 

Il Ducato di Modena e il cafone borbonico

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/13/il-ducato-di-modena-ed-il-cafone-borbonico/

 

Duelli linguistico-generazionali

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/07/15/duelli-linguistico-generazionali/

 

Il lavoro sporco della letteratura

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/06/10/il-lavoro-sporco-della-letteratura/

 

Braccia

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/06/30/braccia/

 

Quello che resta

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/20/quello-che-resta/

 

Ma’

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/13/ma/

 

Pedalare

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/12/pedalare/

 

Dialoghi di primavera

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/03/dialoghi-di-primavera/

 

L’anima in fondo del pop

L’anima in fondo del pop

 

e gli articoli:

Andy Wharol sbarca ad Otranto

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/08/31/andy-warhol-sbarca-ad-otranto/

 

Daniele Greco vince la medaglia d’oro nel salto triplo

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/03/04/daniele-greco-vince-la-medaglia-doro-nel-salto-triplo/

 

Il Comune di Lecce contro Marina Orfei

Il Comune di Lecce contro Marina Orfei

Inno alla provincia

di Stefano Manca

Non importa se vivi a Correggio o ai Parioli, conta il tuo occhio sulle cose“.

Luciano Ligabue, intervistato nei giorni scorsi da Ernesto Assante per Repubblica, inneggia alla provincia italiana. Ne consiglio la lettura ai provinciali come me e ai metropolitani come voi. Ne consiglio la lettura a chi si lamenta dei vecchietti del paese, a chi crede che gli eventi siano sempre altrove. Ne consiglio la lettura a chi si illude che basti la residenza a cambiare le persone.

Leggere il Liga, che ha accompagnato alcuni anni della mia adolescenza, mi ha riportato alla mente un altro “provinciale”. Daniele Greco è un atleta 23enne di Galatone specializzato nel salto triplo. Il 2012 si è aperto per lui con la qualificazione alle prossime Olimpiadi, conquistata ad Ancona lo scorso 21 gennaio. Il giovane salentino rappresenterà quindi l’Italia nella competizione sportiva per eccellenza, che si terrà a Londra a partire dal prossimo 27 luglio.

Ricordo una vecchia intervista a Daniele e al suo preparatore: i due raccontavano di rocambolesche peripezie per raggiungere la pista d’allenamento, qualche anno fa. Una struttura abbandonata e fatiscente in cui Daniele e il suo staff, tra le erbacce, si andavano ad allenare. Per accedervi era necessario saltare un muretto, poiché il vecchio portone d’accesso era sprangato e arrugginito. Come facevamo da bambini, quando in assenza totale di parchi pubblici giocavamo per strada e scavalcavamo i cancelli delle proprietà private per riprenderci il pallone. Daniele si ritroverà a gareggiare con coetanei di tutto il mondo che forse non hanno mai vissuto queste esperienze. Anche per questo tiferemo per lui. Perché siamo italiani e perché siamo provinciali, e spesso abbiamo saltato più muretti degli altri.

http://www.londra2012.coni.it/i-qualificati.html?view=schedaatleta&id_atleta=1029

Parabrezza HD

di Stefano Manca

Male che vada chiederò in giro. Qualcuno si trova sempre, da quelle parti. Qualcuno che sappia dirmi dove si trova l’officina a cielo aperto di Rocco, il demolitore di automobili. Giù, giù, verso il Capo di Leuca, mi sono quindi fatto strada tra le dettagliate informazioni fornitemi dagli anziani del paese, affidabili motori di ricerca d’ogni paesino. Le soffiate mi portarono in un bar. Rocco era lì dentro. Mi ero finalmente convinto. Gli avrei spiegato cosa fare e amen. Già, cara vecchia Fiat, ho deciso di demolirti. Cambio macchina. Mi sono indebitato di rate mensili per i prossimi cinque anni. Prima però ti scrivo.

Raggiungere Rocco, una volta individuato, non era semplice. Bisognava dapprima superare i cazzari. Io ritenevo che i cazzari da Bar Sport, quelli, per intenderci, che Stefano Benni raccontò con straordinario umorismo oltre trent’anni fa, fossero scomparsi. Macché. Da quelle parti qualcuno era sopravvissuto all’estinzione. Ne avevo le prove. Appena entrato, un esemplare di Homo Cazzarus si era palesato a me esponendo a voce altra il suo brillante curriculum. Ovviamente senza che né io né i poveri astanti, mattina presto ed ancora privi di caffeina, si fossero sognati di chiedergli qualcosa. Mi guardavo attorno, in quel bar. Anche l’arredamento circostante ed i suoi monili richiamavano Benni. Il vaso dell’Amarena Fabbri utilizzato per le arance. Le redivive mentine Saila. Il Cinzano lassù in vista, dove si espongono le novità. E tutto ciò richiamava, a sua volta, la mia automobile. L’abitacolo

Il Ducato di Modena ed il cafone borbonico

 

di Stefano Manca

I nuovi si riconoscevano subito. La scuola non era poi così numerosa. Ilaria era, appunto “la nuova”. Diventò presto il nostro argomento di conversazione preferito. Elemosinando il permesso di uscire per concederci le nostre prime, proibitissime, sigarette, aprivamo fiumi e fiumi di dibattiti.

Secondo me è del nord.

Secondo me è di qualche paesino qui intorno.

Secondo me snob e famiglia ricca: figliadipapà inavvicinabile.

Le congetture andarono avanti ricreazioni intere. Nessuno di noi, nonostante il look da Bullo Discotecaro, provava ad avvicinarla.

Una così ti fa fare una figuraccia che la scuola ti ride dietro per mesi, pensavamo.

Quella mattina trovai le palle. Il coraggio non era sufficiente. Ci volevano proprio le palle. Finalmente prese a piovere come si deve, come nei film americani. Solo che io non ero Richard Gere e la provincia leccese non era New York. Mi avvicinai con la scusa dell’ombrello.

Ero il primo che la avvicinava con la scusa dell’ombrello.

Ero il primo che la avvicinava tout court.

“Tieni. Per adesso mi sa che non smette”, esordii. Durante il tragitto avevo

Andy Warhol sbarca ad Otranto

 

 

di Stefano Manca

Dal 27 maggio al trenta settembre, una mostra di cinquanta opere dedicata all’eclettico artista americano

Dopo il successo delle mostre di Mirò, Picasso e Dalì, ad Otranto sbarca Andy Warhol. Circa cinquanta opere provenienti da collezioni private italiane prodotte dall’artista statunitense con la tecnica meccanica della serigrafia saranno visitabili nel Castello Aragonese di Otranto da ieri al 30 settembre 2012.

“Andy Warhol – I want to be a machine”: è il titolo della mostra, curata da Gianni

Duelli linguistico-generazionali

di Stefano Manca

“Beh, lo hai trovato o no il nome a questo cagnolino?”, mi chiede mia madre.

“Sì ma’, ho deciso di chiamarlo Bullo”.

“Bullo? Ma che nome è Bullo? È almeno un nome per cani?”

“Mamma, cosa significa ‘nome per cani’?”

“Questo nome, Bullo, non l’ho mai sentito!”.

Questo cagnolino è un fifone. Quindi mi è sembrato divertente dargli un nome che dicesse l’esatto opposto. Avrei voluto giustificare il battesimo citando i fondamentali dell’umorismo, quelli spiegati da Pirandello. Il contrasto tra apparire ed essere. Solo che ho avuto paura che mamma, sentendo il nome Pirandello, mi dicesse: “Bello ‘sto Pirandello. Perché non lo chiami così?”.

La discussione è proseguita il giorno dopo.

“Cambia nome a quel povero cagnolino!”

“Perché ma’?”

“Gli hai dato il nome dei delinquenti! Sono quelli del bullismo, no?”

“Sì, mamma. Sono quelli. Come l’hai saputo?”

“L’hanno detto al telegiornale”.

Per un attimo mi ero illuso. Avevo sperato che, incuriosita dal nuovo lemma, avesse consultato un dizionario. Invece era stata la televisione ad arricchire il suo lessico. Attraverso un significato che lei ha subito fatto suo, a modo suo (“il nome dei delinquenti”).

“Parlare dal video è sempre parlare ex cathedra, anche quando c’è un mascheramento di democraticità”, disse Pasolini intervistato da Enzo Biagi. La seriosità è andata a farsi benedire quando, ramazzando in giardino, mi ha confidato:

“Figlio mio, io all’inizio ho pensato al bullo della macchina”.

Braccia

di Stefano Manca
Stamattina nel mio paese in Puglia c’erano oltre trenta gradi. Al semaforo uno si accosta e mi chiede: “Ehi, sto scrivendo un romanzo. Quando scrivo mi sento proprio bene! Secondo te è meglio scriverlo in prima o in terza persona?”.
La mia auto non ha l’aria condizionata, ma una vecchia ventola che per combattere il caldo svolge supporto psicologico. Indeciso su quale risposta dare a cotanto inter…rogativo (è la tipica domanda che vi fanno al semaforo, no?), ho finto di pensarci su. Ricordavo di aver letto da qualche parte di certe pratiche zen per non innervosirti.
Il romanziere pensava che io stessi riflettendo sulla sua opera, che ovviamente non leggerò nemmeno se la scrive in quarta persona. Nel frattempo ha aggiunto che lui la storia da scrivere ce l’ha nella testa. Non so perché abbia sentito il dovere di fare questa precisazione. Evidentemente ritiene che le storie da scrivere possano risiedere anche in altre parti del corpo. Comunque gli ho detto che è impossibile rispondere alla sua domanda.
Non mi andava di dirgli che le sue mi sembravano braccia rubate all’agricoltura. Non mi andava di dirglielo perché considero l’agricoltura una cosa molto seria. È come se un contadino, quando non riesci a seguirlo nella vendemmia, ti dicesse: “Buono a nulla! Due braccia rubate alla letteratura!”. A quel punto è scattato il verde, l’ho salutato e sono partito velocemente come fanno da queste parti i tamarri vintage che vogliono fare colpo sulle passanti. Quello lì era il mio primo vaffa della giornata.
In prima persona.

Il lavoro sporco della letteratura

di Stefano Manca

L’attentatore di Brindisi, raccontano i giornali di oggi, conservava in casa un libro di Paulo Coelho: “Manuale del guerriero della luce”. Me lo ricordo bene quel titolo. Adolescente, mi venne regalato dalla fidanzatina dell’epoca. È una raccolta Bompiani che racchiude racconti brevissimi (potete sfogliarlo a caso e leggere la prima pagina che vi capita) in cui l’uomo è intento a risvegliare la propria anima nei suoi momenti di difficoltà.

Collaboro saltuariamente con una libreria della provincia. Mi hanno sempre incuriosito i gusti letterari degli italiani. Al punto che qualche anno fa provai a leggere uno degli autori più venduti degli ultimi tempi: Fabio Volo. Il libro era “È una vita che ti aspetto”, pubblicato, come tutti gli altri di Volo, da Mondadori. Ammetto di essere riuscito a stento ad arrivare all’ultima pagina. Non ho nessun pregiudizio nei confronti della letteratura popolare. Ma ritengo che nei diari degli studenti si possa trovare di meglio. Tuttavia, quelle ore trascorse a leggerlo non furono sprecate. Ricordo il distacco, direi quasi l’odio del protagonista, uno spaesato quarantenne, per le ragazze snob, fighette, altezzose e piuttosto oche. Poi mi sono venute in mente alcune lettrici di Volo. Quelle che mi ritrovavo e mi ritrovo in libreria e che lo adorano e ti parlano di lui. Spesso sono snob, fighette, altezzose e piuttosto oche. Mi chiedo quindi cosa spinga un lettore a leggere libri che parlano male di lui fino ad arrivare ad adorare l’autore e paradossalmente essere d’accordo con ciò che scrive.

Ecco, cosa c’entra tutto questo?

Il libro di Coelho è pieno di amore per la vita. Ma era in casa di un assassino.

Il libro di Volo parla male delle fighette. Ma è letto dalle fighette.

Forse la letteratura serve a questo. A farci sentire per un attimo ciò che non siamo e che non saremo mai.

In fondo, sono solo parole.

Quello che resta

di Stefano Manca

Riprendere in mano vecchi saggi sulla storia delle organizzazioni malavitose italiane, riprendere quel vecchio libro-intervista a Giovanni Falcone e sovrapporlo alle dichiarazioni delle ultime ore. Procuratori, politici, uomini d’ordine, magistrati, cronisti di giudiziaria. Le immagini si susseguono. “Flusso”, lo chiamano i sociologi. Ascoltar tutto e tutti e poi confrontare frasi, idee, ipotesi, indizi. Hanno ammazzato Melissa, una studentessa sedicenne, attraverso un ordigno piazzato nel cassonetto davanti alla scuola. Con qualche amico del sabato giochi a ripercorrere la storia d’Italia degli ultimi sessant’anni. Non ti sfiorava, fino a stamattina, manco l’idea della paternità. D’un tratto invece ci pensi. Poteva capitare a mia figlia, ti ripeti. Poi di nuovo cambi inquadratura e ti ritorna in mente con colpevole campanilismo che Falcone e Borsellino erano meridionali e che Melissa era una ragazza meridionale. Magre consolazioni, certo, ma non è tempo per pensieri coerenti. Eppure ci provi e ci riprovi, a inquadrare lucidamente tutte le cronache che ti passano davanti. Non ci si mette molto tempo ad essere invasi dalle notizie, sapete. Nell’epoca sempre più “social”, sempre più “media”, sempre più “new media” le opinioni e i rimandi di certo non mancano. Linkare qualcuno o qualcosa diventa un’operazione quasi mentale. Alla fine, quando il televisore è spento e il portatile è chiuso, quello che resta sono sempre le stesse immagini: l’assolato asfalto salentino all’ingresso di una scuola e una

MA’

ph Woodi Forlano

di Stefano Manca

Dallo specchietto retrovisore capisci l’esito di un esame clinico. È da lì che vedi tua madre avvicinarsi al parcheggio con il sorriso di chi ha appena parlato col medico e si è cucito addosso la gioia. Finisce che anche tu ringrazi quel Dio che non vedi e non credi, lo stesso Dio che sta pregando lei, in silenzio, su quel sedile accanto a te che pochissime donne hanno mai occupato, per impacciate timidezze di gioventù che mandavano all’aria incontri da una notte e via, ed oggi lo benedici, quell’impaccio di allora che ti fece selezionare e scartare, come San Pietro sulla porta del Paradiso che dice “tu sì, tu no”, con addosso una maglietta “staff”.

Ma oggi è un’altra storia ancora. Su quel sedile c’è tua madre e con lei ti lasci alle spalle semafori e suoni e proseguite verso casa in coerente silenzio, visto che di quelle inconsapevoli preghiere condivise non parlerete mai, mentre la clinica è ormai lontana e non si vede più da nessuno specchietto.

Pedalare

ph Woodi Forlano
di Stefano Manca
Ieri mi sono fatto sostituire il copertone della bicicletta. Quando sono andato a ritirarla non era ancora pronta. Mentre mi dava una controllata ai freni, quell’uomo mi raccontava che in questo periodo tutti rimettono a nuovo la bici. La differenza rispetto agli anni passati – mi dice preoccupato – è che prima ad andare da lui erano solo gli amanti della passeggiata sulle due ruote. Adesso invece molti padri di famiglia pedalano perché non possono permettersi di pagare l’assicurazione auto. Certe testimonianze valgono più di una tabella istat e di cento editoriali griffati messi insieme.

Dialoghi di primavera

di Stefano Manca

Il bel sole pugliese di oggi ha provocato la prima gitarella al mare della stagione. L’estate è iniziata ad aprile, alla faccia del calendario e delle rivoluzioni attorno al Sole. Tra i commensali di questo pranzo sulla scogliera molte facce nuove. Mentre aspettavamo che il forno svolgesse il suo dovere, cioè riscaldare lasagne, i nuovi si sono messi a parlare dell’inverno intensamente trascorso nello svolgimento di delicate attività. Infatti è partito un dettagliatissimo reportage su tutte le palestre della provincia. Tutti davano voti ai trainer, alle strutture, ai cessi, agli iscritti. Una preparazione da brivido. Io ovviamente tacevo poiché la mia palestra quotidiana è quella di rincorrere autobus. Non so se i miei addominali siano pronti per il mare ma vi assicuro che i pendolari meridionali, quanto a sport, non hanno rivali. Una delle presenti, probabilmente laureata in storia dell’aerobica, per dirla con Woody Allen, mi ha chiesto quale palestra frequentassi. Quindi, ho pensato, le ipotesi sono due. O possiedo un fisico talmente bestiale, come cantava quell’altro, che dà per scontato che io frequenti una palestra. Oppure,

L’anima in fondo del pop

di Stefano Manca

Per Zucchero l’anima è “nel fondo del Po”. Io all’inizio capivo “l’anima nel fondo del pop”. Capivo forse quello che volevo capire. Appiccicavo miei pensieri ad un testo che diceva altro. È un passaggio assai delicato, nell’arte, l’elemento dell’immedesimazione. Anche quella fuorviante, come in questo caso. Ci sono giornate in cui vuoi rimanere lontano chilometri da snob che non sanno di essere morti, personaggi che non vedono l’ora di ascoltare la “massa” (essendo morti, non si accorgono che anche il termine “massa” è vecchio e desueto) per poi affermare il contrario. Questa è la prassi che utilizzano per autocertificarsi “colti” o “ribelli”. Il sospetto di rivelarsi idioti non li sfiora nemmeno. Io sono solitario che più solitario non si può, ma ogni tanto in questa cosiddetta massa mi piace stare. Ci sguazzo. Faccio la fila. Ironizzo. E quando mi rompo me ne vado. Nei salotti invece mi rompo da subito. La prima volta che feci salotto c’erano le olive. Il proprietario del salotto medesimo, troppo intento a parlare di Hugo, si era scordato dell’esistenza dei noccioli e non sapevo quindi dove sputarli. Non era bello, pensai, interrompere la chiacchierata su “Notre Dame de Paris” per chiedere conto del nocciolo. Così decisi di ingoiarli.

Il dramma di crescersi la barba è che finisci in queste trappole. S’avvicinano certe tipe che pensano di colpirti citando gli autori sovietici e dicendo, en passant, che odiano Mc Donald’s. Il sottoscritto invece è tipo da fast-food. Io non lo so come mai per aver pubblicato a proprie spese un libretto rimasto invenduto vi sentiate così orgogliosi da poter avere un’opinione chiara sull’Iran, sulle banche italiane e sulla prostata. Beati voi. Io non sopporto né voi né i vostri fottuti salotti, per non parlare della vostra prosa che sembrala Smemorandadi un dodicenne. Io, sappiatelo, faccio salti di gioia quando il mio caporedattore mi dice che ci sono da intervistare i pescatori gallipolini. Molto meglio loro di quei consigli comunali noiosissimi dove tutti dicono a tutti “ciao carissimo” e rilasciano dichiarazioni retoriche e banali. E allora eccole lì le vostre facce allibite, e io mi diverto da matti, più assumete espressioni pseudointellettuali e più parlo di Fantacalcio e sogno una poltrona e un telecomando (oggetti che il Manuale del Perfetto Intellettuale, a pagina uno, invita rigorosamente a non menzionare mai).

Io pertanto ritengo che tuffarsi nel pop sia il miglior vaccino contro questi soggetti. Ai quali, tuttavia, per non turbarli con discorsi terreni non chiesi mai come avessero smaltito i noccioli di quella noiosa serata.

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