Il mito di Santa Cesarea in un canto popolare adattato a cantastorie

 cesarea

di Giuseppe Corvaglia

 

Il luogo

Santa Cesarea Terme è un piccolo centro marittimo del Salento, molto noto per l’amenità del luogo e per la presenza di acque termali, salsobromoiodiche e sulfuree, utilizzate per le cure da tempo.

Il riferimento alla Santa, Cesarea, nota fin dal XV secolo, potrebbe far pensare a una certa vetustà del luogo; in realtà il paesino, fino all’inizio del secolo scorso*, non esisteva neppure e le grotte, con le acque termali, potevano essere raggiunte solo attraverso sentieri scoscesi e  difficili da percorrere.

affresco del XVI secolo che si trova inell'antica chiesa di San Nicola adiacente alla chiesetta della Madonna dell'Idri a Nociglia ed è la più antica figura di Santa Cesarea nella provincia di Lecce (foto Antonio Chiarello)
affresco del XVI secolo che si trova nell’antica chiesa di San Nicola adiacente alla chiesetta della Madonna dell’Idri a Nociglia ed è la più antica figura di Santa Cesarea nella provincia di Lecce (foto Antonio Chiarello)

I miti fondanti

Ci sono diversi miti che giustificano la presenza delle acque sulfuree-salso-bromo-iodiche: uno di essi lo ritroviamo nella mitologia classica dove si narra che qui, sulle impervie coste della Japigia, sia finito lo scontro fra Ercole e i Titani Leuterni sopravvissuti alla lotta che aveva avuto luogo nei Campi Flegrei. I giganti battuti fuggirono fin qui sperando che l’asperità del luogo potesse proteggerli, ma qui l’eroe li raggiunse e non ebbero scampo.

Proprio dai loro corpi in decomposizione, secondo la leggenda, originarono le acque e i fanghi putridi e maleodoranti, ma benefici e curativi.

Un’altra leggenda, ambientata nel XIV secolo, quando il Salento era insidiato dai Turchi, parla di Cesarea, fanciulla bellissima,  notata da un saraceno il quale di lei si invaghì e volle farla sua. La inseguì sulla scogliera fin dentro una grotta e quando la raggiunse, prodigiosamente, dal terreno si sprigionarono fiamme e fumi che arsero vivo l’uomo. Da allora si ritiene che le acque e i fanghi siano terapeutici.

Ma la leggenda principale riguarda Santa Cesarea secondo la versione  riferita dai Bollandisti.

Santa Cesarea, secondo questa versione, nacque in un dicembre del XIV secolo da Luigi e Lucrezia, dopo un’attesa di oltre 10 anni dal matrimonio e al termine di una pia pratica suggerita dall’eremita Giuseppe Benigno.

Rimasta orfana della madre quando era ancora adolescente, Cesarea fu costretta ad abbandonare la casa dei genitori, per sfuggire alle insane tentazioni del padre; si rifugiò in una grotta marina fra Castro e Otranto.

Qui visse la sua vita di privazioni e di preghiera, votata ad una totale dedizione a Dio, divenendo una eremita la cui fama si estese in tutta la Terra d’Otranto. Dopo la sua morte, avvenuta nella grotta da dove non era più uscita, sempre nel secolo XIV, fu eretta una chiesa sul posto che divenne centro del suo culto fin dal secolo XVII. Il suo culto si diffuse nel Salento, in particolare a Francavilla Fontana (BR) che viene indicata come la patria d’origine della santa.

Patrona anche di Porto Cesareo, è ricordata il 15 maggio, ma, nel paesino termale, a metà settembre la sua statua viene portata in processione con  un corteo di barche alla grotta Gattulla dove sarebbe vissuta e poi morta. (A. Borrelli da Enciclopedia dei Santi www.santiebeati.it )

 

processione di Santa Cesarea (foto Antonio Chiarello)
processione di Santa Cesarea (foto Antonio Chiarello)

Il canto

Il canto, proposto nel 2008 dal gruppo Totine Sud Sisters sotto forma di cantastorie, è diffuso nel basso Salento e narra la leggenda di Santa Cesarea.

Vi sono già pubblicate due versioni dello stesso, cantate una dagli Ucci nell’album Bona sera a quista casa e una dai Cantori dei Menamenamò nell’album Santa Cesarea, ma il racconto viene anche tramandato oralmente in diversi luoghi del Salento.

Oltre a far parte della mole di racconti edificanti che parlavano delle vite dei santi, questo canto è anche il mito fondante del paesino salentino, che cerca di spiegare le origini delle acque sulfuree delle sue terme con un intervento divino e la presenza del diavolo che si viene a trascinare giù nell’inferno il genitore snaturato.

La storia infatti  parla di un incesto voluto dal padre che desidera la bella figlia, per quanto lei cerchi di scoraggiarlo con pudica modestia, e che verrà portato via proprio dal diavolo.

Ho preferito la versione riferita da Rizzo Antonietta fu Amedeo perché, come quella dei Cantori dei Menamenamò, mi sembra più congrua e, verosimilmente, più vicina all’originale. Infatti in essa, nela prima strofa, si usa il termine “sposà” per indicare la volontà del padre di possedere carnalmente la figlia, mentre nella versione degli Ucci si parla di “ammazzà” che può assumere un significato simbolico, ma che qui non pare appropriato.

La stessa versione, poi, contiene anche una strofa di chiusura non riportata nelle altre due edizioni.

Nella terza strofa è suggestiva la figura evocata del padre che insegue la fanciulla con la spada sguainata, evidente doppio senso di tipo sessuale, ma anche evocativa del fatto che lo stupro ucciderebbe in sé un’anima candida come quella di Cesarea.

Bella è pure l’immagine del cuore che batte così forte da sembrare un tremito in cui non si distinguono i battiti (tutta tremante in sen)**

Nell’ultima strofa troviamo due diversi termini nelle due versioni; nella versione degli Ucci si dice Cesaria s’atterrava mettendo l’accento sul terrore della fanciulla mentre nella versione presentata e in quella dei Cantori dei Menamenamò (Cesaria la’ nserrava – si apriva il monte in due e Cesaria veniva imprigionata dalla roccia) si fa riferimento al monte che facendola sprofondare la rinchiude nelle sue viscere.

Anche nella versione agiografica Cesaria, restando come eremita per sempre nella grotta senza più uscirne fuori, ritirandosi dal mondo, è come se da quella grotta, comunicante con le viscere della terra, ne fosse inghiottita.

Ho inserito nella parte narrata anche una frase ricorrente come proverbio (Aprite munte*** e ‘gnuttite Cisaria / e li stivali de sirma nzurfu e rena****) che viene detta quando si verifica una situazione dirompente come uno scoppio d’ira o un litigio.

La strofa di chiusura chiude il racconto e non parla più del corpo mortale, ma invita a considerare l’anima pura che viene portata, beata, a godere della gloria di Dio.

 

 

 

*        Il decreto regio che istituisce il comune di Santa Cesarea, è del 26 maggio 1913

 **    Viene riportata anche  tutta tremante in sé nel senso di terrorizzata nell’intimo.

***   In un’altra versione si dice “Aprite pentuma e gnuttite Cisaria”.

**** Il riferimento agli stivali del padre che diventano sabbia e zolfo viene fatto anche da Trifone Nutricati, poeta e pubblicista leccese, in un poemetto in dialetto scritto agli inizi del Novecento e forse da esso prende origine per poi diffondersi nel lessico popolare.

 

statua della santa portata in processione (foto Antonio Chiarello)
statua della santa portata in processione (foto Antonio Chiarello)

 

statua della santa portata in processione a mare(foto Antonio Chiarello)
statua della santa portata in processione a mare(foto Antonio Chiarello)
La storia de Santa Cisaria

Libero adattamento in forma di cantastorie di un antico canto popolare di Giuseppe Corvaglia

1     E’ questa la storia di Santa Cesarea nostra che, pur essendo piccola per età, dimostrò un grande coraggio. Cesarea era una fanciulla bella, ma modesta e delicata.

La mamma era morta quando ella era ancora piccinina e lei aveva trovato conforto nella fede, dedicandosi anima e corpo a Dio. Ma il padre, sconvolto dal dolore per la perdita della moglie, era attratto dalle grazie della fanciulla e iniziò a desiderarla fino all’ossessione.

Santa Cesarea bella,

a Dio donasti il cuore,

lu   patre traditore

che la voleva sposa’.

2         Il padre di Cesarea è ossessionato: vuole a tutti i costi possedere la fanciulla, ma lei ha donato a Dio il suo cuore e vuole serbarlo puro come il suo corpo.

La furia del padre è, però, cieca e lei non può contrastarla.

Allora escogita uno stratagemma per potersi mettere in salvo: dice al padre che acconsentirà ai suoi voleri e chiede alcuni momenti per lavarsi. Ma, invece di prepararsi, lega due colombi sul fondo di una bacinella che, battendo le ali, fanno credere allo snaturato genitore che la fanciulla si stia lavando e poi, paurosa e tremante, se ne fugge via.

Prese due palombelle

le mise in un bacile

e poi si mise a fuggire

tutta tremante in sen.

3        Ma lo snaturato genitore è impaziente e l’inganno non può durare a lungo.

Così, dopo aver atteso invano l’arrivo della fanciulla, apre la porta e resta sbalordito.

Vede le colombe legate, la finestra aperta, capisce e si lancia all’inseguimento della giovine che corre trafelata.

Fuggiva e si voltava

suo patre la ‘rrivava,

la spata spoderava

che la voleva ammazzà

4       La fanciulla trema: ha paura della persona che dovrebbe volerle più bene, ha paura di quello che potrebbe accadere al proprio corpo e alla propria anima e prega chiedendo all’Altissimo una grazia da far tremare i polsi: “ Aprite munte e gnuttite Cisaria / E li stivali de sirma ‘nzurfu e rena”

Le sue preghiere vengono ascoltate: la roccia si apre e padre e figlia ne vengono inghiottiti, ma Cesaria prima di morire riesce a vedere la gloria degli Angeli che la incorona indicandole il Paradiso, mentre il padre viene a prenderselo il diavolo che lascia traccia di sé nelle grotte sulfuree.

Aprite munte in due

Cesarea sta ‘nserrata

si vede incoronata

dagli Angeli del ciel.

Portate  palme e  fiori

Santa Cesarea bella

in cielo  c’è  una stella

la gloria del Signor.

 

Il filmato del canto proposto come cantastorie, fatto da Luigi Zappatore a Nociglia nella festa campestre di San  Donno nel 2008, mostra la versione cantata dal gruppo Totine Sud Sisters ( Ros’Ines, Natalina (voce e Chitarra), Mirella e Stefania Corvaglia) con la partecipazione di Giuseppe Corvaglia (Flauto), Raffaele Rizzello (clarinetto) In quell’occasione suonarono nel gruppo anche Rizzo Rocco C., Angelo Zappatore , Giorgio Ruggeri e Emanuele Cortese.

Il video è visibile su you tube al link

https://www.youtube.com/watch?v=YRWjLACvhpc&feature=youtu.be

 

 

Taccuini di Santa Cesarea

Villa Raffaella

Enzo Viti, Taccuini di Santa Cesarea, disegni, acquerelli, opere

e fotografie di Dario Caputo a Villa Raffaella

 

di Paolo Rausa

L’ora di tutti’, il bel romanzo di Maria Corti. Non era di queste parti, si intende il Salento, ma del nord, della sponda occidentale del Lago di Como, Valle Intelvi di fronte al Lago di Lugano.

Eppure Maria Corti è passata da Villa Raffaella, della famiglia Lubelli a Santa Cesarea Terme.

Una struttura elegante e imponente, giocata sui pieni e sui vuoti, sull’idea del palazzo munitissimo con torri eburnee e archi che racchiudono una balaustra arcuata con vista verso l’orizzonte orientale. All’interno, accolti da una frase non d’occasione ‘Domus tua haec’ (Questa è casa tua) si svolgerà dal 10 al 20 agosto una mostra d’arte, che contempla i taccuini di Enzo Viti, assiduo frequentatore di Santa Cesarea e proveniente da quella Matera di recente innalzata a Capitale Europea della Cultura per il 2019, le sue pitture e le fotografie di un figlio di questa terra, Dario Caputo.

Enzo Viti
Enzo Viti

Che cosa accomuni questi tre soggetti è Enzo Viti a spiegarlo, mentre si dispone a ritrarre l’ennesimo schizzo del paesaggio esclusivo di questa terra, ‘dove tutto si innesta per convergere verso la bellezza: il mare, i fiori, il verde’. Per Enzo Viti si tratta di amore a prima vista, da quando circa 15 anni fa gli è stato suggerito questo luogo baciato dalla fortuna: ‘Mentre me ne andavo a passeggiare e notavo questo equilibrio cromatico, esistenziale e materico, mi chiedevo in che modo potessi ricambiare questa sensazione di benessere’.

E da allora nessun angolo è sfuggito alla matita e ai pastelli di Enzo, ben 130 disegni sono stati elaborati dalla mente e dal cuore dell’artista e trasmessi sulla carta pronti per essere esposti nella struttura ricettiva di Villa Raffaella insieme a 13 pitture e ad una trentina di foto di Dario Caputo, figlio ossequioso di Santa Cesarea.

Inaugurazione il 10 di agosto ore 20. Per 10 giorni si potranno ammirare taccuini, pitture e foto a far mostra di sé nelle architetture di stile eclettico con elementi romanico-gotico-moreschi di questa villa progettata e realizzata dal padre di Maria Corti, l’architetto Emilio, che si inserisce in una teoria di costruzioni che si snodano lungo il litorale da Palazzo Sticchi e la sua cupola moresca a Santa Maria di Leuca, de finibus terrae, dove  – dice Bodini – i salentini dopo morti ritornano con il cappello in testa.

Dario_Caputo_2014
Dario Caputo – 2014

Orari della mostra: dalle 20,00 alle 23,00, tel. 0836 944235, 335 6412163, www.villaraffaella.it

 

L’invocazione a due santi per tenere lontana la morte

CIVILTA’ CONTADINA DI FINE OTTOCENTO

SANTA CISARIA E SSANTU MARTINIEDDHRU

I CONTADINI INVOCAVANO I DUE SANTI TAUMATURGICI PERCHE’ CONVINTI CHE TENESSERO LONTANA LA MORTE

di Giulietta Livraghi Verdesca Zain

Con l’avanzare della vecchiaia e il proporsi sempre più frequente degli acciacchi propri dell’età, i vecchi entravano nel clima depressivo dell’incombente fine e se da una parte, per non tradire alla loro rassegnazione cristiana, si dicevano pronti a “partire” (“Stàu cu llu  pete ssuétu a lla partùta”), dall’altra cercavano di esorcizzarne lo spettro ricorrendo allo scongiuro: 

Sbatte lu palùmmu sbatte l’ale

Santa Cisària nganna lu male;

 

intra’a lla limma lu palùmmu patésce,

Santa Cisària la ita llunghésce;

 

cappa tagghiàta no tt’à ddulire

ca Santu Martiniéddhru ti face criscìre”.

(“ Sbatte… il colombo sbatte le ali / Santa Cesarea inganna il male [il padre, ossia il diavolo che lo tenta]; // nel bacile, il colombo soffre: / Santa Cesarea allunga la vita; // mantello tagliato [ridotto a metà] non te ne dolere  // ché San Martinello  ti fa ricrescere [ridiventare intero]”).

Ricorso al magico-religioso che, come si può notare, risulta imperniato sulle figure protettrici di due santi le cui note agiografiche venivano astutamente convogliate a proprio tornaconto.

Per sfuggire all’imposizione paterna che la voleva sposa di un ricco mercante, Santa Cesarea era ricorsa a uno stratagemma: la mattina delle nozze, prima di calarsi dalla finestra e raggiungere il convento scelto a suo rifugio, aveva versato un po’ d’acqua in un catino, sistemandovi poi dentro un colombo impastoiato. Col suo sbattere d’ali, la bestiola aveva

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