di Armando Polito
Non è raro in questa stagione vederne uno spiaccicato sull’asfalto e qualcuno particolarmente sensibile… non prova quel sentimento di orripilanza dal quale i più, non io, sono presi quando si imbattono in qualche esemplare vivo e vegeto. È il tributo definitivo che anche loro pagano per la riduzione progressiva e inesorabile del loro territorio dopo che la sua gran parte è stata resa invivibile pure per loro da veleni di ogni tipo. Io per fortuna vivo in campagna e, anche se molto più sporadicamente rispetto al passato, ho l’occasione di vivere qualche incontro ravvicinato, sicché, anche se oggi la tecnologia consente agevolissime riprese (a patto che uno abbia sempre a portata di mano la fotocamera…), non ho potuto fino ad ora catturare neppure una sola immagine, ad ogni modo non ho rinunziato a corredare questo post con foto reperite in rete.
Ma scursùni, sacàre o mpasturavàcche, le due specie fino a poco tempo fa più diffuse nelle nostre campagne, riceveranno, comunque, il mio omaggio verbale, cominciando, e ti pareva!…, dall’etimologia del loro nome.
Scursòne corrisponde all’italiano scorzòne, presente con due lemmi distinti (cito dalla Treccani on line):
“scorzòne 1 (dal latino tardo curtio/curtionis, derivato di curtus=corto, raccostato a scorza. Nome dato, in usi regionali, alla vipera e anche ad altri serpenti, per esempio, al saettone”.
“Scorzòne 2 (derivato di scorza): persona rozza, di carattere aspro e