Da Casole a Parigi

di Armando Polito

 

La foto (tratta da http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR/rete_interadriatica/beni/monastero-di-san-nicola-di-casole) ritrae i resti del monastero di San Nicola di Casole (presso Otranto) secondo alcuni fondato, secondo altri restaurato verso la fine dell’XI secolo. Esso ospitò quella che all’epoca era la biblioteca più ricca d’Europa, probabilmente del mondo,  distrutta dai Turchi nel 1480. Qualcosa si salvò grazie all’attività disinteressata di Sergio Stiso, umanista di Zollino (che, secondo le fonti, mise personalmente in salvo parecchi esemplari) e  a quella un po’ meno disinteressata,  esercitata prima dell’arrivo dei Turchi, del cardinale Giovanni Bessarione che spesso prelevava senza restituirli manoscritti greco-bizantini dai luoghi onorati (così, per dire …) della sua visita. Si sa, non tutto il male vien per nuocere, e questo proverbio trova in lui paradossale conferma. Senza i suoi furti, aggravati, secondo il mio modo di vedere, da un ulteriore reato che in campo laico si chiama peculato (perché, ammesso che li regalasse, non è difficile immaginare la finalità sdebitatrice o, al contrario, condizionante dei suoi regali e in quest’ultimo caso si configura un ulteriore reato, cioè la corruzione), e senza le numerose copie che fece fare dai suoi collaboratori copisti, tra i quali il più noto e attivo fu Michele Apostolio, certamente la consistenza di ciò che di Casole si salvò sarebbe stata ulteriormente ridotta.

Comunque, colpevoli i Turchi e i non turchi, il patrimonio librario superstite finì col tempo per disperdersi in varie biblioteche del mondo1 rendendo praticamente impossibile la sua individuazione e ricostruzione. Ed è di poco conforto sapere che è rimasto in Italia, custodito presso la biblioteca di Torino (C III, 17), il τυπικόν (leggi typicòn), cioè il manuale delle regole, datato 1173.

Il volume che sto per presentare costituisce, dunque, una sola delle tessere superstiti di quell’immenso mosaico che fu il corredo librario di S. Nicola di Casole.

È un esemplare particolarmente prezioso perché contiene testi trascritti da un copista d’eccezione, cioè Nicola di Otranto (Otranto, 1155-1160 circa/Casole, 1235), monaco, filosofo e teologo2,  dal 1219 abate dello stesso monastero con il nome di Nettario.

L’esemplare, i cui fogli sono alcuni pergamenacei e palinsesti (cioè recano le tracce di una precedente scrittura che è stata raschiata per lasciare il posto al nuovo testo, il che la dice lunga sulla preziosità, per quei tempi, del supporto scrittorio), altri papiracei, è custodito nella Biblioteca Nazionale di Francia (Suppl. Gr. 1232) e la sua versione digitalizzata (dalla quale ho tratto le immagini successive) è integralmente leggibile e scaricabile dal sito della stessa biblioteca al link http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8528593q/f1.image.r=otrante.langEN

 

Le immagini mostrano, rispettivamente, le parti esterne, la  controcopertina superiore e il retto del primo foglio contenente nelle prime due linee la dedica da parte di Nicola di Otranto al notaio Andrea di Brindisi. Seguono sei versi che fanno parte integrante della dedica stessa. Riporto in dettaglio le prime due linee che trascrivo e traduco perché nella prima è individuabile (l’ho evidenziata con la sottolineatura rossa) quella che potrebbe essere stata, approssimativamente, la firma di Nettario.

 

Il volume non contiene solo la trascrizione di testi originali greci ma anche, per alcuni,  la traduzione in latino a fronte, come mostra l’immagine che segue.

 

Il volume appare in ottimo stato di conservazione ma l’avvenuta digitalizzazione rappresenta una garanzia in più per la sua sopravvivenza e, quel che più conta, per una fruizione veramente planetaria. Ignoro lo stato di salute di documenti simili conservati nelle biblioteche italiane ma so di certo che da noi il processo di digitalizzazione è lungi dal decollare e dal diventare, da fatto sporadico, progetto di grande respiro. Qualcosa si è mosso, ma molto lentamente: il 10 dicembre 2012 è iniziata la fase operativa del progetto Google-Mibac che è seguita a quella preliminare iniziata quasi due anni prima; quanti anni dovranno trascorrere prima che i volumi digitalizzati siano fruibili in rete? Non è una domanda da ingenuo: so benissimo che in Italia avviene in tempi brevissimi solo la costruzione di uno stadio, mentre per questa, come per tante altre autostrade della cultura, la similitudine più immediata che mi viene in mente è la mitica Salerno-Reggio Calabria …

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1 Un inventario provvisorio (non essendo stati ancora catalogati  parecchi fondi di varie biblioteche nazionali ed estere) è dato da Marco Petta, Codici greci del Salento posseduti da biblioteche italiane ed estere, in Brundisii res, 4 (1972), pp. 59-121.

2 Tra le sue opere: L’arte dello scalpello [una copia manoscritta è custodita nella Biblioteca Nazionale di Francia (Gr. 2419, cc. 228r-241v), edito da L. Delatte, Un traité byzantin de géomancie. Codex Parisinus 2419, in Mélanges Franz Cumont, Secretariat de l’Institut, Bruxelles, 1936, pp. 575-658]; venticinque poesie in trimetri giambici bizantini, edite da M. Gigante, Poeti bizantini di terra d’Otranto nel secolo XIII, Macchiaroli, Napoli 1979, pp. 73-84. Così l’umanista galatonese Antonio De Ferrariis alias  Il Galateo ricorda il monastero e il suo abate in un passo del De situ Japygiae uscito postumo per i tipi di Perna a Basilea nel 1558: … Nicolaus Hydruntinus, vir eo tempore doctissimus, qui a Philosophia ad Religionem Magni Basilii transmigravit, atque Abbas Cenobii Divi Nicolai apud Hydruntum creatus fuit, et Nicetas appellatus, ubi plura ingenii sui monumenta reliquit in Dialectica, Philosophia, et Theologia; quae omnia in illa non sine lacrymis memoranda Hydruntina clade, Monasterio a Turcis, direpto, ac diruto, conflagrarunt, simul cum Bibliotheca omnis generis librorum, quos ex universa Graecia vir ille magnus congesserat, quique ab Imperatore ad Summum Pontificem, et a Summo Pontifice ad Imperatorem componendarum rerum causa saepe commeabat (… Nicola di Otranto, uomo in quel tempo dottissimo, che dalla filosofia passò alla religione di Basilio Magno e fu fatto abate del cenobio del divino Nicola presso Otranto e chiamato Niceta, dove lasciò molte testimonianze del suo ingegno in dialettica, filosofia e teologia; tutte queste in quella strage di Otranto da ricordare non senza lacrime, preso e abbattuto il monastero dai Turchi, bruciarono insieme con la biblioteca di ogni genere di libri che da tutta la Grecia quel grande uomo aveva raccolto e che spesso si recava dall’imperatore al Sommo Pontefice e dal Sommo Pontefice all’Imperatore per risolvere i problemi …).

Da notare che il Galateo qui confonde Nicola di Otranto alias Nettario con Nicola Niceta che era stato precedentemente, pure lui, abate nello stesso monastero e si era distinto, al pari di Nettario, per alcune missioni diplomatiche e per l’amore verso la letteratura.

Otranto. San Nicola di Casole, un monastero dimenticato tra Oriente ed Occidente

di Ubaldo Villani-Lubelli

All’indomani della lotta iconoclasta perpetrata dall’Imperatore bizantino Leone III l’Isaurico (714-741) molti religiosi furono costretti ad abbandonare le proprie terre d’origine in direzione di Roma. Il Meridione d’Italia, zona di confine tra Occidente ed Oriente, divenne terra di rifugio e zona di diffusione della devozione e dell’ordine monastico di San Basilio. Anche dopo la conquista normanna negli anni sessanta dell’XI secolo che avrebbe dovuto avvicinare la comunità locale al cristianesimo latino, la città di Otranto mantenne una notevole presenza di monaci basiliani: sotto gli arcivescovi latini fiorì un clero greco e l’amministrazione civile continuava ad essere gestita da funzionari, notai e giudici di educazione bizantina. I conquistatori, seppur validi cavalieri, non erano spesso alfabetizzati e non avevano lo spessore culturale per poter gestire e riorganizzare strutture amministrative complesse, così si affidarono all’antica “classe dirigente” costituita da avidi lettori, copisti, commentatori, poeti ed autori di trattati teologici che tramandarono la cultura greca per alcune generazioni.

Mentre dunque in Calabria ed in Sicilia, durante il XIII secolo, le comunità greche si ridussero fortemente, nel Salento, ed in particolare ad Otranto, i continui e vivi contatti a tutti i livelli fecero sì che la civiltà greca continuasse a fiorire.

Dall’XI al XIV secolo, infatti, la città di Otranto divenne un importante centro di riferimento, svolgendo funzioni non solo politico-amministrative, economiche e portuali, ma anche religiose e culturali. In questo senso sopravvissero e continuarono a operare alcuni monasteri basiliani ed uno in

Cripta della Madonna dell’Attarico, in territorio di Andrano (Lecce)

cripta Madonna dell’Attarico, esterno (ph Marco Cavalera)

di Marco Cavalera

La cripta della Madonna dell’Attarico è ubicata nel territorio del Comune di Andrano, circa 3 km a sud-est del centro abitato.

La cavità si apre nelle formazioni geologiche mioceniche e “sorge in un luogo ameno, sul dosso di un ripiano (Serra del Mito), dal quale la vista può spaziare, in un vago ed esteso miraggio, sull’azzurro cupo dell’Adriatico, su Castro, su Santa Cesaria, fino all’incurvarsi della costa verso la Palascia di Otranto ad Est e del promontorio di Santa Maria di Leuca a Sud[1].

Riguardo alla sua denominazione, nel linguaggio popolare permane l’etimologia greca Madonna du Tàricu. Si tratta di una definizione che fa riferimento all’industria della concia delle pelli, sviluppata dai “pelicani” della zona e testimoniata dalla piantumazione della “quercia vallonea”, abbondante nella zona fino a pochi decenni or sono, dalle cui bacche si ricavava l’acido tannico[2] necessario per l’industria della lavorazione delle pelli, prevalentemente di ovini e di vitelli[3] .

Queste ultime – una volta scarnite, rasate, conciate e lisciate – venivano usate dai copisti come materia scrittoria (pergamena o cartapecora) per la trascrizione di manoscritti (codici), nello scriptorium (sala adibita esclusivamente alla copiatura dei codici) dell’antico cenobio di Santa Maria del Mito, florido centro di cultura medievale gestito dai monaci italo-greci, che dipendeva dal monastero bizantino di San Nicola di Casole (a sud di Otranto).

Don Francesco Coluccia – a tal proposito – ha ipotizzato che la grotta rupestre della Madonna dell’Attarico “sarà stata utilizzata, come dimora feriale, da qualche monaco della comunità basiliana della vicinissima Abbazia di S. Maria del Mito, che durante la settimana si ritirava in vita solitaria penitenziale e contemplativa nella tranquillità e nel silenzio (sec. XI-XV)”[4].

L’ipotesi che si basa sull’etimologia del toponimo “Attarico”, che deriverebbe dal greco tarikòn (conceria), esclude la tesi che prevedeva l’origine del termine “Attarico” dal gesto materno della Vergine, immortalata nella caverna in un affresco che la raffigura nell’atto di allattare il Bambino. Questo particolare importante farebbe pensare ad una funzione originaria laica della cripta, trasformata in luogo di culto solo in un periodo successivo[5].

Fonseca, nella sua monografia sugli insediamenti rupestri medievali nel Basso Salento, descrive la Cripta dell’Attarico come “quasi del tutto naturale; l’attuale apertura, che guarda verso il mare, è stata riadattata con un muro a secco. Alcuni gradini originali conducono all’invaso sacrale. L’ambiente non sembra avere attualmente una forma architettonica ben precisa. Sono presenti due cunicoli in gran parte occlusi, uno dei quali doveva comunicare con l’esterno. Le pareti presentano numerose gibbosità e in alcuni punti sembrano esserci avanzi di pilastri non più esistenti, mentre due pilastri addossati inquadrano il corridoio che corrisponde all’accesso murato. […] Il soffitto, molto irregolare, sembra naturale anche se in vari punti si notano delle cupoline; la sua altezza media è di circa due metri. Gli arredi litoidi sono costituiti da tracce di gradino-sedile; una parte di esso è adibito attualmente ad altare – orientato ad Ovest – e alla sua destra vi è un resto di una mensa-ripiano; alcune nicchie sono ricavate nelle pareti[6].

All’interno della cripta sono presenti due affreschi, in pessimo stato di conservazione: uno riproduce una Croce, l’altro ritrae la Madonna con il Bambino e, lateralmente, due santi, di cui quello a destra tiene in mano la palma del martirio[7]. Attorno a questa raffigurazione si è sviluppato un intenso culto mariano e una leggenda sorta – probabilmente – dall’atteggiamento della Madonna di allattare il Bambino.

Si racconta, infatti, che un’umile popolana, dimorante in un casolare della contrada, non riusciva a sfamare col latte del suo seno il figlio che aveva dato alla luce. Disperata per la crescita stentata del figlioletto, chiese l’intervento della Madonna che, comparendole in sogno, le avrebbe rivelato come risolvere il problema: bisognava eliminare la biscia, annidata tra le pietre del casolare, che sottraeva dal seno della donna il latte proprio mentre dormiva.

L’allegorica vicenda si presta a due interpretazioni: una di carattere sociale e l’altra di carattere religioso. Per quanto riguarda la prima, si fa riferimento al territorio pur fertile di Andrano che, a causa dello sfruttamento dei potenti, ha sofferto la fame e la povertà[8]. A proposito della seconda interpretazione, Francesco Coluccia scrive che “la fede ha incontrato difficoltà di crescita, a causa anche di persecuzioni di vario genere, fino a quando la presenza e l’intervento dei Monaci Basiliani, con la proposta del culto della Madonna e con la catechesi, non ha portato l’annuncio della verità e la pratica di vita cristiana[9].

Nelle immediate vicinanze della grotta venne eretta la Cappella – di modestissime dimensioni – tra la fine del ‘700 e i primi anni dell’800, come chiesetta gentilizia per devozione dei Principi Caracciolo. La chiesa attuale, costruita sui ruderi della precedente, è stata inaugurata nel 1990.

 

interno della cripta (ph M. Cavalera)

 

BIBLIOGRAFIA

Cezzi F., Insediamenti rupestri e basiliani in Terra d’Otranto: l’Abazia de lo Mito e le cripte di Andrano e Castiglione, in “Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del sud Salento”, a cura di Cerfeda F.G., Coppola S., Moscatello L., Alessano, 2004.  

Coluccia F., Parleranno le pietre…Testimonianze di vita andranese, Tricase, 1998, pp. 27-30.

Fonseca C.D., Bruno A.R., Ingrosso V., Marotta A., Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, Galatina, 1979, pp. 53-58.

Pantaleo G., Dall’antica Cellino all’odierna Andrano, Galatina, 1978, p. 23.


[1]Pantaleo 1978, p. 23.

[2] Acido tannico o tannino, estratto dalla corteccia di varie querce, impiegato nella concia delle pelli con il metodo detto appunto al tannino.

[3] Coluccia 1998, pp. 27-30.

[4] Coluccia 1998, p. 27.

[5] Cezzi 2004.  

[6] Fonseca et alii 1978, pp. 53-58.

[7] L’affresco, completamente rovinato e corroso dall’umido, non permette di avanzare una datazione precisa  (probabilmente risale al XIII-XIV secolo). La croce (latina) è affrescata sul ripiano-mensa; sulla parete a N-E si notano tracce di colore (Fonseca et alii 1978, p. 54). Don G. Pantaleo, riguardo all’affresco, scrive: “entrando […] nella grotta, ci si trova di fronte a due affreschi alquanto scoloriti e qua e là picchiettati, ma dai contorni ben definiti: il primo riproduce l’immagine della Madonna, di tipo ovviamente orientale […]; il secondo rappresenta la Croce, forse innalzantesi dal Calvario, con delle figure ai lati” (Pantaleo 1978, p. 24).

[8] Pantaleo 1978, p. 28.

[9] Coluccia 1998, p. 28.

Otranto e l’albero di Pantaleone

da Wikipedia

Dedicato a Don Grazio Gianfreda il volume «Note di storia e di cultura salentina» (2)

Nel volume «Note di Storia e Cultura Salentina» (Argo Editrice), annuario a cura di Fernando Cezzi, ed organo della Società di Storia Patria per la Puglia una miscellanea di Studi dedicati a Mons. Grazio Gianfreda. Il volume è introdotto da un ricordo di mons. Grazio Gianfreda di Maurizio Nocera riprodotto qui nella sua seconda parte.

« (…) il mondo basato sulle grandi visioni sintetiche e interculturali, come quelle raffigurate sul Mosaico, si è frantumato. / La programmazione informatica, da parte sua, più che mettere ordine in tale universo, rappresenta con i suoi archivi computerizzati solo una difesa disperata, mossa dalla consapevolezza che i frantumi sono diventati cocci, pezzi ormai inutili»

« (…) Nel Mosaico c’è l’incontro tra l’integrazione culturale di Alessandro il Grande, la romanizzazione dell’Impero Romano, l’arte e la cultura dell’Impero Arabo, la Rinascenza dell’Impero Bizantino e le culture dell’Europa Occidentale: nella Cappella degli 800 Martiri, invece, c’è il risultato dello scontro tra civiltà. L’incontro produce l’“opus insegne”; lo scontro rovina, distruzione, morte»

 
 
 
da Wikipedia

L’albero di Pantaleone

Maurizio Nocera

Altro libro che mi donò Don Grazio Gianfreda, sempre con dedica, fu la sua bella e agile “Guida di Otranto” (Edizioni del Grifo, Lecce 1993), nella quale riprende l’argomento della chiesa di San Pietro, confermando alcune affermazioni e precisando alcune datazioni.

Scrive: «la Chiesa bizantina di San Pietro risale al sec. IX. È tutta affrescata. Sulla cupola dell’altare è la “Annunciazione”; nella conca sottostante è

Casole (Otranto), mirabile fusione fra Oriente ed Occidente, nel segno della cultura, dell’accoglienza, della preghiera e del lavoro

resti del cenobio di Casole (ph Ubaldo Villani-Lubelli)

Luigi Giuseppe De Simone e le lettere casulane

di Paolo Vincenti

Un imponente lavoro, questo di Mario Muci, che ha deciso di pubblicare il carteggio di un grande intellettuale salentino dell’Ottocento: Luigi Giuseppe De Simone. Non avevamo finito di apprezzare  il lavoro certosino svolto con la pubblicazione del carteggio di un altro gigante della cultura salentina dell’Ottocento, Cosimo De Giorgi, che ecco ci capita fra le mani, grazie alla gentilezza di Alessandro Laporta che ce ne fa dono, questo nuovo libro: “Guida al carteggio di L.G. De Simone (con le Lettere Casulane di G.Cozza-Luzi)”, di Mario Muci,  pubblicato dalla Provincia di Lecce, nell’ambito della Collana “Quaderni della Biblioteca N. Bernardini” (Amaltea Editore 2006).

Particolare curioso: Mario Muci in questa pubblicazione non si sofferma molto sulle  Lettere Casulane come fa, invece, in un’altra sua pubblicazione, di poco anteriore a quest’ultima, dedicata a Girolamo Marciano1 (stravaganza dello studioso, pensiamo),  dove dà ampia testimonianza del carteggio intercorso fra il Cozza- Luzi e il  De Simone, non mancando di sottolineare la grande importanza di questa documentazione.

Nella rosa di lettere scelte da Muci per questo libro, troviamo, corrispondenti del grande De Simone, altrettanto grandi intellettuali salentini e non solo, come il Canonico Paolo De Giorgi, Giacomo Arditi, Pietro Siciliani, Giovanni Flechia, Cesare Cantù, il sacerdote Giuseppe Candido, Luigi Settembrini, Antonio Salandra, Cosimo De Giorgi, Domenico Briganti, Ettore Pais ed altri;  ma la lista completa dei personaggi con cui De Simone fu in corrispondenza epistolare annovera moltissimi nomi , come Gaetano Brunetti, Oronzo Gabriele Costa, il Gregorovius, De Sassenay, Lenormant, Yriarte, il Diehl, l’Omont, ecc. Questa fitta corrispondenza è stata sviscerata in diverse pubblicazioni da parte dei nostri storici locali, a partire da Nicola Vacca, che curò nel 1964 una nuova edizione dell’opera desimoniana “Lecce e i suoi monumenti” (Centro di Studi Salentini), fino ad Alessandro Laporta con il suo saggio Luigi Giuseppe De Simone tra Europa e altra Europa, contenuto in “ L.G.De Simone cent’anni dopo”, a cura di Eugenio Imbriani (Amaltea Edizioni 2004).

Ma veniamo a quello che rappresenta il cuore della nostra trattazione. Oltre alle lettere già citate, Muci pubblica anche l’intero corpus delle  Lettere Casulane di Giuseppe Cozza -Luzi e questo costituisce certamente il valore aggiunto del libro. Preziosissimo, infatti, appare questo carteggio, conosciuto da tutti gli studiosi che si sono occupati del De Simone, o di storia di Otranto e del monachesimo bizantino, ma che non era fino ad oggi mai stato pubblicato nella sua versione integrale, come fa meritoriamente, in quest’opera, Mario Muci. L’autore rende in riproduzione anastatica la versione originale dell’opera, che il religioso Cozza -Luzi pubblicò a Reggio Calabria nel 1900.  Ma procediamo con ordine.

L’autore di questo famoso epistolario è Giuseppe Cozza -Luzi (1837-1905), raffinatissimo intellettuale, abate di Grottaferrata e bibliotecario della Apostolica Vaticana, sulla cui figura, nel 1998, è stato pubblicato il libro L’Abate Giuseppe Cozza -Luzi archeologo liturgista filologo  (Grottaferrata) a cura di Enrica Follieri. Oggetto della trattazione delle Lettere Casulane è il famoso Typicon Casulano, un prezioso codice che ci restituisce una importante verità storica su quello che fu l’antico monastero di San Nicola di Casole, in Otranto, da tutti definito come fondamentale centro di cultura del Medioevo salentino, crogiolo d’intelletti, nonché prima Casa dello Studente della storia.

Questo documento è noto come  “Codice Torinese C III17”  e  giaceva sconosciuto nella Biblioteca di Torino fino a quando non venne scoperto dal De Simone, il quale chiese nel 1890 al Ministero della Pubblica Istruzione di potere disporre del Codice per ragioni di studio e di poterlo depositare, per tutto il tempo sufficiente ad analizzarlo, presso la Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma. In questa biblioteca, l’abate Cozza-Luzi lo tradusse in latino e lo trascrisse in greco; dopo, il Codice ritornò nella sua sede naturale. Le lettere che compongono il carteggio sono in tutto ventuno e sono state scritte dal Cozza-Luzi dal luglio 1886 al novembre 1888.

Il Cozza Luzi, in pratica, informava l’amico De Simone dei risultati ottenuti nella esegesi della fonte che l’illustre studioso leccese  gli aveva messo a disposizione. Alla fine di questo lavoro, fu lo stesso De Simone a consigliare il Cozza-Luzi di pubblicare i suoi risultati in volume, cosa che puntualmente avvenne, nel 1900, con il libro di cui ci stiamo occupando, stampato a Reggio Calabria dall’editore Francesco Morello 2.

Nel 1904, purtroppo, a causa di un incendio, il Codice fu seriamente danneggiato ed oggi è disponibile compromesso in più parti 3. Questo Typicon risale al 1173. Dell’esistenza del Codice casolano, dice il Cozza-Luzi nella Lettera Seconda, molti studiosi avevano parlato ma nessuno era a conoscenza della ubicazione del Codice stesso presso la Biblioteca di Torino, tranne il De Simone (“Ill.mo Sig.Cavaliere”: così gli si rivolge sempre il Cozza-Luzi nel carteggio).Questo Codice è in pergamena, secondo la descrizione del religioso, conta 183 fogli, ossia 266 pagine, misura mm 225 x 188 , ma in più momenti successivi sono stati aggiunti degli altri fogli all’inizio e alla fine. Nella Lettera Terza, Cozza-Luzi dà notizia di un altro Codice del Typicon Casulanum, conservato nella Biblioteca dei Barberini a Roma. Oggi, noi sappiamo che questa  è la copia più antica del  prezioso documento ed è quella fatta da Ieroteo, monaco casolano, per volere dell’abate Nicola, e conosciuta come “Barberianus gr.350, anno 1205”, perché dedicata al Cardinale Barberini (e infatti il codice reca l’arme dei Barberini sulla copertina in pelle rossa) da Francesco Arcudi, arcipresbiterio di Soleto, appunto in quell’anno.

Questo Codice, come spiega Cozza-Luzi nella Lettera Quarta, pervenne all’arciprete di Soleto Pietro Arcudi, il cui successore Francesco Arcudi, lo portò a Roma e ne fece omaggio ai suoi mecenati, i Barberini.

Del Codice Torinese si sono interessati, oltre al De Simone nei suoi “Studi storici in Terra D’Otranto” (Firenze 1888), firmato con lo pseudonimo Ermanno Aar, e al Cozza-Luzi, nel Settecento, il Pasini4 , nell’Ottocento,  Diehl5 e Omont6 , e,nel Novecento, fra gli altri, i Parlangeli7 , Cezzi8  e Apostolidis9 .

Un’altra copia del Codice è il “Barberinus gr.383”, di cui riferisce Cozza-Luzi nella Lettera Quinta, allora conservato nella Biblioteca Barberiana ed oggi nella Vaticana, copiato da Stefano Ripa, arciprete di Soleto nel 1583, un codice cartaceo che si compone di 148 pagine. Ancora, un altro Codice è conservato nella Biblioteca Vallicelliana di Roma; come riferisce Mons.Grazio Gianfreda10 , questo Codice venne regalato alla biblioteca romana da Pietro Polidori che lo acquistò sul mercato di Nardò all’inizio del XVIII sec., ma questo documento, noto come “D 61”, di cui non si conosce l’autore, è molto diverso dalle altre copie del manoscritto.

Il Monastero di Casole, con il suo Scriptorium, la scuola e la Biblioteca, divenne un centro culturale importantissimo, cuore del Salento bizantino. Su di esso moltissimi studiosi hanno scritto, non solo storici, filologi, studiosi del monachesimo italo-greco e del Salento biazantino, ma anche narratori e poeti: pensiamo soltanto a due casi, negli ultimi anni, di romanzi di grande successo, vale  a dire Otranto di Roberto Cotroneo11 e Lo scriba di Càsole di  Raffaele Gorgoni12.

Ma tornando al nostro Codice, i Typica erano quel complesso di regole che ogni monastero si dava e che doveva scrupolosamente seguire. Il manoscritto casolano fa parte dei  Typica Ktetorica, vale a dire gli “Statuti di fondazione”. Nelle carte dall’1 al 5 vi sono annotazioni varie di cronologia e di amministrazione del convento negli anni 1125-1267; nelle carte dalla 6 alla 14, vi è la regola monastica; nelle carte 15-172,  è contenuto il Rituale del Convento, vale a dire il Typicon vero e proprio; nelle carte 173-181, è esposta l’Hypotyposis, cioè le prescrizioni a cui i monaci dovevano attenersi; nelle carte 182-183, varie preghiere.

Grazie a questo Codice, si è potuto prima di tutto ricostruire la storia del Monastero di San Nicola di Casole. Sappiamo infatti che fu il normanno Boemondo I, principe di Taranto e di Antiochia, a volere il monastero, che fu eretto nel 1098 o nel 1099, su una preesistente costruzione, per una precisa volontà politica, ossia quella, da parte dei nuovi governanti di queste terre, di accaparrarsi la benevolenza del popolo, ancora legato al rito greco. Nella Lettera Nona di Cozza-Luzi, “Di una congettura sull’origine di Casole”, apprendiamo che venne conservato il vecchio nome di “San Nicola”, o meglio “San Nicolò”, come riportano il Gregorovius13  e il Rodotà14,  a cui fu aggiunto “Casole”, che voleva dire “tenda, capanna”.

Il primo reggitore del neonato monastero fu Giuseppe, ma determinante nella costituzione e nella organizzazione interna del Convento fu l’opera dei Normanni, vincitori sui Greci e desiderosi di non inimicarsi la popolazione locale, ancora fedele ai costumi orientali, avendo in ciò anche l’appoggio di Roma che non voleva certo sopprimere la chiesa greca ma, quanto meno, cercare di controllarla e, se possibile, farla ritornare sotto la propria giurisdizione, dalla quale si era staccata al tempo delle lotte iconoclaste.

Casole divenne quel che oggi tutti gli studiosi ricordano, cioè un punto di riferimento preponderante per la Terra D’Otranto, fucina di talenti che estrinsecavano il loro genio nella poesia, nella prosa, nell’arte; testa di ponte fra la cultura greca e quella latina.

Casole  fu il luogo in cui si realizzò una mirabile fusione fra Oriente ed Occidente, nel segno della cultura, dell’accoglienza, della preghiera e del lavoro. I monaci casolani, grazie a quella straordinaria tranquillità di cui si godeva nel cenobio otrantino e grazie a quella superiore serenità d’animo che essi raggiungevano attraverso l’ hesychia, il loro ideale di vita, potevano astrarsi dalle noie e dagli affanni terreni e dedicarsi al loro lavoro e all’attività intellettuale, copiando quei preziosi manoscritti che oggi sono sparsi in molte biblioteche italiane e non solo. Essi non si dedicavano soltanto allo studio dei testi sacri, liturgici, ascetici, spirituali, ma anche ai testi profani, soprattutto i classici greci e latini. I monaci bizantini divennero così molto dotti e il loro monastero, depositario di una cultura che definiremmo sincretica, straordinaria, divenne mèta sempre più ambita di studenti che da più parti confluivano nel convento otrantino, assettati di conoscenza. Si venne a creare una vera e propria scuola, di cui leader indiscusso fu Nettario, settimo abate del cenobio otrantino, sicuramente il nome più prestigioso e altisonante della scuola poetica idruntina e sulla cui figura il Cozza-Luzi si intrattiene a lungo nel suo carteggio.

Nella Lettera Settima, Cozza-Luzi si occupa di Giuseppe, primo abate e fondatore del Monastero di Casole. Nella Lettera Ottava, si occupa di Vittore, secondo abate, e di Nicola, terzo reggitore di Casole, anche attraverso i versi di Nettario dedicati a questi personaggi così importanti della storia casolana, poi divenuti santi. Giuseppe, a cui si deve la fondazione del Monastero e della Chiesa di Casole morì nel 1124, al tempo di Boemondo di Antiochia. Vittore morì nel 1142, al tempo di Ruggero il Grande. Successe poi Nicola, che governò per altri 32 anni, e che Cozza-Luzi dice essere stato l’esecutore materiale del Typicon, mentre da altri studiosi ci risulta che  fu solo l’ispiratore dell’opera, di cui fu artefice Ieroteo.

Andando avanti nella lettura  delle Lettere Casulane, apprendiamo tutta la cronologia degli abati che si sono succeduti nel Monastero di Casole.

A Giuseppe, Vittore e Nicola, i prime tre rettori del Monastero, seguirono Callinico, Ilarione, Nicodemo e Nettario, abate del Monastero dal 1219 al 1235. Quest’ultimo, uomo di grandissima cultura, il cui nome al secolo era Nicola d’Otranto, fu un infaticabile viaggiatore e maestro di lingua e letteratura greca. Dai suoi viaggi riportò sempre dei libri per il Monastero di Casole.

Nella Lettera Decimaprima, Cozza-Luzi si occupa proprio di Nettario e nella Lettera Decimaseconda, della Legazione a Costantinopoli del Cardinale Benedetto con Nettario Casulano.

A Nettario seguì Poimene, abate dal 1235 al 1256, di cui Cozza-Luzi si occupa nella Lettera XIV , insieme al nono abate, Filoteo I, al decimo, Basilio, e all’undicesimo, Giacomo I, abate dal 1266 al 1274.

Seguirono Gregorio, Filoteo II, abate dal 1306 al 1342, Biagio, Giacomo II, sotto il cui igumenato vi fu un attacco dei Corsari a Casole nel 1363. Pietro fu il sedicesimo abate di Casole, poi seguirono Giacomo III, Giorgio, Matteo e Zaccaria, che resse il Monastero fino al 1469.

Dalla XVIII Lettera, apprendiamo di un’attività importantissima del monastero di Casole, vale a dire il prestito dei libri: nelle prime pagine del Typicon infatti, è segnato il nome di chi prendeva in prestito i vari libri dalla cospicua biblioteca casolana.

Evento capitale nella storia di Casole e di Otranto fu il fatale attacco dei Turchi del 1480, una data scritta col sangue nella storia della splendida città adriatica. Il monaco Marco, che riuscì miracolosamente a scampare all’eccidio dei turchi, tornò a Casole un anno dopo al seguito di Alfonso D’Aragona. Pochi libri sopravvissero a quel tragico evento e tutti furono oggetto di una diaspora ed oggi si trovano sparsi in varie biblioteche d’Italia, come la Vaticana di Roma, la Medicea di Firenze, la Marciana di Venezia, ma anche, all’estero, presso la Biblioteca centrale di Parigi, quella di Madrid, di Londra, di Berlino, ecc. Forse fu un danno, quasi una rapina nei confronti della cultura di Terra D’Otranto, come ritiene  Muci15, ma secondo noi fu, invece, una fortuna l’intervento del Cardinale Bessarione, che portò via da Casole moltissimi libri destinandoli alla costituenda Biblioteca Marciana diVenezia.

Numerosissimi codici, come informa il Marciano16 , vennero sottratti dal Bessarione a Casole per essere poi pubblicati a Venezia. Ma se questi  preziosi documenti fossero rimasti ad Otranto, forse, non avrebbero avuto sorte migliore, perché sarebbero certamente stati distrutti dai Turchi nei successivi loro attacchi (facendo quindi la stessa fine di quelli distrutti nel disastro del 1480) e comunque non sarebbero sopravvissuti all’incuria, al degrado in cui venne abbandonata Casole nei secoli successivi e alla “incessante lima degli anni”.

L’opera dell’abate di Grottaferrata ebbe il merito importantissimo di fare chiarezza in una materia, quella della storia di Casole, in cui c’era stata, fino ad allora, molta confusione, soprattutto a causa di studiosi che, senza ricercare le fonti, avevano ripetuto quanto già era stato scritto da altri, errori o imprecisioni comprese. E’ lo stesso Cozza-Luzi che, nella parte finale della sua ultima lettera, afferma “ ..vari scrittori di cose di Terra di Otranto riportarono di peso le parole ed i giudizii di quelli autori; e, resero per tal modo non raro ad avvenire, ancor più difficile l’estricamento di sì arruffata matassa, di cui ora mi pare così trovato il bandolo”. Quel che accusava il religioso si è verificato anche dopo la pubblicazione della sua opera, peraltro fin da subito dimenticata: ecco perché noi riteniamo, mutatis mutandis, che oggi la ripubblicazione dell’opera da parte di Muci possa contribuire nuovamente a sgomberare il campo dai troppi fraintendimenti sul Monastero otrantino e dai dubbi che nel frattempo si sono addensati sulla storia casolana.

Una storia già scritta secoli e secoli fa, ma ancora attuale e  da riproporre all’attenzione dei giovani, i quali, se conoscono Casole solo attraverso i romanzi che hanno letto, potranno accorgersi che la verità storica è ancora più affascinante di qualsiasi finzione.

pubblicato in “Il Bardo”, Copertino, settembre 2007.


1 Mario Muci, Umanesimo e fede nella Descrizione di G.Marciano, in “Girolamo Marciano salentino illustre”, a cura di Giovanna Rosato (Amaltea Edizioni 2006)

2 M.Muci, op.cit.,   pag.31

3 Grazio Gianfreda, Il monachesimo italo-greco in Otranto, Edizioni Del Grifo 1994,  pag. 85

4 G.Pasini, Manuscripti Codices Bibliothecae Athenaei Taurinensis, Tomo I, n.308

5 C.Diehl, Le Monastère de Saint Nicolas de Casole près d’Otrante ecc., Roma 1886, tradotto da L.Maggiuli in “Otranto-Ricordi”, Lecce 1893

6 Omont, Le Typikòn de S.Nicolas de Casole, près d’Otrante, in “Revue des ètudes grecques”, 3, 1890

7 A.e O.Parlangeli, Il Monastero di San Nicola di Casole Centro di cultura bizantina in Terra D’Otranto, in “Bollettino della Badia di Grottaferrata”, Vol.V, 1951

8 F.Cezzi, Il metodo teologico nel dialogo ecumenico, Città Nuova, Roma 1975

9 A.Apostolidis, Il Tipikòn di San Nicola di Casole secondo il Codice Taurinense, Tesi di Dottorato,Università Ecumenica Bari, 1983

10 G.Gianfreda, op.cit. pag.95

11 Roberto Cotroneo, Otranto, Mondatori 1997

12 Raffaele Gorgoni, Lo scriba di Càsole, Il segreto di Otranto, Besa 2005

13 F.Gregorovius, Nelle Puglie, Barbera Editore, Firenze 1882

14 P.P.Rodotà , Dell’ origine del rito greco in Italia, I.G.G. Salomoni, Roma 1758

15 M. Muci, op.cit., pag.33

16 G.Marciano, Descrizione origini e successi della Provincia di Terra D’Otranto, Congedo 1996, pag.377.

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