di Armando Polito
Il lettore più affezionato dei miei post che nutra una certa passione per quell’archeologia della parola che è l’indagine etimologica probabilmente già sapeva o lo ha appreso attraverso gli esempi concreti che un etimo perché sia quanto meno convincente deve soddisfare condizioni di carattere semantico e fonetico. Se per la semantica la fantasia può architettare i più improbabili collegamenti (tutti validi come ipotesi di lavoro, ma destinati a diventare proposta plausibile dopo l’esibizione di uno straccio di prova), la fonetica ha regole ben precise alle quali non si può derogare. È, comunque, responsabilità di chi indaga o presume di indagare, direi dovere deontologico per lo specialista o per chi presume di esserlo nel momento in cui rende pubblico il frutto della sua ricerca, essere onesto e chiaro.
Sarebbe più corretto in alcuni casi dichiarare la resa piuttosto che spacciare come risolutoria una proposta che fa ricorso a quegli appigli che in filologia rappresentano l’ultima spiaggia: le forme (per lo più latine) ricostruite (contraddistinte dall’asterisco) e l’incrocio con un altro lemma, pena il rischio irrimediabile di scivolare, scrufulàre nel dialetto neretino. Quando poi si mette in campo l’inesistente la misura è colma…
Il lettore, sempre quello di prima, ha già da tempo capito che lo strumento primario per chi abbia curiosità del genere è l’opera del Rohlfs. Tuttavia in essa al lemma corrispondente, dopo i sinonimi italiani scivolare e sdrucciolare, non compare etimologia. La questione si ingarbuglia prima ancora di essere affrontata e non rimane che ricorrere al Dizionario del Garrisi ove testualmente leggo: “dal latino roteolare incrociato col latino volgare *sufolare”.
Il problema è che roteolare non esiste (meglio, finora non risulta attestato1) né nel latino arcaico, né in quello classico, nemmeno nel tardo e tanto meno nel medioevale, in cui, invece, è attestato rotulàre col significato di circuire (Du Cange, pag. 223). Non so proprio da quale raccolta lessicale il Garrisi abbia tratto roteolàre, mentre per *sufolare (meno male che l’asterisco c’è) debbo pensare che lo abbia fatto derivare dal latino medioevale sùfula (Du Cange, pag. 651)=stivaletto.
Insomma, si tratta di una proposta etimologica basata sull’incrocio tra un termine inesistente ed un altro ricostruito, quasi un record…
Allora, ci dobbiamo arrendere onorando l’impegno deontologico iniziale? Ci saranno senz’altro altre occasioni per farlo. In diverse circostanze lo studio delle varianti è stato prezioso se non determinante. Lo sarà nel nostro caso quella leccese: scufulàre; è evidente che essa è deformazione dell’italiano scivolare (ironia della sorte, di etimologia incerta, forse onomatopeica) con regolarissime alternanze fonetiche che sono, nell’ordine: i>u, v>f e o>u, e che la voce neretina ha solo praticato l’epentesi espressiva della r dopo il gruppo sc.
E come mai il Rohlfs sull’etimo di questo lemma, che ora ci appare addirittura banale, tace? Perché nell’introduzione alla sua opera (pag. 9) leggo: “Per tutte le parole che i nostri dialetti hanno in comune con la lingua nazionale italiana, il lettore potrà trovar utili schiarimenti nei vocabolari etimologici della lingua italiana”. Non a caso aveva posto come primo significato proprio scivolare.
Tre giorni dopo…
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1 Potrebbe giacere sepolto in qualche codice, iscrizione o graffito non ancora rinvenuti.