Nardò, San Biagio nella chiesa di Santa Teresa. Si rinnova il rito della benedizione della gola

Nardò. La statua di S. Biagio venerata nella chiesa di S. Teresa (Maccagnani, cartapesta, 1886) (foto Raffaele Puce)

 

Dopo il culto e il protettorato di san Gregorio l’Illuminatore, che si festeggia il 20 febbraio, la città di Nardò celebra un altro santo dell’Armenia, Biagio, vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia. Per sua intercessione si rinnova, come ogni anno, l’antichissimo rito della benedizione della gola nella chiesa di Santa Teresa (nei pressi della Posta centrale).

Tra i quattordici santi ausiliatori, patrono degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono a San Biagio, medico in vita, per la cura dei mali fisici e particolarmente per la guarigione dalle malattie della gola, tanto che tra i diversi miracoli a lui attribuiti si menziona a simbolo quello del salvataggio di un bambino col rischio di soffocamento a causa di una lisca di pesce.

Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è da ricollegare al rifiuto di abiurare la fede cristiana. La leggenda riporta che fu decapitato dopo essere stato a lungo torturato con pettini di ferro che gli straziarono le carni. Lo strumento del martirio fu preso a simbolo del santo e poiché simile a quelli utilizzati dai cardatori di lana e dai tessitori, questi ultimi lo vollero designare quale loro protettore. Il corpo fu sepolto nella cattedrale di Sebaste.

Nel 732 una parte dei suoi resti mortali furono imbarcati per essere portati a Roma. Una tempesta bloccò il viaggio a Maratea (Potenza), dove i fedeli accolsero le reliquie; lo elessero protettore e ne conservarono parte dei resti (torace) nella basilica sul monte San Biagio (a Carosino, provincia di Taranto, è custodito un pezzo della lingua, chiuso in un’ampolla incastonata in una croce d’oro; a Ostuni si conserva un osso usualmente posto sulla gola di ogni fedele in pellegrinaggio al santuario; nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venerano i resti del braccio esposti entro un reliquiario a forma di arto benedicente). Particolarmente sentito il culto in Avetrana.

In provincia di Lecce, oltre al culto riservato a Nardò, è nota la devozione degli abitanti di Salve nel cui territorio ricade la masseria e la cappella di Santu Lasi, termine dialettale con cui si designa il santo.

Il motivo dell’antica venerazione nella chiesa di Santa Teresa a Nardò potrebbe ricollegarsi non tanto alla protezione per le comuni malattie delle prime vie aeree, quanto alla grave malattia infettiva della difterite, di cui sono accertate epidemie nella prima metà del XVII secolo in città e che procurarono non pochi lutti, specie tra i più piccoli, deceduti per asfissia a causa del morbo.

Non è da escludere che il particolare culto cittadino sia strettamente collegato con la locale famiglia dei baroni Sambiasi, anticamente Sancto Blasio, i cui discendenti fecero realizzare in suo onore ben due chiese.

La prima fu fatta costruire nel 1623 dal barone Giuseppe Sambiasi sull’attuale Via De Pandi, che la istituì con atto notarile del 10 aprile, ad laudem et gloria di S. Biagio, dotandola di 48 ducati di annuo censo. Della chiesa, aperta al culto fino alla metà del secolo XIX, oggi non restano che i muri laterali e parte della volta. I fregi e i decori in pietra leccese sopravvissuti documentano quanto fosse valida dal punto di vista artistico.

L’altra chiesetta, comunemente detta di S. Biagio in Via Lata, per distinguerla dalla precedente, fu edificata nel pittagio San Salvatore.

Pur se non frequentissima, l’iconografia a volte ritrae Biagio come santo guaritore e intercessore, altre ancora nel momento del martirio, più spesso come vescovo, con mitra, pastorale e libro, a mezzo busto o a figura intera.

A Nardò si contano due raffigurazioni scultoree del santo armeno, entrambe in cartapesta policroma. Una certamente proviene da abitazione privata, anche se attualmente custodita nella chiesa di San Giuseppe, forse donata dal proprietario; l’altra è oggetto di venerazione da parte dei fedeli nella chiesa di Santa Teresa e veniva portata in processione la mattina del 2 febbraio.

A grandezza naturale, quest’ultima è eccellente cartapesta policroma. Il santo, a figura intera, caratterizzato dalla folta barba grigia come nel primo, indossa i paramenti vescovili orientali con la caratteristica mitra sormontata dalla croce, il pastorale dalle estremità ricurve verso l’alto, il classico omoforion (lunga sciarpa ornata di croci). La mano destra rivolta in alto e l’espressione estasiata del bambino indicano che il miracolo è già avvenuto e il santo, pur continuando a fissare il piccolo, sembra congedarsi dopo aver ringraziato il Padre per l’evento miracoloso appena compiuto.

Un’iscrizione sul basamento documenta che fu realizzata a spese dei fedeli neritini nell’anno 1886, dal validissimo Antonio Maccagnani (1807-1892) o dal più giovane Achille De Lucrezi (1827-1913). La resa plastica, i particolari assai curati e i tratti somatici delle due figure, ma anche l’equilibrio fra le parti e la posa ieratica del santo, portano a considerare l’opera tra le più qualificate dei migliori cartapestai leccesi.

Il rito della benedizione della gola viene esercitato nella chiesa neritina il 3 febbraio, sin dalle prime ore e fino a tarda serata (con interuzione dalle 12 alle 15), e i festeggiamenti in onore del santo sono preceduti da un triduo, che si tiene nella medesima chiesa di Santa Teresa, per interessamento e cura della confraternita del SS.mo Sacramento.

 

 

 

 

3 febbraio, San Biagio a Nardò. Riprende il rito della benedizione della gola

Nardò. La statua di S. Biagio (1886) venerata nella chiesa di S. Teresa (cartapesta, 1888)

 

Dopo il culto e il protettorato di san Gregorio l’Illuminatore, che si festeggia il 20 febbraio, la città di Nardò celebra un altro santo dell’Armenia, Biagio, vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia. Per sua intercessione si rinnova, come ogni anno, con la sola interruzione nel periodo pandemico, l’antichissimo rito della benedizione della gola nella chiesa di Santa Teresa (vicino l’Ufficio postale).

Tra i quattordici santi ausiliatori, patrono degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono a San Biagio, medico in vita, per la cura dei mali fisici e particolarmente per la guarigione dalle malattie della gola, tanto che tra i diversi miracoli a lui attribuiti si menziona a simbolo quello del salvataggio di un bambino col rischio di soffocamento a causa di una lisca di pesce.

Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è da ricollegare al rifiuto di abiurare la fede cristiana. La leggenda riporta che fu decapitato dopo essere stato a lungo torturato con pettini di ferro che gli straziarono le carni. Lo strumento del martirio fu preso a simbolo del santo e poiché simile a quelli utilizzati dai cardatori di lana e dai tessitori, questi ultimi lo vollero designare quale loro protettore. Il corpo fu sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte dei suoi resti mortali furono imbarcati per essere portati a Roma. Una tempesta bloccò il viaggio a Maratea (Potenza), dove i fedeli accolsero le reliquie; lo elessero protettore e ne conservarono parte dei resti (torace) nella basilica sul monte San Biagio (a Carosino, provincia di Taranto, è custodito un pezzo della lingua, chiuso in un’ampolla incastonata in una croce d’oro; a Ostuni si conserva un osso usualmente posto sulla gola di ogni fedele in pellegrinaggio al santuario; nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venerano i resti del braccio esposti entro un reliquiario a forma di arto benedicente).

 

In provincia di Lecce, oltre al culto riservato a Nardò, è nota la devozione degli abitanti di Salve nel cui territorio ricade la masseria e la cappella di Santu Lasi, termine dialettale con cui si designa il santo.

Il motivo dell’antica venerazione nella chiesa di Santa Teresa a Nardò potrebbe ricollegarsi non tanto alla protezione per le comuni malattie delle prime vie aeree, quanto alla grave malattia infettiva della difterite, di cui sono accertate epidemie nel XVII secolo in città e che procurarono non pochi lutti, specie tra i più piccoli, di solito morenti per asfissia.

Non è da escludere che il particolare culto cittadino sia strettamente collegato con la locale famiglia dei baroni Sambiasi, anticamente Sancto Blasio, i cui discendenti fecero realizzare in suo onore ben due chiese.

La prima fu fatta costruire nel 1623 dal barone Giuseppe Sambiasi sull’attuale Via De Pandi, che la istituì con atto notarile del 10 aprile, ad laudem et gloria di S. Biagio, dotandola di 48 ducati di annuo censo. Della chiesa, aperta al culto fino alla metà del secolo XIX, oggi non restano che i muri laterali e parte della volta. I fregi e i decori in pietra leccese sopravvissuti documentano quanto fosse valida dal punto di vista artistico.

L’altra chiesetta, comunemente detta di S. Biagio in Via Lata, per distinguerla dalla precedente, fu edificata nel secolo precedente dalla nobile famiglia Chiodo, nel pittagio San Salvatore.

Pur se non frequentissima, l’iconografia a volte ritrae Biagio come santo guaritore e intercessore, altre ancora nel momento del martirio, più spesso come vescovo, con mitra, pastorale e libro, a mezzo busto o a figura intera.

Il rito della benedizione della gola da parte dei sacerdoti viene esercitato nella giornata del 3 febbraio, subito dopo la messa delle 8.30 e fino a tarda serata, con la sola interruzione dalle 13 alle 15. I festeggiamenti in onore del santo sono preceduti da un triduo che si sta celebrando in questi giorni, che si tiene nella medesima chiesa di Santa Teresa, per interessamento e cura della confraternita del SS.mo Sacramento.

 

Il culto di San Biagio ad Avetrana

processione con la statua di San Biagio ad Avetrana

 

a cura del Comitato Festa Patronale

 

Nel 1118 la contessa Teodora di Lecce decise di costruire una chiesa, dedicata alla Madonna, da donare a suo fratello Goffredo e ai suoi soldati veterani che pattugliavano i confini della contea salentina. 

Ciò contribuì a indicare queste terre come quelle dei “Veterani”, per cui anche la chiesetta costruita dalla contessa prese il titolo di “Santa Maria della Vetrana”, che diede poi il nome al piccolo borgo formatosi intorno. 

Non fu allora difficile ai soldati leccesi diffondere fra gli abitanti la devozione verso il proprio concittadino, San Biagio. 

E così, con le offerte di tutta la popolazione e l’aiuto dei monaci basiliani, che contribuirono ad alimentare la devozione verso questo santo, fu costruita un’altra piccola chiesetta, fornita di tutto l’occorrente per la celebrazione della Santa Messa; e in essa i soldati lasciarono, come dono alla popolazione, una reliquia del santo. 

Tuttavia, a causa delle incursioni dei Saraceni, presto la popolazione dovette abbandonare il piccolo borgo per rifugiarsi dentro le mura del torrione fortificato. Ma la chiesetta di San Biagio non perse la sua importanza e divenne meta giornaliera di pellegrinaggio da parte dei fedeli. 

La statua del santo venerata in Avetrana

 

Passarono i secoli e la vita scorreva tranquilla nel piccolo borgo fortificato della Vetrana quando, improvvisamente, il 20 febbraio 1743, nelle prime ore del pomeriggio un violento terremoto si abbatté sulla città e su tutto il Salento, mietendo inaspettatamente pochissime vittime. 

Le violente scosse fecero crollare la chiesa matrice e parte del Torrione; non vennero risparmiate nemmeno la chiesa costruita secoli prima dalla contessa Teodora e la chiesetta di San Biagio, come del resto buona parte delle abitazioni del paese. 

La popolazione si riversò impaurita per le piazze e lì vide il miracolo: apparve San Biagio, nelle vesti di vescovo glorioso, che appoggiò al suolo il pastorale che aveva tra le mani, fermando le violente scosse e soccorrendo la popolazione che lo pregava incessantemente da secoli. 

Da allora non ci fu casa che non custodisse un’immagine di “Santu Lasi” (come veniva affettuosamente chiamato nel vernacolo locale), in onore del quale ardeva giorno e notte, come segno di gratitudine, una lampada ad olio, che sembrava veicolare poteri curativi. Infatti, quando qualcuno della famiglia aveva a che fare con tosse, laringiti o faringiti, la donna più anziana intingeva le dita in quell’olio e ungeva la gola del malato.

Nella nuova chiesa matrice fu dedicato a San Biagio il primo altare della navata sinistra; fu quindi commissionata una tela che non lo rappresentasse nell’atto di guarire il bambino che soffocava, ma che  ricordasse, a perenne memoria, il patrocinio e la protezione che il santo vescovo elargì a tutta la popolazione avetranese. 

Da quel lontano 1743, ogni anno si rinnova il legame tra gli avetranesi e il loro glorioso patrono San Biagio. E, per ringraziare della particolare protezione concessa, viene organizzata in suo onore una delle feste più belle del Salento.

Luminarie per la festa di San Biagio ad Avetrana

luminarie Avetrana

 

Nardò. Festeggiamenti di S. Biagio. Si rinnova l’antichissimo rito della benedizione della gola il 3 febbraio

San-Biagio, immaginetta devozionale C.Poellath, cromolitografia Bayern, fine secolo XIX

 

Ancora un santo armeno nella città di Nardò. Dopo il culto e il protettorato di san Gregorio l’Illuminatore, che si festeggerà il 20 febbraio, i neritini festeggiano il santo medico e vescovo vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore).

Il  martirio di san Biagio, avvenuto intorno al 316, è da ricollegare al suo rifiuto di abiurare la fede cristiana. La leggenda riporta che fu decapitato, dopo essere stato a lungo torturato con pettini di ferro che gli straziarono le carni. Lo strumento del martirio fu preso a simbolo del santo e poiché simile a quelli utilizzati dai cardatori di lana e dai tessitori, ecco che queste categorie lo vollero designare quale loro protettore.

Come di consueto torna dunque a praticarsi l’antichissimo rito della benedizione della gola, atteso dai fedeli, dalla popolazione di Nardò e dei paesi vicini domenica 3 febbraio, giorno in cui si festeggia il santo martire Biagio, venerato nella chiesa di Santa Teresa in Nardò.

Tra i quattordici santi ausiliatori, patrono anche degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono a san Biagio, che in vita fu medico, per la cura dei mali fisici e particolarmente per la guarigione dalle malattie della gola.

Il motivo dell’antico patrocinio a Nardò potrebbe ricollegarsi ad una epidemia di difterite che colpì la popolazione neritina nel XVII secolo in città, che procurò non pochi lutti, specie tra i più piccoli, che morirono per l’asfissia determinata dalle croste in gola causate dal germe. Ma un altro motivo potrebbe rimandare all’antichissima e nobile famiglia dei Sambiasi, il cui nome, fino al XVII secolo, era Sancto Blasio, per l’appunto San Biagio, dei quali un ramo viveva accanto alla chiesa in cui tuttora si festeggia.

Anche quest’anno si rinnova l’atto di culto che, ormai da secoli, la Confraternita del SS. Sacramento, di cui il santo è protettore, tributa a San Biagio nell’occasione della festa del 3 febbraio.

Il triduo avrà inizio giovedì 31 gennaio, per proseguire con la messa solenne celebrata alle 8.30 di domenica 3 febbraio dal Vescovo di Nardò-Gallipoli Mons. Fernando Filograna, e con la benedizione della gola impartita ad ogni credente da sacerdoti e diaconi, dalle 15 del pomeriggio e fino a tarda serata dello stesso giorno.

In occasione delle celebrazioni, nella chiesa di S. Teresa vengono venerate la reliquia e la statua del santo protettore ed intercessore, solennemente esposta al pubblico.

Festa di S. Biagio a Nardò. Si rinnova l’antichissimo rito della benedizione della gola il 3 febbraio

Nardò. La statua di S. Biagio venerata nella chiesa di S. Teresa (cartapesta, 1888)
Nardò. La statua di S. Biagio venerata nella chiesa di S. Teresa (cartapesta, 1888)

 

Ancora un santo armeno nella città di Nardò. Dopo il culto e il protettorato di san Gregorio l’Illuminatore, che si festeggerà il 20 febbraio, i neritini festeggiano il santo medico e vescovo vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore).

Il  martirio di san Biagio, avvenuto intorno al 316, è da ricollegare al suo rifiuto di abiurare la fede cristiana. La leggenda riporta che fu decapitato, dopo essere stato a lungo torturato con pettini di ferro che gli straziarono le carni. Lo strumento del martirio fu preso a simbolo del santo e poiché simile a quelli utilizzati dai cardatori di lana e dai tessitori, ecco che queste categorie lo vollero designare quale loro protettore.

Come di consueto torna dunque ad esercitarsi l’antichissimo rito della benedizione della gola, atteso dai fedeli e dalla popolazione di Nardò e dei paesi vicini sabato 3 febbraio, giorno in cui si festeggia il santo martire Biagio, venerato nella chiesa di Santa Teresa.

La confraternita del SS. Sacramento, di cui il santo è protettore, ha predisposto e diffuso il programma, con il triduo che inizierà il 31 gennaio, per proseguire con la messa solenne celebrata dal Vescovo di Nardò-Gallipoli Mons. Fernando Filograna, e con la benedizione impartita ad ogni intervenuto da sacerdoti e diaconi, dalle 15 del pomeriggio e fino a tarda serata.

Tra i quattordici santi ausiliatori, patrono anche degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono a san Biagio, che in vita fu medico, per la cura dei mali fisici e particolarmente per la guarigione dalle malattie della gola.

Il motivo dell’antico patrocinio a Nardò potrebbe ricollegarsi ad una epidemia di difterite che colpì la popolazione neritina nel XVII secolo in città, che procurò non pochi lutti, specie tra i più piccoli, che morirono per l’asfissia determinata dalle croste in gola causate dal germe. Ma un altro motivo potrebbe rimandare all’antichissima e nobile famiglia dei Sambiasi, il cui nome, fino al XVII secolo, era Sancto Blasio, per l’appunto San Biagio, dei quali un ramo viveva accanto alla chiesa in cui tuttora si festeggia.

In occasione delle celebrazioni, nella chiesa di S. Teresa viene esposta al pubblico la statua del santo, di grandezza naturale, eccellente  cartapesta policroma, realizzata a spese dei fedeli neritini nell’anno 1888. Il santo, affiancato dal fanciullo appena guarito, è a figura intera, caratterizzato dalla folta barba grigia; indossa i paramenti vescovili orientali, con la caratteristica mitra sormontata dalla croce, il pastorale dalle estremità ricurve verso l’alto, ed il classico omoforion, la lunga sciarpa ornata di croci.

volantinosanbiagio

Sullo stesso argomento vedi:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/02/03/3-febbraio-san-biagio-vescovo-e-martire-il-culto-del-santo-a-nardo-e-in-puglia/

3 febbraio. San Biagio, martire armeno, e il suo culto a Nardò e in Puglia

particolare della statua di san Biagio conservata nella chiesa di Santa Teresa a Nardò

 

di Marcello Gaballo

Ancora un santo armeno nella città di Nardò. Dopo il culto e il protettorato di san Gregorio l’Illuminatore, che si festeggerà il 20 febbraio, i neritini festeggiano oggi il santo medico e vescovo vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore), con la tradizionale benedizione della gola nella chiesa di Santa Teresa da pochi giorni rimessa a nuovo. I sacerdoti infatti per tutta la giornata di oggi benedicono le gole dei fedeli, e dei bambini in particolare, accostando ad esse due candele, recitando: “Per intercessione di San Biagio, Vescovo e Martire, Dio ti liberi dal mal di gola e da ogni altro male. Nel nome del Padre e del Figlio + e dello Spirito Santo. Amen”.

Vetrata con S. Biagio a La Godivelle

Tra i quattordici santi ausiliatori, patrono degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono al santo, che in vita fu medico, per la cura dei mali fisici e particolarmente per la guarigione dalle malattie della gola[1].

Il  martirio di san Biagio, avvenuto intorno al 316, è da ricollegare al rifiuto di abiurare la fede cristiana. La leggenda riporta che fu decapitato, dopo essere stato a lungo torturato con pettini di ferro che gli straziarono le carni. Lo strumento del martirio fu preso a simbolo del santo e poiché simile a quelli utilizzati dai cardatori di lana e dai tessitori, ecco che queste categorie lo vollero designare quale loro protettore.

Tra i diversi miracoli attribuiti il salvataggio di un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce.

Il corpo del santo fu sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte dei suoi resti mortali furono imbarcati, per essere portati a Roma. Una tempesta bloccò il viaggio a Maratea (Potenza), dove i fedeli accolsero le reliquie, eleggendolo a protettore e conservandone i resti nella basilica sul monte San Biagio. Qui si conserva parte del torace, mentre a Carosino (Taranto), è custodito un pezzo della lingua, conservato in un’ampolla incastonata in una croce d’oro. A Ostuni si conserva un osso, venerato e posto sulla gola di ogni fedele che oggi si reca in pellegrinaggio al santuario dedicato al santo. Nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venera una reliquia del braccio del Santo, esposta entro un reliquiario a forma di braccio benedicente, portato in processione dal Vescovo e esposto alla venerazione dopo la messa di oggi  in cattedrale.

san biagioIn provincia di Lecce, oltre al culto riservato a Nardò, è nota la devozione degli abitanti di Salve, nel cui territorio ricade la masseria e la cappella di Santu Lasi, termine dialettale con cui si designa il nostro santo. E’ del 1716 la chiesetta, riedificata sui resti di una costruzione altomedievale che ospita una coeva statua del santo. Nella masseria poco distante lo scorso anno si tenne una interessante mostra dal titolo “Santu Lasi / San Biagio: un santo, una cappella, una masseria” e si tenne la benedizione e la distribuzione dei pani di S. Biagio (provenienti da Ruvo e da Sant’Agata di Puglia, centri nei quali il san Biagio è patrono)[2].

Il motivo dell’antico patrocinio a Nardò non è da ricollegare, a mio parere, alla protezione per banali raffreddori o comuni tonsilliti, quanto per la grave malattia infettiva della difterite[3], di cui sono accertate epidemie nel XVII secolo in città, che procurarono non pochi lutti, specie tra i più piccoli, che morivano per l’asfissia determinata dalle “scrascie a ncanna” (rovi in gola)[4].

Ma ancora un motivo giustifica la particolare devozione dei neritini al santo, ricollegabile alla antichissima e nobile famiglia dei Sambiasi, il cui nome, fino al XVII secolo, era Sancto Blasio, per l’appunto San Biagio. Credo sia stata questa famiglia ad introdurne il culto, anche perché un ramo viveva accanto alla chiesa in cui tuttora si festeggia il santo armeno.

Hans Memling, S. Biagio, 1491, Sankt-Annen-Museum, Lubecca

Altri motivi mi portano a considerare veritiera l’ipotesi, dato che la stessa famiglia edificò ben due chiese in città dedicate al santo. La prima fu fatta costruire nel 1623 dal barone Giuseppe Sambiasi, nelle  vicinanze dell’antica chiesa di S. Nicola del Canneto, poi di S. Lorenzo, tra l’abitazione di Cesare Sambiasi da tre lati e la pubblica via dall’altro.

Figlio di Alessio Sambiasi, Cesare la istituì con atto notarile del 10 aprile, ad laudem et gloria di S. Biagio, sulla via pubblica in qua habet exitus ecclesia predicta, dotandola di 48 ducati di annuo censo. Nella visita pastorale del vicario Granafei (1637) il patronato era del sacerdote  Bernardino Sambiasi, figlio del fondatore. Nella visita del Sanfelice (1723) risultava cappellano Giuseppe Sambiasi ed il sacellum era posto iuxta domos M(agnifi)ci D(omi)ni Fabritio Sambiasi; in quella del Petruccelli (1764) il cappellano era Alessio di Guglielmo Sambiasi.

Il 9 novembre 1756 il barone Nicola Sambiasi vi fondò un beneficio omonimo di jus patronatus laicorum, col peso di sette Messe l’anno in perpetuo a beneficio della sua anima, per 160 ducati. Primo rettore e cappellano fu Vincenzo d’Elia, poi suo fratello Emanuele, apparentati entrambi col fondatore. Nel 1761 la chiesa era del barone di Melignano Giuseppe di Guglielmo Sambiasi, alle cui case era attaccata. Giuseppe nel suo testamento dispose che in essa in ogni domenica, quanto in ogn’altro giorno festivo dell’ anno, dovessero celebrare e far celebrare una Messa colla solita elemosina di un carlino, e ciò voglio che si osservi durante mundo ed in perpetuum e dette Messe le dovessero dire delle Messe del legato del barone Ruggiero Sambiasi

Della chiesa, aperta al culto fino alla metà del secolo XIX, ubicata sull’attuale via De Pandi, oggi non restano che i muri laterali e parte assai ridotta della volta. I fregi e i decori in pietra leccese sopravvissuti documentano quanto fosse graziosa e artisticamente valida.

L’altra chiesetta, comunemente detta di S. Biagio in Via Lata per distinguerla dalla precedente, fu edificata dalla medesima famiglia verso il 1700, nel vicolo omonimo di via Lata, dove risiedeva un altro ramo dei Sambiasi. Di media grandezza, con un solo altare, aveva un grazioso prospetto, reso tale da interessanti fregi e decori sulla porta, che fanno supporre una preesistente dimora cinquecentesca riadattata a sacro luogo. Non era dotata di beneficio ed il cappellano fu sempre della famiglia Sambiasi, cui spettava il diritto di patronato. Anche questa fu aperta al culto fino alla metà del XIX secolo, per essere poi adibita ad usi profani, quindi a civica abitazione. 

 
 
 
 
 

Due preziose testimonianze iconografiche su San Biagio a Nardò

La più celebre raffigurazione del nostro santo è certamente quella di Michelangelo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, con le famose “braghe” di Daniele da Volterra e gli strumenti del martirio; molto bello anche il noto ritratto del Tiepolo, in cui appare come santo vescovo.

Michelangelo, S. Biagio nel Giudizio Universale
Giovan Battista Tiepolo, San Biagio

 

Pur se non frequentissima, l’iconografia a volte lo ritrae come santo guaritore e intercessore, altre ancora nel momento del martirio, più spesso come vescovo, con mitra, pastorale e libro, a mezzo busto o a figura intera.

Ecco che allora gli attributi variano, associandogli ora il pettine di ferro con cui fu torturato, talvolta con la palma del martirio, più spesso con uno o due ceri incrociati, in ricordo del miracolo della guarigione del bambino.
A Nardò ho trovato due belle raffigurazioni del santo armeno, entrambe in cartapesta policroma. Una certamente proviene da abitazione privata, anche se attualmente custodita nella chiesa di S. Giuseppe, forse donata dal proprietario; l’altra è oggetto di venerazione da parte dei fedeli nella chiesa di S. Teresa ed è stata portata in processione il 2 febbraio.

Il gruppo scultoreo, sotto campana di vetro, secondo la tradizione popolare salentina di fine Ottocento, poggia su una base ottagonale di legno dorato, con il margine modanato, poggiante su otto piedini “a cipollina”. Del tutto originale, forse unica, è la campana ellittica in vetro soffiato, terminante a cupola che protegge il manufatto.

Del piccolo capolavoro ne scrissi già nel 1998, in occasione della mostra “Famulos tuos… Immagini della pietas popolare: Madonne e Santi sotto campana”, organizzata dalla parrocchia del Sacro Cuore in Nardò, in occasione della quale fu stampato un succinto catalogo delle opere esposte, introdotto da Mons. Vittorio Fusco[5].

La composizione raffigura il santo in piedi, leggermente proteso verso la donna che, inginocchiata, offre al suo cospetto il figlioletto moribondo. Con la mano destra sollevata impartisce la benedizione, mentre  la sinistra, a ricordo del celebre miracolo, è posta vicino alla bocca dell’infante, evidentemente bloccando il tragico percorso della lisca di pesce conficcata in gola.

Il santo è raffigurato in età avanzata, calvo sulla sommità del capo, con barba grigia fluente che ricade in morbidi riccioli, aureolato. Veste un’ampia tunica azzurra, fermata in vita da un cingolo, con risvolti dorati e bordature rosse, come i numerosi bottoncini. Ai suoi piedi, sul terreno, è posta la mitra dalle fini decorazioni arabescate.

Molto accurato anche il panneggio delle vesti della donna, che indossa una tunica marrone ed un corto mantello azzurro.

La fine esecuzione dei lineamenti e le intense espressioni dei volti, oltre l’estrema accuratezza nell’esecuzione del restante, ne fanno un pezzo di gran pregio, opera di uno dei più validi cartapestai leccesi. La mancanza di firma e data rendono impossibile l’attribuzione.


Di grandezza naturale è invece l’altra eccellente  cartapesta policroma conservata nella settecentesca chiesa di S. Teresa, sempre a Nardò, un tempo annessa al monastero delle carmelitane, in una nicchia addossata a lato del presbiterio. Un’iscrizione sul basamento documenta che fu realizzata a spese dei fedeli neritini (Neritonensium pietas) nell’anno 1888.

Il santo, a figura intera, caratterizzato dalla folta barba grigia, indossa i paramenti vescovili orientali, con la caratteristica mitra sormontata dalla croce, il pastorale dalle estremità ricurve verso l’alto, il classico omoforion o lunga sciarpa ornata di croci.

La mano destra rivolta in alto e l’espressione estasiata del bambino indicano che il miracolo è già avvenuto e il santo, pur continuando a fissare il piccolo, sembra congedarsi, dopo aver ringraziato il Padre per l’evento miracoloso appena compiuto.

L’ampia casula rossa non camuffa le giuste proporzioni corporee e, nonostante il rigido drappeggio, si contrappone molto bene con l’appiombo del camice, per i cui bordi sono state riutilizzate parti di indumento indossato da qualche prelato di alto rango, vista la ricchezza del decoro a motivi eucaristici e la finezza dell’intaglio.

parte inferiore della statua (la parte riutilizzata di un vecchio camice è stata applicata al contrario)

 

La resa plastica, i particolari assai curati e i tratti somatici delle due figure, ma anche l’equilibrio fra le parti e la posa ieratica del santo, portano a considerare anche quest’opera tra le migliori dei più bravi cartapestai leccesi.

La data sul basamento potrebbe rimandare ai validissimi Antonio Maccagnani (1807-1892) o al più giovane Achille De Lucrezi (1827-1913), ma lasciamo agli esperti un’auspicabile attribuzione, trovandoci di fronte ad una delle più raffinate opere in cartapesta presenti in città, ancora a torto considerate “arte minore”.

San-Biagio, immaginetta devozionale C.Poellath, cromolitografia Bayern, fine secolo XIX
San-Biagio, immaginetta devozionale C.Poellath, cromolitografia Bayern, fine secolo XIX

 

[1] dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 784-785.

[2] http://www.salentoproloco.com/forum/viewtopic.php?f=26&t=71.

[3] La difterite è una causata dall’azione di una tossina (tossina difterica) prodotta da batteri che si trasmettono per via aerea. Solitamente la difterite inizia con mal di gola, febbre moderata, tumefazione del collo.
Molto spesso i batteri della difterite si moltiplicano nella gola (faringe) dove si viene a formare una membrana di colore grigiastro che può soffocare la persona colpita dalla malattia. A volte queste membrane si possono formare anche nel naso, sulla pelle o in altre parti del corpo.
La tossina difterica, diffondendosi tramite la circolazione sanguigna, può causare paralisi muscolari, lesioni a carico del muscolo cardiaco con insufficienza cardiaca, lesioni renali, fino a provocare la morte della persona colpita.

[4] In Italia, prima dell’avvento della vaccinazione di massa (al termine della seconda guerra mondiale) si registravano annualmente alcune decine di migliaia di casi di difterite con più di mille morti ogni anno.
I casi di malattia si sono ridotti, fino a scomparire quasi del tutto alla fine degli anni ’70, dopo che la vaccinazione antidifterica è stata praticata in forma estensiva in associazione con quella antitetanica (http://www.levaccinazioni.it/informagente/Vaccinazioni/difterite.htm.).

[5] Famulos tuos… Immagini della pietas popolare: Madonne e Santi sotto campana, a cura di M. Gaballo, Tipografia Bonuso – Nardò, pp.90, fuori commercio.

Lecce e il culto di San Biagio

Lecce, Porta San Biagio

di Giovanna Falco

I leccesi nel corso dei secoli e per quanto finora è dato di sapere, hanno dedicato a San Biagio, martire e vescovo di Sebaste, un rione, la porta annessa e tre chiese.

Sin dal 1472 la Cabella demanii attesta i quattro rioni di Lecce: i pictagia Sancti Iusti, Sancti Martini, Rudie (o Rugie) e Sancti Blasi[1]. Quello ad oriente fu dedicato a «San Biaggio gentil huomo Leccese, il qual fuggendo la persecutione de’ Tiranni, se ne passò con una nave in Sebaste» dove fu proclamato vescovo e poi martirizzato «e per esser che Sebaste stà nell’Oriente, perciò la Città di Lecce per honorare il suo Cittadino, chiamò la porta della Città, che stà volta all’Oriente, la porta di San Biaggio»[2]. La porta fu fatta ricostruire nel 1774 dal governatore di Terra d’Otranto Tommaso Ruffo, che vi fece apporre la statua del Santo e l’epigrafe che recita: «D.O.M. Quem dignitati parem hinc aditum Cives Convenæque din exoptaverant, tandem excitante D. Thoma Ruffo ex Regni optimatibus Provinciae Moderatore Ing. exercitibus invictissimi Regio Ferdinandi iv Castrorum Praefecto D. Or. Nicolaus Prato gentile. virtuteque clarus Patriae Curator iterum aere pub. extruxit an. dom. mdcclxxiv, ejusdemque tutelari Divo Blasio statuam pos»[3].

Il territorio del portaggio San Biagio, suddiviso nel 1508 in ventisette isole[4], dal 1606 (anno dell’istituzione delle quattro parrocchie leccesi) è coinciso con quello della parrocchia di Santa Maria della Luce[5], così com’è riportato dagli

Carosino e il suo patrono san Biagio

reliquia di San Biagio venerata a Carosino

di Floriano Cartanì

Febbraio si conferma un mese ricco di appuntamenti religiosi alquanto significativi per tutta la comunità carosinese, a cominciare da quello di oggi  3 febbraio, nel quale si celebra la festa  in onore di San Biagio patrono della città.

La solennità rappresenta ancora una volta la possibilità per l’intera cittadinanza di  offrire un segnale forte di unità, nella testimonianza del martire armeno, contribuendo a sottolineare quei momenti di profonda e vera fede religiosa che stanno caratterizzando sempre di più l’intera comunità negli ultimi tempi. A rafforzare questi propositi giunge, a poche settimane dall’insediamento in diocesi, la visita pastorale dell’Arcivescovo di Taranto S.E. Mons. Filippo Santoro, il cui incontro vuol rappresentare per l’intera collettività un dono di grazia ed un momento di accoglienza veramente speciali.

Come di consueto questa ricorrenza invernale della festa patronale di San Biagio privilegia la parte religiosa rispetto a quella prettamente civile, tant’è che dagli abitanti locali viene usualmente chiamata “San Biagio piccolo”, per distinguerla da quella più fastosa che si celebra nel mese di ottobre (“San Biagio grande”). Non va dimenticato, inoltre, che finalmente vi è la possibilità

Salve / La festa di San Biagio e “il pane dei Santi”

Come ogni anno, i festeggiamenti in onore di San Biagio promossi dal Comitato Feste della Parrocchia “San Nicola Magno” vengono celebrati a Salve il 3 febbraio nella cappella rurale e nella masseria di Santu Lasi. Dopo la Santa Messa nella cappella (ore 11.00), ci si potrà recare alla vicina masseria, che resterà aperta per l’intera giornata e sarà visitabile fino al tramonto.

In masseria, intorno alle ore 12.00, avrà luogo la consueta benedizione e distribuzione dei pani di San Biagio (quelli a base di anice prodotti a Salve, altri di forme varie – dal pastorale alle dita del santo in miniatura – provenienti da Ruvo, centro nel quale San Biagio è patrono) alla presenza del vescovo di Ugento.

Sarà anche possibile visitare una mostra dal titolo “Il pane dei Santi”,

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