8 dicembre. Sine macula. Una tela dell’Immacolata Concezione a Squinzano

 

di Valentina Antonucci

La chiesa dell’Annunziata di Squinzano è uno dei più straordinari ambienti ecclesiali seicenteschi conservatisi integri, anche per quanto riguarda  la decorazione pittorica, nella diocesi di Lecce. Entrando nella grande chiesa squinzanese ci si sente immediatamente trasportati nel cuore del XVII secolo: la suggestione è emozionante. Il visitatore si trova infatti immerso in un ambiente riccamente decorato, con quasi tutte le tele originali ancora al loro posto: tele dalle dimensioni impressionanti, che misurano poco meno di quattro metri d’altezza per due e mezzo di larghezza! L’abside è occupato da un maestoso altare ligneo ornato da piccole pitture tra cui, al centro, quella della Madonna col Bambino. Tutta la chiesa è un inno al culto mariano: a Maria Vergine è infatti interamente dedicato il programma iconografico.

Lo stato di conservazione dei dipinti è precario, per alcuni di essi è pessimo, e tutto il complesso versa purtroppo  in un grave stato di abbandono. Alla mancata valorizzazione si tentò anni or sono di porre rimedio con l’organizzazione di una bella mostra documentaria, a cura del dott. Salvatore Polito. Dagli studi allora realizzati, pubblicati sul materiale illustrativo dell’allestimento (non altrove, per quel che io sia riuscita a sapere) si possono trarre molte e puntuali informazioni sullo stato di conservazione, sui dettagli della tecnica pittorica dei dipinti e sull’iconografia.

La storia della chiesa dell’Annunziata di Squinzano attende dunque ancora di essere ricostruita e scritta nei suoi particolari, che comprendono anche le notizie relative allo straordinario evento religioso e culturale che fu la sua stessa fondazione da parte della devota Maria Manca nonché alla venerazione che intorno a questa figura e al santuario da lei fondato si sviluppò nel tempo. Quel vero e proprio repertorio di pittura salentina che in essa è fortunatamente conservato attende per parte sua di essere recuperato con gli opportuni interventi di restauro, rivalutato, studiato e reso finalmente fruibile al pubblico.

Entro la metà del secolo l’Annunziata di Squinzano, grazie al finanziamento e alle cure di Maria Manca, era completata , ma già dagli anni ’30 del secolo probabilmente erano all’opera i pittori che avrebbero dovuto realizzare le vaste superfici pittoriche previste.

Non vi è alcuna coerenza stilistica e linguistica tra le diverse tele: si deve perciò supporre che siano state eseguite in modo indipendente l’una dall’altra e non dalla medesima bottega. Tuttavia si scorgono in esse legami con artisti attivi in ambito francescano: la Visitazione, dalla bizzarra ambientazione architettonica di sapore rinascimentale, sembra infatti legata ai modi espressivi di fra’ Giacomo da San Vito, mentre la Circoncisione di Gesù, nonostante la pesante ridipintura che la copre, è attribuibile all’anonimo maestro della Presentazione al Tempio di S. Maria degli Angeli a Lecce, la quale d’altra parte è iconograficamente legata al grande telone dal medesimo tema presente proprio nell’Annunziata.

Altre tele sembrano invece degli unica di artisti che lavorarono in modo sporadico in diocesi di Lecce, senza essere legati al contesto produttivo locale. Lo stile fresco ed espressivo della Natività della Vergine ad esempio non trova riscontri in altre opere della diocesi, così come il linguaggio carnoso e vigoroso della bella Immacolata Concezione, per la quale non sembrano esservi analoghi, se non altro sul piano della qualità.

E’ proprio su quest’ultimo dipinto che voglio soffermarmi in questa sede, per metterne in rilievo alcuni aspetti iconografici e alcune caratteristiche di stile che gli conferiscono, a mio giudizio, un fascino tutto particolare. Si tratta di una versione particolarmente bella e grandiosa di uno schema iconografico piuttosto diffuso nella diocesi e, più in generale, nel Salento: Maria è in piedi su una falce di luna sorretta da due angioletti che, specularmente, reggono in mano rami di due piante simboliche, le rose bianche e l’ulivo, entrambe riferibili alla Vergine;  ai suoi lati due ordinate, ascendenti schiere di Angeli sorreggono i simboli delle litanie lauretane; al di sopra, all’interno della centina, il Padreterno appare tra le nubi a benedire la propria creatura perfetta, sine macula, sul cui capo volteggia la colomba dello Spirito Santo. Una regale corona è posata sui capelli biondi, mentre un alone di luce dorata l’avvolge tutta. Sono elementi comuni nell’iconografia dell’Immacolata del XVII secolo, ma si osservi come qui vengano tradotti in modo inconsuetamente grandioso e attraente: gli Angeli che sorreggono da un lato la gigantesca Turris e dall’altro il modellino in grande scala del Templum si affacciano al proscenio paffuti e dolcemente sorridenti, avvolti da vesti riccamente panneggiate, dialogando tra loro con gli sguardi e con i gesti, conquistando l’ammirazione dello spettatore e suggerendogli al tempo stesso le proporzioni, le distanze e le profondità in cui si scalano gli altri personaggi, fino ai remoti Angeli musici assisi nella corte celeste. Maria riempie tutto lo spazio aurato con il suo amplissimo mantello azzurro, con le braccia che si muovono in eloquente gesto di intercessione, con i bei capelli soffici sparsi sulle spalle.

L’ambiguità iconografica con il tema dell’Ascensione e Incoronazione della Vergine è frequente nelle rappresentazioni seicentesche del controverso dogma immacolista, approvato ufficialmente dalla Chiesa soltanto nel XIX secolo (ma caldamente patrocinato già ai tempi del nostro dipinto dalla corona di Spagna e dall’Ordine francescano): la tela squinzanese non fa eccezione, richiamando anch’essa l’idea che Maria stia appunto ascendendo al Cielo, incoronata e trionfante.

Facendo poi scorrere lo sguardo verso il basso e osservando ciò che si trova sul “proscenio” del dipinto, troveremo ancora elementi caratteristici e degni d’attenzione. Il Serpente, nemico veterotestamentario della nuova Eva, appare qui raffigurato come una creatura dalle fattezze diabolicamente antropomorfe, contorte in una smorfia di rabbia e terrore cui non è difficile dare spiegazione, poiché la punta d’acciaio di una lancia, la cui asta è però invisibile incombe su di lui come se fosse spinta da una forza soprannaturale, è già quasi conficcata nel suo cranio. Si tratta di una soluzione bizzarra e inedita per raffigurare la sconfitta del demonio ad opera della Vergine Madre di Dio.

Ai due lati, in basso, secondo uno paradigma iconografico che si diffonde nel XVII secolo, sono raffigurati due santi in adorazione della Vergine, come se fossero comuni devoti ritratti nell’atto di preghiera e contemplazione: si tratta di uno straordinario stratagemma comunicativo che consente allo spettatore di sentirsi “sullo stesso piano” del santo che, come lui, rivolge il proprio sguardo alla Vergine Immacolata, l’icona cui si tributa venerazione.

A sinistra è raffigurato un giovane e commovente sant’Antonio da Padova con il suo ramo di giglio, la tonsura, il saio francescano: si osservi la cura con cui il pittore si è soffermato a rendere l’incarnato del volto delicato e roseo, le mani tornite e paffute, gli occhi quasi rovesciati in estasi, le labbra leggermente dischiuse in una preghiera che, nel silenzio assorto della chiesa, sembra quasi di udirgli mormorare.

A destra invece il pittore, certamente su richiesta del committente, ha giustapposto la vigorosa vecchiaia di un canuto san Nicola, rigorosamente bardato di abiti vescovili ma, nelle fattezze, già ad un passo dall’assumere l’aspetto che, qualche secolo dopo, trionferà sui manifesti pubblicitari della Coca Cola. In questa figura l’anonimo artista salentino sembra aver speso il meglio della sua capacità di tornire e cesellare l’immagine nei dettagli più corposi e realistici, dai peli della barba ai riflessi della luce sulla pelle lucida del volto del vecchio, dalle minuscole perle che ornano la sua mitria agli intagli che arricchiscono il suo pastorale.

 

Bibliografia: P. Coco, Cenni storici di Squinzano, Lecce 1922, pp. 239 ss.

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