di Renato Rizzelli
Parlo di Santa Cesarea. Così come un uomo può parlare di un amore ormai perduto. E ne rammento profumi, voci, personaggi, case, giardini che oramai non riconosco più. Da tempo.
Maria Corti scriveva: “C’è, nel Salento, un luogo marino chiamato Santa Cesaria dalla gente del posto, laddove nel 1913 la passione retorica dei burocrati impose la ridicola variante ufficiale di Santa Cesarea, cui aggiunse Terme, quasi che non al locale San Cesario, ma all’imperiale Cesare si legasse il nome della vergine…” (1).
Dalla passione retorica, col fluire degli anni, siamo passati a una passione ben più pericolosa: quella per la speculazione, per il guadagno personale anche a costo di sfigurare il territorio, sfruttandolo in modo barbaro e miope, fino a corroderne persino l’ormai ingiallito ricordo.
Da tali offese alla bellezza e alla memoria sorge il desiderio di scrivere qualcosa sulle origini di questo luogo che le incarna entrambe, quasi a recuperarne un’eco dell’antica immagine ormai sbiadita, forse irrimediabilmente persa. La ricerca di tali origini è compito che si sostanzia in un nostalgico inseguire i mille rivoli delle leggende locali, variegate