Di due nipoti di Pietro Marti tra Lecce e Manduria: Bodini e Dimitri

di Ermanno Inguscio

 

La preziosa programmazione di un Convegno su Pietro Marti nell’aprile 2023, sapientemente suggerita dalla Presidenza della Società “Dante Alighieri” di Casarano, sotto la guida del prof. Fabio D’Astore, e dalla sezione leccese della Società di Storia Patria per la Puglia, presieduta dal prof. Mario Spedicato, proietta chi scrive in una dimensione di tipo numerologico, situazione facilmente aborrita, perché non di rado scagliata nel mondo della pura casualità. L’ anno di grazia 2023 si colloca a 170 anni dalla nascita di Pietro Luigi Marti (16 giugno 1863) e al 90° di sua morte in Lecce (18 aprile 1933). Ma più importante appare il centenario della sua nota rivista “Fede”, fondata nel 1923 nel capoluogo salentino, un’autentica perla tra la quarantina di pubblicazioni in volume prodotti dal docente-giornalista, notate anche dal grande Carducci su “Nuova Rassegna”[1].

La parabola dell’esperienza d’insegnante di Pietro Marti ebbe inizio nel 1880, nella sua città natale, Ruffano, all’età di 17 anni, come riferito in un  vecchio mio volume, edito da Congedo nel 1999[2]. Egli, conseguito il “patentino” per l’insegnamento nel biennio e poi “la patente” per il ruolo nel triennio finale della Scuola Elementare, venne nominato maestro “rurale”, dall’Amministrazione guidata da Pasquale Leuzzi[3].

Tutto ebbe avvio felice sia per la frequentazione culturale della famiglia Marti nella magione dei Leuzzi sia per la stima di quest’ultimo nei confronti  del vecchio funzionario della pretura ruffanese, Pietro senior, grande mazziniano della prima ora. L’esperienza si concluse nel luglio del 1883, quando il sindaco pro tempore Santaloja[4] sospese Marti dall’incarico e dallo stipendio “per essersi allontanato dalla residenza pria della chiusura delle scuole”.

La questione ebbe strascichi spiacevoli con comunicazioni perentorie da parte del Santaloja, che sostituiva il sindaco Leuzzi e ricorsi sino in Consiglio di Stato ad opera dell’interessato. In verità Marti si era recato a Lecce con alcuni suoi fratelli, alla ricerca di una abitazione, per poi fondare nel 1884 un rinomato Istituto Educativo, frequentato da giovani di ogni classe sociale.

Un riferimento netto venne dato a tale vicenda da Alfredo Calabrese, il 3 dicembre 1990, nel presentare sulla rivista “Lu Lampiune” la Cronologia della Penisola salentina in un manoscritto di Pietro Marti[5]. Testo che ho personalmente visionato nella biblioteca privata del nipote, nell’abitazione dello studioso Elio Dimitri, in Manduria, nella frequentazione di due anni e mezzo in quella città prima della sua scomparsa.

Lo stesso Calabrese annotò che dopo appena due anni di intensa attività didattica del Ginnasio leccese, i fratelli Marti furono costretti a chiudere l’istituzione, nel 1886, perché “caduta sotto dittatura faziosa e violenta”. Ma indiscussa dovette essere la fede dei numerosi fratelli Marti, tra cui Luigi, Antonio e Raffaele[6], tanto da far dichiarare al nostro insegnante Pietro, ma ormai proiettato verso il giornalismo speso in tutta la Puglia, che  La missione della Scuola dev’essere sacra e superiore a tutte le passioni personali e politiche… E’ triste per ogni Paese quell’ora in cui si tenta di propinare il veleno della disistima tra discepoli e maestri.

Parole scritte a Manduria, nel 1922, su un volantino a stampa, dal titolo “Per la verità…”[7] contro la sezione fascista di quel centro che aveva attaccato Marti sul funzionamento della Scuola Tecnica, da lui fondata e diretta in quella città per chiamata del locale sindaco.

Sempre negli anni Venti, più precisamente nel marzo del 1921, oltre all’esperienza dirigenziale in campo scolastico a Manduria, di cui si dirà più diffusamente altrove, abbiamo nota, in una conferenza pronunciata nell’Università popolare di San Severo, riportata nella raccolta di un volume a stampa dal titolo Il Dovere civile e Giuseppe Mazzini[8], di un incarico per Marti a direttore delle Scuole Tecniche “Zannotti”[9] di quella città. Ma non abbiamo rinvenuto altri riscontri in proposito.

Allo scoppio del Primo Conflitto mondiale, dopo l’eccidio di Sarajevo, Marti era nel pieno della sua maturità fisica e intellettuale. A Bari, intanto, il 6 gennaio 1914, gli era nato un nipotino, Vittorio Bodini, che poi finirà col coabitare col nonno sotto lo stesso tetto in Lecce, e che farà con lui utile apprendistato.

Vittorio era figlio di Anita Marti e del padre Benedetto, commissario di pubblica sicurezza nel capoluogo barese. Ma questi, minato da cagionevole salute, era scomparso dopo appena tre anni, lasciando alla giovane moglie l’ineluttabilità di convolare in seconde nozze. Al bambino Vittorio mancò sempre il rapporto con la madre e con i quattro fratelli nati dal patrigno; egli si sentì sempre “leccese” per famiglia e formazione, anzi “idruntino”, come osservato da Armando Audoli[10].  Bodini visse così con il nonno Pietro, come ricordato da Oreste Macrì, la “prima” delle sue sette vite, quella dell’infanzia e dell’adolescenza futurista[11].

Immenso fu l’affetto tra nonno Pietro e il nipote Vittorio; grandissimi i precetti etico-morali instillati nel tuttavia, ribelle nipote. Dodici anni dopo, l’8 luglio 1926, dall’altra figlia di Marti, Emma, era nato a Manduria un altro nipotino, Elio Dimitri, che ho avuto la fortuna di conoscere, due anni prima della sua morte (3 febbraio 2016)[12]. Vittorio Bodini ed Elio Dimitri, due nipoti del giornalista Marti. Il primo studiato nei corsi di Letteratura del Novecento, mai conosciuto di persona; il secondo, conosciuto e frequentato dopo che avevo appreso della sua esistenza a Manduria per il tramite di internet[13].

Studioso insigne di storia locale, che più d’una volta mi fece omaggio di qualche sua pubblicazione, come quel noto “Saggio” del 1962[14]. Spesso mi ricordava che anche il nonno Pietro, a lui bambino, regalava sempre qualche suo scritto, ogni volta che di domenica frequentava a Manduria l’abitazione della figlia Emma. Egli aveva un ricordo nettissimo del nonno e della sua notorietà in tutta la Puglia e nell’intera Penisola. Grande era l’amore del nonno per l’unicità di Terra d’Otranto, per gli studi storico-letterari, per le Belle Arti e per i siti archeologici sparsi per il territorio salentino. Tanto che Dimitri mi confidava come sarebbe calato nella tomba l’amato nonno nell’abitazione leccese di Porta San Biagio, in via G.A. Ferrari: tornato zuppo da una missione archeologica nel brindisino, a Egnazia, perché sorpreso da una pioggia torrenziale, fu colpito da una bronco-polmonite letale, che non gli lasciò scampo.  Grande fu l’amore di tutti i nipoti nei confronti di Marti. Lo stesso Bodini, ricordando il nonno sul Supplemento de “La Voce del Salento” del 18 maggio 1933, così scriveva:

 La sua vita di questi ultimi tempi avrei voluto ricostruirla amorosamente attraverso i miei ricordi densi e vivi attraverso le pagine care de “La Voce”, la sua “Voce del Salento”, ultimo suo giornale e mio primo, attraverso le sue ultime pubblicazioni, tante delle cui pagine mi dettava, con la facilità di chi legge. Se questi suoi anni costituiscono tanta parte della mia giovinezza ,io non posso, no, farne la cronaca, in poche comme…[15].

 Al nipote Bodini, Marti spesso rimarcava: Giornalista, Vittorio, non è solo l’autore dell’articolo, ma chi, trascendendolo, lo annulla per fondersi in una individualità più ampia: Il Giornale. Il grande Bodini aveva frequentato una grande scuola di scrittura e di impensabile capacità creativa.

Per il professore-giornalista Pietro Marti, sempre conscio del valore etico-sociale della cultura, scuola, istruzione e giornalismo costituivano dei grandi pilastri su cui si regge una società moderna, nella quale ciascuno può giocarsi formidabili opportunità di successo personale e di sicure ricadute positive sull’intera collettività. Due personaggi in definitiva, quei due nipoti di Pietro Marti, Vittorio Bodini ed Elio Dimitri, che hanno lasciato traccia, ciascuno nel proprio ambito, nel panorama culturale italiano e persino europeo.

 

Note

[1] Delle qualità scrittorie del giovane Pietro Marti ebbe a scrivere Giosué Carducci alla uscita della pubblicazione del salentino de Origine e Fortuna della Coltura salentina (Lecce, Tip. Coop., 1893), su  “Nuova Rassegna”, con gli elogi del grande Vate, di Ruggero Bonghi e di De Gubernatis.

[2] E. INGUSCIO, La Civica Amministrazione di Ruffano (1861-1999). Profilo Storico, 1999, Congedo Ed. pp. 174-75.

[3] La famiglia Marti a Ruffano frequentava il cenacolo politico-culturale della potente famiglia Leuzzi, come riferito dallo stesso Marti nelle sue “Memorie” a proposito del “Battesimo Tricolore” del piccolo Pietro. Cfr. di P. MARTI, Memorie biografiche, 1933, quaderno ms, archivio privato Dimitri, Manduria.

[4] La spiacevole vicenda tra Marti e il vicesindaco Santaloja s’innescò proprio in concomitanza dell’assenza temporanea da Ruffano del Leuzzi, in buone relazioni con i Marti. Santaloja scaricò il proprio livore contro Marti e il Leuzzi, al quale egli aveva portato via una donna della famiglia, fatto maldigerito dai “galantuomini” Leuzzi. Cfr. in Appendice– Sindaci a Ruffano dall’Unità d’Italia ai giorni nostri, in E. INGUSCIO, La Civica Amministrazione di Ruffano, cit. p. 211.

[5] A. CALABRESE, Cronologia della Penisola Salentina in un manoscritto di Pietro Marti, in “Lu Lampiune”, Lecce, 3 dicembre 1990.

[6] Sulla frenetica attività culturale dei fratelli Marti si vedano anche di E. INGUSCIO, A Ferrara sulle tracce dei Marti. L’attività culturale nel Polesine di Pietro e Raffaele Marti, in “Il Nostro Giornale”, Supersano, 25 dicembre 2019, a. XLIII , n. 91, pp. 42-43; ed anche in Idem, Di due salentini sul Lago Maggiore a fine Ottocento. Antonio e Luigi Marti, in “Il Nostro Giornale”, Supersano, 5 luglio 2020, a. XLIV, n. 92, pp. 54-55.

[7] P. MARTI, Per la Verità…, Volantino a stampa, archivio privato Dimitri, Manduria, 1922

[8] La fede nel mazzinianesimo era ben radicata in casa Marti, se il padre di Pietro, usciere presso l’allora pretura del mandamento di Ruffano, risultava iscritto a “La Giovine Italia” dai primi tempi della sua creazione. E la radice risorgimentale-ottocentesca del giornalista Marti, farà sempre capolino nei suoi scritti e nelle sue conferenze, tenute in Puglia e in tutta Italia. Nel 1921 Marti, invitato dalla Università popolare di San Severo, aveva parlato de Il Dovere Civile e Giuseppe Mazzini. Il testo della conferenza venne poi pubblicata in quella città, presso la tipografia G. Morrico. Di tanto do nota in “Cronotassi bio-bibliografica di Pietro Marti” (Appendice) nel volume, stampato nel 2013, Pietro Marti (1863-1933. Cultura e Giornalismo in Terra d’Otranto, 2013, Nardò, Tip. Biesse, pag. 243.

[9] V. BODINI, In memoria di Pietro Marti. La vita… e l’opera, in Supplemento al n. 11 de “la Voce del Salento”, Lecce, 18 maggio 1933. E’ lo stesso Bodini, che nel ricordare la molteplice attività del nonno Pietro in tutta la Puglia nel ruolo di apprezzato conferenziere, riferisce di un incontro culturale nel foggiano e accenna all’incarico a preside dello stesso nelle Scuole “Zannotti”. L’istituzione scolastica ancora oggi esistente con tale denominazione, risulta però essere un Istituto Comprensivo Statale.

[10] A. LEOGRANDE, Il canto della vita. Riflessioni su Vittorio Bodini, Dimensione Font, 29 novembre 2017.

[11] Cfr. E. INGUSCIO, Pietro Marti (1863-1933. Cultura e Giornalismo in Terra d’Otranto, 2013, op. cit., pag. 163.

[12] Al sottoscritto è toccato il triste compito di stendere una nota biografica sul grande Dimitri, studioso scomparso nell’inverno del 2016: E. INGUSCIO,  Elio Dimitri, in Archivio Storico Pugliese, Società Storia Patria per la Puglia-Bari, LXIX (2016), pp. 248-349.

[13] La madre dell’ing. Elio DIMITRI, aveva sposato Paolo, impiegato a Manduria nel ruolo del personale scolastico dell’allora Direzione didattica

[14] Conservo con grande amore una copia autografata, la prima tra i tanti omaggi, dI E. DIMITRI, “Saggio di bibliografia Salentina, Quaderni Bibliografici, n. 1, Manduria, Libreria Messapia Editrice, 1962, pp. 70.

[15] V. BODINI, In memoria di Pietro Marti. La vita… e l’opera, in “Supplemento” a “La Voce del Salento”, Lecce, 18 maggio 1933, n. 11, pag. 1

Maestri di scuola a Ruffano fra Ottocento e Novecento

di Paolo Vincenti

 

Come la vicina Taurisano[1], anche Ruffano vanta una serie di maestri elementari fra Ottocento e Novecento, esponenti di quella classe intellettuale che certo faticava a trarre fuori dall’analfabetismo la popolazione, assillata in quel torno di tempo da problematiche più urgenti come la miseria, la mancanza di lavoro e l’alta mortalità per malattia. In questa sede, non ci soffermeremo sul loro ruolo di insegnanti e sulle problematiche connesse all’esercizio della professione,[2] ma piuttosto sulla loro produzione letteraria, nei due secoli presi in esame.

Il primo maestro di cui ci occupiamo è Alfonso Mellusi (1826-1907), biografato da Aldo de Bernart nel bel saggio Un maestro di scuola nella Ruffano ottocentesca –Alfonso Mellusi-[3].  Originario di Ginosa ma proveniente da Alessano, aveva studiato presso il Seminario di Ugento e poi aveva perfezionato la formazione presso il Convento dei Cappuccini di Ruffano. Divenuto sacerdote, fu il primo maestro di scuola a vita (oggi si direbbe insegnante di ruolo) non solo a Ruffano ma nel Salento. “Sacerdote filosofo”, lo definisce de Bernart, “direttore di un corso per la formazione di maestri elementari”,[4] autore nel 1868 di un Catechismo religioso comparato con la storia sacra[5] che de Bernart pubblica in versione integrale nel succitato volume. Si tratta di un’opera sulla didattica dell’insegnamento della religione cattolica, che diede al maestro Mellusi grande prestigio e notorietà, tanto che nel 1900 il Re Umberto I lo nominò Cavaliere della Corona d’Italia.

Ma Ruffano negli stessi anni si dimostrava all’avanguardia anche sotto l’aspetto della parità di genere e dell’emancipazione femminile. Occorre ricordare almeno due nomi di maestre donne a cavallo fra Ottocento e Novecento: Marina Marzo e Angiola Guindani.[6]

Altro maestro di cui ci occupiamo è Carmelo Arnisi (1859-1909).  Oltre ad essere ricordato da Ermanno Inguscionella sua opera La civica amministrazione di Ruffano-Profilo storico[7], è stato al centro di una pubblicazione del 2003, a cura della Pro Loco di Ruffano: Carmelo Arnisi – Un maestro poeta dell’Ottocento, un pregevole volume con tre saggi, di Aldo de Bernart, Ermanno Inguscio e Luigi Scorrano, sulla vita e le opere del poeta ruffanese, fino ad allora quasi sconosciuto, nonostante a lui sia a Ruffano intitolata una strada[8].

Nel libro, pubblicato con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Ruffano, Cosimo Conallo, nell’Introduzione, sottolineava come fosse ormai tempo di riscoprire la figura di questo poeta ruffanese, intorno al quale non era mai stato fatto uno studio organico. Nel primo saggio, L’Arnisi e il suo tempo, Aldo de Bernart fa uno spaccato della società, della politica, dell’arte scultorea, pittorica ed architettonica del tempo in cui visse l’Arnisi, e parla delle sue fonti di ispirazione, delle sue frequentazioni con i maggiori protagonisti della cultura salentina dell’epoca, fra i quali il grande Cosimo De Giorgi, con cui egli era in corrispondenza, ed anche con gli esponenti della nobiltà locale, come le famiglie ruffanesi Castriota-Scanderbeg, Pizzolante -Leuzzi, Villani- Licci. <<Ispirandosi alla poesia di Luigi Marti […] che aveva cantato la “Verde Apulia”, l’Arnisi cantò la “Verde Ruffano”, in particolare S.Maria della Serra dove soleva recarsi, pellegrino di fede e d’amore…>>.[9] Il secondo saggio, Carmelo Arnisi (1859-1909) L’uomo il poeta, a cura di Ermanno Inguscio, ripercorre le tappe fondamentali della vita del poeta, la cui salute fu minata fin dalla giovane età da una persistente forma di tosse convulsa; l’infanzia serena trascorsa a Ruffano, presso la casa di Vigna La Corte prima e Casa Quarta, in Via Pisanelli, dopo, il suo lavoro di maestro elementare, l’amore per la cultura, la collaborazione con alcuni giornali dell’epoca, come “Il Corriere meridionale”, diretto da Nicola Bernardini, e la “Cronaca letteraria”, diretta da Giuseppe Petraglione; gli inverni a Ruffano e le estati trascorse a Leuca, ospite nelle ville delle famiglie Daniele, Castriota, Fuortes. Sempre ben disposto nei confronti degli amici, fra i quali il segretario comunale Donato Marti, era invece tagliente e fortemente sarcastico nei confronti degli usurai, che egli definì “vampiri sociali”, degli operatori di banca, “illustri parassiti”, e degli ipocriti. Morì, nel luglio del 1909, spossato da una forma grave di polmonite, a soli 49 anni. Alla sua morte, il giornalista e scrittore Pietro Marti traccia un elogio funebre sul giornale “La Democrazia”.[10] Nel terzo saggio, Sui versi di Carmelo Arnisi, Luigi Scorrano fa una attenta analisi dell’opera “Versi”, unica inedita dell’Arnisi, e dei manoscritti lasciati dal poeta e non pubblicati. Viene fuori il ritratto di un autore che si può ascrivere al filone della poesia sentimentale dell’Ottocento, influenzato da Leopardi, D’Annunzio, Pascoli, Carducci, dei quali trascrive molte poesie. La produzione dell’Arnisi è caratterizzata da toni intimistici, i temi sono gioie familiari, amore deluso, spesso tristezza e ripiegamento su se stesso; è costante, nelle sue liriche, la presenza della morte. Nell’opera non data alle stampe, che il curatore chiama “Versi 2”, per distinguerla da quella a stampa, indicata come “Versi 1”, compaiono altri motivi e fonti di ispirazione, come la natura, l’amor di patria, l’attenzione al sociale, gli scherzi nei confronti degli amici, la filiale devozione per la terra natale, Ruffano. Anche se non vi è una vera e propria connotazione locale nell’opera dell’Arnisi, che voleva evitare la dimensione municipalistica di una caratterizzazione estremamente tipicizzata, emerge comunque la salentinità del poeta e il suo attaccamento al borgo natìo. È stato il maestro Vincenzo Vetruccio il primo a riscoprire Carmelo Arnisi dal momento che, come giustamente rivendica in una sua pubblicazione autoprodotta[11], fu lui che ritrovò il manoscritto dell’Arnisi, Versi, inedito, lo fotocopiò e ne donò una copia al prof. Cosimo Conallo, all’epoca Presidente della Pro Loco, il quale si fece poi promotore della pubblicazione, affidandone l’incarico agli studiosi de Bernart, Inguscio e Scorrano. Nel quadernetto, Vetruccio riporta molte interessanti notizie biografiche e foto sull’Arnisi e sulla Ruffano del tempo in cui visse l’insegnante.

Ed eccoci a Pietro Marti (1863- 1933), il nome più altisonante fra gli intellettuali a cui Ruffano abbia dato i natali.[12]

Dalle svariate fonti in nostro possesso sappiamo che Pietro Marti nasce in una poverissima famiglia ruffanese, ma riesce tuttavia a studiare, tra mille sacrifici, ed a diplomarsi maestro elementare, attività che svolge a Ruffano, nei primi anni. Marti non aveva un carattere facile. Ben presto, i suoi rapporti con l’amministrazione comunale di Ruffano si fecero tesi ed egli, dopo ricorsi e sentenze del Consiglio di Stato, fu mandato ad insegnare a Comacchio. In realtà i motivi del suo esonero furono le arbitrarie assenze dal posto di lavoro. Oltre alle lettere, la sua grande passione è l’arte e l’amore per la sua terra, che lo studioso manifesta in vari modi, nella sua sfaccettata e multiforme attività. Spirito libero, brillante e poliedrico, si dà al giornalismo, fondando e dirigendo molte testate, fra le quali “La Voce del Salento”, “Arte e Storia”, “La Democrazia”, ecc. Il nome di Marti è anche legato alla nascita ed alla diffusione del Futurismo pugliese.  Nel febbraio del 1909, infatti, veniva pubblicato sul prestigioso giornale francese “Le Figarò” il Manifesto del Futurismo, la corrente letteraria fondata da Filippo Tommaso Marinetti. Sulla “Democrazia”, settimanale fondato e diretto da Pietro Marti, il 13 marzo 1909, vale a dire a meno di un mese di distanza dall’apparizione del manifesto Le futurisme sul “Figaro”, veniva pubblicato il “Manifesto politico dei Futuristi”. Ancora, dopo un periodo di parziale oblio del futurismo leccese, nel 1930, a smuovere le acque fu “La Voce del Salento”, nuovo settimanale fondato e diretto da Marti, con un articolo, a firma di Modoni, fortemente critico nei confronti dell’arte futurista. Questo articolo innescò l’effetto contrario rispetto a quello desiderato dal suo autore; vi fu infatti una levata di scudi, da parte degli esponenti del futurismo, in difesa del movimento. Lo stesso Marti, con lo pseudonimo di Ellenio, pur chiamandosi fuori dalla rissa che si era scatenata, esprimeva forti perplessità sulla concezione futurista dell’arte. E tuttavia, da intellettuale aperto e illuminato, pur non in sintonia con le idee dei giovani futuristi, accettava di pubblicare qualsiasi intervento. Si ritrovò così a dare spazio ad un gruppo di giovani artisti leccesi, che si chiamerà “Futurblocco”, capeggiato dall’allora poco più che adolescente Vittorio Bodini, nipote dello stesso Marti, il quale ricorderà sempre il nonno in pagine di grande affetto. Molti i meriti di Marti nell’arte. Da vero talent scout, fece conoscere al grande pubblico i giovani artisti salentini, con l’allestimento di Biennali d’arte a Lecce. Fu Regio Ispettore ai Monumenti della Provincia di Lecce, dal 1923 al 1929, e Direttore della Biblioteca provinciale “Nicola Bernardini” fino alla morte. Oltre ad una biografia di Antonio Bortone, in cui Marti dimostra la propria ammirazione per lo scultore ruffanese,[13] scrisse diverse opere di carattere storico, artistico e letterario. Fra queste, una la dedica proprio al filosofo taurisanese Giulio Cesare Vanini. Al martire di Tolosa, Marti si sentiva molto vicino per indole e temperamento e ne sposava idealmente la causa. Il libro è Giulio Cesare Vanini del 1907.[14] Marti, nel suo elogio del filosofo, definito il “precursore del trasformismo scientifico”, seguendo le parole di Bodini[15], passa in rassegna tutti gli studiosi che avevano severamente contestato il Vanini e quelli che invece lo avevano difeso. Si sofferma lungamente sulle vicende biografiche di Vanini, sulle numerose tappe del suo lungo peregrinare e soprattutto sulle sue opere, approfondendo il pensiero del filosofo, che inquadra nel contesto storico in cui visse e operò. Porta illustri esempi di filosofi del Cinquecento, Seicento, Settecento, per esaltare l’eroismo di Vanini, e tuttavia non si sottrae a quella visione che erroneamente lo considerava un martire della repressione cristiana se non un Giordano Bruno minore. Da citare anche l’opera Nelle terre di Antonio Galateo, [16]che faceva riferimento al grande autore del De situ Iapigiae, l’erudito del Cinquecento Antonio De Ferraris, di Galatone.

In tutto, si conservano circa 40 opere di Marti presso la Biblioteca provinciale di Lecce, che gli costarono molti anni di paziente ricerca, agevolata sicuramente dal suo incarico di Direttore della Biblioteca provinciale, nella quale egli profuse grandissimo impegno e amore per la nobile cultura di cui si sentiva paladino. Per questo, esaminò un numero impressionante di documenti e svolse ricerche sul campo per tutto il corso della sua carriera. Pietro Marti muore il 18 luglio 1933; a lui a Ruffano, è anche intitolata una via.   

 

Note

[1] Si rinvia a Francesco De Paola, Stefano Ciurlia, L’istruzione elementare nella Taurisano del Novecento: esperienza, memoria, immagini, in Aa. Vv., Humanitas et Civitas. Studi in memoria di Luigi Crudo, a cura di Giuseppe Caramuscio e Francesco De Paola, Società di Storia Patria-Sezione di Lecce, “Quaderni de l’Idomeneo”, Galatina, Edipan, 2010, pp.123-184.

[2] Si veda Aldo de Bernart, Il maestro di scuola nel Salento Borbonico, Tipografia di Matino, 1965.

[3] Aldo de Bernart, Un maestro di scuola nella Ruffano ottocentesca –Alfonso Mellusi, Galatina, Congedo, 1990.

[4] Aldo de Bernart, Carmelo Arnisi e il suo tempo, in Aldo de Bernart, Ermanno Inguscio e Luigi Scorrano, Carmelo Arnisi Un maestro poeta dell’Ottocento, Galatina, Congedo, 2003, p17.

[5] Alfonso Mellusi, Catechismo religioso comparato con la storia sacra, Lecce, Tip. Gaetano Campanella, 1868.

[6] Aldo de Bernart, Un maestro di scuola nella Ruffano ottocentesca –Alfonso Mellusi cit., p.10.

[7] Ermanno Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano-Profilo storico, Galatina, Congedo,1999, pp.176-179 ed anche Idem, Amici e mecenati in alcune liriche del poeta Carmelo Arnisi (1859-1909), in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria sezione Maglie, n. XII, Lecce, Argo, 2000, pp.193-203.

[8] Aldo de Bernart, Ermanno Inguscio e Luigi Scorrano, Carmelo Arnisi – Un maestro poeta dell’Ottocento, Galatina, Congedo, 2003.

[9] Aldo de Bernart, Carmelo Arnisi e il suo tempo, in op.cit., p.19.

[10] Pietro Marti, Lutto nell’arte, in “La Democrazia”, n.27, Lecce, 11 luglio 1909, riportato da Ermanno Inguscio nel suo saggio Carmelo Arnisi (1859-1909) L’uomo il poeta, in Carmelo Arnisi – Un maestro poeta dell’Ottocento cit., p.38, nel quale riporta anche il necrologio dell’Arnisi scritto sul “Corriere Meridionale” dell’8 luglio 1909: Ivi, p.29.

[11] Vincenzo Vetruccio, Carmelo Arnisi (Maestro-poeta/ 1859-1909), s.d..

[12] Sulla figura dell’erudito Pietro Marti (1863-1933), storico, giornalista, conferenziere, illustre concittadino di Ruffano, esiste una cospicua bibliografia. Tra gli altri:

Carlo Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, Vallecchi, 1904, p.578 (nuova edizione Napoli, Morano, 1920, pp-137-138);  Domenico Giusto, Dizionario bio-bibliografico degli scrittori pugliesi (dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione fascista), Bari, Società Editrice Tipografica, 1929, pp.187-188;  Aldo de Bernart, Nel I centenario della nascita di Pietro Marti, in “La Zagaglia”, Lecce, n. 21, 1964, pp.63-64;  Pasquale Sorrenti, Repertorio bibliografico degli scrittori pugliesi contemporanei, Bari, Savarese, 1976, pp.375-376; Ermanno Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano (1861-1999). Profilo storico, Galatina, Congedo, 1999, pp.174-175; Paolo Vincenti, Pietro Marti da Ruffano, in “NuovAlba”, dicembre 2005, Parabita, 2005, pp-17-18; Aldo de Bernart, In margine alla figura di Pietro Marti,  in “NuovAlba”, aprile 2006, Parabita, 2006, p.15;  Ermanno Inguscio, Vanini nel pensiero di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XX, Lecce, Argo, 2009, pp.137-148;Idem, Pietro Marti direttore di giornali, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a. VII, n. 39, 2010, p. 6; Idem, L’attività giornalistica di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XXI, Lecce, Argo, 2010-2011, pp.227-234; Idem, Il giornalista Pietro Marti, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a.VIII, n.40, 2011, p.7; Idem, Liborio Romano e le ragioni del Sud nel periodo postunitario. Il contributo di Pietro Marti sul patriota salentino, in “Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici”, n.43-44, dicembre 2011, Bari, Levante, 2011, pp.147-161; Idem, Pietro Marti e la cultura salentina. Apologia di Liborio Romano, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XXII, Lecce, Grifo,2012, pp.164-185; Aldo de Bernart, Cenni sulla figura di Pietro Marti da Ruffano, Memorabilia n.35, Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis,2012; Ermanno Inguscio, Pietro Marti, il giornalista, il conferenziere, il polemista, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia sezione di Maglie, n. XXIII, Lecce, Argo, 2013, pp.40-58; Idem, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013.

[13] Pietro Marti, Antonio Bortone e la sua opera, Lecce, 1931.

[14] Pietro Marti, Giulio Cesare Vanini, Lecce, Editrice Leccese, 1907; su quest’opera si sofferma Ermanno Inguscio in Vanini nel pensiero di Pietro Marti, contenuto nel suo libro Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013, pp.123-134.

[15] Vittorio Bodini, In memoria di Pietro Marti. La vita e l’opera, in “La Voce del Salento”, n,11, Lecce, 18 maggio 1933, p.1.

[16] Pietro Marti, Nelle terre di Antonio Galateo, Lecce, 1930.

Un letterato salentino da riscoprire. Raffaele Marti

di Paolo Vincenti

Fratello del più noto Pietro Marti, fu scienziato e letterato di non poco momento. Raffaele Marti nacque a Ruffano nel 1859 da Elena Manno e Pietro. Suoi fratelli accertati: Luigi Antonio, nato nel 1855, Francesco Antonio, nato nel 1856, Maria Domenica Addolorata, nel 1858, Pietro Efrem (che morì dopo 3 mesi) nel 1861, Pietro Luigi, nel 1863[1]. Tuttavia, sappiamo da alcuni fogli autobiografici di Pietro Marti, ritrovati in una biblioteca privata, che erano quindici i fratelli, di cui Pietro, l’ultimo[2]. Fra questi, anche Giuseppe, al quale il poeta Luigi Marti dedica la sua opera, Un eco dal Villaggio (Alla memoria di mio fratello Giuseppe morto giovanissimo vissuto a bastanza per conoscere e patire”), ma su di lui, fino ad ora, alcun riscontro.

La notorietà di Raffaele, probabilmente, fu offuscata da quella di Pietro Marti.[3] Nella prima parte della sua vita, il suo percorso si intreccia strettamente con quello del più illustre fratello, per formazione e per le prime esperienze lavorative. Ma è giunto il momento che anche Raffaele raccolga la messe che i suoi indiscutibili meriti hanno prodotto.

Come i fratelli Pietro e Luigi, anch’egli frequentò il corso primario inferiore e quello superiore, a costo di grandi sacrifici per la madre, per altro vedova. Come i fratelli, fu maestro elementare a Ruffano, e poi a Lecce, dove fondò, insieme a loro, nel 1884, un istituto secondario di istruzione privato, che era uno dei due ginnasi privati leccesi insieme a quello del Padre Argento.[4] Come Pietro, si trasferì a Comacchio, dove insegnò per alcuni anni.

Raffaele, insigne scienziato, doveva godere della stima della comunità scientifica dell’epoca se il grande Cosimo De Giorgi scrive anche una Presentazione della sua opera Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio, definendolo “un benemerito della scienza e della nostra provincia”.[5]Il prof Marti, il matematico insigne, che per tanti anni ha illustrato la scuola, s’appalesa oggi uno scienziato di alto valore”, scrive di lui Don Pasquale Micelli, recensendo l’opera Le coste del Salento su “L’Ordine” (Lecce, 9 maggio 1924), e continua “Il recente lavoro è un insieme armonico di tutto ciò che forma una solida cultura moderna; la Geologia, la Fisica, la Litologia, l’Idrografia, la Flora, la Fauna, la Mineralogia, la Storia, la Preistoria, la Politica, la Letteratura, l’Arte, l’Agraria, la Pesca, ecc. sono trattate con pennellate da maestro”[6].

Nel 1894, pubblica L’acqua conferenza letta nella sala del consiglio comunale di Norcia e Operazioni del calcolo e loro analogia.[7]  Nel 1896, pubblica Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio (loro produzione alimentare),[8]con Presentazione di Cosimo De Giorgi, in cui si occupa della fauna marina nei due golfi tarantino e napoletano e nelle valli di Comacchio: uno studio approfondito sulle specie ittiche che vivono nei tre mari Ionio Adriatico e Tirreno. Inoltre pubblica Elementi di Algebra.[9] Nel 1907, pubblica Dalla P. della Campanella al C. Licosa [10]e, nello stesso anno, Foglie sparse[11]. Nel 1913, dà alle stampe Gli acari o piaghe sociali. Dramma in quattro atti e cinque quadri.[12]Quest’opera viene premiata dalla Reale Accademia Filodrammatica di Palermo nel 1910 e dal Teatro Italiano di Roma il 31 luglio 1911, come opera edificante e di elevata valenza sociale[13].

Lunga fu la collaborazione di Raffaele come pubblicista nelle riviste fondate o dirette dal fratello, l’infaticabile promoter Pietro Marti. Pietro, infatti, diresse, fra gli altri, i periodici “L’Indipendente”, nel 1891, “Il Salotto” di Taranto, nel 1896, “L’avvenire”, di Taranto, nel 1897, e sempre nella città ionica collaborò a “Il lavoro” e “La palestra”; inoltre a Lecce fondò e diresse “La democrazia”, dal 1893 al 1896, poi divenuto “Il corriere salentino”, dal 1902 al 1920, “Fede”, dal 1923 al 1926, “La voce del Salento”, dal 1926 al 1933, per citare solo i più importanti. In particolare, su “La voce del Salento”, Raffaele collaborò con articoli di carattere storico e archeologico e recensioni di libri.[14]

Se con Pietro condivideva l’amore per il patrimonio artistico della nostra terra d’Otranto e la necessità di una sua strenua difesa (Pietro fu anche Regio Ispettore ai Monumenti della Provincia di Lecce, dal 1923 al 1929, nonché Direttore della Biblioteca Provinciale “Bernardini”), quindi un interesse di carattere più erudito, con l’altro fratello, Luigi, (1855-1911), condivideva l’amore per la poesia e le belle lettere.[15]  Ma, come detto, gli interessi culturali in casa Marti coinvolgevano tutti i fratelli maschi. Infatti, anche Antonio (1856- 1926) fu un letterato.[16]

Raffaele scrive anche diverse commedie, a conferma della poliedricità e della varietà dei suoi interessi, come: Un’ora prima di scuola. Commedia in un atto; Patriottismo. Commedia in un atto; Il ciabattino di Sorrento. Dramma in tre atti; Gli orfani del vecchio impiegato. Queste composizioni, a quel che ci risulta, restano manoscritte e non trovano sbocco editoriale. Non sappiamo neppure se esse siano state rappresentate in teatro ma è certo che vengono fatte circolare in versione manoscritta, se ricevono alcuni premi e menzioni d’onore, come si rende noto nell’opera Le coste del Salento, che riserva una pagina alle “Opere di stampa del Prof. Raffaele Marti”, ossia una sintetica sua bibliografia degli scritti. Ed è appunto del 1924 Le coste del Salento Viaggio illustrativo, per i tipi della Tipografia Conte di Lecce:[17] un excursus storico- letterario fra le coste della penisola salentina, condito anche dalle tante leggende che avvolgono queste contrade. Nella sua nota iniziale, Marti si rivolge “Ai giovani”, invitandoli a trarre profitto da questo suo lavoro di “Geografia fisica, della Fisica terrestre, della Mineralogia, della Geologia, della Paleontologia, della Fauna, dell’Ittiofauna e della Malacologia, della Flora terrestre e marina”. Un programma certo ambizioso, forse troppo, che si propone anche di parlare delle torri, dei castelli, dei villaggi e della varia architettura salentina sparsa fra i due mari Ionio e Adriatico. Occorre però rapportare questo pur vasto programma alle conoscenze del tempo, che erano certo più scarse, per cui certe ricerche apparivano quasi pionieristiche, ed inoltre occorre tener conto dell’intraprendenza con cui taluni eruditi dagli interessi universali quale Marti si aprivano alla conoscenza.  Il libro dimostra di essere molto apprezzato dalla critica. Se ne occupano tutti i giornali locali, da “La Provincia di Lecce” a “Il Nuovo Salento”, da “La Gazzetta di Puglia” a “La Freccia”, periodico di Palermo. “In una sintesi mirabile”, scrive Pasquale Micelli  su “L’Ordine” (Lecce, 9 maggio 1924), “egli ha saputo raccogliere, in poco più di 100 pagine, quanto riguarda la penisola salentina, nella varietà delle coste bagnate dall’Adriatico e dallo Ionio, l’origine, la storia e l’antico splendore delle città sparse su di esse o nell’immediato hinterland, i costumi dei popoli, che la abitano, lo sviluppo intellettuale e commerciale, la natura e la fertilità del terreno […] In tutto il libro si trova mirabilmente concentrato quanto moltissimi scrittori hanno diluito in vari poderosi volumi”[18].“Il libro ci fa tornare alla memoria i magnifici prodotti della letteratura storica e scientifica francese, che tende a popolarizzare l’arte ed il pensiero”, scrive un articolista (probabilmente Pietro Marti) su “Fede” (Lecce, 20 giugno 1924)[19].“Mai mi era capitato di leggere un libro in cui fossero fermate tutte le espressioni del Salento”, sostiene Pietro Camassa sul periodico brindisino “Indipendente” (ottobre 1924), “Vi si parla di mitologia, di preistoria, di letteratura, d’arte, di storia militare, civile, politica, di pesca, di caccia, di industria…”[20].  Gli scrive anche il famoso archeologo Luigi Viola, in una lettera che Marti inserisce nel libro L’estremo Salento, insieme ai giudizi critici di cui stiamo riferendo.[21] Nel 1925 è la volta di Lecce e i suoi dintorni.[22] Anche questo libro è accolto molto bene dalla critica di settore. Ne scrive “L’Indipendente” di Brindisi (11 luglio 1925) come di un libro molto riuscito e interessante, giudizio condiviso da Nicola Bernardini su “La Provincia di Lecce” del 24 maggio 1925[23]. E sul “Corriere Meridionale” (Lecce, 20 agosto 1925), afferma Francesco D’Elia: “il presente volume del Prof. Marti ha un carattere popolare, in quanto le principali notizie storiche dei luoghi, esposte in forma spicciola, sono fuse insieme con numerose indicazioni delle varie forme di attività cittadina, culturale, artistica, industriale, che crediamo utilissime perché ci dimostrano il progresso raggiunto nella civiltà dei nostri luoghi, e quel migliore avvenire che attendono di raggiungere”[24]. Anche in questo libro Marti dà cenni di Geografia, idrografia, si occupa di storia e di arte dei principali centri dell’hinterland leccese, come Surbo, San Cataldo, Acaia, Strudà, Pisignano, San Cesario, Monteroni, Novoli, Campi, Trepuzzi, oltre naturalmente al capoluogo di provincia.

Nel 1931 esce L’estremo Salento,[25]  con Prefazione di Amilcare Foscarini, il quale afferma che “se i precedenti libri di questo benemerito ed instancabile autore sono riusciti dilettevoli e istruttivi per la generalità dei lettori, quest’ultimo li supera per un maggiore interesse, poiché tratta di una contrada incantevole, lussureggiante, ricca di memorie, di terreni fertilissimi e di prodotti commerciali, cinta da ridenti marine, da stazioni balneari e termo-minerali di eccezionale importanza, poco apprezzata perché poco conosciuta”[26]. Come recita il titolo, l’opera si occupa dell’estrema propaggine del Salento, il Capo di Leuca, ovvero il Promontorio Iapigio, che divide l’Adriatico dallo Ionio. Parte dalla preistoria, citando le fonti greche e latine e passando in rassegna tutte le più svariate e oggi abusate ipotesi sulle origini del nostro popolo.

Si occupa della storia antica del Salento, della storia medievale e moderna, delle famiglie gentilizie e dei grandi personaggi del passato, secondo uno schema paludato che se oggi è superato, ai tempi di Marti era ancora in auge e anzi era l’unico metodo storiografico in uso. Si può dunque apprezzare lo sforzo profuso dal Nostro, in questa notevole attività pubblicistica e nel suo impegno nella scoperta e parimenti nella valorizzazione dell’enorme portato culturale di cui è depositaria la terra salentina.

Pur essendo uno scienziato, di robusta formazione positivista, Marti fu amato dalla Musa e seppe coltivare generi letterari così diversi con immutata partecipazione.  Ulteriori approfondimenti potranno rendere più nitida una figura così interessante.

Raffaele Marti morì a Lecce il 5.2.1945, all’età di 86 anni.

 

Note

[1] Devo queste e le successive notizie anagrafiche all’amico studioso Vincenzo Vetruccio, il quale ha condensato le sue ricerche sulla famiglia Marti in un “Discorso Su Pietro Marti pronunciato il 19 febbraio 2015 presso la scuola primaria Saverio Lillo” Inedito.

[2] Si tratta di opera inedita, lasciata incompleta e segnalata da Alfredo Calabrese, Le memorie di Pietro Marti, in “Lu lampiune” n.1 Lecce, Grifo, 1992, pp.27-34.

[3] Sulla figura dell’erudito Pietro Marti (1863-1933), storico, giornalista, conferenziere, illustre concittadino di Ruffano, esiste una cospicua bibliografia. Tra gli altri:

Carlo Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, Vallecchi, 1904, p.578 (nuova edizione Napoli, Morano, 1920, pp-137-138);  Domenico Giusto, Dizionario bio-bibliografico degli scrittori pugliesi (dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione fascista), Bari, Società Editrice Tipografica, 1929, pp.187-188;  Aldo de Bernart, Nel I centenario della nascita di Pietro Marti, in “La Zagaglia”, Lecce, n. 21, 1964, pp.63-64;  Pasquale Sorrenti, Repertorio bibliografico degli scrittori pugliesi contemporanei, Bari, Savarese, 1976, pp.375-376; Ermanno Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano (1861-1999). Profilo storico,  Galatina, Congedo Ed., 1999, pp.174-175; Paolo Vincenti, Pietro Marti da Ruffano, in “NuovAlba”, dicembre 2005, Parabita, 2005, pp-17-18; Aldo de Bernart, In margine alla figura di Pietro Marti,  in “NuovAlba”, aprile 2006, Parabita, 2006, p.15;  Ermanno Inguscio, Vanini nel pensiero di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie,  n. XX, Lecce, Argo, 2009, pp.137-148;Idem, Pietro Marti direttore di giornali, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a. VII, n. 39, 2010, p. 6; Idem, L’attività giornalistica di Pietro Marti,  in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie,  n. XXI, Lecce, Argo, 2010-2011, pp.227-234;Idem, Il giornalista Pietro Marti, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”,Tricase, Iride Edizioni, a.VIII, n.40, 2011, p.7;Idem, Liborio Romano e le ragioni del Sud nel periodo postunitario. Il contributo di Pietro Marti sul patriota salentino, in “Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici”, n.43-44, dicembre 2011, Bari, Levante Ed., pp.147-161; Idem, Pietro Marti e la cultura salentina. Apologia di Liborio Romano, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XXII, Lecce, Grifo,2012, pp.164-185;Aldo de Bernart, Cenni sulla figura di Pietro Marti da Ruffano, Memorabilia 35, Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis,2012; Ermanno Inguscio, Pietro Marti, il giornalista, il conferenziere, il polemista, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XXIII, Lecce, Argo, 2013, pp.40-58; Idem, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013.

 

[4] Ermanno Inguscio, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013, p.34.

[5] “…imitate questo vostro compagno di studio, che ha scritto il suo libro raccogliendone gli elementi dalla natura vivente e reale […] Fate, fate, fate voi come ha fatto lui, e vi renderete benemeriti, non solo alla scienza, col contributo che darete, ma anche alla nostra provincia” (Cosimo De Giorgi, Prefazione, in Raffaele Marti, Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio (loro produzione alimentare), Lecce, Tip. Lazzaretti, 1896, p.6.)

[6] Giudizi sopra alcune opere del Marti, in Raffaele Marti, L’estremo Salento, Lecce, Stabil. Tipografico F.Scorrano e co., 1931, pp.8-9.

[7] Raffaele Marti, L’acqua conferenza letta nella sala del consiglio comunale di Norcia e Operazioni del calcolo e loro analogia , Lecce,  Tip. Cooperativa, 1894.

[8] Idem, Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio (loro produzione alimentare), Lecce, Tip. Lazzaretti, 1896.

[9] Idem, Elementi di Algebra, Taranto, Tip. Latronico, 1896.

[10] Idem, Dalla P. della Campanella al C. Licosa, Taranto, Tip. Spagnolo, 1907.

[11] Idem, Foglie sparse, Taranto,  Tip. Spagnolo, 1907.

[12] Idem, Gli acari o piaghe sociali. Dramma in quattro atti e cinque quadri, Lecce, Tip. Conte, 1913.

[13] Ermanno Inguscio, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013, p.195.

[14] , Ermanno Inguscio, Letteratura arte e storia nel periodico “La voce del Salento”, in Idem, Pietro Marti (1863-1933), op.cit.., pp.149-160.

[15] Luigi, sposato a Pallanza, in provincia di Novara, anch’egli firma de “La voce del Salento”, fu apprezzatissimo poeta e scrittore.  Fra le sue opere, per citare solo qualche titolo: Un eco dal villaggio, Lecce, Stab. Tip. Scipione Ammirato, 1880; Manfredi nella Storia e nella Commedia dell’Alighieri, Lecce, Tipografia Salentina, 1887; Liriche, Lecce, Tipografia Garibaldi, 1889; La verde Apulia, Lecce, Tipografia Salentina, 1889; Napoleone e la Francia nella mente di Foscolo, Pallanza, Tipografia Verzellini, 1891; Un secolo di patriottismo, Pallanza, Tipografia Verzellini, 1891; Il Salento, Taranto, Editore Mazzolino, 1896; Dalle valli alle vette, Milano, La Poligrafica, 1898; ecc. Luigi morì improvvisamente a Salerno nel 1911, all’età di 56 anni.

[16] Fra le opere di Antonio Marti, basti citare: il volume di poesie Povere foglie, Lecce Tip. Editrice Sociale- Carlino, Marti e Cibaria, 1891, e Scritti vari – Novelle e Viaggi, Intra, Tipografia Bertolotti Paolo e Francesco,1893

[17] Raffaele Marti, Le coste del Salento Viaggio illustrativo, Lecce, Tip. Vincenzo Conte, 1924.

[18] Giudizi sopra alcune opere del Marti, in Raffaele Marti, L’estremo Salento, Lecce, Stabil. Tipografico F.Scorrano e co., 1931, p.8.

[19] Ivi, p.10.

[20] Ivi, p.12.

[21] Ivi, p.11.

[22] Idem, Lecce e suoi dintorni. Borgo Piave, S. Cataldo, Acaia, Merine, S. Donato, S. Cesario ecc., Lecce Tip. Gius. Guido, 1925.

[23] Giudizi sopra alcune opere del Marti, in op.cit., p.14.

[24] Ivi, p.13.

[25] Idem, L’estremo Salento, Lecce, Stabil. Tipografico F.Scorrano e co., 1931.

[26] Amilcare Foscarini, Prefazione, in op.cit., p.3.

Raffaele Marti (1859-1945), un letterato salentino da riscoprire

UN LETTERATO SALENTINO DA RISCOPRIRE: RAFFAELE MARTI. PRIMO CONTRIBUTO BIO-BIBLIOGRAFICO

di Paolo Vincenti

Fratello del più noto Pietro Marti, fu scienziato e letterato di non poco momento. Raffaele Marti nacque a Ruffano nel 1859 da Elena Manno e Pietro. Suoi fratelli accertati: Luigi Antonio, nato nel 1855, Francesco Antonio, nato nel 1856, Maria Domenica Addolorata, nel 1858, Pietro Efrem (che morì dopo 3 mesi) nel 1861, Pietro Luigi, nel 1863[1]. Tuttavia, sappiamo da alcuni fogli autobiografici di Pietro Marti, ritrovati in una biblioteca privata, che erano quindici i fratelli, di cui Pietro, l’ultimo[2]. Fra questi, anche Giuseppe, al quale il poeta Luigi Marti dedica la sua opera, Un eco dal Villaggio (Alla memoria di mio fratello Giuseppe morto giovanissimo vissuto a bastanza per conoscere e patire”), ma su di lui, fino ad ora, alcun riscontro.

La notorietà di Raffaele, probabilmente, fu offuscata da quella di Pietro Marti.[3] Nella prima parte della sua vita, il suo percorso si intreccia strettamente con quello del più illustre fratello, per formazione e per le prime esperienze lavorative. Ma è giunto il momento che anche Raffaele raccolga la messe che i suoi indiscutibili meriti hanno prodotto.

Come i fratelli Pietro e Luigi, anch’egli frequentò il corso primario inferiore e quello superiore, a costo di grandi sacrifici per la madre, per altro vedova. Come i fratelli, fu maestro elementare a Ruffano, e poi a Lecce, dove fondò, insieme a loro, nel 1884, un istituto secondario di istruzione privato, che era uno dei due ginnasi privati leccesi insieme a quello del Padre Argento.[4] Come Pietro, si trasferì a Comacchio, dove insegnò per alcuni anni.

Raffaele, insigne scienziato, doveva godere della stima della comunità scientifica dell’epoca se il grande Cosimo De Giorgi scrive anche una Presentazione della sua opera Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio, definendolo “un benemerito della scienza e della nostra provincia”.[5]Il prof Marti, il matematico insigne, che per tanti anni ha illustrato la scuola, s’appalesa oggi uno scienziato di alto valore”, scrive di lui Don Pasquale Micelli, recensendo l’opera Le coste del Salento su “L’Ordine” (Lecce, 9 maggio 1924), e continua “Il recente lavoro è un insieme armonico di tutto ciò che forma una solida cultura moderna; la Geologia, la Fisica, la Litologia, l’Idrografia, la Flora, la Fauna, la Mineralogia, la Storia, la Preistoria, la Politica, la Letteratura, l’Arte, l’Agraria, la Pesca, ecc. sono trattate con pennellate da maestro”[6].

Nel 1894, pubblica L’acqua conferenza letta nella sala del consiglio comunale di Norcia e Operazioni del calcolo e loro analogia.[7]  Nel 1896, pubblica Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio (loro produzione alimentare),[8]con Presentazione di Cosimo De Giorgi, in cui si occupa della fauna marina nei due golfi tarantino e napoletano e nelle valli di Comacchio: uno studio approfondito sulle specie ittiche che vivono nei tre mari Ionio Adriatico e Tirreno. Inoltre pubblica Elementi di Algebra.[9] Nel 1907, pubblica Dalla P. della Campanella al C. Licosa [10]e, nello stesso anno, Foglie sparse[11]. Nel 1913, dà alle stampe Gli acari o piaghe sociali. Dramma in quattro atti e cinque quadri.[12]Quest’opera viene premiata dalla Reale Accademia Filodrammatica di Palermo nel 1910 e dal Teatro Italiano di Roma il 31 luglio 1911, come opera edificante e di elevata valenza sociale[13].

Lunga fu la collaborazione di Raffaele come pubblicista nelle riviste fondate o dirette dal fratello, l’infaticabile promoter Pietro Marti. Pietro, infatti, diresse, fra gli altri, i periodici “L’Indipendente”, nel 1891, “Il Salotto” di Taranto, nel 1896, “L’avvenire”, di Taranto, nel 1897, e sempre nella città ionica collaborò a “Il lavoro” e “La palestra”; inoltre a Lecce fondò e diresse “La democrazia”, dal 1893 al 1896, poi divenuto “Il corriere salentino”, dal 1902 al 1920, “Fede”, dal 1923 al 1926, “La voce del Salento”, dal 1926 al 1933, per citare solo i più importanti. In particolare, su “La voce del Salento”, Raffaele collaborò con articoli di carattere storico e archeologico e recensioni di libri.[14] Se con Pietro condivideva l’amore per il patrimonio artistico della nostra terra d’Otranto e la necessità di una sua strenua difesa (Pietro fu anche Regio Ispettore ai Monumenti della Provincia di Lecce, dal 1923 al 1929, nonché Direttore della Biblioteca Provinciale “Bernardini”), quindi un interesse di carattere erudito, con l’altro fratello, Luigi, (1855-1911), condivideva l’amore per la poesia e le belle lettere.[15]  Ma, come detto, gli interessi culturali in casa Marti coinvolgevano tutti i fratelli maschi. Infatti, anche Antonio (1856- 1926) fu un letterato.[16]

Raffaele scrive anche diverse commedie, a conferma della poliedricità e della varietà dei suoi interessi, come: Un’ora prima di scuola. Commedia in un atto; Patriottismo. Commedia in un atto; Il ciabattino di Sorrento. Dramma in tre atti; Gli orfani del vecchio impiegato. Queste composizioni, a quel che ci risulta, restano manoscritte e non trovano sbocco editoriale. Non sappiamo neppure se esse siano state rappresentate in teatro ma è certo che vengono fatte circolare in versione manoscritta, se ricevono alcuni premi e menzioni d’onore, come si rende noto nell’opera Le coste del Salento, che riserva una pagina alle “Opere di stampa del Prof. Raffaele Marti”, ossia una sintetica sua bibliografia degli scritti. Ed è appunto del 1924 Le coste del Salento Viaggio illustrativo, per i tipi della Tipografia Conte di Lecce:[17] un excursus storico- letterario fra le coste della penisola salentina, condito anche dalle tante leggende che avvolgono queste contrade. Nella sua nota iniziale, Marti si rivolge “Ai giovani”, invitandoli a trarre profitto da questo suo lavoro di “Geografia fisica, della Fisica terrestre, della Mineralogia, della Geologia, della Paleontologia, della Fauna, dell’Ittiofauna e della Malacologia, della Flora terrestre e marina”. Un programma certo ambizioso, forse troppo, che si propone anche di parlare delle torri, dei castelli, dei villaggi e della varia architettura salentina sparsa fra i due mari Ionio e Adriatico. Occorre però rapportare questo pur vasto programma alle conoscenze del tempo, che erano certo più scarse, per cui certe ricerche apparivano quasi pionieristiche, ed inoltre occorre tener conto dell’intraprendenza con cui taluni eruditi dagli interessi universali quale Marti si aprivano alla conoscenza.  Il libro dimostra di essere molto apprezzato dalla critica. Se ne occupano tutti i giornali locali, da “La Provincia di Lecce” a “Il Nuovo Salento”, da “La Gazzetta di Puglia” a “La Freccia”, periodico di Palermo. “In una sintesi mirabile”, scrive Pasquale Micelli  su “L’Ordine” (Lecce, 9 maggio 1924), “egli ha saputo raccogliere, in poco più di 100 pagine, quanto riguarda la penisola salentina, nella varietà delle coste bagnate dall’Adriatico e dallo Ionio, l’origine, la storia e l’antico splendore delle città sparse su di esse o nell’immediato hinterland, i costumi dei popoli, che la abitano, lo sviluppo intellettuale e commerciale, la natura e la fertilità del terreno […] In tutto il libro si trova mirabilmente concentrato quanto moltissimi scrittori hanno diluito in vari poderosi volumi”[18].“Il libro ci fa tornare alla memoria i magnifici prodotti della letteratura storica e scientifica francese, che tende a popolarizzare l’arte ed il pensiero”, scrive un articolista (probabilmente Pietro Marti) su “Fede” (Lecce, 20 giugno 1924)[19].“Mai mi era capitato di leggere un libro in cui fossero fermate tutte le espressioni del Salento”, sostiene Pietro Camassa sul periodico brindisino “Indipendente” (ottobre 1924), “Vi si parla di mitologia, di preistoria, di letteratura, d’arte, di storia militare, civile, politica, di pesca, di caccia, di industria…”[20].  Gli scrive anche il famoso archeologo Luigi Viola, in una lettera che Marti inserisce nel libro L’estremo Salento, insieme ai giudizi critici di cui stiamo riferendo.[21] Nel 1925 è la volta di Lecce e i suoi dintorni.[22]

Anche questo libro è accolto molto bene dalla critica di settore. Ne scrive “L’Indipendente” di Brindisi (11 luglio 1925) come di un libro molto riuscito e interessante, giudizio condiviso da Nicola Bernardini su “La Provincia di Lecce” del 24 maggio 1925[23]. E sul “Corriere Meridionale” (Lecce, 20 agosto 1925), afferma Francesco D’Elia: “il presente volume del Prof. Marti ha un carattere popolare, in quanto le principali notizie storiche dei luoghi, esposte in forma spicciola, sono fuse insieme con numerose indicazioni delle varie forme di attività cittadina, culturale, artistica, industriale, che crediamo utilissime perché ci dimostrano il progresso raggiunto nella civiltà dei nostri luoghi, e quel migliore avvenire che attendono di raggiungere”[24]. Anche in questo libro, Marti dà cenni di Geografia, idrografia, si occupa di storia e di arte dei principali centri dell’hinterland leccese, come Surbo, San Cataldo, Acaia, Strudà, Pisignano, San Cesario, Monteroni, Novoli, Campi, Trepuzzi, oltre naturalmente al capoluogo di provincia. Nel 1931 esce L’estremo Salento,[25]  con Prefazione di Amilcare Foscarini, il quale afferma che “se i precedenti libri di questo benemerito ed instancabile autore sono riusciti dilettevoli e istruttivi per la generalità dei lettori, quest’ultimo li supera per un maggiore interesse, poiché tratta di una contrada incantevole, lussureggiante, ricca di memorie, di terreni fertilissimi e di prodotti commerciali, cinta da ridenti marine, da stazioni balneari e termo-minerali di eccezionale importanza, poco apprezzata perché poco conosciuta”[26].

Come recita il titolo, l’opera si occupa dell’estrema propaggine del Salento, il Capo di Leuca, ovvero il Promontorio Iapigio, che divide l’Adriatico dallo Ionio. Parte dalla preistoria, citando le fonti greche e latine e passando in rassegna tutte le più svariate e oggi abusate ipotesi sulle origini del nostro popolo. Si occupa della storia antica del Salento, della storia medievale e moderna, delle famiglie gentilizie e dei grandi personaggi del passato, secondo uno schema paludato che se oggi è superato, ai tempi di Marti era ancora in auge e anzi era l’unico metodo storiografico in uso. Si può dunque apprezzare lo sforzo profuso dal Nostro, in questa notevole attività pubblicistica e nel suo impegno nella scoperta e parimenti nella valorizzazione dell’enorme portato culturale di cui è depositaria la terra salentina. Pur essendo uno scienziato, di robusta formazione positivista, Marti fu amato dalla Musa e seppe coltivare generi letterari così diversi con immutata partecipazione.  Ulteriori approfondimenti potranno rendere più nitida una figura così interessante.

Raffaele Marti morì a Lecce il 5.2.1945, all’età di 86 anni.

 

Note

[1] Devo queste e le successive notizie anagrafiche all’amico studioso Vincenzo Vetruccio, il quale ha condensato le sue ricerche sulla famiglia Marti in un “Discorso Su Pietro Marti pronunciato il 19 febbraio 2015 presso la scuola primaria Saverio Lillo” Inedito.

[2] Si tratta di opera inedita, lasciata incompleta e segnalata da Alfredo Calabrese, Le memorie di Pietro Marti, in “Lu lampiune” n.1 Lecce, Grifo, 1992, pp.27-34.

[3] Sulla figura dell’erudito Pietro Marti (1863-1933), storico, giornalista, conferenziere, illustre concittadino di Ruffano, esiste una cospicua bibliografia. Tra gli altri:

Carlo Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, Vallecchi, 1904, p.578 (nuova edizione Napoli, Morano, 1920, pp-137-138);  Domenico Giusto, Dizionario bio-bibliografico degli scrittori pugliesi (dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione fascista), Bari, Società Editrice Tipografica, 1929, pp.187-188;  Aldo de Bernart, Nel I centenario della nascita di Pietro Marti, in “La Zagaglia”, Lecce, n. 21, 1964, pp.63-64;  Pasquale Sorrenti, Repertorio bibliografico degli scrittori pugliesi contemporanei, Bari, Savarese, 1976, pp.375-376; Ermanno Inguscio, La civica amministrazione di Ruffano (1861-1999). Profilo storico,  Galatina, Congedo Ed., 1999, pp.174-175; Paolo Vincenti, Pietro Marti da Ruffano, in “NuovAlba”, dicembre 2005, Parabita, 2005, pp-17-18; Aldo de Bernart, In margine alla figura di Pietro Marti,  in “NuovAlba”, aprile 2006, Parabita, 2006, p.15;  Ermanno Inguscio, Vanini nel pensiero di Pietro Marti, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie,  n. XX, Lecce, Argo, 2009, pp.137-148;Idem, Pietro Marti direttore di giornali, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”, Tricase, Iride Edizioni, a. VII, n. 39, 2010, p. 6; Idem, L’attività giornalistica di Pietro Marti,  in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie,  n. XXI, Lecce, Argo, 2010-2011, pp.227-234;Idem, Il giornalista Pietro Marti, in “Terra di Leuca. Rivista bimensile d’informazione, storia, cultura e politica”,Tricase, Iride Edizioni, a.VIII, n.40, 2011, p.7;Idem, Liborio Romano e le ragioni del Sud nel periodo postunitario. Il contributo di Pietro Marti sul patriota salentino, in “Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici”, n.43-44, dicembre 2011, Bari, Levante Ed., pp.147-161; Idem, Pietro Marti e la cultura salentina. Apologia di Liborio Romano, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XXII, Lecce, Grifo,2012, pp.164-185;Aldo de Bernart, Cenni sulla figura di Pietro Marti da Ruffano, Memorabilia 35, Ruffano, Tip. Inguscio e De Vitis,2012; Ermanno Inguscio, Pietro Marti, il giornalista, il conferenziere, il polemista, in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società Storia Patria Puglia, sezione di Maglie, n. XXIII, Lecce, Argo, 2013, pp.40-58; Idem, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013.

[4] Ermanno Inguscio, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013, p.34.

[5] “…imitate questo vostro compagno di studio, che ha scritto il suo libro raccogliendone gli elementi dalla natura vivente e reale […] Fate, fate, fate voi come ha fatto lui, e vi renderete benemeriti, non solo alla scienza, col contributo che darete, ma anche alla nostra provincia”: Cosimo De Giorgi, Prefazione, in Raffaele Marti, Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio (loro produzione alimentare), Lecce, Tip. Lazzaretti, 1896, p.6.)

[6] Giudizi sopra alcune opere del Marti, in Raffaele Marti, L’estremo Salento, Lecce, Stabil. Tipografico F.Scorrano e co., 1931, pp.8-9.

[7] Raffaele Marti, L’acqua conferenza letta nella sala del consiglio comunale di Norcia e Operazioni del calcolo e loro analogia , Lecce,  Tip. Cooperativa, 1894.

[8] Idem, Golfi di Taranto, Napoli e Valli di Comacchio (loro produzione alimentare), Lecce, Tip. Lazzaretti, 1896.

[9] Idem, Elementi di Algebra, Taranto, Tip. Latronico, 1896.

[10] Idem, Dalla P. della Campanella al C. Licosa, Taranto, Tip. Spagnolo, 1907.

[11] Idem, Foglie sparse, Taranto, Tip. Spagnolo, 1907.

[12] Idem, Gli acari o piaghe sociali. Dramma in quattro atti e cinque quadri, Lecce, Tip. Conte, 1913.

[13] Ermanno Inguscio, Pietro Marti (1863-1933) Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto, a cura di Marcello Gaballo, Fondazione Terra D’Otranto, Nardò, Tip. Biesse, 2013, p.195.

[14] , Ermanno Inguscio, Letteratura arte e storia nel periodico “La voce del Salento”, in Idem, Pietro Marti (1863-1933), op.cit.., pp.149-160.

[15] Luigi, sposato a Pallanza, in provincia di Novara, anch’egli firma de “La voce del Salento”, fu apprezzatissimo poeta e scrittore.  Fra le sue opere, per citare solo qualche titolo: Un eco dal villaggio, Lecce, Stab. Tip. Scipione Ammirato, 1880; Manfredi nella Storia e nella Commedia dell’Alighieri, Lecce, Tipografia Salentina, 1887; Liriche, Lecce, Tipografia Garibaldi, 1889; La verde Apulia, Lecce, Tipografia Salentina, 1889; Napoleone e la Francia nella mente di Foscolo, Pallanza, Tipografia Verzellini, 1891; Un secolo di patriottismo, Pallanza, Tipografia Verzellini, 1891; Il Salento, Taranto, Editore Mazzolino, 1896; Dalle valli alle vette, Milano, La Poligrafica, 1898; ecc. Luigi morì improvvisamente a Salerno nel 1911, all’età di 56 anni.

[16] Fra le opere di Antonio Marti, basti citare: il volume di poesie Povere foglie, Lecce Tip. Editrice Sociale- Carlino, Marti e Cibaria, 1891, e Scritti vari – Novelle e Viaggi, Intra, Tipografia Bertolotti Paolo e Francesco,1893.

[17] Raffaele Marti, Le coste del Salento Viaggio illustrativo, Lecce, Tip. Vincenzo Conte, 1924.

[18] Giudizi sopra alcune opere del Marti, in Raffaele Marti, L’estremo Salento, Lecce, Stabil. Tipografico F.Scorrano e co., 1931, p.8.

[19] Ivi, p.10.

[20] Ivi, p.12.

[21] Ivi, p.11.

[22] Idem, Lecce e suoi dintorni. Borgo Piave, S. Cataldo, Acaia, Merine, S. Donato, S. Cesario ecc., Lecce Tip. Gius. Guido, 1925.

[23] Giudizi sopra alcune opere del Marti, in op.cit., p.14.

[24] Ivi, p.13.

[25] Idem, L’estremo Salento, Lecce, Stabil. Tipografico F.Scorrano e co., 1931.

[26] Amilcare Foscarini, Prefazione, in op.cit., p.3.

Pietro Marti e Manduria

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MANDURIA, PIETRO MARTI E L’ISTRUZIONE PUBBLICA

                                  IN UN LIBRO DI ERMANNO INGUSCIO

 

Un “filo rosso” lega la cultura cittadina di Manduria all’alfiere del Salento Pietro Marti, intellettuale, giornalista e cultore di storia patria del primo Novecento. Il prof. Marti, infatti,noto in tutt’ Italia in campo critico e culturale anche per aver pubblicato Origine e fortuna della Coltura salentina (1893), era giunto a Manduria l’11 ottobre 1921, chiamato dal sindaco dell’epoca, Giovanni Errico, a dirigere l’istituenda Scuola Tecnica Superiore, divenuto presto un vero gioiello di efficienza scolastica in tutta la Terra d’Otranto.

L’odierna Amministrazione Comunale, guidata da Roberto Massafra, con il supporto della Civica Biblioteca “Gatti”, ha voluto riscoprire la figura di Pietro Marti, giovedì 19 novembre 2015 (Sala Consiliare del Comune, h. 17,00), presentando al pubblico una monografia di Ermanno Inguscio dal titolo Pietro Marti (1863-1933) Cultura e Giornalismo in Terra d’Otranto (2013).

L’evento ha innescato un grande fermento culturale nel centro ionico, anche per merito della Società di Storia Patria per la Puglia, sezione di Oria, dell’Archeoclub d’Italia (Presidente Sergio De Cillis, sezione di Manduria), dell’Associazione Pernix Apulia di Eugenio Selvaggi, della UNITRE cittadina e della Biblioteca “Gatti” (diretta da Carmela Greco). Il folto uditorio ha apprezzato la dotta relazione sulla pubblicazione di Inguscio, affidata alle considerazioni di merito dello studioso Cosimo Pio Bentivoglio.

Quattro le parti del libro ampiamente illustrate ai tanti uditori presenti: Pietro Marti, uomo di cultura; lo storico-erudito e il biografo; il direttore del giornale La Voce del Salento; il cultore d’Arte e di Archeologia. L’Istituzione Comunale di Manduria, dunque, ieri come oggi, ha saputo affidare le sorti della pubblica istruzione dei giovani a intellettuali di tutto prestigio e di eccellente professionalità e ne conserva fedele ricordo.

Sottoposto ben presto alla veemenza del furore fascista cittadino, il preside (oggi dirigente) Pietro Marti, seppe tenere alta la finalità della Istituzione scolastica, difendendo con l’operosità e l’esempio personale la stessa mission della scuola, che dichiarava, sul foglio a stampa Per la verità, dev’essere sacra e superiore a tutte le passioni, personali e politiche. Non è stata certo una meteora, dunque, la permanenza di Pietro Marti a Manduria, durata solo dal 1921 al 1924.

Una sua figlia, Emma, docente all’epoca a San Pancrazio Salentino, era poi andata in sposa a Paolo Dimitri, anch’egli uomo di scuola. Oggi, l’ottuagenario Elio, che ha chiuso da par suo la serata culturale a Manduria, ancora è felice testimone, nell’affetto che lo legava al nonno, della passione storico-culturale che lo contraddistingueva. Quanti opuscoli venivano dati puntualmente in regalo al nipotino ad ogni loro incontro. Regali e cultura permeati da affetti. Ma Elio Dimitri, oggi Presidente onorario della Biblioteca Civica “Gatti”, è lo studioso autore della Bibliografia di Terra d’Otranto dal 1550 al 2003, strumento storiografico fondamentale per ogni ricerca storica sul Salento.

Se a Pietro Marti, suo nonno per parte di madre, con la produzione delle quaranta monografie e la dozzina di giornali (per gran parte fondati e diretti), spetta parte di quell’immortalità che, a dirla con il filosofo francese Jacques Derrida, solo la scrittura può assicurare, all’impegno di  studioso di Dimitri spetta il primato di quel “filo rosso” che lega la città di Manduria all’amore per la cultura delle arti e del bello, che Pietro Marti aveva insegnato nella Penisola e per tutte le contrade del Salento. Manduria e Pietro Marti, uno storico binomio di elevazione civico-sociale, ancora oggi valido per chi sa apprezzare l’insegnamento della storia, maestra di vita.

E’un po’ ciò che lo storico Ermanno Inguscio, nella sua monografia sull’illustre giornalista leccese, presentata a Manduria,  ha per un verso  “costruito un piedistallo su cui ora posa tranquilla la statua ideale di Pietro Marti”, come annotato da Alessandro Laporta, e dall’altro ha inteso tramandare un messaggio di civica passione alle generazioni del mondo globalizzato.

A Manduria si presenta il libro su Pietro Marti

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Presentazione del volume “Pietro Marti (1863-1933). Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto”

 

La Società di Storia Patria per la Puglia sezione di Oria e l’Archeoclub d’Italia, sede di Manduria, con il patrocinio del Comune di Manduria e la collaborazione dell’Unitre e della Fondazione “Pernix Apulia” di Eugenio Selvaggi, hanno promosso la presentazione di una importante monografia dedicata a Pietro Marti. Il volume dal titolo: “Pietro Marti (1863-1933). Cultura e giornalimo in Terra d’Otranto” sarà presentato il giorno 19 novembre p.v., alle ore 17.00, nel Salone consiliare del Municipio di Manduria.

Relatore il prof. Cosimo Pio Bentivoglio, noto studioso locale. Autore del libro, edito a cura del dott. Marcello Gaballo, è il prof. Ermanno Inguscio, collaboratore dell’Università del Salento, socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia. Parteciperà alla presentazione il prof. Pasquale Corsi, docente universitario, Presidente della Società di Storia Patria per la Puglia, oltre naturalmente all’autore ed ai rappresentanti delle istituzioni promotrici. Punto di riferimento la civica Biblioteca “Marco Gatti”.

Va ricordato che Pietro Marti è stata una delle figure più rappresentative della cultura di Terra d’Otranto tra Otto e Novecento e che il suo legame con Manduria deriva dal fatto che negli anni dal 1921 al 1924 è stato il Direttore della prima scuola secondaria (Scuola Tecnica) istituita appunto in Manduria nel 1921.

Fondo Verri e Pietro Marti

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di Gianni Ferraris

Giovedi 19 marzo scorso nell’inesauribile miniera di incontri che è il Fondo Verri, è stato presentato il libro “Pietro Marti (1863-1933)” di Ermanno Inguscio. L’autore ci ha raccontato, “la sua ricerca storica e documentale dedicata alla figura dell’intellettuale e operatore culturale salentino Pietro Marti e si presenta come un corpo unico ma non conclusivo perché, come lo stesso autore sottolinea, “traccia spunti di ulteriore approfondimento per gli studiosi che se ne vogliano occupare”. Il volume gode della prefazione dall’attuale direttore della Biblioteca Provinciale “Nicola Bernardini” di Lecce, Alessandro Laporta (avendo Marti ricoperto, tra altri, anche il ruolo di direttore di quella Biblioteca dal 1929 al 1933) che riconosce a Ermanno Inguscio “il coraggio nell’intraprendere le ricerche e la pazienza nel tentativo di ricostruire un ritratto quanto più possibile fedele all’originale”. Divisa in quattro parti principali, la monografia ha titoli che introducono il lettore nella poliedricità di Pietro Marti: uomo di cultura, fondatore di giornali, conferenziere, polemista, storico erudito e biografo, direttore del periodico La Voce del Salento, cultore d’arte e archeologia; sullo sfondo la realtà salentina nel passaggio tra fine Ottocento e primi del Novecento”, come ha scritto Mauro Marino presentando l’evento.

Sala piena e attentissima alla narrazione di questa figura complessa, poliedrica e importante nell’universo culturale leccese che, a cavallo fra ‘800 e ‘900 dava vita ad un universo di almeno 22 giornali stampati a Lecce e provincia, oltre la metà di quelli stampati nella Puglia intera.

 

Ermanno Inguscio – Pietro Marti (1863 – 1933) – Ed. Fondaz. Terra D’Otranto

Pietro Marti, cultura e giornalismo in Terra D’Otranto

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di Oronzo Russo

Chi ha letto le “Memorie di un cane giallo” dell’americano O. Henry non dimenticherà l’istrionesca figura di Judson Tate, viaggiatore di commercio e frivolo banditore dalla eletta faringe, che semina al suo passaggio storie arabescate di umanissima povertà, di amori, di improbabili fantasie e di più manifeste assurdità, al solo scopo di vendere una scatoletta di pastiglie medicamentose per il mal di gola. Al prezzo neppure tanto simbolico di mezzo dollaro.

Tanto per dire quanto lontano sia Ermanno Inguscio da simile espediente  che, con caparbietà, ci consegna, in “Pietro Marti, cultura e giornalismo in Terra D’Otranto”, una sorta di prontuario della post-unità, frantumato in “certezze”, senza  pretesti narrativi.

Vasta e vertiginosa è, infatti, l’area di scavo, un enorme buco nero, dove il salentino Pietro Marti si muove disposto a parlare e ad ascoltare, perchè forte di una cultura immensa e spregiudicata, per nulla prigioniero di inferiorità meridionale. Sa calarsi, infatti, fra tutti, che siano angeli custodi o eccelsi inquisitori, contrabbandieri o bracconieri per fame, viandanti, assassini o callidi adulatori, i personaggi che incontra e tratta agiscono a ridosso di una normalità in perenne affanno, problematica e lunare, portata alla ribalta, nello spazio scenico e nel verbo teatrale, quasi da un Carmelo Bene del pensiero “dispensato”.

Ed Ermanno s’è saputo calare tra tante corse e diversità con una inusitata sagacia che sorprende. Si ritrova a meraviglia dietro “quell’uomo che nella cultura costruì il suo riscatto economico-sociale con strumenti come istruzione, attività editoriale e giornalistica, puntando alla riscoperta della civiltà della Puglia e del Salento”.

Le vicende della vita di Pietro Marti appaiono così appendici di un romanzo unico ed incompleto; capitoli, pur frammentari, di una vicenda che segue la prima, appena abbozzata, stesura della storia post-unitaria. I personaggi s’incarnano in una narrazione a puntale, che si meteorizza nel “feuilleton” di un quotidiano sociale che mai si presta alla convenzionale oleografia delle rivisitazioni. Pietro Marti, giornalista, editore e scrittore, studioso di Terra d’Otranto non è, comunque, solo una cerniera fra più persone, o più situazioni: rappresenta anche, e soprattutto, il punto di ritrovo concettuale di idee, di aspirazioni, di fallimenti e di successi individuali. Se la confessione è la “psicanalisi dei poveri”, il Marti si evidenzia nel ruolo dell’amico, confidente e complice, presenza discreta, alla ribalta di un illuminismo culturale proiettato, ormai, nel secolo delle certezze. Il novecento si materializza già nelle ultime pagine della storia precedente, da rileggere con il rimorso di chi non è stato protagonista e, forse, neppure comparsa. Gli interventi di Marti risentono di questa frattura, al di là delle singole aderenze culturali e politiche. Sono interventi esistenzialisti, qualcuno anche romantico, e persino byroniano. Che sono poi la denuncia di una crisi personale che sfocia nel campo pubblico, coniugandosi con le poche verità assicurate dall’Italia ottocentesca. Da qui la scoperta di Inguscio che capisce che ogni argomento che Marti tratta nasconde, dietro di sé, un “male” oscuro e imprecisato che emerge, di volta in volta, da una tensione, non solo espressiva, che recita, nel teatro sotterraneo dell’inconscio, un conflitto sociale e gli interrogativi della novità.

Sono interventi che denunciano una profonda solitudine alla quale non cede, con l'”escamotage” di una prova d’appello sempre rinviata ed, alla fine, inevitabile. E non è un caso che il terminale dell’intero carteggio sia l’uomo di un Meridione disaggregato e frenato socialmente, nonostante i suoi numerosi apporti culturali. In questo senso, ogni azione del Marti accetta la precarietà dell’immediatezza e della contiguità fisica, o geografica, per divenire romanzo e racconto: un passo ancora, ed è già storia.

Dicevamo di meriti, veramente tanti. Ma diciamo dell’abilità di Inguscio di incastonare le conoscenze dei luoghi e delle tradizioni, delle credenze popolari e delle sensazioni emotive che solo chi conosce questa terra può descrivere quasi fosse una storia “contenitore”, inventata sul filo di narrazioni fantastiche e leggende popolari per avvicinare tanto lavoro al gradimento.

Un notevole sforzo. Non era facile coniugare la cartapesta con Liborio Romano, i ruderi con la fine arte di Bodini.

Ed invece è venuto tutto così naturale che il libro si legge tutto d’un fiato, a riprova che Inguscio ha saputo presentare Pietro Marti come il campione meridionale capace di evidenziare la metafora esatta del tempo macinato e disintegrato, altrimenti perso, ma anche dell’amicizia, della complicità e del tradimento, della colpa e del rimorso, della fuga e del ritorno, sintesi di una riappacificazione che passa attraverso il filtro della parola e di un’onestà ruvida e incondizionata. Per codici e patti cavallereschi, sempre leale. Il tempo era sempre quello dell’immediato passato e permetteva di osservare ancora moduli ottocenteschi, pur se in fase evanescente.

“Pietro Marti, cultura e giornalismo in terra d’Otranto”, infatti, non è una provocazione, ma un atto d’amore,  una malia,  un incantamento. E un giuramento di lealtà. Incantamento per il giornalismo, innanzitutto, del quale sia Marti e, conseguentemente, Inguscio sono innamorati perduti. Non altrimenti saprei definire questa passione per la parola.

Fare il giornalista, a tutti i costi,  è la dichiarazione di intenti, di un apprendistato erratico e avventuroso che incalzerà Marti per tutta la vita. In ordine sparso, ogni volta un nuovo approdo, rimettendosi in gioco,  in una categoria disastrata da quanti, giornalisti, si credono anche scrittori.

Il resto , in questo libro, è funzionale a questo amore per la scrittura, a questo tacito patto di lealtà con se stesso. E la chiave di lettura del libro segue questo intreccio, si sdoppia, perché è sì la storia di un giornalista, ma è anche la storia speculare di un uomo, Ermanno Inguscio,  dalla caparbia ansia di apprendere, di leggere per apprendere, con l’umiltà di chi ha voglia di cultura., senza ricorrere alle pastiglie medicamentose per il mal di gola da propagandare tra la povera gente.

Castrum Minervae nell’opera di Pietro Marti

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CASTRUM MINERVAE NELL’OPERA DI PIETRO MARTI

In un volume di ERMANNO INGUSCIO

 

Non era difficile per i numerosi intervenuti all’incontro culturale tenutosi nel Salone del castello di Castro Marina, il 29 agosto 2014, ascoltare ragioni a favore, ancora una volta, della tutela e della riscoperta del noto sito archeologico, Castrum Minervae, fatto con la presentazione del volume  Pietro Marti (1863-1933). Cultura e Giornalismo in Terra d’Otranto, di Ermanno Inguscio, su puntuale introduzione del giornalista Rocco Boccadamo.

Una tematica scottante nella perla adriatica, Castro, accostata alla tirrenica più nota Portofino, annunciata dalla puntuale locandina  dell’Associazione  “Castro puoi volare in alto” di Gigi Fersini, se  a tal proposito una attualissima kermesse porta, addirittura, alla eventualità del cambio del nome della bella località turistica salentina sulla base delle nuove acquisizioni archeologiche dell’équipe del prof. D’Andria.  Ciò che era stato già preannunciato da Pietro Marti, nel 1932, già Regio Ispettore ai Monumenti dal 1923 al 1929, nel suo volume  Ruderi e Monumenti nella Penisola salentina. Con molta chiarezza  egli aveva chiesto, nella  Ragione del libro, tra le cinque sue proposte, di dichiarare il Salento inferiore “zona archeologica” di estremo interesse, citando espressamente, accanto a Castrum Minervae, le località di Valentium, Carminianum, Sesinum, Rudiae, Lupiae, Turium o Sybaris, Tutinum, Veretuma, Oxentum, Hydruntum, Bavata, Aletium, Soletum, Galatena e Vasten: solo alcune delle 144 località di città sepolte da esplorare scientificamente.

Alle domande di Boccadamo, l’autore del volume, edito dalla Fondazione Terra d’Otranto di Marcello Gaballo, ha rimarcato quanto scritto da Marti, circa la sua  ansia di ricerca, di tutela e di rivendicazione del noto e dell’ignoto patrimonio archeologico rappresentativo.

Un lavoro di decenni di puntuali segnalazioni e denunce, anche all’interno della Brigata leccese dei Monumenti, ribadito con forza anche nei suoi volumi, a cominciare dal fortunato Origini e Fortuna della Coltura salentina (1893), Lettera a Pompeo Molmenti, La Provincia di Lecce nella storia dell’Arte, Storia e Arte  e Nelle Terre di Galateo, sintesi, quest’ultima opera, dell’attività di conferenziere di Marti in giro per tutta la Puglia.  Mai inerte spettatore, Marti aveva sempre con tempestività segnalato e fatto pressioni sulla Sovrintendenza regionale e sulle Amministrazioni comunali la necessità di una  più larga conoscenza della vita preistorica, messapica, romana, medievale e moderna del Salento e della Puglia.

Una ciclopica battaglia di Marti compiuta anche sui suoi giornali, dal 1887 al 1931, come  “La Democrazia”, “L’Avvenire”, “Il Presente”, “L’Imparziale”, “La Voce del Salento” e “Fede”. Una passione storico-archeologica per la Puglia dimostrata nelle sue Relazioni, nei Discorsi inaugurali delle Esposizioni d’Arte pura e applicata in Lecce e Gallipoli (1924,1925,1926,1928), nei  Bozzetti di Diporti a Carpignano, a Otranto, a Maruggio, a Surbo, a Cerrate, a Giurdignano.

Novità autorevole la sua, ma quasi sempre inascoltata, nelle cinque  proposte-denuncia dello studioso Marti, lanciate, sempre nella  Ragione del libro del volume  Ruderi e Monumenti.

Se, grande è stata l’attenzione dell’uditorio nel Castello di Castro Marina, alla presentazione del volume di Inguscio, si riscopre ancora una volta, un po’ in tutti gli scritti di Marti,  la necessità della nazionalizzazione del Museo Castromediano in Lecce, l’ampliamento e il riordino del Museo Civico di Lecce e del Museo Archeologico di Gallipoli. Ma egli giungeva a chiedere persino la compilazione di un inventario analitico delle opere d’arte conservate nelle chiese della Regione Puglia e nelle gallerie private, ad evitare che tesori dell’arte pugliese, acquistate da facoltosi privati, finissero bellamente nel Museo del Louvre. E, dalle colonne del suo giornale leccese “La Voce del Salento”, chiedeva continuamente alle Autorità preposte il restauro di monumenti come i gioielli della Basilica di Santa Croce, della chiesa delle Scalze a Lecce, di Santa Caterina in Galatina, di Santa Maria di Cerrate, del castello di Acaya, delle cripte di Carpignano e Giurdignano. Un grido di allarme, il suo, sempre attuale. Un’ansia-passione, quella di Pietro Marti, ben descritta nel volume di Ermanno Inguscio.

Quel giornalista salentino, aveva imparato ad amare l’arte alla scuola fiorentina dello scultore Antonio Bortone e  ad occuparsi del recupero di beni storico-ambientali nella sodale frequentazione tarantina con l’archeologo Luigi Viola. Marti, così, nei primi giorni del 1933, già fiaccato nella salute, nell’ accorrere a Rudiae a tentare di fermare la furia devastatrice di contadini e tomabaroli, sotto uno scroscio micidiale di pioggia, riuscì a fermare un ennesimo scempio ai danni della comune memoria. Rientrato nel capoluogo leccese, Marti dovette sostenere un ultimo letale assalto di una sopravvenuta polmonite, che, senza pietà,  per mesi non gli lasciò scampo.

Ma le intuizioni-denuncia di Marti in campo storico-artistico ne fanno un campione di civica modernità: eco di tanta lucida fatica, nella vita di un uomo impegnato come lui, innamorato della sua terra, è nel volume di Ermanno Inguscio, storico e continuatore di quell’antica civica passione, la tutela del nostro patrimonio culturale.

Pietro Marti e la scuola

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Pietro Marti e la scuola

L’alunno, il maestro-professore, il dirigente scolastico

 

 di Ermanno Inguscio

 

A descrivere gli anni della sua infanzia ci viene in soccorso lo stesso Pietro Marti, il quale, nelle sue Memorie, opera incompleta, scrisse i ricordi autobiografici riguardanti il periodo storico compreso tra la sua nascita ed il 1879, anno nel quale ricevette la sua prima nomina a maestro elementare a Ruffano, suo paese natale.

L’opera, dedicata a Gregorio Carruggio, noto scrittore leccese, del quale era buon amico e con cui collaborava anche sulla rivista di quest’ultimo, “Il Salento”, è saltata fuori dal fondo di una biblioteca privata, rimasto nascosto sino al 1992. Il manoscritto steso con la caratteristica sua grafia appare composto di getto, viste le numerose correzioni e s’interrompe a metà di una frase sulla pagine segnata al 29 luglio di una agenda del 1932. Il manoscritto, iniziato nella stesura agli inizi del 1933, registra una interruzione con la frase, nella quale iniziava a descrivere l’incontro con una fanciulla “dalla dolce e pura affettuosità” e trova quasi certamente la sua spiegazione nella improvvisa morte del suo autore, avvenuta a Lecce il 18 aprile 1933. In quelle poche pagine, una quindicina in tutto, Marti descrive la sua infanzia triste e modesta, gli episodi che più colpirono il mondo della sua fanciullezza (l’abbraccio di Giuseppe Pisanelli, l’aurora boreale del 1871, i tristi eventi di miseria del 1873 tra le popolazioni salentine).

E’ una vera confessione che va al di là della esperienza di vita, in cui sembra rivivere il suo romantico immaginario giovanile, e che Marti fa interrogandosi intorno alla dimensione esistenziale dell’uomo nella società e offrendoci l’occasione per considerare  la profondità del suo saldo approdare nel mondo della cultura. Di sé giovanissimo Marti afferma di avere sempre creduto nell’ideale di pace e di giustizia, nell’amore reciproco, sebbene  orfano, povero, sperduto quasi nella solitudine grigia del borgo rurale.

Si smarriva di fronte alle miserie degli umili, considerava la donna vittima della sopraffazione sessuale, trepidava per l’abbandono e la maternità. La sua giovinezza era sbocciata in un’epoca di fanatismo rivoluzionario, ma era convinto  che  l’ideale è legge della vita ed alimento del progresso  e guardava con ripugnanza quanti, bruciando incenso  al Dio Tornaconto, misuravano i propri comportamenti sulla bilancia dell’egoismo.

Sin dalla piena maturità, e prossimo alla fine dei suoi giorni, egli restava turbato di fronte alle forme di cupidigia umana, di pervertimento, di privilegio e di miseria. All’età di tre anni, nel 1866, il piccolo Pietro, per iniziativa della sorella Caterina, venne investito del  “battesimo patriottico”: avvolto in un drappo tricolore e portato dentro una grande sala al pianterreno di palazzo Viva, venne consegnato nelle mani di un reduce garibaldino mutilato, in divisa indossata da Marsala al Volturno, che incitava a seguire Garibaldi per la liberazione del Veneto. Tra gli applausi e come augurio di vittoria, il piccolo Pietro venne mostrato all’assemblea festante tra canti di giubilo.

All’età di cinque anni, nel 1868, Marti venne portato dal padre, una sera,  nel palazzo di Antonio Leuzzi, munifico signore della città natale, ma liberale, che aveva invitato nel salone delle feste amici e personalità del diritto, della politica e dell’arte, per rendere omaggio al grande giurista Giuseppe Pisanelli. Una volta nel salone, dopo l’omaggio del padre al grande personaggio, il piccolo Pietro destò l’interesse del Pisanelli,  che si  mise amabilmente sulle ginocchia il piccolo, scambiando qualche frase con lui e baciandolo, infine, sulla fronte.

Del 1873, anno definito funesto per tutta la regione del Capo di Leuca, Marti rievoca le piogge torrenziali dell’autunno precedente e le grandini dell’estate, ma anche  la triste condizione di cittadine e villaggi, pieni di poveri mendicanti e di malfattori dediti a ruberie e assalti di ogni genere. Nella sua memoria campeggiano il ricordo infantile del pane nero d’orzo, introvabile, e delle erbe del contado, che costituivano l’unica base dell’alimentazione popolare; ma anche le mute privazioni delle sorelle e la cupa rassegnazione dei suoi genitori. Tra gli episodi di violenza  abbastanza inquietante era stato quello dell’assalto all’Ufficio del registro, compiuto da donne travestite da agenti di finanza.

A carestie e calamità si era aggiunta, nell’autunno, la morte del fratello Giuseppe. Aumentato lo stato di bisogno, il fratello Luigi aveva accolto come una vera fortuna la nomina di istitutore nel Convitto Palmieri di Lecce; il fratello Antonio, alunno prodigio del Ginnasio Capece di Maglie, aveva dovuto abbandonare gli studi e accettare anche lui un incarico nell’ insegnamento primario. Illuminante, tra primi ricordi scolastici di Marti, quanto egli scriveva di sé, piccolo scolaro: Spesso mi recavo a scuola senza pane, ma tanta miseria non faceva al mio spirito. Sebbene fanciullo sentivo in me qualcosa che mi faceva guardare con baldanza l’avvenire…, che la dice lunga sulla sua motivazione negli studi e sulla ferma volontà di riscatto personale e sociale. Nel 1874, a undici anni, il Nostro ebbe il modo di trascorrere una giornata trionfale a scuola. Egli, non sempre gratificato come dovuto dall’austero maestro, pur mostrando grande creatività nei testi scritti, viene sottoposto alla stesura di un compito in classe d’italiano (Prodigio di fede  e di costanza), alla presenza del terribile ispettore Calvino. Alla spedita consegna del testo, vergato senza brutta copia, dopo neanche due ore di tempo a disposizione, lo scolaro Marti provocò nell’arcigno ispettore grande meraviglia, per la bontà del prodotto. Questi se ne rallegrò davanti all’intera classe, dispensando lodi al piccolo prodigio e suggellando gl’incoraggiamenti meritati  con un bacio sulla fronte dell’alunno. Marti, per la compiacenza di tanti piccoli amici e il plauso inaspettato dell’Ispettore, riuscì a dimenticare le ingiurie della sorte (l’umiliazione degli abiti rammendati e le scarpe in pessimo stato).

Nel 1879, e per tre anni, ebbe l’incarico di maestro nelle scuole rurali di Ruffano. Una nomina, di gratificante prestigio sociale, all’inizio forse,  e ricevuta soprattutto per benevolenza di un sindaco, il liberale Leuzzi, ma stroncata da un vicesindaco Santaloja, che innescò un grave contenzioso, dopo un licenziamento per assenteismo, e che farà dire a Marti,  con amarezza, che la vita del Maestro di quel tempo fosse spesso un tirocinio di privazioni e di umiliazioni. L’educatore del popolo guadagnava appena tanto da non morire di fame e, soprattutto, il suo stato morale era fatto di servilismo obbligatorio verso tirannelli, spesso analfabeti, che la fiducia del patrio governo elevava alla carica di sindaci e ispettori.

Della sua cittadina di quel tempo, Ruffano, egli amava ricordare ben tre cose: la bellezza fascinatrice del paesaggio, la fraterna intimità di Carmelo Arnisi e la dolcezza pura e affettuosa di una fanciulla. Il clima ostile creatosi in paese  e la conflittualità aperta con l’amministrazione comunale, con esiti fino al Consiglio di Stato, lo costringono ad emigrare con alcuni fratelli nel capoluogo leccese.

Qui fonda un prestigioso ginnasio privato, frequentato da studenti della migliore intellighenzia di Lecce. Ma dopo appena due anni, e prima di fondare i giornali “La Democrazia” e “Il Popolo”, anche il suo ginnasio naufraga sotto i colpi di una dittatura faziosa e violenta. Nel 1893, già direttore de “L’Indipendente”, pubblica a Lecce Origine e fortuna della Coltura salentina, che gli procura notorietà nazionale, e, per “chiari meriti”, ottiene una cattedra per insegnare lettere e storia a Comacchio, nel ferrarese. E’ stato questo il passaggio di Marti da “maestro” a “professore”.

Nel 1895 pubblica a Ferrara il secondo volume de Origine e Fortuna della Coltura salentina, elogiato dallo stesso Carducci in Nuova Antologia.Dopo appena un biennio di esperienza scolastica tra i canali di Comacchio e molti plausi soprattutto in campo giornalistico (come direttore del foglio “Il Lavoro”), Marti, per questioni di salute, farà ritorno in Puglia. Egli sia a Taranto sia a Lecce troverà nel giornalismo e nell’insegnamento i due congeniali canali di realizzazione personale. Nella città ionica si fa apprezzare come operatore culturale (fonda “Il Salotto” e la sezione cittadina della “Dante Alighieri”), a Lecce, oltre che collaboratore di vari giornali, é apprezzato docente in vari tipi di scuola superiore (tecniche, artistiche e classiche).

In tutta la Puglia (Brindisi, Bari, Cerignola, Lecce)  e altrove (Roma) tiene conferenze di vario contenuto  storico-artistico. Accomuna una intensa attività produttiva editoriale a quella dell’insegnamento per un ventennio, sino a registrare anche l’esperienza di dirigente scolastico nella città di Manduria. L’11 ottobre 1921, per iniziativa del sindaco socialista Errico Giovanni, Marti viene designato per istituire a Manduria, in qualità di preside-dirigente, una “Scuola Tecnica privata”, quando a Lecce esercita la sua attività di professore di lettere nell’Istituto Statale d’Arte. Un anno di fruttuose soddisfazioni trascorre con un gruppo di circa 50 alunni iscritti, tra la soddisfazione di amministratori e famiglie. Così almeno sembra, a giudicare da una sua “Relazione” di fine anno, inviata al ministero il 29 luglio 1922.

Nell’autunno dello stesso anno, le mutate condizioni politiche generali e la baldanza della sezione fascista di Manduria rischiano di incrinare gravemente quell’esperienza scolastica, pure giudicata in città particolarmente fruttuosa. I fascisti locali lo accusano di avere percepito indebitamente due stipendi statali, dal novembre 1921 al gennaio 1923, e il clima in città sembra sommergere la buona esperienza del dirigente Marti. Nell’azione di volantinaggio fascista si getta fango sulla sua esperienza, si ipotizza la fine della “Scuola Tecnica Superiore” e il “tradimento” di Marti, come un dirigente scolastico “che se ne vuole andare” e affossare quell’istituto cittadino.  Marti, provocato sul registro della comunicazione a lui congeniale, risponde con suo volantino  a stampa, dal titolo “Per la verità” : nel giungere a Manduria, puntualizza, egli si era naturalmente messo in aspettativa  da professore a Lecce e l’opera diffamatoria della sezione PNF avrebbe portato tutti i responsabili in tribunale, con esiti di rilevanza penale. E nello stesso foglio dichiara: La missione della scuola dev’essere sacra e superiore a tutte le passioni personali e politiche; ed è triste per ogni paese quell’ora in cui si tenta di propinare il veleno della disistima fra discepoli e maestri.

Un’autentica dichiarazione di valore ideale sulla funzione educativa dell’istituzione scolastica e della funzione docente, della necessità di una forte sinergia tra famiglia e scuola, dell’idea del servizio che la politica deve fornire nell’interesse generale della popolazione. Quell’istituzione scolastica a Manduria sopravvisse per il 1922-’23 e Marti, a cui era stato offerto un importante incarico scolastico a Taranto, ritirò la sua decisione. Rimase per un altro anno a dirigere la Scuola Tecnica in quella città, per poi rientrare definitivamente a Lecce nel 1924. Nel 1923 aveva fondato, intanto, l’importante rivista “Fede” (poi trasformata, dal 1926, in “La Voce del Salento”), era stato nominato Ispettore ai Monumenti della provincia di Lecce. Per invito dell’Associazione Pugliese, tiene a Roma una conferenza, riportata su tutti i giornali della capitale.

Nell’estate del 1924 prepara l’organizzazione delle Biennali d’Arte, cui partecipano artisti e cultori della Puglia e dell’intera Italia meridionale. Le Biennali saranno ripetute nel 1926 e 1928, con il consenso del Governo, di stampa e  di critica. Ormai la sua passione di “docente” si affina verso percorsi culturali che lo vedranno, tra le tante opere pubblicate, autore de Ruderi e Monumenti della Penisola Salentina (1932), anche Direttore della Biblioteca Provinciale “Bernardini”, prima di cominciare a scrivere le sue Memorie, preziose, ma rimaste purtroppo incomplete.

Non così la sua figura di docente appassionato in favore della scuola e di ciò che essa d’importante significa per l’intera società di ogni tempo.

Pietro Marti (1863-1933). Cultura e giornalismo in Terra d’Otranto

Pietro Marti (1863-1933) Cultura e Giornalismo in Terra d’Otranto, Fondazione Terra d’Otranto, 2013, pp.  252, di Ermanno Inguscio.

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Della recente pubblicazione di Ermanno Inguscio, una elegante monografia sul giornalista salentino Pietro  Marti, scomparso nella sua Lecce ormai da otto decenni, Alessandro Laporta, direttore della Biblioteca provinciale  “N. Bernardini” rende atto all’autore che viene colmato un vuoto storiografico atto a rievocare la figura e l’opera di un insegnante, bibliotecario, giornalista, critico d’arte e animatore culturale del Salento tra Otto e Novecento. Pietro Marti, infatti, sulla scorta di una cospicua eredità fatta di libri, di articoli di giornali, di eventi e mostre d’arte, ha lasciato un patrimonio culturale che questo volume attualizza e rivaluta adeguatamente.

Inguscio, come scritto nella presentazione di Laporta, “ ha costruito un piedistallo su cui ora posa tranquilla la statua ideale di Pietro Marti”.

Un volume, edito dalla Fondazione Terra d’Otranto e curato dal suo presidente Marcello Gaballo, che risponde con pienezza  alle finalità delle attività di quell’Ente volte alla tutela, promozione e valorizzazione del patrimonio culturale dell’antica Terra d’Otranto.

La pubblicazione, scandita in relazione ai contenuti in quattro parti, presenta oltre alla bibliografia un indice delle molteplici illustrazioni sapientemente distribuite nel testo e soprattutto una puntuale “Cronotassi bio-bibliografica”, nella quale l’intera vicenda culturale ed umana di Marti è analizzata in sette periodi, che contraddistinguono peculiarità specifiche della sua multiforme attività. In successione, nello studio di Inguscio, le quattro parti del volume sul  “cacciatore di nuvole” (come è definito Marti da Cesare Giulio Viola): l’uomo di cultura, lo storico erudito e biografo, il direttore de “La Voce del Salento”, il cultore d’arte e di archeologia. “La parabola culturale e giornalistica di Pietro Marti, scrive l’autore del volume nell’”aletta” in seconda di copertina, figura di intellettuale poliedrico tra Otto e Novecento, si articolò nell’intera Penisola, spaziando dall’insegnamento al giornalismo, dalla ricerca storica al recupero dei Beni culturali di Terra d’Otranto e di Puglia. Originario di Ruffano (1863), ben presto emigrò a Lecce, dove fondò un ginnasio privato e diresse alcuni giornali di prestigio. Con la pubblicazione di  Origine e fortuna della Coltura salentina balzò all’attenzione nazionale con note di merito del Carducci e una cattedra d’italiano a  Comacchio. Soggiornò a Taranto, amico della famiglia dell’archeologo Luigi Viola, pubblicando testi e fondando alcuni giornali (“Il Salotto”), dirigendo importanti istituzioni scolastiche. Rientrato nel capoluogo leccese (1903), affinò l’attività di conferenziere e polemista, assumendo incarichi istituzionali e la nomina a regio Ispettore ai Monumenti e Scavi (1923-29).

Curò le Biennali d’Arte del 1924, 1926, 1928, fondò la rivista “Fede” (1923), divenuta poi “La Voce del Salento”, e infine assunse l’incarico di direttore della Biblioteca provinciale “N. Bernardini” di Lecce (1928-33), curando un apprezzato catalogo bibliografico”. Non meno degni di nota, nella pubblicazione di Inguscio, la riflessione sulla frequentazione familiare e il debutto giornalistico e letterario su “la Voce” del nipote Vittorio Bodini, poeta di rilevo del Salento, dopo gli studi di Antonio Lucio Giannone, compiuti presso l’Università degli Studi del Salento, che per primo ne aveva messo in giusta luce lo spessore letterario e l’ispirazione poetica.  E come per Pietro Marti, nel lavoro di Inguscio, anche per l’opera di Bodini, del resto, ricorre una periodizzazione, di sette fasi biografico-estetiche, riconosciuta dallo stesso critico Oreste Macrì, suo sodale e amico vicino-distante all’epoca delle adesioni-polemiche nell’assunzione del mito salentino, ma la settima, quella futurista di Bodini, fu certamente quella adolescenziale vissuta da Vittorio a Lecce, con il vecchio nonno Pietro, a cui l’irrequieto poeta aveva dedicato, nel marzo del 1933, tra rotative e le sue prime esperienze poetiche, “La processione delle lampadine”, con l’affettuoso sottotitolo “A Pietro Marti. A mio nonno”.

Anche per questo Pietro Marti registra qualche  merito nel panorama culturale pugliese.

Pietro Marti a 150 anni dalla nascita. Il saggista e il polemista

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di Ermanno Inguscio

 

Memorabili tra le sue polemiche quella con Pasquale Guarini sul Problema Morale nel secolo XIX, con Guido Porzio su Lucio Sergio Catilina e su Giulio Cesare Vanini, con Matteo Incagliati e Raffaele De Cesare su Don Liborio Romano e la Caduta dei Borboni. Lo scritto, ripubblicato nel 1909, secondo la Bibliografia di Nicola Vacca del 1949, con una silloge di lettere del Romano a Ercole Stasi, era di tono sicuramente apologetico.

Alla polemica con il senatore Raffaele De Cesare, ragione prima del libro Don Liborio Romano, fecero riscontro attestazioni di apprezzamento, come riferito dal nipote Vittorio Bodini nel 1933: “Nella stratosfera silente degli studiosi di trent’anni fa, si levò gran rumore, uomini che non lo conoscevano trovarono garenzia d’amicizia nel libro…”, che riportò il testo integrale dei messaggi, provenienti dalla Camera dei deputati e dal Senato del Regno, in cui gli onorevoli Enrico Ferri (da Spoleto, 23 luglio 1909) e Guido Mazzoni (da Roma, 25 giugno 1910) rimarcavano l’errata modalità di annessione delle Provincie meridionali al Regno d’Italia secondo criteri che ne avevano aggravato le specifiche problematiche, a suo tempo denunciate da Liborio Romano. Il volume oltre che su Marti, richiamò l’attenzione sulla spinosa questione dell’annessione “forzata”. Napoleone Colajanni pubblicò un lungo articolo su “Rivista Popolare”, Valentino Simiani su “Natura ed Arte”. Persino chi non condivideva la sua tesi sul Romano non poté astenersi dal lodare il volume. Pietro Palumbo, discorde da lui e dal De Cesare, in un accurato studio della polemica, scrisse su “Rivista Storica Salentina”: Per fortuna del buon nome pugliese Pietro Marti gli [al De Cesare]  gli ha contrapposto un suo lavoro, piccolo di mole, ma denso di documenti e di affetto. E’ la glorificazione, direi, è la riabilitazione di don Liborio Ministro di Francesco II. Se questo lavoro non avesse altro pregio, e ne ha parecchi, gli rimarrebbe sempre quello di aver rialzato il buon nome di Terra d’Otranto”. E lo stesso Matteo Incagliati, discorde anch’egli, concluse su “Il Giornale d’Italia”: “Pietro Marti ha reso un alto servizio alla causa della storia nazionale”.

Quando poi l’Incagliati riaprì il dibattito a proposito della polemica sul Romano, Marti scrisse un volumetto, I Naufraghi, supplemento degno del libro e lo ripubblicò poi in Pagine di propaganda civile, affiancando con conferenze e discorsi la passione del suo assunto.

Nel 1912 Marti affrontò nuovamente l’argomento con I Naufraghi (Per don Liborio Romano) Pagine di polemica, con cui si scontrò con M. Incagliati.

L’anno precedente aveva pubblicato, con I Precursori, facendone una strenna sul foglio “La Democrazia”, un nutrito lavoro su alcuni patrioti carbonari, su una Relazione dell’Intendente Cito (1828) e sull’arcidiacono neretino Giuseppe Maria Zuccaro. Infine con Alessandro Cutolo su Maria D’Enghien.

La poliedricità della sua mente, aperta a vari problemi di cultura e d’arte, lo mise in luce negli ambienti culturali della Lecce dei primi del Novecento. Il suo trittico  sulla Origine  e  Fortuna della Cultura Salentina, rappresenta il compendio della sua attività di studioso, sebbene punteggiata a volte da critiche amare, come quella di dilettantismo in materia di storiografia, rivoltagli dal prof. Alessandro Cutolo, a proposito di Maria d’Enghien.

Sulla conferenza che il Cutolo aveva tenuto a Lecce nella Sala “Dante Alighieri” il 28 marzo 1928, sul tema La gran passione di Maria d’Enghien, Marti aveva mosso alcuni rilievi sul suo giornale “La Voce del Salento”, sottolineando l’eccessiva erudizione dell’oratore e una non puntuale documentazione.

Ne nacque una polemica, com’era da prevedersi, le cui pagine furono raccolte da Marti in un volume pubblicato a Lecce, poco prima della sua morte, per i tipi dell’Editrice Italia Meridionale, nel 1931, dal titolo Nella Terra di A. Galateo.

All’accusa di dilettantismo Marti rispose con un lungo articolo nel quale lamentava, in sostanza, che nella conferenza, fosse stata eccessivamente mortificata la personalità storica della sfortunata Contessa. Dopo due giorni il Cutolo replicò, mettendo ancora in  dubbio le doti di storico di Pietro Marti, accusandolo di attenersi più alle cronache che ai documenti, sulle quali egli aveva invece condotto il suo lavoro, consultando gli atti della Cancelleria di Re Ladislao e della regina Giovanna.

La polemica, mentre contribuì a riscoprire aspetti meno noti della personalità di Maria d’Enghien, finì con l’esasperare i due, come accade spesso in queste occasioni, inasprendole a tal punto da far dichiarare al Cutolo, in una sua lettera del 20 aprile, di non voler più rispondere a Marti su quell’argomento.

Tra i due, invero, fu il Nostro a mantenere il garbo e la calma, mentre il Cutolo manifestò la propria impazienza con antipatici riferimenti di sufficienza cattedratica, sebbene mista ad attestazioni di simpatia e stima. Il Nostro non se ne dolse, rispondendo ancora al Cutolo, che aveva inteso chiudere bruscamente ogni tipo di contatto, e rimandando ogni definitiva puntualizzazione alla pubblicazione su Maria d’Enghien che ne sarebbe seguita.

La polemica, in  fondo non giovò neppure a Marti, che se non registrò l’aumento della  sua fama, tuttavia presso gli sprovveduti la vide incrinata, dove invece non c’era d’attendersi necessariamente, in simili diatribe, un vincitore e un vinto, ma rispettabili valutazioni storiche pur su posizioni diverse.

Egli era abituato, però, a mantenere alta la guardia contro denigratori o avversari di turno. Scorrendo le pagine del suo giornale “La Voce del Salento”, è facile rilevare che anche come giornalista di razza fosse sottoposto a continue provocazioni.

Marti dovette rintuzzare i periodici assalti, come quello del cav. Giuseppe Zaccaria, che, dalle colonne del “Corriere del Salento”, avanzava dubbi sulla sua “sincerità politica” nei confronti del fascismo e addirittura sulla sua “educazione giornalistica”. E ciò avveniva nell’ottobre del 1932, ad appena sei mesi prima della sua morte, quando dal suo giornale dovette rispondere per le rime  con due articoli di  fondo, il primo Un chiarimento e il secondo Nel campo della sincerità. Premessa.

Ma ancor maggiore eco ebbe a Lecce e nell’intero Meridione, in campo storico-culturale, la polemica sostenuta da Marti, dalle colonne del suo giornale “La Voce del Salento”, contro la prestigiosa opera enciclopedica della “Treccani”, sulla quale, con ferree argomentazioni si denunciavano gravi omissioni di contenuti (quando non errori e abbagli madornali) in relazione a personaggi della storia del Salento e della Puglia intera, a firma di studiosi pur riconosciuti in campo nazionale. Il giornale leccese divenne la roccaforte delle puntuali contestazioni rivolte a spada tratta, e senza alcuna concessione di sorta, al prestigioso Comitato redazionale, nonché alla Direzione, dal giugno all’agosto del 1932, con la puntigliosa riproposizione di una rubrica, a firma di Ellenio, Rilievi e Polemiche. Lagune, granchi e… papere nella Enciclopedia Treccani. La polemica assunse i toni di una virulenza tale che per stemperare i caustici “rilievi” di Ellenio, graditi all’intero panorama culturale salentino e meridionale, pensò bene di scomodarsi lo stesso filosofo Giovanni Gentile. Questi  indirizzò ad Ellenio (pseudonimo, per il filosofo, un po’ troppo comodo) una puntuale lettera di precisazione circa i contenuti e le modalità editoriali dell’intera opera enciclopedica, pubblicata sul periodico leccese il 31 luglio 1932. Nelle ficcanti osservazioni di Marti, pesanti e puntuali come macigni, che rischiavano di mettere alla berlina studiosi di fama conclamata alla stregua di distratti scolaretti, si additavano omissioni, nelle voci “campanile” e “chiesa”, quali la mancata citazione della Guglia di Soleto del 1397 e il Tempio dei SS. Niccolò e Cataldo di Lecce.

In altro articolo si contestavano le sole cinque righe assegnate a Cosimo De Giorgi dall’estensore, prof. Stefano Sorrentino, che pure aveva pubblicato nel 1876 le Note Geologiche della Provincia di Lecce. In altro intervento, alle voci “Arditi” e “Briganti”, Marti considerava assolutamente inaccettabile la mancata citazione dell’Arditi e del gallipolino Tommaso Briganti (1691-1772). Come non mancava di sottolineare, il 24 luglio 1932, il pressapochismo della linea editoriale Treccani, per cui non si diceva assolutamente nulla di personaggi come Oronzo Massa, di Filippo Lopez y Royo, arcivescovo di Palermo, e di Francesco Antonio Astore, una delle vittime più illustri della repressione borbonica del 1799.

Nella lettera di Giovanni Gentile, dal filosofo si contestarono le “omissioni” denunciate dal giornale leccese che altro non erano che il frutto di scelte editoriali obbligate in forza del carattere universale della Enciclopedia, nella quale non potevano confluire tutte le voci di “abbazie, campanili, chiese e personaggi storici”: altro, dunque che “lagune, granchi e papere”. A tali “omissioni”, tuttavia, Gentile annunciava ad Ellenio (ma chi si celava sotto quello “pseudonimo”?) la promessa della compilazione e stampa di un apposito “Dizionario biografico degli Italiani”. Al direttore del foglio leccese “La Voce” se piacque l’annuncio del promesso Dizionario Biografico, non mancò l’ardire di respingere però al mittente l’ammiccante accusa di giornalista “mimetizzato” sotto le ali di uno pseudonimo. E in una conclusiva replica sulla faccenda della Treccani, a comprova della sua coraggiosa militanza giornalistica di un intero cinquantennio di battaglie contro la sordità di Sovrintendenze e Istituzioni, attacchi di giornali e scontri in campo amministrativo, rimarcava che le lacune, una volta accertate, rimangono tali e i granchi e le papere non si possono improvvisamente dissolvere in altro. Il pezzo si concludeva con la firma Pietro Marti e, tra parentesi, lo pseudonimo Ellenio. La prima e unica volta in cui il direttore del giornale leccese decise di apporre, su “La Voce”, ambedue le indicazioni.

Ma ai colpi mancini della fortuna Marti era abituato, sin dalla fanciullezza, quando, rimasto a sei anni orfano di padre, impiegato presso la Pretura di Ruffano, con l’aiuto dei fratelli maggiori, era riuscito, con grande sacrificio a conquistare il patentino di maestro rurale. Qui cominciò col misurarsi con le scolaresche del natìo paesello, dove pure entrò in conflitto con la locale amministrazione, il cui sindaco Santaloja gli interruppe lo stipendio, per essersi assentato dal servizio, per motivi di studio. Ne nacque un contrasto infinito, con ricorsi legali sino alla Corte dei Conti e che lo fece decidere vieppiù ad allontanarsi dall’amata terra di origine, trasferendosi presso gli istituti scolastici di Comacchio. Con la sua multiforme attività giornalistica si fece apprezzare nell’intera Penisola, più tardi anche come Direttore della Biblioteca provinciale “Bernardini” e come Ispettore onorario ai Monumenti per la Provincia di Lecce.

Tornò a Ruffano un’ultima volta, il 24 aprile 1927, per tenervi il discorso inaugurale per il Monumento ai Caduti, La Vittoria alata, opera offerta alla cittadinanza dal suo grande concittadino, l’artista Antonio Bortone.

Questi soltanto alcuni degli aspetti di Marti giornalista, conferenziere e polemista. Ciò era doveroso rimarcarlo, ma è soltanto parte di quanto si può riferire del suo battagliero e creativo giornalismo, della sua profonda cultura in ordine ai temi di rilevanza civile, trattati nelle conferenze in giro per la Puglia e l’intera Penisola, e della stessa virulenza delle polemiche innescate in nome del suo amore per il Salento, la Puglia, l’Italia. Altri interessanti aspetti verranno degnamente sottolineati nel preannunciato Convegno nazionale da celebrarsi ad inizio estate 2013, tra Lecce e  Ruffano, da valenti studiosi come Alessandro Laporta e il prof. Antonio Lucio Giannone. Il primo, infatti, in qualità di direttore della Biblioteca provinciale “Bernardini” di Lecce approfondirà tematiche bibliografiche anche in ordine al “Catalogo” del suo predecessore Marti; il secondo compulserà aspetti più tipicamente letterari, che appunteranno la riflessione sulla poesia del grande salentino Vittorio Bodini.

 

(Pubblicato su Presenza Taurisanese, a. XXXI, aprile 203, pp. 8-9)

Pietro Marti a 150 anni dalla nascita. Un convegno a Lecce e a Ruffano per ricordare la personalità e l’opera

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di Ermanno Inguscio

                                                        

Doppio anniversario nel 2013 per Pietro Marti (Ruffano, 1863 – Lecce, 1933), uno relativo alla nascita (150 anni), l’altro alla morte (80 anni). Marti, il cui nome completo era Pietro Luigi, dominò la scena culturale salentina a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Fu insegnante, giornalista, cultore d’arte e di storia, ispettore ai Monumenti di Terra d’Otranto e infine direttore della Biblioteca Provinciale “Bernardini” di Lecce. Ma fu soprattutto fondatore e direttore di giornali, da Taranto a Comacchio e alla stessa Lecce, dove visse la sua vita di lavoro e di affetti per quasi un intero cinquantennio. Da direttore della Biblioteca Provinciale produsse un importante “Catalogo”, in cui sono comprese anche le sue opere, una quarantina, che rappresentano la testimonianza  di un’appassionata difesa e valorizzazione delle patrie memorie del Salento e dei Salentini.

A giugno ci sarà un Convegno Nazionale di Studi, patrocinato dalla Provincia, dalla Biblioteca Provinciale di Lecce e dal Comune di Ruffano, organizzato dall’Università del Salento e dalla Società di Storia Patria per la Puglia. In quella sede i relatori metteranno in risalto i suoi tanti aspetti di studioso e di propagatore di cultura.

***

Tra gli aspetti minori della personalità di Pietro Marti va considerata la frenetica, ed apprezzata, attività di conferenziere, che egli ebbe ad esprimere un po’ in tutto il suo peregrinare per la Penisola,  già da giovane insegnante nelle terre delle inclementi nebbie di Comacchio, e in varie città italiane, dalla capitale Roma e per l’intero Meridione.

Per il suo costante impegno culturale, che lo portava presso circoli d’impegno sociale (sezioni di Società di Mutuo Soccorso, circoli cittadini, Società “Dante Alighieri”, ecc.), e per la notorietà di giornalista e direttore di testate da lui fondate un po’ dappertutto, egli fu apprezzato quale conferenziere d’un certo successo.

Nel 1896, dopo la breve parentesi di permanenza in Alta Italia, fiaccato dalle nebbie di Comacchio, e dopo aver pubblicato nella sua nuova residenza a Taranto l’interessante opuscolo La modellatura in carta, lesse la conferenza Il sorriso nell’arte, in cui sorprese gli uditori per l’acutezza d’interpretazione e per la facilità di spostarsi dall’enciclopedismo alla piacevolezza dello svolgimento. Ma la sua attività letteraria non gli impedì un’intensa vita politica, giornalistica ed umana. Fondò così nella città ionica “Il Salotto” Biblioteca tascabile, foglio dettato dal bisogno di dare linfa al languore letterario locale. Furono suoi collaboratori Luigi Marti, Scarano, Gigli e molti altri, i quali favorirono una produzione editoriale volta ad ostacolare la congerie della cattiva produzione in poesia e in  prosa che veniva d’Oltralpe.

La sua produzione attinse alla fonte dell’abbondanza interiore. Nel 1903, dopo la pubblicazione di un altro libro Giuseppe Battista e i poeti Salentini del secolo XVII, in cui disegnò con acutezza critica il Seicento e l’Arcadia del Salento, tornò a Lecce, a commemorare, invitato dal Circolo Artistico, il grande Dante. La conferenza, interamente pubblicata dalla rivista “Rinascenza”, porse occasione a lusinghieri commenti come quello del “Corriere Meridionale”: “Poche volte si può provare un senso di maggiore godimento intellettuale, come scorrendo quelle pagine, entro cui si fonde la geniale severità dell’osservazione con la luminosa e affascinante immagine poetica”.  Ma già Matilde Serao aveva scritto di Marti: ”Tra questi studiosi serii, notevoli per profondità di pensiero, dalla parola ampia, vibrante ed eletta è da annoverarsi l’egregio autore di questa “Visione”.

A Lecce, nel 1910, nel pieno dell’infuriare della polemica scatenata (con l’Incagliati) dal volume su “Don Liborio Romano”, Marti tenne una conferenza, presso la “Sala Dante”, dal titolo Popolo e Principato nell’Epopea Nazionale, la cui eco comparve nella stampa dell’intero Salento.

Delle relazioni preparate (e spesso lette) abbiamo, invece, un ampio elenco a stampa, pubblicato nella raccolta Storia ed Arte (Conferenze  e discorsi), dalla tipografia La Modernissima nel centrale Palazzo leccese Andretta.

Se non mancò l’opportunità di misurarsi nella capitale, Roma, nell’aprile del 1924, con la relazione Nella terra di Melo su invito dell’Associazione Pugliese, addirittura massiccia fu la sua presenza nelle principali città meridionali e della Puglia in particolare. Nel maggio del 1917 tenne una prima volta a Bari la conferenza dal titolo La terra di Melo, su invito dell’Università popolare. In altra conferenza nella stessa città, trattò il tema Le sorgenti della coscienza civile in Terra di Bari.

A San Severo, nel marzo del 1921, dove si era spostato in qualità di Direttore delle Scuole Tecniche “Zanotti”, su invito dell’Università popolare parlò de Il dovere civile e Giuseppe Mazzini. E nella stessa città, che lo aveva visto alcuni anni anche docente nelle Scuole superiori, nell’aprile dello stesso anno, in occasione del VI Centenario della morte di Dante Alighieri, fu invitato a conferire con la relazione dal titolo La missione del vate. Nel 1922 parlò de La guerra otrantina e A. Galateo. Nel 1923, anno in cui notissimo era Marti per la fondazione del foglio “Fede”, tenne una conferenza a Lecce, Nella Terra di Tancredi, a beneficio del Padiglione cittadino “E. Mussolini”; nel settembre di quello stesso anno, a Taranto, città dove aveva soggiornato, condiviso l’amicizia dei Viola, fondato e diretto alcuni giornali di prestigio, inaugurò un Corso di conferenze cittadine presso il Circolo “Giacosa” con la citata relazione Nella terra di Tancredi.

In quello stesso anno, nel dicembre del 1923, con Sorrisi dell’Arte e del pensiero, nella città ionica di Gallipoli inaugurò un Corso di conferenze all’Associazione “Amatori d’Arte”. Con la stessa relazione tenuta nella città-perla dello Jonio, nel giugno del 1924, si spese con grande successo in una serata a favore del Liceo scientifico del capoluogo salentino. Con Sibilla di Lecce, nel febbraio del 1925, riscosse grande successo presso la casa Apostolico, alla Brigata degli Amici dei Monumenti. Il 15  aprile di quell’anno, sempre a Lecce, tenne il discorso inaugurale, in Piazza Duomo, per la posa della Fontana Monumentale. Nell’estate di quell’anno, il 15 luglio 1925, a Gallipoli, in occasione della III Mostra d’Arte Moderna, tenne il discorso inaugurale dell’importante evento.

Nella stessa raccolta citata, Storia ed Arte, egli pubblicò tre saggi, autentici reportages di viaggio, dal titolo Escursioni, il primo Alla Limini (1908), il secondo  A Carpignano (1909), il terzo A Maruggio (1922), in cui esprime interessanti osservazioni su tematiche di carattere naturalistico e paesaggistico. Ma le conferenze del Nostro non furono soltanto queste citate, perché espressamente pubblicate a stampa in un volume. Di altre, e diverse, abbiamo un’eco in alcune delle più note testate giornalistiche di Taranto, Lecce e Bari degli anni Venti.

***

Al giornalista, saggista, cultore d’arte e di storia patria non mancò la connotazione di polemista efficace e battagliero, caratteristica riconosciuta da tutti a Marti sin dal suo primo apparire sul panorama salentino della cultura storico-letteraria.

A tale aspetto della sua forte personalità fece riferimento Pasquale Sorrenti nel suo Repertorio bibliografico (ed. 1976), quando citò, nel lungo elenco delle sue opere, due scritti di Marti, Verso il nuovo secolo (Pagine di polemica) del 1905 e I naufraghi (per don Liborio Romano). Pagine di polemica del 1915, entrambe stampate a Lecce presso la Tipografia Sociale.

Marti fu sempre un grande lottatore in ogni ambito della sua esistenza. Da insegnante, conquistando giorno per giorno i titoli sufficienti al riconoscimento ufficiale, passando da maestro rurale al ruolo di professore pareggiato ed ordinario nelle Scuole Tecniche, negli Istituti magistrali, nei Licei scientifici e Classici, anche per cattedre speciali come quella della storia dell’Arte. Da conferenziere originale e geniale trattò i temi più vari a Lecce, Brindisi Taranto, Bari e Roma. Da storico e letterato, dal pensiero profondo, dalla cultura enciclopedica, dalla forma agile e chiara, che gli fece produrre oltre quaranta tra libri, monografie e saggi.

Da giornalista egli fu irresistibile ricercatore della verità, fiero nell’arengo politico e letterario, dando vita ad un vero popolo di periodici e di riviste, che spesso determinarono indirizzi nuovi nei vari ambienti. Notevoli tra tutti La Democrazia, Il Popolo e Storia ed Arte a Lecce, Il Lavoro a Ferrara, L’Avvenire, L’Indipendente, La Palestra e il Salotto (biblioteca tascabile) a Taranto.

E proprio in campo giornalistico Marti si trovò a scontrarsi con Nicola Bernardini, altro giornalista di razza, all’epoca in cui, ceduta la proprietà di Democrazia al senatore Tamborrino, dal 21 ottobre 1919 al giugno del 1920, scrivendo da direttore contro il suo rivale. Ne nacquero polemiche personali asperrime, violentissime, che Pietro Marti sostenne contro Bernardini, dal quale venne ricambiato con egual moneta dalle colonne della sua “Provincia di Lecce”. Polemiche ripetutesi ad intervalli per un trentennio e che spesso finirono in processi da cui Marti uscì sempre assolto.

 

(Pubblicato su Presenza Taurisanese, a. XXXI, marzo 2013, p. 11)

Pietro Marti (1863-1933) direttore di giornali

di Ermanno Inguscio

Pietro Marti  ( Ruffano,1863- Lecce,1933) fu saggista, studioso di storia, arte e archeologia, giornalista, docente, ispettore onorario ai Monumenti, e direttore della Biblioteca Provinciale “Bernardini” di Lecce, nella quale si conservano una quarantina di sue apprezzate opere, volte al recupero delle memorie patrie della Terra di Salento.

La vivacissima attività giornalistica di Pietro Marti, iniziata poco più che ventenne e alimentata per l’intero arco della sua esistenza, si manifestò con un innato spirito creativo tale da farlo misurare subito alla direzione di qualche foglio, da lui fondato e diretto, senza quasi passare dalla fase di semplice pubblicista, appassionato dello strumento della comunicazione cartacea di riviste e giornali.

La sua attività, nel complesso, si articolò lungo due principali filoni produttivi: la collaborazione a giornali affidati alla direzione di altri colleghi e le prestigiose iniziative, fatte su diverse testate, di fondazione e direzione di giornali e riviste d’ampio respiro, compito assunto in prima persona, con costanza e ardito piglio giornalistico.

Egli era nato a Ruffano il 15 giugno 1863, dal padre Pietro, occupato come cancelliere presso il regio giudicato di quel circondario e dalla madre Elena Manco, contadina quarantanovenne, che dovette presto occuparsi da sola della sua educazione per la prematura scomparsa del padre. Compiuti i suoi primi studi in patria e poi a Lecce, conseguì con profitto la patente di maestro elementare. Ottenne la prima nomina in una pluriclasse del comune di nascita, Ruffano, ma contrasti con quella amministrazione comunale (e la sospensione dello stipendio nel luglio 1883), per i quali produsse ricorsi persino al Consiglio di Stato, lo spinsero a spostarsi presso scuole di Comacchio. Qui, accanto all’attività d’insegnamento e alla proficua produzione delle prime monografie di ambito storico, affiancò presto una febbrile attività giornalistica. Successivamente si spostò a Taranto e Lecce, dove fondò e diresse diverse giornali e riviste.

Nella sua casa leccese costituì grande figura di riferimento per il giovane nipote, l’adolescente Vittorio Bodini. Al piccolo Vittorio, infatti, figlio di Anita Marti, era mancato irrimediabilmente il rapporto con la giovane mamma, approdata a nuovo matrimonio con  Luigi Guido, e costretto a rimanere per tutta l’infanzia in casa del nonno materno, e lontano dai quattro fratelli nati dal patrigno.

Così, stando alla traccia biografica dell’esegeta e amico della prima ora, suo conterraneo, Oreste Macrì, Bodini visse con Pietro Marti la prima delle sue “sette vite”, quella dell’infanzia e dell’adolescenza futurista.

A Lecce, accanto al nonno, l’inquieto Bodini apprese a conoscere menabò e ogni fase di allestimento d’un giornale, e da cui fu certamente spinto a compiere i primi approcci con l’attività scrittoria, che tanto lustro diedero alla letteratura di tutto il Salento.

Pietro Marti produsse nella sua vita una quarantina di opere di carattere storico-artistico, tra cui le più famose “Origine e fortuna della coltura salentina”, oltre a tenere decine di conferenze in tutta la Puglia. Per oltre un ventennio raccolse attorno a sé giovani artisti salentini, che si prodigò di far conoscere al grande pubblico. Divenne poi Ispettore onorario dei Monumenti e Scavi per la Provincia di Lecce e direttore della Biblioteca Provinciale “N. Bernardini”, per cui lasciò un prezioso “Catalogo bibliografico delle Opere di scrittori salentini” (1929). Morì a Lecce il 18 aprile 1933, lasciando un grande vuoto negli ambienti storico-artistico e giornalistico dell’intera Puglia.

Interessante è  soffermarsi, a questo punto, sull’attività giornalistica affrontata da Marti in qualità di direttore, cui non riusciva difficile fondare di sana pianta nuove testate, quasi in ogni città che l’avevano visto vagare su e giù per la Penisola.

Prestigiosa, agli occhi di molti estimatori, apparve la sua attività  giornalistica di direzione-produzione di fogli di grande respiro e di forte impatto culturale nell’intero Salento e nelle maggiori città di Puglia.

Appena ventiseienne Pietro Marti, alla luce anche dell’esperienza del collezionista Nicola Bernardini, che l’anno precedente, nel 1896, aveva suscitato scalpore con la ghiotta pubblicazione sulla storia del giornalismo leccese (Giornali e Giornalisti Leccesi, Lecce, Ed. Lazzaretti, 1896) dal 1808 al 1896, intraprese l’avventura della direzione in città del settimanale “La Democrazia”. Grande era infatti, nel capoluogo leccese  l’esigenza d’una grande spinta all’informazione periodica, sebbene le statistiche ufficiali ponessero Lecce tra le città italiane con maggiore presenza di testate.

La rivista fu sospesa per alcuni anni, durante i quali Marti, trasferitosi prima a Comacchio, poi a Taranto, dove aveva fondato altri giornali come “Jonio (1896), “Il Lavoro” (1898), “La Palestra” (1902), aveva continuato la sua vivace attività di giornalista, oltre che quella di docente nelle Scuole pubbliche. Il settimanale leccese, “La Democrazia”, riprese le nuove pubblicazioni con due numeri di saggio, il 6 e il 13 dicembre 1902, ma col sottotitolo di “Pugliese”, poi soppresso, stampato nella Tip. di L. Carrozzini e M. Ghezzi. Con il numero 4 uscì dalla Tipografia Garibaldi, col numero 16 fu aggiunto il sottotitolo di “Corriere Salentino politico amministrativo, commerciale letterario”, presso la Tipografia Giurdignano.

Subì poi interruzioni ed ebbe riprese editoriali; ma la regolarità delle pubblicazioni

non fu sempre rispettata. Nel 1913, anche se per breve tempo, figurò direttore Pietro Massari.

“La Democrazia”, ceduta in proprietà al senatore Tamborrino, uscì, sempre sotto la direzione di Marti, in edizione quotidiana, durante il periodo elettorale dal 21 ottobre 1919 fino al giugno 1920 dalla Tip. Leccese Bortone e Miccoli. Memorabili le polemiche personali asperrime, violentissime che Pietro Marti sostenne contro Nicola Bernardini, che lo ricambiò con eguale moneta sulla sua “Provincia di Lecce”, polemiche ripetutesi ad intervalli durante un trentennio, e che spesso finirono in processi da cui Marti ne uscì sempre assolto.

Intanto, nel 1891, Marti aveva diretto il foglio settimanale leccese L’Indipendente , che trattò ambiti di politica amministrativa, commerciale e naturalmente anche di arte. Vi collaborò Giuseppe Petraglione e i numeri furono stampati presso gli stabilimenti Scipione Ammirato e  Garibaldi.

 Nel periodo di permanenza a Taranto, Marti volle subito misurarsi in quel contesto con la direzione di alcuni giornali.  L’esperienza maturata a Lecce, infatti, costituirono una grande premessa per risvegliare la città jonica dal torpore nel quale sembrava fosse da tempo precipitata.

Cominciò  nell’aprile del 1896  con “Il Salotto”, una sorta di biblioteca tascabile, stampata presso l’Editore Salvatore Mazzolino.

Un foglio, dal titolo analogo, diretto da Niccolò Foscarini, aveva avuto breve vita a Lecce, dall’ottobre 1885 al novembre 1886.

Il primo fascicolo jonico, di trenta paginette, uscì il primo aprile 1896. Il numero complessivo delle uscite, stando alla testimonianza di Nicola vacca, ammonta a otto. Nella pubblicazione trovarono spazio anche poesie di Emilio Consiglio, Luigi Marti, Giuseppe Scarano e Giuseppe Gigli; conferenze di Alessandro Criscuolo e Angelo Lo Re, un dramma di un atto di Michele De Noto. Ciò a comprova dell’interesse per la letteratura di Pietro Marti e di tutti i suoi collaboratori. Tra questi, il prof. Giuseppe Gigli, in una sua conferenza del 3 maggio 1890, letta nella sala dell’Associazione Giuseppe Giusti in Lecce e data alle stampe, per  i tipi dei Fratelli Spacciante, aveva toccato ampiamente “Lo stato delle lettere in Terra d’Otranto”.

Nel maggio dell’anno successivo, Marti fondò a Taranto e diresse, in qualità anche di proprietario, “L’Avvenire”. Si trattò di un periodico bisettimanale, edito dalla Tipografia del Commercio, che stampò il primo numero il 3-4 maggio 1897.

Nel luglio del 1898 egli fece stampare un altro periodico, “Il Presente”, presso lo Stabilimento Tipografico di F. Leggieri: gli ambiti trattati andarono dal politico-amministrativo al commerciale, senza mai trascurare quello letterario.

Al periodo del suo ritorno a Lecce risale l’altra pubblicazione da lui diretta nel 1900, “L’Imparziale”, un periodico settimanale, che trattò argomenti politico-amministrativi, commercio e arte. I numeri pubblicati, videro la luce presso la Tipografia  litografica dei Magazzini Emporio.

Un’altra importante direzione di Marti fu quella della rivista quindicinale d’arte e di cultura,  “Fede”, pubblicata per Lecce e Taranto, a partire dal 1 dicembre 1923. Col primo numero dell’anno III (1 gennaio 1925), il formato divenne più ampio. I primi due fascicoli, di 16 pagine in 8°, si stamparono nella Tipografia Sociale di Oronzo Guido, i successivi nella Tip.-Litogr. Giuseppe Guido. L’ultimo fascicolo (16-17 dell’anno III) uscì il 15 novembre 1925.

Si trasformò poi, in giornale settimanale dal titolo “La Voce del Salento”, sempre diretta da Marti, a partire dal 15 gennaio 1926, per i tipi della Tip. Prim. “La Modernissima”, che fece sentire il proprio peso sull’opinione pubblica salentina sino all’anno della morte di Marti, avvenuta nel maggio del 1933. Vi collaborarono tra gli altri, Gregorio Carruggio, Pasquale Camassa, E. Alvino, Elia Franich, Luigi Paladini, P. Maggiulli, N. Vacca, presso cui fu reperibile l’intera collezione della rivista.

Alla scomparsa di Pietro Marti, non fu soltanto Lecce a perdere un’epigone del giornalismo militante, votato alla riscoperta e alla rivalutazione delle peculiarità storico-artistico-culturali di Terra d’Otranto, ma l’intera Puglia  e la stessa Italia, nelle quali egli, sin da giovane e per diverse stagioni della sua esistenza, aveva operato battendosi con passione nel campo dell’istruzione, dell’informazione, della storia e dell’arte.

 

pubblicato nel bimestrale “Terra di Leuca”, Tricase, a. VII (novembre 2010), n. 39, p. 6.

Il giornalista ruffanese Pietro Marti (1863-1933)

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di Ermanno Inguscio

 

Dopo un primo contributo sul direttore della Biblioteca  provinciale “Bernardini”, Pietro Marti (1863-1933), descritto nella sua preziosa attività di direttore di giornali, in questo secondo intervento si lumeggerà la sua attività di giornalista, sua seconda attività, dopo quella di giovane docente a Ruffano e a Comacchio, lungo il suo peregrinare per la Penisola  tra fine Ottocento e il primo trentennio del Novecento.

La vivacissima attività giornalistica di Pietro Marti, iniziata poco più che ventenne e alimentata per l’intero arco della sua esistenza, si articolò lungo due principali filoni produttivi: la collaborazione a giornali diretti da altri, di cui qui si riferisce, e le prestigiose iniziative, diverse, già presentate su questo foglio, di fondazione e direzione di giornali e riviste d’ampio respiro.

Quanto alla “collaborazione” giornalistica di Marti, anticipata dalla prestigiosa direzione a “Democrazia”, iniziò con una lettera al Comitato di curatori del numero unico “ 2 Giugno”, composto da studenti e operai democratici leccesi. Il foglio aveva visto la luce a Lecce nel 1889, per i tipi della Tipografia Campanella. Su quelle colonne, accanto a diversi interventi sulla figura di Garibaldi, erano riportate altre due lettere, sempre rivolte al Comitato, ad opera di A. Saffi e di F. Rubichi.

Significativamente dedicato nel sottotitolo (“A Giuseppe Garibaldi”), dell’eroe dei due mondi, su “2 Giugno” era riprodotto il testo di un suo biglietto, indirizzato a Carlo Arrighi, il 7 aprile del 1862.

Dal 1891  Marti collaborò alla stesura del settimanale di Vincenzo Giosa, “Il Messaggero  Salentino”, con interventi giornalistici forniti per undici anni,  quasi quanto tutta la durata del foglio leccese, pronto a dare manforte all’impostazione già battagliera e scopertamente votata  a favore di Pellegrino. Suoi collaboratori nella più che decennale impresa furono Pietro Trinchera, G. Pellegrino, Francesco Rubichi, ecc.

Clemente Antonaci, Giuseppe Petraglione. Il giornale ebbe una ripresa nel 1908 e col numero del 23 giugno uscì sotto la direzione di Francesco Forleo-Casalini e dopo di Duilio Guglielmi. Di fatto era direttore e redattore principale Vincenzo Giosa e, dopo il 1898, fu vivamente antipellegriniano. Col numero 3 dell’anno VII (1897), iniziò la pubblicazione delle Cronache di Lecce dal 1591 al 1775 del Braccio, del Panettera e del Cino, da uno zibaldone del Duca Castromediano. Nella Biblioteca provinciale si conservano i numeri delle prime cinque annate, della VII, X e XII.

Marti fu poi partecipe allo stuolo di collaboratori de “La Cronaca Letteraria”, diretta da Giuseppe Petraglione, pubblicata a Lecce dal 1 gennaio 1893, presso la Tip. Lazzaretti e Figli.

Il giornale sospese le pubblicazioni col numero 8 del 16 aprile 1893. Le riprese il 2 maggio 1894. Dopo sei numeri cessò definitivamente il 5 agosto 1894. La seconda serie uscì per i tipi della Tip. Cooperativa, Editore Vincenzo De Filippi. Vi collaborarono, oltre il Petraglione, Clemente Antonaci, Carmelo Arnisi, di cui abbiamo ampiamente riferito nella monografia  Carmelo Arnisi. Un maestro-poeta dell’800 (Congedo Ed., 2003), Francesco Bernardini, Alessandro Criscuolo, Cosimo De Giorgi, Francesco D’Elia, Giuseppe Gigli, Trifone Nutricati, Arturo Tafuri, Vincenzo Ampolo, ecc.

Due mesi dopo, nel marzo del 1891, con Giacomo Gridi, Marti fu assiduo redattore del settimanale satirico leccese  “Don Ficchino”, diretto da Giuseppe  Carlino. Si trattava di un giornaletto di piccolo  formato, ma di grande impatto su ogni fascia di lettore, anche di tipo popolare, molto noto per le sue punzecchiature velenose, mimetizzate sotto il velo d’una leggera ironia, non sempre pietosa, che di rado mancava il bersaglio. Ai deputati al Parlamento Brunetti e Monticelli  non furono mai risparmiati gli strali della critica, ma non sfuggirono alla gogna gli avvocati socialisti, gli acquirenti di titoli nobiliari e, come allora si diceva, gli spacciatori di carte false. Sebbene i numeri pubblicati non superarono la decina, i vespai nati si rivelarono tuttavia così virulenti, da suggerire presto ai redattori, rimasti all’inizio pure anonimi, il pensiero del’interruzione della stampa del periodico. Cosa che puntualmente avvenne, a conferma dell’estrema pericolosità della satira politica per i propri ideatori.

Dal 7 giugno 1896, all’epoca del soggiorno nella città jonica, sotto lo pseudonimo di “Ellenio”, Marti produsse diversi interventi, richiesti dal direttore-proprietario Alfredo Guariglia della pubblicazione “Jonio”, organo delle provincie meridionali. Il taglio era di carattere politico, commerciale e letterario. Agli articoli furono spesso accostate delle piccanti vignette, che miravano a colpire soprattutto l’on. Nicola Re.

Del periodo del soggiorno “tarantino”, preceduta già dalla direzione de “Il Salotto” dell’aprile del 1896 e del periodico bisettimanale “L’Avvenire” (1897), di cui figurò anche proprietario, fu sua la collaborazione al foglio indipendente “Il Lavoro”, che usciva con cadenza settimanale, a partire dal 1898, e per cinque anni, diretto da Antonio Misurale.

Sempre a Taranto, dal maggio del 1902, il Nostro collaborò alla stampa del settimanale “La Palestra, diretta da Achille Trisolari. Purtroppo, ebbe a lamentare Nicola Vacca, anche di quella pubblicazione non si conservano che pochissimi esemplari.

Oltre agli interessi di carattere storico-artistico, non mancò a Marti quello per le manifestazioni d’ordine letterario. Dal 1905, infatti, collaborò alla rivista quindicinale “Calliope”, diretta da Luigi De Simone, su cui furono affrontate questioni relative alla produzione poetica, alla prosa ed al teatro. Suoi compagni di avventura furono V. D. Palumbo e Francesco Capozza.

Marti non mancò di essere nello stuolo dei protagonisti delle vicende editoriali

della “Rivista Storica Salentina”, fondata nel 1903 dal direttore Pietro Palumbo. Il prestigioso mensile fu stampato prima presso la Tipografia Giurdignano, poi presso la “Dante Alighieri”. La rivista fu sospesa coi numeri 1-2 dell’anno X (1915) per la morte del direttore Palumbo. Riprese le pubblicazioni, il 20 luglio 1916, sotto la direzione di Salvatore Panareo e Cosimo De Giorgi, stampata dall’editore Gaetano Martello nella Tipografia Salentina.

Con la morte del De Giorgi, avvenuta nel dicembre 1922, rimase direttore Salvatore Panareo. Con l’ultimo fascicolo del 1920 si pubblicò in Maglie nella Tipografia Messapica di B. Canitano. Le pubblicazioni cessarono definitivamente con l’anno XIII, nel dicembre del 1923.

In Appendice si pubblicarono le Cronache Leccesi del Braccio, del Panettera, del Cino e del Piccinni. Nell’anno X vi è l’indice del decennale, compilato da Panareo e una commossa necrologia di Pietro Palumbo, dettata da Cosimo De Giorgi.

La rivista, creata con i soli mezzi finanziari del Palumbo, verso il quale insensibili furono le pubbliche amministrazioni, avare di aiuti nel difficile periodo dell’anteguerra, costituì un’importantissima rassegna di studi storici regionali per serietà, costanza di propositi e cospicui risultati raggiunti.

Il Palumbo seppe radunare intorno alla sua rivista i migliori studiosi tanto da farne per molti anni il centro propulsore di autorevoli studi storici salentini. Tra i maggiori collaboratori non mancarono, oltre al direttore, Pietro Marti, F. Bacile, Luigi e Pasquale Maggiulli, Amilcare Foscarini, Cosimo De Giorgi, N. Bernardini, Umberto Congedo, il can. Francesco D’Elia, Salvatore Panareo, Baldassarre Terribile, Giovanni e Ferruccio Guerrieri, Giuseppe Blandamura,, Giovanni Antonucci, Nicola Argentina, G. F. Tanzi, Rodolfo Francioso, Giuseppe Petraglione, V. De Fabrizio, M.A. Micalella, P. Coco, C. Massa, F. D’Elia, T. Nutricati, E. Pedìo, A. Perotti, F. Ribezzo, G. Ceci,, F. Barberio,L. Bianchi,. P. Camassa, G. Della Noce. V.D. Palumbo, G. Porzio, A. Anglani, ecc.

Il Vacca notava che questa rivista era la più ricordata e la più ricercata dai collezionisti, lettori e studiosi. La sua collezione completa, che per fortuna è presente nella Biblioteca provinciale, è quotatissima, anche perché ormai introvabile.

Altra interessante collaborazione di Marti fu quella che egli fornì al foglio Arco di Prato, che cominciò le sue pubblicazioni  a Lecce nel 1928. Esso vedeva la luce una volta l’anno, la sera del Veglione della Stampa, quando veniva presentato al pubblico leccese. Tra i principali redattori dei primi anni vi furono Ernesto Alvino, Nicola Vacca e Mario Bernardini. Spesso non fece mancare la sua collaborazione anche Pietro Marti, Memorabili, tra le caricature che non mancavano quasi mai, quelle di Ernesto Alvino e Pippi Rossi.

Nel 1932 fu scritto in Almanacco Illustrato (Il Salento, 1932) il contributo non firmato, ma certamente  fornito da Pietro Marti, dal titolo “Giornali e giornalisti di altri tempi: nel decennio del trasformismo”. Nella nota giornalistica si faceva un quadro del decennio trasformista nella provincia di Lecce e soprattutto, ed è ciò che depone in favore della sua paternità, l’apologia del giornale “La Democrazia”, che il giornalista ruffanese aveva diretto.

Questa, dunque, la serie completa, forse, dei fogli, delle riviste e dei periodici che videro Pietro Marti, accanto ad altri prestigiosi intellettuali salentini, misurarsi con la nobile arte del giornalismo, fatto di serietà e di passione, con le quali egli illuminò non poco il panorama culturale della sua Lecce e dell’intera Puglia, con tracce significative da lui lasciate anche in altre città della Penisola, come a Comacchio, dove egli aveva soggiornato e scritto, sempre con l’intento di recuperare e riproporre il patrimonio storico-artistico delle nostre genti salentine.

 

pubblicato nel  bimestrale  “Terra di Leuca”, Tricase, a. VIII (2011), n. 40, p. 7.

L’attività giornalistica di Pietro Marti. Il direttore, il giornalista (1863-1933)

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di Ermanno Inguscio

Pietro Marti  ( Ruffano,1863- Lecce,1933) fu saggista, studioso di storia, arte e archeologia, giornalista, docente, ispettore onorario ai Monumenti, e direttore della Biblioteca Provinciale “Bernardini” di Lecce, nella quale si conservano una quarantina di sue apprezzate opere, volte al recupero delle memorie patrie della Terra di Salento.

La vivacissima attività giornalistica di Pietro Marti, iniziata poco più che ventenne e alimentata per l’intero arco della sua esistenza, si manifestò con un innato spirito creativo tale da farlo misurare subito alla direzione di qualche foglio, da lui fondato e diretto, senza quasi passare dalla fase di semplice pubblicista, appassionato dello strumento della comunicazione cartacea di riviste e giornali.

La sua attività, nel complesso, si articolò lungo due principali filoni produttivi: la collaborazione a giornali affidati alla direzione di altri colleghi e le prestigiose iniziative, fatte su diverse testate, di fondazione e direzione di giornali e riviste d’ampio respiro, compito assunto in prima persona, con costanza e ardito piglio giornalistico.

Egli era nato a Ruffano il 15 giugno 1863, dal padre Pietro, occupato come cancelliere presso il regio giudicato di quel circondario e dalla madre Elena Manco, contadina quarantanovenne, che dovette presto occuparsi da sola della sua educazione per la prematura scomparsa del padre. Compiuti i suoi primi studi in patria e poi a Lecce, conseguì con profitto la patente di maestro elementare. Ottenne la prima nomina in una pluriclasse del comune di nascita, Ruffano, ma contrasti con quella amministrazione comunale (e la sospensione dello stipendio nel luglio 1883), per i quali produsse ricorsi persino al Consiglio di Stato, lo spinsero a spostarsi presso scuole di Comacchio. Qui, accanto all’attività d’insegnamento e alla proficua produzione delle prime monografie di ambito storico, affiancò presto una febbrile attività giornalistica. Successivamente si spostò a Taranto e Lecce, dove fondò e diresse diverse giornali e riviste.

Nella sua casa leccese costituì grande figura di riferimento per il giovane nipote, l’adolescente Vittorio Bodini. Al piccolo Vittorio, infatti, figlio di Anita Marti, era mancato irrimediabilmente il rapporto con la giovane mamma, approdata a nuovo matrimonio con  Luigi Guido, e costretto a rimanere per tutta l’infanzia in casa del nonno materno, e lontano dai quattro fratelli nati dal patrigno.

Così, stando alla traccia biografica dell’esegeta e amico della prima ora, suo conterraneo, Oreste Macrì, Bodini visse con Pietro Marti la prima delle sue “sette vite”, quella dell’infanzia e dell’adolescenza futurista.

A Lecce, accanto al nonno, l’inquieto Bodini apprese a conoscere menabò e ogni fase di allestimento d’un giornale, e da cui fu certamente spinto a compiere i primi approcci con l’attività scrittoria, che tanto lustro diedero alla letteratura di tutto il Salento.

Pietro Marti produsse nella sua vita una quarantina di opere di carattere storico-artistico, tra cui le più famose “Origine e fortuna della coltura salentina”, oltre a tenere decine di conferenze in tutta la Puglia. Per oltre un ventennio raccolse attorno a sé giovani artisti salentini, che si prodigò di far conoscere al grande pubblico. Divenne poi Ispettore onorario dei Monumenti e Scavi per la Provincia di Lecce e direttore della Biblioteca Provinciale “N. Bernardini”, per cui lasciò un prezioso “Catalogo bibliografico delle Opere di scrittori salentini” (1929). Morì a Lecce il 18 aprile 1933, lasciando un grande vuoto negli ambienti storico-artistici e del giornalismo dell’intera Puglia.

Interessante è  soffermarsi, a questo punto, sull’attività giornalistica affrontata da Marti in qualità di direttore, cui non riusciva difficile fondare di sana pianta nuove testate, quasi in ogni città che l’avevano visto vagare su e giù per la Penisola.

Prestigiosa, agli occhi di molti estimatori, apparve la sua attività  giornalistica di direzione-produzione di fogli di grande respiro e di forte impatto culturale nell’intero Salento e nelle maggiori città di Puglia.

Appena ventiseienne Pietro Marti, alla luce anche dell’esperienza del collezionista Nicola Bernardini, che l’anno precedente, nel 1896, aveva suscitato scalpore con la ghiotta pubblicazione sulla storia del giornalismo leccese (Giornali e Giornalisti Leccesi, Lecce, Ed. Lazzaretti, 1896) dal 1808 al 1896, intraprese l’avventura della direzione in città del settimanale “La Democrazia”. Grande era infatti, nel capoluogo leccese  l’esigenza d’una grande spinta all’informazione periodica, sebbene le statistiche ufficiali ponessero Lecce tra le città italiane con maggiore presenza di testate.

La rivista fu sospesa per alcuni anni, durante i quali Marti, trasferitosi prima a Comacchio, poi a Taranto, dove aveva fondato altri giornali come “Jonio (1896), “Il Lavoro” (1898), “La Palestra” (1902), aveva continuato la sua vivace attività di giornalista, oltre che quella di docente nelle Scuole pubbliche. Il settimanale leccese, “La Democrazia”, riprese le nuove pubblicazioni con due numeri di saggio, il 6 e il 13 dicembre 1902, ma col sottotitolo di “Pugliese”, poi soppresso, stampato nella Tip. di L. Carrozzini e M. Ghezzi. Con il numero 4 uscì dalla Tipografia Garibaldi, col numero 16 fu aggiunto il sottotitolo di “Corriere Salentino politico amministrativo, commerciale letterario”, presso la Tipografia Giurdignano.

Subì poi interruzioni ed ebbe riprese editoriali; ma la regolarità delle pubblicazioni

non fu sempre rispettata. Nel 1913, anche se per breve tempo, figurò direttore Pietro Massari.

“La Democrazia”, ceduta in proprietà al senatore Tamborrino, uscì, sempre sotto la direzione di Marti, in edizione quotidiana, durante il periodo elettorale dal 21 ottobre 1919 fino al giugno 1920 dalla Tip. Leccese Bortone e Miccoli. Memorabili le polemiche personali asperrime, violentissime che Pietro Marti sostenne contro Nicola Bernardini, che lo ricambiò con eguale moneta sulla sua “Provincia di Lecce”, polemiche ripetutesi ad intervalli durante un trentennio, e che spesso finirono in processi da cui Marti ne uscì sempre assolto.

Intanto, nel 1891, Marti aveva diretto il foglio settimanale leccese L’Indipendente , che trattò ambiti di politica amministrativa, commerciale e naturalmente anche di arte. Vi collaborò Giuseppe Petraglione e i numeri furono stampati presso gli stabilimenti Scipione Ammirato e  Garibaldi.

 Nel periodo di permanenza a Taranto, Marti volle subito misurarsi in quel contesto con la direzione di alcuni giornali.  L’esperienza maturata a Lecce, infatti, costituirono una grande premessa per risvegliare la città jonica dal torpore nel quale sembrava fosse da tempo precipitata.

Cominciò  nell’aprile del 1896  con “Il Salotto”, una sorta di biblioteca tascabile, stampata presso l’Editore Salvatore Mazzolino.

Un foglio, dal titolo analogo, diretto da Niccolò Foscarini, aveva avuto breve vita a Lecce, dall’ottobre 1885 al novembre 1886.

Il primo fascicolo jonico, di trenta paginette, uscì il primo aprile 1896. Il numero complessivo delle uscite, stando alla testimonianza di Nicola vacca, ammonta a otto. Nella pubblicazione trovarono spazio anche poesie di Emilio Consiglio, Luigi Marti, Giuseppe Scarano e Giuseppe Gigli; conferenze di Alessandro Criscuolo e Angelo Lo Re, un dramma di un atto di Michele De Noto. Ciò a comprova dell’interesse per la letteratura di Pietro Marti e di tutti i suoi collaboratori. Tra questi, il prof. Giuseppe Gigli, in una sua conferenza del 3 maggio 1890, letta nella sala dell’Associazione Giuseppe Giusti in Lecce e data alle stampe, per  i tipi dei Fratelli Spacciante, aveva toccato ampiamente “Lo stato delle lettere in Terra d’Otranto”.

Nel maggio dell’anno successivo, Marti fondò a Taranto e diresse, in qualità anche di proprietario, “L’Avvenire”. Si trattò di un periodico bisettimanale, edito dalla Tipografia del Commercio, che stampò il primo numero il 3-4 maggio 1897.

Nel luglio del 1898 egli fece stampare un altro periodico, “Il Presente”, presso lo Stabilimento Tipografico di F. Leggieri: gli ambiti trattati andarono dal politico-amministrativo al commerciale, senza mai trascurare quello letterario.

Al periodo del suo ritorno a Lecce risale l’altra pubblicazione da lui diretta nel 1900, “L’Imparziale”, un periodico settimanale, che trattò argomenti politico-amministrativi, commercio e arte. I numeri pubblicati, videro la luce presso la Tipografia  litografica dei Magazzini Emporio.

Un’altra importante direzione di Marti fu quella della rivista quindicinale d’arte e di cultura,  “Fede”, pubblicata per Lecce e Taranto, a partire dal 1 dicembre 1923. Col primo numero dell’anno III (1 gennaio 1925), il formato divenne più ampio. I primi due fascicoli, di 16 pagine in 8°, si stamparono nella Tipografia Sociale di Oronzo Guido, i successivi nella Tip.-Litogr. Giuseppe Guido. L’ultimo fascicolo (16-17 dell’anno III) uscì il 15 novembre 1925.

Si trasformò poi, in giornale settimanale dal titolo “La Voce del Salento”, sempre diretta da Marti, a partire dal 15 gennaio 1926, per i tipi della Tip. Prim. “La Modernissima”, che fece sentire il proprio peso sull’opinione pubblica salentina sino all’anno della morte di Marti, avvenuta nel maggio del 1933. Vi collaborarono tra gli altri, Gregorio Carruggio, Pasquale Camassa, E. Alvino, Elia Franich, Luigi Paladini, P. Maggiulli, N. Vacca, presso cui fu reperibile l’intera collezione della rivista.

Alla scomparsa di Pietro Marti, non fu soltanto Lecce a perdere un epigone del giornalismo militante, votato alla riscoperta e alla rivalutazione delle peculiarità storico-artistico-culturali di Terra d’Otranto, ma l’intera Puglia  e la stessa Italia, nelle quali egli, sin da giovane e per diverse stagioni della sua esistenza, aveva operato battendosi con passione nel campo dell’istruzione, dell’informazione, della storia e dell’arte.

La vivacissima attività giornalistica di Pietro Marti, iniziata poco più che ventenne e alimentata per l’intero arco della sua esistenza, si articolò, come detto, lungo due principali filoni produttivi: la collaborazione a giornali diretti da altri, di cui qui si riferisce, e le prestigiose iniziative, diverse, di fondazione e direzione di giornali e riviste d’ampio respiro.

Quanto alla “collaborazione” giornalistica di Marti, anticipata dalla prestigiosa direzione a “Democrazia”, iniziò con una lettera al Comitato di curatori del numero unico “ 2 Giugno”, composto da studenti e operai democratici leccesi. Il foglio aveva visto la luce a Lecce nel 1889, per i tipi della Tipografia Campanella. Su quelle colonne, accanto a diversi interventi sulla figura di Garibaldi, erano riportate altre due lettere, sempre rivolte al Comitato, ad opera di A. Saffi e di F. Rubichi.

Significativamente dedicato nel sottotitolo (“A Giuseppe Garibaldi”), dell’eroe dei due mondi, su “2 Giugno” era riprodotto il testo di un suo biglietto, indirizzato a Carlo Arrighi, il 7 aprile del 1862.

Dal 1891  Marti collaborò alla stesura del settimanale di Vincenzo Giosa, “Il Messaggero  Salentino”, con interventi giornalistici forniti per undici anni,  quasi quanto tutta la durata del foglio leccese, pronto a dare manforte all’impostazione già battagliera e scopertamente votata  a favore di Pellegrino. Suoi collaboratori nella più che decennale impresa furono Pietro Trinchera, G. Pellegrino, Francesco Rubichi, ecc.

Clemente Antonaci, Giuseppe Petraglione. Il giornale ebbe una ripresa nel 1908 e col numero del 23 giugno uscì sotto la direzione di Francesco Forleo-Casalini e dopo di Duilio Guglielmi. Di fatto era direttore e redattore principale Vincenzo Giosa e, dopo il 1898, fu vivamente antipellegriniano. Col numero 3 dell’anno VII (1897), iniziò la pubblicazione delle Cronache di Lecce dal 1591 al 1775 del Braccio, del Panettera e del Cino, da uno zibaldone del Duca Castromediano. Nella Biblioteca provinciale si conservano i numeri delle prime cinque annate, della VII, X e XII.

Marti fu poi partecipe allo stuolo di collaboratori de “La Cronaca Letteraria”, diretta da Giuseppe Petraglione, pubblicata a Lecce dal 1 gennaio 1893, presso la Tip. Lazzaretti e Figli.

Il giornale sospese le pubblicazioni col numero 8 del 16 aprile 1893. Le riprese il 2 maggio 1894. Dopo sei numeri cessò definitivamente il 5 agosto 1894. La seconda serie uscì per i tipi della Tip. Cooperativa, Editore Vincenzo De Filippi. Vi collaborarono, oltre il Petraglione, Clemente Antonaci, Carmelo Arnisi, di cui abbiamo ampiamente riferito nella monografia  Carmelo Arnisi. Un maestro-poeta dell’800 (Congedo Ed., 2003), Francesco Bernardini, Alessandro Criscuolo, Cosimo De Giorgi, Francesco D’Elia, Giuseppe Gigli, Trifone Nutricati, Arturo Tafuri, Vincenzo Ampolo, ecc.

Due mesi dopo, nel marzo del 1891, con Giacomo Gridi, Marti fu assiduo redattore del settimanale satirico leccese  “Don Ficchino”, diretto da Giuseppe  Carlino. Si trattava di un giornaletto di piccolo  formato, ma di grande impatto su ogni fascia di lettore, anche di tipo popolare, molto noto per le sue punzecchiature velenose, mimetizzate sotto il velo d’una leggera ironia, non sempre pietosa, che di rado mancava il bersaglio. Ai deputati al Parlamento Brunetti e Monticelli  non furono mai risparmiati gli strali della critica, ma non sfuggirono alla gogna gli avvocati socialisti, gli acquirenti di titoli nobiliari e, come allora si diceva, gli spacciatori di carte false. Sebbene i numeri pubblicati non superarono la decina, i vespai nati si rivelarono tuttavia così virulenti, da suggerire presto ai redattori, rimasti all’inizio pure anonimi, il pensiero del’interruzione della stampa del periodico. Cosa che puntualmente avvenne, a conferma dell’estrema pericolosità della satira politica per i propri ideatori.

Dal 7 giugno 1896, all’epoca del soggiorno nella città jonica, sotto lo pseudonimo di “Ellenio”, Marti produsse diversi interventi, richiesti dal direttore-proprietario Alfredo Guariglia della pubblicazione “Jonio”, organo delle provincie meridionali. Il taglio era di carattere politico, commerciale e letterario. Agli articoli furono spesso accostate delle piccanti vignette, che miravano a colpire soprattutto l’on. Nicola Re.

Del periodo del soggiorno “tarantino”, preceduta già dalla direzione de “Il Salotto” dell’aprile del 1896 e del periodico bisettimanale “L’Avvenire” (1897), di cui figurò anche proprietario, fu sua la collaborazione al foglio indipendente “Il Lavoro”, che usciva con cadenza settimanale, a partire dal 1898, e per cinque anni, diretto da Antonio Misurale.

Sempre a Taranto, dal maggio del 1902, il Nostro collaborò alla stampa del settimanale “La Palestra, diretta da Achille Trisolari. Purtroppo, ebbe a lamentare Nicola Vacca, anche di quella pubblicazione non si conservano che pochissimi esemplari.

Oltre agli interessi di carattere storico-artistico, non mancò a Marti quello per le manifestazioni d’ordine letterario. Dal 1905, infatti, collaborò alla rivista quindicinale “Calliope”, diretta da Luigi De Simone, su cui furono affrontate questioni relative alla produzione poetica, alla prosa ed al teatro. Suoi compagni di avventura furono V. D. Palumbo e Francesco Capozza.

Marti non mancò di essere nello stuolo dei protagonisti delle vicende editoriali

della “Rivista Storica Salentina”, fondata nel 1903 dal direttore Pietro Palumbo. Il prestigioso mensile fu stampato prima presso la Tipografia Giurdignano, poi presso la “Dante Alighieri”. La rivista fu sospesa coi numeri 1-2 dell’anno X (1915) per la morte del direttore Palumbo. Riprese le pubblicazioni, il 20 luglio 1916, sotto la direzione di Salvatore Panareo e Cosimo De Giorgi, stampata dall’editore Gaetano Martello nella Tipografia Salentina.

Con la morte del De Giorgi, avvenuta nel dicembre 1922, rimase direttore Salvatore Panareo. Con l’ultimo fascicolo del 1920 si pubblicò in Maglie nella Tipografia Messapica di B. Canitano. Le pubblicazioni cessarono definitivamente con l’anno XIII, nel dicembre del 1923.

In Appendice si pubblicarono le Cronache Leccesi del Braccio, del Panettera, del Cino e del Piccinni. Nell’anno X vi è l’indice del decennale, compilato da Panareo e una commossa necrologia di Pietro Palumbo, dettata da Cosimo De Giorgi.

La rivista, creata con i soli mezzi finanziari del Palumbo, verso il quale insensibili furono le pubbliche amministrazioni, avare di aiuti nel difficile periodo dell’anteguerra, costituì un’importantissima rassegna di studi storici regionali per serietà, costanza di propositi e cospicui risultati raggiunti.

Il Palumbo seppe radunare intorno alla sua rivista i migliori studiosi tanto da farne per molti anni il centro propulsore di autorevoli studi storici salentini. Tra i maggiori collaboratori non mancarono, oltre al direttore, Pietro Marti, F. Bacile, Luigi e Pasquale Maggiulli, Amilcare Foscarini, Cosimo De Giorgi, N. Bernardini, Umberto Congedo, il can. Francesco D’Elia, Salvatore Panareo, Baldassarre Terribile, Giovanni e Ferruccio Guerrieri, Giuseppe Blandamura,, Giovanni Antonucci, Nicola Argentina, G. F. Tanzi, Rodolfo Francioso, Giuseppe Petraglione, V. De Fabrizio, M.A. Micalella, P. Coco, C. Massa, F. D’Elia, T. Nutricati, E. Pedìo, A. Perotti, F. Ribezzo, G. Ceci,, F. Barberio,L. Bianchi,. P. Camassa, G. Della Noce. V.D. Palumbo, G. Porzio, A. Anglani, ecc.

Il Vacca notava che questa rivista era la più ricordata e la più ricercata dai collezionisti, lettori e studiosi. La sua collezione completa, che per fortuna è presente nella Biblioteca provinciale, è quotatissima, anche perché ormai introvabile.

Altra interessante collaborazione di Marti fu quella che egli fornì al foglio Arco di Prato, che cominciò le sue pubblicazioni  a Lecce nel 1928. Esso vedeva la luce una volta l’anno, la sera del Veglione della Stampa, quando veniva presentato al pubblico leccese. Tra i principali redattori dei primi anni vi furono Ernesto Alvino, Nicola Vacca e Mario Bernardini. Spesso non fece mancare la sua collaborazione anche Pietro Marti, Memorabili, tra le caricature che non mancavano quasi mai, quelle di Ernesto Alvino e Pippi Rossi.

Nel 1932 fu scritto in Almanacco Illustrato (Il Salento, 1932) il contributo non firmato, ma certamente  fornito da Pietro Marti, dal titolo “Giornali e giornalisti di altri tempi: nel decennio del trasformismo”. Nella nota giornalistica si faceva un quadro del decennio trasformista nella provincia di Lecce e soprattutto, ed è ciò che depone in favore della sua paternità, l’apologia del giornale “La Democrazia”, che il giornalista salentino aveva diretto.

Questa, dunque, la serie completa, forse, dei fogli, delle riviste e dei periodici che videro Pietro Marti, accanto ad altri prestigiosi intellettuali salentini, misurarsi con la nobile arte del giornalismo, fatto di serietà e di passione, con le quali egli illuminò non poco il panorama culturale della sua Lecce e dell’intera Puglia, con tracce significative da lui lasciate anche in altre città della Penisola, come a Comacchio, dove egli aveva soggiornato e scritto, sempre con l’intento di recuperare e riproporre il patrimonio storico-artistico delle nostre genti.

 

 Testo pubblicato in: “Note di storia e Cultura Salentina”, Lecce, Grifo Ed., a. XX (2012-2011), pp. 227-234. 

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