vincenziano
San Giustino De Jacobis da San Fele,
di frà Angelo de Padova
Corre i suoi primi rischi nel 1836 curando i colerosi di Napoli, nell’epidemia che provoca quindicimila morti. Giustino De Jacobis appartiene alla “Congregazione della Missione” di san Vincenzo de’ Paoli. Settimo dei 14 figli di una famiglia lucana, Giustino è stato ordinato sacerdote a Brindisi nel 1824. Nel 1839 arriva come missionario in Etiopia e il suo campo di lavoro è il Tigré: principalmente Adua, e poi Guala (Adi Kwala) dove pensa subito a formare preti etiopici, dando vita a un seminario.
Questo è già territorio cristiano: c’è la Chiesa copta, che non è stata mai unita a Roma. Giustino De Jacobis avvicina i copti con rispetto e amicizia; ne porta alcuni con sé in un viaggio a Roma e in Terrasanta, senza chiedere conversioni.
Uno di essi, però, Ghebré Michaïl, si fa cattolico, diventa sacerdote, pubblicando una grammatica e un dizionario della lingua locale. Valorizzare le culture che incontra: anche questo fa parte della “linea De Jacobis” in missione. Nella regione cresce la popolarità di Abuna (padre) Jacob, come lo chiamano, e si sviluppa la comunità cattolica, che entra però in conflitto col vescovo copto Abuna Salama, specie quando De Jacobis viene nominato vescovo e vicario apostolico nel 1849.
Il contrasto diviene persecuzione quando un piccolo capo della zona di Gondar, Kasa, sottomette i ras proclamandosi imperatore col nome di Teodoro II. Spinto dall’Abuna Salama, fa poi imprigionare De Jacobis con i suoi sacerdoti; e uno di essi, il dotto Ghebré Michaïl, muore di stenti in catene (sarà beatificato nel 1926). A questo punto Salama scrive a Teodoro: “Devi cacciare l’Abuna Jacob. Ma non lo uccidere: è un santo“. Così il vescovo Giustino viene espulso con un gruppetto dei suoi fedelissimi, e muore di sfinimento nella zona più torrida dell’Eritrea, presso Zula, mentre