Il loro nome non tragga in inganno. Come molti già sapranno, infatti, i chiodi di garofano nulla hanno a che vedere con il ben noto fiore, il garofano comune (Dianthus caryophyllus) simbolo di promessa di matrimonio, pegno d’amore e della Passione di Gesù.
I chiodi di garofano derivano invece dai boccioli fiorali, raccolti ed essiccati, dell’ Eugenia caryophyllata (sin. Syzygium aromaticum, Caryophyllus aromaticus,Eugenia caryophyllus), albero sempreverde appartenente alla vasta famiglia delle Myrtaceae. Originario delle Molucche e diffuso spontaneamente nelle Isole Reunion, Antille, Madagascar e in Indonesia, oggi viene coltivato in molte aree tropicali: Antille, Africa orientale, Cina e Zanzibar, l’isola africana “delle spezie” e maggior produttrice mondiale per la quale rappresenta la migliore risorsa economica.
Alto 10-15 m mostra una chioma tondeggiante, foglie ovato-lanceolate, opposte, di color rossastro da giovani che diventano con il passare del tempo di una tonalità verde scuro; viste in trasparenza mostrano numerosi puntini traslucidi, ricchi di olio essenziale. I fiori sono riuniti in corimbi ad ombrello: da un lungo calice rosso acceso sboccia un fiorellino bianco, dall’aspetto piumoso; ai fiori seguono piccole bacche rossastre. Una volta essiccati i singoli fiori assumono una forma che ricorda vagamente quella di un garofano, da qui il nome della famosa spezia. Ogni singolo chiodo di garofano è formato dal lungo calice gamosepalo, formato da 4 sepali e da 4 petali ancora chiusi che formano la parte tonda centrale. La prima raccolta dei bocci (che viene effettuata a mano in tarda estate ed in inverno) si ha dopo 6-8 anni dalla piantagione dell’albero, che poi produrra’ circa 34 chili di prodotto essiccato all’anno.
I boccioli essiccati hanno colore bruno e consistenza legnosa, si utilizzano interi, oppure vengono macinati, preferibilmente appena prima dell’utilizzo, per evitare la dispersione degli oli aromatici: emanano infatti un profumo forte, dolce e fiorito, con una punta di pepato e di “caldo”, mentre il gusto può ricordare quello degli infusi di carcadè. Ricordiamo ancora che i chiodi di garofano
I “mustazzuèli ‘nnasprati“, noti pure come bisquetti, pisquetti, mustazzòli ‘nnasparati, scagliòzzi, scàiezzuli, castagnette, zzozzi… costituiscono il dolce più popolare del Salento, tanto che i suoi banchi di vendita sono praticamente immancabili in qualunque festa o fiera paesana che possa definirsi tale.
Amatissimi nella loro semplicità, sono a base di farina e rivestiti di “naspro” ovvero di glassa di zucchero fondente al cacao. Il termine “naspro”, è una voce tipicamente meridionale, derivata dal bizantino aspros = bianco, venne riportata per la prima volta negli scritti di Vincenzo Corrado che ne descrisse ben undici varianti. Nell’impasto di farina 00, rientrano: lo zucchero, lo strutto, gli agenti lievitanti e sovente scorze e succo d’agrumi, mandorle tostate, chiodi di garofano macinati, cacao in polvere, naturalmente ogni artigiano caratterizza la sua produzione con degli ingredienti più o meno segreti.
Si ricava un impasto piuttosto consistente, con il quale si ricavano delle forme schiacciate generalmente, romboidali o circolari, che si pongono su teglie e si cuociono in forno. Una volta raffreddati si ricoprono con una glassa di zucchero fondente e cacao detta in gergo, “naspro”. Si presentano di colore marrone scuro e lucidi, alla degustazione risultano dolci, ma non stucchevoli, friabili, morbidi e se ben
riusciti, hanno la caratteristica di sciogliersi in bocca.
La loro preparazione è certamente ultrasecolare, e da molto tempo vengono anche venduti in forma ambulante in tutte le fiere e feste paesane del Salento, ad opera di artigiani girovaghi, veri e propri pasticceri di piazza che si tramandano questo mestiere da padre in figlio. Fra le famiglie da più tempo impegnate in questa attività si annoverano: i Sorgente, originari dei paesi dell’hinterland leccese (San Cesario di Lecce e San Pietro in Lama); gli Assenzio di Campi Salentina; i Tamborrino di Matino; gli Stella di Martano e i Basile di Taurisano.
Il primo a portarli sulle piazze è stato prima della seconda guerra mondiale Luigi Sorgente, un’infanzia difficile alle spalle, figlio com’era di genitori ignoti, ma che armato di buona volontà non mise molto tempo a tirarsi un po’ su, giovanissimo si fece una famiglia e aprì un piccolo caffè gelateria a San Cesareo di Lecce e visto che i figli erano tanti e i clienti non erano molti pensò bene di andarseli a cercare. Comprò un’automobile (a quel tempo a San Cesario ve ne era solo un’altra), l’attrezzò come gelateria mobile e cominciò la sua avventura sulle feste e fiere paesane, ma la miseria era tanta, ogni scusa era buona per risparmiare, e il gelato, quando cominciava a fare un po’ di freddo forniva ai genitori una scusa ineccepibile: non ve lo compro senò vi ammalate! Fu così che Luigi, cui non andava giù l’idea di tenere il mezzo fermo durante la bassa stagione, venne l’ingegnosa idea di portare sulle piazze i mustazzueli ‘nnasprati, fu un grande successo. Questi, grazie anche al basso peso specifico risultavano relativamente economici e non fornivano seri appigli ai genitori dal braccino corto, che erano costretti loro malgrado a soccombere alle insistenze dei pargoli. Ma erano gli anni bui dell’era fascista, la guerra incombeva, quell’auto serviva alla patria, e gli venne senza troppe formalità requisita. Il fatto di avere una famiglia di sei figli e che quell’auto servisse al loro sostentamento non fece tornare sui loro passi i solerti e inflessibili delegati del Duce. Un’ingiustizia da fare scoppiare il cuore al più forte degli uomini e aggravata dal fatto che l’altra auto del paese era rimasta invece in possesso del
suo ricco proprietario. Sconsolato Luigi pensò che la causa di quello che gli era successo era un po’ dovuta all’invidia verso di lui, che partito da zero, stava riuscendo ad aprirsi comunque una strada senza chiedere niente a nessuno. Il colpo era stato duro, un’esperienza tanto brutta da bloccare l’intraprendenza di chiunque, ma non a lui che, temprato da una dura vita, non era certo tipo da arrendersi e poi c’erano i sei figli. Si fece allestire un triciclo a pedali e riprese subito a lavorare, qualche anno dopo avrebbero fatto la loro comparsa i Lambro dell’Innocenti ed egli sarebbe stato tra i primi a comprarselo.
Intanto, i suoi sei figli: Antonio, Daniele, Vito Mario, Romualdo, Salvatore e Pompilio cominciavano a diventare adulti, la dote per ognuno di loro fu un Lambro, qualche raccomandazione e un po’ di piazze da conquistare. Tutti i paesi della provincia, e non solo, cominciarono ad essere conquistati da un prodotto che presto divenne una tradizione delle feste. Sulle stesse piazze da tempo immemorabile lavoravano però
i copetari che a causa dei plebei mustazzueli cominciarono a vedere
contrarre le vendite della più prelibata, ma più costosa “copeta”.
Tanta gelosia di mestiere, qualche denigrazione verso questo prodotto e verso chi lo vendeva, ma alla fine qualcuno di loro capì che se non voleva rimanere al palo li doveva introdurre anche lui, nel giro di qualche anno capitolarono tutti, anche i più restii, solo che in conseguenza, i Sorgente iniziarono a vendere anche la copeta.
Naturalmente, questi dolci sono immancabili anche in tutte le pasticcerie e biscottifici che producono dolci tradizionali. La ricetta che segue, come vedrete semplice negli ingredienti, ma piuttosto elaborata nella preparazione, proviene da una valentissima maestra pasticciera di Galatone che ha operato per molti anni a Nardò, formando
una folta schiera di bravi pasticceri, se diligentemente eseguita vi regalerà un prodotto davvero straordinario.
Ecco la ricetta:
-Ingr.: 1
kg. di farina, 4 uova, 1 bustina di vaniglia, 400 g di zucchero, 20 g d’ ammoniaca, 100 g d’olio, latte quanto basta, 50 g di cacao , chiodi di garofano e cannella macinati, le scorze e il succo di un limone e di un mandarino, le scorze grattugiate di un limone e di un mandarino.
Preparazione: Fate fumare l’olio, calate le scorze del limone e del mandarino e lasciatelo raffreddare. Nel frattempo prendete la farina e disponetela a fontana, ponete in mezzo il succo di limone e di mandarino e le scorze grattugiate, quindi qualche pizzico di chiodi di garofano e cannella macinati, il cacao e mescolate il tutto. Unite pure l’olio aromatizzato in precedenza e amalgamate. Aggiungete infine le uova già mescolate all’ammoniaca, sciolta nel latte caldo aromatizzato con la vaniglia, e lo zucchero. Impastate e lavorate bene il tutto aggiungendo ancora latte qualora l’impasto dovesse risultare duro.
Stendete la sfoglia portandola allo spessore di 1 cm circa e ricavate delle forme romboidali o altre a vostro piacere. Disponetele nella teglia per la cottura al forno. Una volta cotti, lasciateli raffreddare e glassateli con zucchero fondente al cacao (“naspro”) ottenuto mescolando su fuoco lento 750 gr. di zucchero a velo, con 200 gr. di cacao in polvere e aggiungendo a riprese 250 gr. d’acqua, lo stesso sarà pronto quando, addensandosi, comincia a filare. A questo punto, calate i mustazzueli pochi per volta nella glassa, rigirateli delicatamente; quindi sgocciolateli e poneteli ad asciugare su della
carta oleata. Potete glassarli anche con glassa bianca, seguendo la ricetta che segue. Versate in una casseruola 750 grammi di zucchero a velo, bagnatelo con un po’ d’acqua e ponetelo sul fuoco, mescolando sino a quando inizia a formare bollicine. Unite 2 albumi montati a neve ferma, aggiungete un po’ di succo di limone e mescolate per bene.
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