Il portale della chiesa matrice di Ortelle

Ortelle, Piazza S.Giorgio, chiesa matrice (ph Antonio Chiarello, autore anche delle altre foto)

 

di Antonio Chiarello

“Ortelle è un paesino di nessuna importanza artistica…”.

Così recitava il De Giorgi nei suoi “Bozzetti di Viaggio”, e più o meno tutti gli scrittori locali e non che fugacemente se ne sono occupati hanno sposato  tale giudizio.

Nonostante abbiano visitato il centro e la sua chiesa matrice, ritenendola opera minore del barocco leccese, forse ben pochi hanno riflettuto sul suo portale.

Pur non potendo competere con altri ben noti portali del Salento, ritengo che il nostro di Ortelle meriti attenzione particolare, perchè, a mio modesto avviso, è un piccolo ”capolavoro nascosto”.

Portale della chiesa matrice

 

Intanto diciamo che è stato realizzato del celebre Placido Buffelli  da  Alessano (27 maggio1635 – 27 gennaio 1693), autore di numerose opere scultoree salentine, tra cui ci limitiamo a citare la chiesa del SS. Crocifisso di Muro Leccese, il cui portale minore è analogo stilisticamente al nostro, e l’altare maggiore della chiesa degli agostiniani di Cursi.

Dopo quest’ultimo centro il Buffelli passa ad Ortelle, dove realizzerà il portale di cui ci interessiamo e l’altare maggiore della stessa chiesa, ultimando i lavori nel 1666, come si legge su due cartigli laterali dei capitelli che inquadrano l’architrave: MDC e LXVI.

particolare di sinistra con una parte della data MDC

 

particolare con la seconda parte della data di realizzazione del portale

 

Ben inserito nel complesso della facciata il portale diventa anche il punto di attrazione principale, anche per le figure scultoree che su di esso sono raffigurate. La parte superiore è sormontata dalla statua del Cristo Redentore, purtroppo mutilo in alcune parti, al quale era inizialmente dedicata la chiesa parrocchiale; ai lati di esso due pinnacoli alquanto elaborati e due angioletti musici seduti agli estremi, uno con l’arpa e l’altro col violino.

particolare con la statua di Cristo redentore tra gli angeli musici

 

 

Di pregio, ma comunque importante per la storia locale, è la formella plurisagomata posta al centro dell’architrave, nella quale vi è una veduta prospettica del paesino, come si vedeva al momento dei lavori, in bassorilievo.

particolare dell’architrave

 

particolare con veduta di Ortelle

 

Vi possiamo riconoscere la chiesa matrice ortellese prima del suo innalzamento ed il vicino menhir, che pare sia stato abbattuto ai primi dell’800. Alla sua sinistra si nota una seconda chiesa con rosone sulla facciata, di minori dimensioni e non più esistente, e degli elementi architettonici turriti, forse resti di una preesistente fortificazione dell’abitato o elementi costitutivi della porta urbica di Ortelle. Arricchiscono la veduta altri edifici rialzati inseriti tra alberi di olivo, cipressi ed un pino. Evidente come il Buffelli abbia ripreso la veduta che era stata già dipinta sulla tela dell’altare della Madonna del Rosario, realizzata nel gennaio 1643 dal neritino Nicola Maria De Tuglie. La pittura rende molto più chiaro lo scenario che si offriva all’ingresso dell’abitato, chiarendo come le due torri fossero collegate ad una cortina muraria, e come appena entrati ci si trovava di fronte il citato menhir, innalzato su dei gradini, come spesso si vede in altri centri del Salento.

Nicola Maria de Tuglie, particolare della tela della Madonna del Rosario con la veduta di Ortelle (1643)

 

La veduta fu poi adottata per stemma comunale dal comune di Ortelle, come in effetti poi è stato formalizzato e come oggi si osserva all’esterno del Municipio.

Stemma di Ortelle sul palazzo municipale

 

Interessanti sono anche gli ornamenti degli stipiti del nostro portale, che richiamano le grottesche, con figure e allegorie di frutta, volatili e animali fantastici che potrebbero rimandare ad un’epoca precedente di alcune delle parti. Se così fosse si può pensare che il Buffelli sia intervenuto su un portale preesistente, che comunque è già visibile sulla veduta del De Tuglie.

decori e ornamenti del portale

 

altri particolari decorativi del portale

 

Lo stato di conservazione della pietra non è dei migliori, nonostante una pulitura sommaria fatta nel 1984 in occasione di lavori di consolidamento.

 

Bibliografia minima

Cosimo De Giorgi, La Provincia di Lecce. Bozzetti di Viaggio, Galatina 1975

Archivio Parrocchiale di Poggiardo, Relazioni delle Visite Pastorali, Visita di Francesco Antonio De Marco del 1674

Archivio Diocesano di Otranto, Notiziario sullo stato della Parrocchia di Ortelle, Caiazzo 1874

D.De Rossi, Storia dei Comuni del Salento, Lecce 1972

A.Foscarini, Artisti Salentini, ms. 329 della Biblioteca Provinciale di Lecce p.33

R.Casciaro, La Scultura, in AA.VV. Il Barocco a Lecce e nel Salento, Roma 1995, p.150.

Nardò, due pergamene certamente (una addirittura, una bolla papale), due scultori forse, anzi, decisamente no!

di Armando Polito

Dopo le ultime “creazioni” di Christo e di Cattelan il lettore si chiederà, letto il chilometrico titolo che farebbe invidia a a quelli di tanti  libri a stampa dei secoli scorsi, quali saranno mai questi scultori prima annunziati e subito dopo schizofrenicamente rinnegati alle prese con pergamene. Anche se avessero rimediato gli onori della cronaca, avrei perso il mio tempo con loro solo per un liberatorio sfogo intriso di sarcasmo. La questione, invece, è stata, almeno all’inizio, maledettamente seria e ci porterà, comunque, a ritroso nel tempo per più di quattro secoli.

Comincio col presentare la bolla, non di sapone né finanziaria …, cioé quella con cui papa Gregorio XIII sancì l’elezione di Cesare Bovio1 a vescovo di Nardò il 15 aprile 1577.

Riproduco la pergamena, che è custodita nell’archivio della curia vescovile di Nardò, da http://www.sapuglia.it/Schedatura/Pergamene/iviewer/viewer/viewer.php?id_perg=7780&offset=0, aggiungendo di mio la trascrizione (le abbreviazioni sciolte in parentesi tonde, le lacune integrate2 nelle quadre), la traduzione e le dovute note.

bolla diocesi Nardò

Gregorius ep(iscopu)s servus servo(rum) Dei Dilecto filio Cesari Electo Neritonen(si) Sal(u)t(em) et A [p(osto)licam) Ben(edictionem)].

Apostolatus officium meritis licet imparibus nobis ex alto commissum quo ecclesiarum omnium regimini divina dispositione presidemus utiliter exequi coa[diuvante Domi]no cupientes soliciti corde reddimur et solertes ut cum de Ecclesiarum ipsarum regiminibus agitur committendis tales eis in Pastores preficere studeamus,  qui [Populum] sue cure creditum sciant non solum doctrina verbi, sed etiam exemplo boni operis informare commissasque sibi ecclesias in statu pacifico et tranquillo velint et [valeant], auctore Domino salubriter regere et feliciter gubernare Dudum siquidem provisiones Ecclesiarum omnium tunc vacantium et in posterum vacaturarum ordinationi et disp[ositioni nostre] reservavimus decernentes ex tunc irritum et inane, si secus super his per quoscumque quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigeret attentari. Et deinde ecclesia N[eritonensis auctoritati] apostolice immediate subiecta cui bone memorie Ambrosius Episcopus Neritonensis dum viveret presidebat per obitum dicti Ambrosii Episcopi qui extra Romanam Curiam  de[bitum] persolvit pastoris solatio destituta Nos vacatione huiusmodi fide dignis relationibus intellecta ad provisionem eiusdem ecclesie celerem et felicem de qua nullus preter [nos hac] vice se intromittere potuit sive potest reservatione et decreto et sistentibus  supradictis ne ecclesia ipsa longe vacationis exponatur incommodis paternis et solicitis [studiis] intendentes post deliberationem quam de preficiendo eidem ecclesie personam utilem et etiam fructuosam cum fratribus nostris habuimus diligentem demum ad te Rectorem [ecclesie] beate Marie Virginis Assumptionis nuncupate Licien(sis) in presbiteratus ordinem constitutum et ex civitate Bononien(si) oriundum cui apud Nos de literarum scientia vite munditia honestate morum spiritualium providentia et temporalium circumspectione aliisque multiplicium virtutum donis fide digna testimonia perhibentur direximus oculos nostre mentis. Quibus omnibus debita meditatione pensatis de persona tua nobis et eisdem fratribus ob tuorum exigentiam meritorum accepta eidem ecclesie Neritonen(si) de ipsorum fratrum consilio Apostolica auctoritate providemus teque illi in Episcopum preficimus et pastorem curam et administrationem ipsius ecclesie Neritonen(sis) tibi in spiritualibus et temporalibus plenarie committendo in illo qui dat gratias et largitur premia confidentes quod dirigente Domino actus tuos prefata ecclesia Neritonen(sis) per tue diligentie laudabile studium regetur utiliter et prospere dirigetur ac grata in eisdem spiritualibus et temporalibus suscipiet incrementa. Iugum igitur Domini tuis impositum humeris prompta devotione suscipiens curam et administrationem predictas sic exercere studeas solicite fideliter et prudenter quod ecclesia ipsa Neritonen(sis) Gubernatori provido et fructuoso Administratori gaudeat se com(m)issam. Tuque preter eterne retributionis premium benivolentiam nostram et nostre sedis benedictionem et gratiam exinde uberius consequi merearis. Volumus autem quod antequam possessionem seu quasi regiminis et administrationis dicte ecclesie Neritonen(sis) vel illius bonorum aut maioris partis eorum assequaris seu in illis te immisceas fidem catholicam iuxta articulos pridem ab eadem sede propositos iuxta formam quam [sub b]ulla nostra   mittimus introclusam in manibus venerabilium fratrum nostrorum Archiepiscopi Idruntusin(ensis)  et Episcopi Castren(sis) seu alterius eorum quibus et eorum cuilibet per alias nostras literas man[dam]us quatenus ipsi vel eorum alter professionem a te recipiant seu recipiat antedictam omnino profiteri et facte huiusmodi professionis fidei formam in scriptis tuo sub sigillo per proprium [n]uncium ad sedem autem quantocitius destinare tenearis alioquin provisio et prefectio huiusmodi nulle sint. Datum Rome apud Sanctumpetrum Anno incarnationis dom[inic]e millesimoquingentesimoseptuagesimoseptimo decimo septimo (ante) Calendas Maii nostri pontificatus anno [quin]to.

Da notare che nella prima linea le iniziali G di Gregorius, D di dilectus, C di Cesari, E di Electo, N di Neritonen(sis), la S di Sal(u)tem hanno l’estetica dei capilettera imitanti le miniature medioevali; inoltre, in modo meno appariscente, delle linee verticali uniscono al capolettera la s di servus e di servorum, la l di dilecto, la f di filio, la s di Cesari e la l di Electo.

Ecco la traduzione:

Gregorio vescovo servo dei servi di Dio al diletto figlio Cesare eletto a Nardò (rivolge) il saluto e l’apostolica benedizione.

Desiderando che l’ufficio dell’apostolato a noi affidato dall’alto pur con impari meriti, con il quale per divina disposizione presiediamo al governo di tutte le chiese, sia eseguito utilmente con l’aiuto di Dio siamo resi solleciti nel cuore e solerti affinché, quando si tratta di affidare Il governo delle stesse chiese, curiamo di dare l’incarico di presiederle a pastori tali che credano che il popolo sia stato affidato alla loro cura non solo per l’insegnamento della parola (di Dio) ma anche vogliano e valgano con l’esempio della buona azione educare e con l’aiuto di Dio reggere e felicemente governare in uno stato pacifico e tranquillo li chiese a loro affidate. Da tempo poiché abbiamo riservato al nostro governo e comando la cura di tutte le chiese allora vacanti e in seguito destinate ad esserlo giudicando da allora  nullo o inutile se diversamente su queste cose toccasse di transigere da chiunque con qualsiasi autorità consapevolmente o inconsapevolmente e di conseguenza la chiesa di Nardò, immediatamente soggetta all’autorità apostolica, alla quale presiedeva finché era in vita il vescovo di Nardò Ambrogio di buona memoria priva di conforto per la morte del detto vescovo Ambrogio che fuori della curia romana assolse al dovere di pastore, Noi per una sospensione di questo tipo compresa mediante relazioni degne di fede per una cura celere e felice della medesima chiesa circa la quale nessuno eccetto noi questa volta potè o può intromettersi con riserva o decreto e stanti le cose prima dette intendendo che la stessa chiesa non sia esposta lungamente agli inconvenienti della sospensione dopo la diligente deliberazione che abbiamo avuto con i nostri fratelli sul preporre alla medesima chiesa persona utile e anche fruttuosa alla fine abbiamo diretto gli occhi della nostra mente a te rettore della chiesa leccese chiamata della Beata Vergine dell’Assunzione post nell’ordine dei presbiteri e oriundo della città di Bologna, dal quale sono offerte a noi testimonianze degne di fede sulla conoscenza delle lettere, la purezza di vita, l’onestà dei costumi, la prudenza delle cose spirituali e l’avvedutezza di quelle materiali e altri doni di molteplici virtù. Meditate con la dovuta profondità tutte queste cose, circa la tua persona gradita a noi ed ai medesimi fratelli per esigenza dei tuli meriti provvediamo con apostolica autorità su decisione degli stessi fratelli alla chiesa di Nardò e ti eleviamo a capo di quella e a pastore affidando plenariamente a te la cura e l’amministrazione della stessa chiesa di Nardò nelle cose spirituali e temporali in (nome di) colui che dà le grazie e largisce i premi confidando che dirigendo il Signore le tue azioni la predetta chiesa di Nardò grazie al lodevole impegno della tua diligenza sarà retta utilmente e prosperamente diretta e conseguirà graditi progressi nelle cose spirituali e temporali. Accettando dunque con pronta devozione il giogo del Signore posto sulle tue spalle impegnati ad esercitare la cura e l’amministrazione predette così sollecitamente, fedelmente e prudentemente che la stessa chiesa di Nardò goda di essere stata affidata ad un governatore provvido e fruttuoso. E tu possa meritare oltre al premio dell’eterna ricompensa la nostra benevolenza e la benedizione della nostra sede e di conseguire più abbondantemente da questo gratitudine. Vogliamo poi che prima che tu consegua il predetto possesso sia quasi di governo e amministrazione della detta chiesa di Nardò o dei suoi beni o della loro maggior parte, o che in essi ti immetta, che tu faccia aperta dichiarazione di fede cattolica secondo la forma che sotto la nostra bolla mandiamo chiusa nelle mani dei venerabili nostri fratelli l’Arcivescovo di Otranto ed il vescovo di Castro o di uno di loro. Ad essi ed a ciascuno di loro per altre nostre lettere diamo l’incarico che essi o uno di loro ricevano o riceva da te la dichiarazione di fede, che tu sia tenuto a fare in tutto la predetta professione e a far pervenire quanto più presto possibile a questa sede per iscritto la forma di professione di fede di tal genere fatta sotto il tuo sigillo tramite proprio messaggero, che in caso contrario il provvedimento e la nomina a capo di tal fatta siano nulli. Emesso a Roma presso San Pietro nell’anno dell’incarnazione del Signore 1577 il 15 aprile, del nostro pontificato anno quinto.

La bolla in calce mostra ben cinque scritture spurie, cioè estranee al testo ma aggiunte senz’altro subito dopo la sua stesura. Riproduco in dettaglio ingrandito quella che ci interessa.

Leggo più o meno agevolmente Franc(iscu)s Bellottus p(ro) Mag(istr)is.

La traduzione sarebbe: Francesco Bellotto per i maestri. Credo che il riferimento sia ai magistri plumbi (alla lettera maestri del piombo), cioè a coloro che realizzavano il sigillo, della cui presenza la bolla oggi presenta solo tracce, com’è detto nella scheda di catalogazione che l’accompagna. Ciò che, però, a prima vista fa sobbalzare, a patto di averlo sentito nominare, è Francesco Bellotto, cioè il nome di uno scultore neritino del secolo XVI3.

E, tenendo conto che di lui ben poco si sa, uno sobbalza credendo di averne rinvenuto, addirittura, la firma e giunge pure a supporre che nella realizzazione del sigillo di Gregorio XIII ci sia il suo zampino. Poi comincia a riflettere ed a nutrire qualche dubbio, a cominciare dal fatto che a livello cronologico siamo proprio al limite. Un controllo effettuato sulle altre cinque bolle di Gregorio XIII conservate nel detto archivio ha fatto rilevare la presenza della firma del Bellotto in due altre bolle, sempre del 15/4/1577. Nella prima  (il papa assolve Cesare Bovio da ogni censura o pena ecclesiastica in cui sia eventualmente finora incorso):

 

Nella seconda (il papa dispensa Cesare Bovio dalla rinunzia alle cariche e ai beni che teneva a vita prima della sua elezione, concedendogli, cioè, di conservare la chiesa di S. Maria dell’Assunzione di Lecce, de iure patronatus di D. Filippo De Matteis, la chiesa di S. Andrea dell ‘Isola e quella di S. Maria de Formellis, di Brindisi:

Nel corso di questo controllo, poi, è avvenuto qualcosa che da un lato ha definitivamente messo da parte il sospetto di aver fatto una scoperta, se non eccezionale (!), quanto meno interessante (tanto più, come ho detto, che del Bellotto sia sa poco o niente), dall’altra di prendere una madornale cantonata con un’ipotesi abbastanza evanescente, seppur suggestiva.

In calce ad un’altra pergamena, questa del 23/6/1577, in cui Cesare Bovio, in presenza del Capitolo, impartisce istruzioni per il servizio nella Cattedrale di Nardò, leggo, sempre in calce, quanto segue.

Placidus Buffellus ca(ncell)ar(ius) causarum ep(iscopa)lis neritonens(is) Not(arius)

Placido Buffelli cancelliere delle cause, notaio neritino del vesc

Faccio presente che Buffellus alla lettera sarebbe Buffello, ma ho tradotto Buffelli per l’uso invalso nel latino di declinare al singolare anche i cognomi dalla forma evocante il plurale. Un esempio per tutti, connesso con l’epoca e col territorio: il Galateo, com’è noto, dedica il De situ Iapygiae a Giovan Battista Spinelli e Spinelle (vocativo singolare=o Spinelli, ma alla lettera sarebbe o Spinello) ricorre più volte,senza contare la stessa procedura adottata per altri cognomi “plurali” di autori di opere latine, com’è regola fino al XVIII secolo.

Placido Buffelli, dunque, non è una forzatura, e legittima il ricordo di Placido Buffelli di Alessano 1635-1693), anche lui scultore, autore, fra l’altro, di tre fastosi altari realizzati nel 1668 nella cattedrale di Nardò.

Le date appena ricordate, però, a differenza di quanto era successo per il presumibile scultore neritino, non lasciano scampo e sanciscono un caso di omonimia, il che, d’altra parte, era sospettabile tenendo  conto dei titoli che nella pergamena ne accompagnano il nome.

E desolatamente bisogna prendere atto, non solo per la proprietà transitiva, che, se il notarius Buffelli non è lo scultore alessanese, nella bolla da cui siamo partiti il magister plumbi Bellotto non è lo scultore neritino. Insomma, poteva essere uno scoop, è stato un flop …

La pergamena con la firma di Francesco Bellotto direi che non viene da Nardò,o perlomeno tutti i firmatari non sono locali. Probabilmente fanno parte della Curia romana

Invece l’altra riporta i membri del Capitolo della Cattedrale di Nardò, tutti abati, che firmano la pergamena:

Gio: Francesco Nestore arcidiacono

Cesare Sizzara preposito

Leonardo Gaballo cantore

Antonio Massa tesoriere

Ercole  Sombrino arcipresbitero

Ferrero Campanella canonico

 A… Phontonius (Fontò)  canonico

Leonardo Trono canonico

Pietro Scopetta  canonico

Giulio Cesare Rapanà  canonico

Domenico Antonio Vernaleone  canonico

Gio: Antonio Giulio canonico

Vincenzo De Matteis  canonico

Domizio…  canonico

Lucio Guerrieri   canonico

Cola Piccione  canonico

Domenico Bia  canonico

Gio: Carlo Colucci  canonico

Gio: dello Pinto  canonico

Gio: Antonio de Pantaleonibus  canonico

Placido Buffelli actuarius causarum episcopalis

Placido Buffelli, notaio, nel 1596 vive a Nardò. Aveva sposato Claudia della Penta , con cui aveva generato Nicola nel 1585, Desiderio nel 1589, Virginia nel 1590, Betta nel 1583, Ippolita nel 1588. La famiglia proveniva da Alessano e viveva in Nardò “pro exercendo offitio auctuarii” nella curia vescovile di Nardò.

__________________

1 La biografia più completa è quella manoscritta di Pietro Pollidori (1687-1748) De sacris, et profanis antiquitatibus Neritinae urbis et dioecesis, anch’essa custodita nell’archivio della curia di Nardò. Una copia manoscritta fu fatta nella seconda metà del XVIII dall’abate canonico bibliotecario Michele Foggetta ed è inserita in una miscellanea custodita nelle Biblioteca pubblica arcivescovile Annibale De Leo a Brindisi (ms_B/54, cc. 33r-59r).

2 Operazione facilitata dall’abbondante uso di locuzioni formularie agevolmente ricavabili da documenti analoghi.

3 Condivido, infatti l’osservazione contenuta nella prima delle righe in blu, che sono di Marcello Gaballo.

Note sulla chiesa dei Paolotti a Nardò

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di Marcello Gaballo

Sorta su una preesistente chiesetta dedicata a S. Maria di Costantinopoli o del Canneto, fu ricostruita dal duca di Nardò Belisario II Acquaviva d’ Aragona (1569-1623), figlio di Giovanbernardino II, per un evento prodigioso occorso nella sua vita tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, nel giardino annesso al castello ducale.

Lo conferma un atto notarile conservato nell’ Archivio di Stato di Lecce, del notaio Pietro Torricchio, in cui si legge che lo stesso duca Belisario “…tenere et possidere in burgensaticum… jardenum unum cum arboribus communibus et cannito et cum ecclesia sub titulo S. Maria de Costantinopoli, existente intus eodem jardenum, in latere versus boream, et de novo aedificata cum maiori parte espensarum ipsius ducis, sita extra et prope menia et castrus eiusdem civitatis, iuxta tres vias publicas et terras mense episcopalis neritonensem…”.

La chiesa era perciò di patronato della famiglia Acquaviva e lo stesso duca aggiunge nel documento “pro salute eius anima, constituere, erigere et fundare quoddam beneficium ecclesiasticum perpetuum sub titulo S. Maria de Costantinopoli in ecclesia predetta…”.

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interno della chiesa con la tomba di Giovan Bernardino Tafuri

 

Che la chiesa fosse preesistente al convento lo si rileva in un atto notarile del 1606, quando Gio. Battista Serpante da Forlì annulla il suo lascito del 1/7/1606 ad Alessandro delli Falconi, a favore della chiesa di S. Maria di Costantinopoli “extra moenia in jardeno Ducis”. Già nel 1573 la chiesa risulta comunque esistente, sempre dedicata a S. Maria di Costantinopoli. Secondo il Moroni i frati si insediarono a Nardò durante l’episcopato di Girolamo De Franchis (1617-1634).

Ciò che oggi si vede fu ricostruito nel 1745, essendo crollata la maggior parte della struttura originaria per il terremoto del 1743. Ciò è ricordato da un’ epigrafe (DOM/ TEMPLUM HOC/ X. CAL. MARTIAS ANNO D.NI MDCCXLIII/MAGNO CIVITATIS EXCIDIO TERRAEMOTU EVERSUM/ NERITONORUM PIETAS/ S. FRANCISCI PAULANI PATRONI PRAESENTISSIMI/ INNUMERIS COMMOTA MIRACULIS/ A FUNDAMENTIS RESTITUIT/ FRATES MINIMI NE POSTEROS LATERET BENEFICIUM/ GRATI ANIMI MONIMENTUM POSUER./ ANNO MDCCXLV).

A ridosso c’era il convento dei Minimi Riformati o Paolotti, che si stabilirono nel convento nel XVII sec. per restarvi sino al 7/8/1809.

La chiesa, con pianta a croce latina, fu consacrata nel 1706 dal Vescovo Fortunato, ma fu in buona parte ricostruita dopo il terremoto del 20 febbraio 1743, forse nel 1749, quando fu riedificata la sacrestia da Mons. Carafa e suo fratello Antonio, come ricorda l’ epigrafe che ancora si vede.

Il prospetto, sobrio ma elegante e slanciato, secondo il gusto dell’epoca, presenta paraste lisce con capitelli adornati da volute. Sui gradini posti all’ esterno della chiesa è visibile l’ insegna dei frati (sole raggiante caricato della parola CHA-RI-TAS).

altare di San Francesco da Paola
altare di San Francesco da Paola

 

Degno di particolare nota è il bellissimo altare di S. Francesco da Paola, nel transetto destro, realizzato dallo scultore di Alessano Placido Buffelli, e qui trasferito dalla Cattedrale, ove era dedicato a S. Francesco di Sales. Presenta triplici colonne a spirale, con un incredibile animazione di putti in differenti pose. Nella parte superiore vi è la nicchia con la statua del Santo titolare e l’ insegna dei frati, mentre inferiormente sono impresse le armi dei nobili Montefuscoli.

Altrettanto notevoli, dal punto di vista artistico, la tela posta a lato di questo altare e l’affresco originario della Madonna di Costantinopoli. Sempre qui è presente la tela di S. Nicola Pellegrino, del 1615, di Donato Antonio d’ Orlando.

particolare dell altare di S. Francesco da Paola
particolare dell altare di S. Francesco da Paola

 

Sulla chiesa si veda anche:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/04/20/1607-lavori-nella-chiesa-di-s-francesco-da-paola-in-nardo/

Iconografia nicolaiana a Manduria (o il santo in trasferta)

1)Morte di San Nicola
Morte di San Nicola

di Nicola Morrone

San Nicola di Bari, si sa, è il patrono di Uggiano Montefusco. Nella frazione di Manduria esiste infatti la cappella del sec. XVIII dedicata al Santo, corredata della statua di cartapesta dipinta del sec. XIX e del relativo reliquiario.E sarebbe interessante che i ricercatori locali precisassero, nei limiti consentiti dalla documentazione disponibile, quando è stato introdotto a Uggiano il culto del Santo. Ma esistono tracce di una devozione per San Nicola anche nella vicina Manduria. Le abbiamo recentemente rintracciate e ricostruite, anche sulla scorta di un interessante documento manoscritto a firma di don Salvatore Greco (1842-1922), arciprete di Manduria dal 1898 alla morte. Tale documento si trova nel Fondo Manoscritti della Biblioteca Comunale di Manduria, recentemente riordinato dallo studioso Elio Dimitri e cortesemente messo a disposizione dei ricercatori di patrie memorie dalla Dott.ssa Carmelina Greco.

Il foglio manoscritto, collocato MS-A-XVII-13, può ben rappresentare, per le notizie in esso contenute, un ragguaglio storico sull’iconografia nicolaiana a Manduria. Lo abbiamo verificato ed approfondito, per avere un’idea complessiva delle tracce superstiti del culto del vescovo di Myra nella città messapica. Di cosa si tratta? Di una lettera, che don Salvatore Greco inviò il 25 Settembre 1898, su richiesta dal vescovo di Oria, fornendo alcune indicazioni storiche sul culto di San Nicola nella nostra città, poco prima che Leonardo Tarentini pubblicasse la sua “Manduria Sacra”, uscita per i tipi della D’Errico nel 1899.

Siamo portati ad immaginare che il Greco si sia consultato con il Tarentini per le notizie storiche da fornire al vescovo: il Tarentini era infatti a quell’epoca il miglior conoscitore delle vicende storiche della chiesa mandurina, nelle sue varie articolazioni.

2)Morte di San Nicola

L’arciprete della chiesa matrice afferma di essersi comunque documentato soprattutto nell’Archivio della Collegiata, che all’epoca del Tarentini rappresentava una vera miniera di notizie, prima delle dispersioni di documenti che ebbero luogo nel sec. XX.Orbene, nella sua notizia il Greco afferma testualmente che “nell’anno 1300 esisteva in questa Collegiata un altare dedicato a San Nicola, di cui si ignora l’origine. Nel 1555 lo stesso altare fu demolito e rifatto immediatamente . Nel 1755 fu assolutamente distrutto per le modifiche avvenute nella chiesa, ma il Capitolo per conservare la memoria del Santo fece scolpire una statua in pietra di Lecce, dorata, che tuttora esiste in una nicchia nell’abside dell’altare maggiore. Nel 1640 esisteva fuori dalle mura di questa città una chiesolina dedicata al Santo, e propriamente sita alla metà di quel viottolo che comincia poco più in là del convento dei Padri Passionisti, e avea detta chiesa un altare ed un affresco rappresentante il Santo Vescovo fra un coro di angeli.[….] Nel 1737 la detta cappella era quasi cadente, tanto che il Capitolo medesimo ne ordino’ la demolizione, e fino a questi ultimi tempi si vedevano gli ultimi avanzi. Nel 1720 la famiglia Arno’-Quattrocchi, devotissima di questo Santo, fece costruire a proprie spese un altare di marmo nella chiesa dei PP. delle Scuole Pie in Manduria, ed ora la Congrega del Carmine, con un quadro di tela rappresentante la preziosa morte del Santo Vescovo. Il bozzetto di detto quadro trovasi nella Chiesa degli ex Cappuccini di Manduria, ora i frati minori di San Francesco, regalato dal sig. Felice Sala. Nella Chiesa dell’Immacolata anche in Manduria nel 1737 esisteva un altare, dedicato al detto Santo fin dal 1667, con un affresco rappresentante il Santo in atto di pregare“.

Fin qui, la notizia di don Salvatore Greco.Ma in effetti cosa resta, allo stato attuale, delle testimonianze materiali del culto di San Nicola elencate scrupolosamente dal Greco nella sua lettera al Vescovo? Esaminiamole partitamente. Chiaramente, non vi è traccia , neanche documentaria, del presunto altare del XIV sec. collocato nella chiesa matrice dell’allora Casalnuovo, spazzato via dalla totale ricostruzione della chiesa effettuata nel sec. XVI.

3) Arc.Salvatore Greco

Sparito anche l’altare rifatto nel 1555, la cui esistenza si potra’ verificare, eventualmente, solo con uno spoglio delle visite pastorali nell’Archivio Vescovile di Oria. Tale altare rinascimentale, verosimilmente “sacrificato” nell’ambito delle varie modifiche che nel corso dei secoli hanno caratterizzato l’assetto della chiesa matrice, non compare comunque nel “Campione “ del 1738, che invece documenta l’esistenza di una reliquia di San Nicola.

In sostanza, oggi l’unica testimonianza visibile della presenza di San Nicola nella Collegiata mandurina ò la statua in pietra leccese dorata, citata dal Greco e collocata ancora al suo posto, cioè nell’abside della chiesa matrice. Essa è stata realizzata, come è noto, dallo scultore Placido Buffelli di Alessano nel sec. XVII. E’ invece del tutto scomparsa la cappella campestre di San Nicolo’, un tempo collocata nei pressi del convento dei PP.Passionisti, e di cui il Tarentini , sul finire del sec. XIX, poteva ancora osservare i ruderi. Del resto, completamente alterato è l’aspetto della cappella di San Nicola che esisteva nella chiesa dell’Immacolata. Essa era caratterizzata dalla presenza di un affresco parietale e del corrispettivo altare, la cui esistenza era ancora verificabile al tempo della Santa Visita di Monsignor Francia (1698). Al posto dell’originaria iconografia nicolaiana, nella chiesa dell’Immacolata c’è ora una tela con la Presentazione di Maria al Tempio.

In conclusione, l’unico elemento superstite di una vera e propria devozione per il Santo Vescovo di Myra a Manduria èattualmente la cappella collocata nella chiesa dei SS. Apostoli (comunemente detta delle Scuole Pie), sul lato destro dell’unica navata. Si tratta di una notevole testimonianza d’arte, di marca schiettamente barocca, costituita da un insieme organico e ben strutturato di elementi architettonici, plastici e pittorici. Essa documenta la presenza di una devozione di segno aristocratico (di cui non possiamo valutare l’attecchimento nella popolazione, per mancanza di testimonianze): l’iniziativa della costruzione della cappella si deve infatti alla famiglia patrizia degli Arno’-Quattrocchi, che nel 1710 (secondo il Tarentini) o nel 1720 (secondo Don Salvatore Greco) vollero finanziare la realizzazione dell’opera, come documentano, tra l’altro, gli stemmi nobiliari posti nei cantonali della macchina d’altare. La cappella è caratterizzata dalla presenza di un sobrio altare, un commesso marmoreo ad intarsio (verosimilmente opera di artefici napoletani), e da una cona poco aggettante , che occupa l’intera parete della cappella, e che è qualificata dalla tela centrale, un dipinto di ambito pugliese raffigurante la Morte del Santo, risalente, secondo la recente catalogazione effettuata da M. Guastella (2002) alla meta’ del ‘700. Ai lati della tela, due interessanti inserti plastici: due putti alati su mensole, che reggono gli attributi iconografici di San Nicola, denotanti la sua dignità episcopale, cioè la mitra e il pastorale (quest’ultimo perduto).

San Nicola  alle Scuole Pie 001

Due maschere antropomorfe, a mo’ di capitelli, chiudono la cona, valorizzata, come tutto l’insieme, anche dalla presenza dei marmi policromi. Arricchiscono la cappella sul piano decorativo anche quattro telette laterali, rappresentanti Miracoli di San Nicola e attribuiti dubitativamente da M. Guastella alla scuola manduriana dei Bianchi. Si è inoltre salvata anche la tela con la Morte di San Nicola, verosimilmente di ambito pugliese della metà del ‘700, custodita presso il convento di Sant’Antonio e riportata fedelmente nella lettera di don Salvatore Greco.

Ci piace infine ricordare che esiste una ulteriore, piccola testimonianza figurativa della presenza di San Nicola a Manduria, rappresentata dal frammento di affresco bizantino collocato sulla scala che conduce alla Biblioteca Comunale. Esso, che raffigura il Santo Vescovo di Myra insieme a San Giacomo Maggiore, riconoscibili dai rispettivi attributi iconografici, faceva parte di una perduta scena di “Dormitio Virginis”, collocata probabilmente in una cappella medievale dedicata alla Madonna. L’affresco e’ databile al sec. XIV.

 

Il mistero dei segni: divagazioni in margine a una svista

di Giuliano Giunchi

Devo la lettura de “Il mistero dei segni” alla gentilezza di uno degli autori, il Dottor Marcello Gaballo, che mi ha fatto omaggio di una copia. È un libro affascinante, veramente ammirevole sia per i contenuti che per la veste grafica, e anche per l’accuratezza dato che non vi ho trovato neanche un errore di stampa. (Da quando, a 15 anni, ho guadagnato i miei primi soldi correggendo le bozze di un testo del mio professore di chimica, il mio cervello si è scisso in due, per cui mentre una parte segue il contenuto di quello che leggo l’altra va a caccia di refusi. Quindi se dico che non ho trovato refusi, al 99% vuol dire che non ce ne sono). È chiaro che su una base di così uniforme nitore e perfezione un eventuale errore spiccherebbe

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