Lu maccarrone (il maccherone): il suo etimo è duro, come il grano di cui dovrebbe esser fatto … (1/2)

di Armando Polito

Miniatura dal Theatrum sanitatis, manoscritto (n. 4182) del XIV secolo custodito nella Biblioteca Casanatense a Roma (immagine tratta da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e8/6-alimenti%2C_pasta%2CTaccuino_Sanitatis%2C_Casanatense_4182..jpg)
Miniatura dal Theatrum sanitatis, manoscritto (n. 4182) del XIV secolo custodito nella Biblioteca Casanatense a Roma (immagine tratta da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e8/6-alimenti%2C_pasta%2CTaccuino_Sanitatis%2C_Casanatense_4182..jpg)

 

Sulla seconda parte del titolo non mi attardo; dico solo che non mi meraviglierei se prima o poi la cronaca dovesse registrare la notizia secondo la quale uno o più produttori di maccheroni sono stati incriminati perchè si è scoperto che tra gli ingredienti c’era anche una buona percentuale di cemento (bianco in alcuni tipi, grigio in altri) e che, attenzione!, l’incriminazione sarebbe dovuta non alla presenza, peraltro reale e provata, del cemento ma al fatto della sua assenza (anche questa reale e provata) tra gli ingredienti la cui indicazione  l’UE prevede tassativamente in etichetta …

L’attestazione più antica finora conosciuta della parola sarebbe (spiegherò dopo il condizionale) contenuta  In un atto di vendita dell’aprile del 1041 pubblicato nel Codex diplomaticus Cavensis, a cura di Mauro Schiani, Michele Morcaldi e Silvano De Stefano, Hoepli, Milano,  tomo VI, pp.  155-156, documento n. CMLXXIV. Ecco il brano che ci interessa (tratto da http://atena.beic.it/view/action/nmets.do?DOCCHOICE=1089355.xml&dvs=1452447044821~863&locale=it_IT&search_terms=&adjacency=&VIEWER_URL=/view/action/nmets.do?&DELIVERY_RULE_ID=7&divType=&usePid1=true&usePid2=true) e che corrisponde proprio alla parte iniziale del documento: + In nomine domini vicesimo tertio anno principatus domni nostri guaimari eius salerni, et tertio anno eius capue, et secundo anno eius ducatus amalfi et sorrento, glorioso principe, mense aprelis, nona indictione. Ideoque ego nardus filius quondam mari, qui dicitur mackarone … (+ In nome del Signore nel ventitreesimo anno del principato di Salerno del nostro signore Guaimario, nel terzo di quello di Capua e nel secondo del ducato di Amalfi e Sorrento, principe glorioso, nel mese di aprile nella nona indizione. E perciò io Nardo Figlio del fu Maro soprannominato mackarone …).

Come non ricordare che dalle nostre parti maccarrone è un appellativo non proprio gratificante, perché sinonimo di stupido? Gli amici napoletani, poi, rincarano la dose con maccarone senza pertuso (maccherone senza il buco). Ma perché, con tante altre cose naturali e artificiali al mondo, proprio il maccherone doveva essere il protagonista di questa metafora? La fantasia di ognuno può dare la sua risposta. Io, per esempio, lasciandomi forse suggestionare troppo da quel suo reale o presunto suffisso accrescitivo –one, metterei in campo l’idea della grossezza e, spiccando un volo troppo ardito, penserei al crassa (o pinguis) Minerva (crasso ingegno; Minerva era, fra l’altro, la dea dell’intelligenza) degli autori latini2, usato in tutti i contesti: da quello rurale, al filosofico, al sessuale.

La lettura di mackarone nell’atto è fuor di dubbio; secondo me, invece (sto spiegando, come mi ero ripromesso di fare, il condizionale di l’attestazione più antica finora conosciuta della parola sarebbe contenuta), non solo è difficile dire se il significato metaforico del nomignolo è legato ad una caratteristica fisico-psichica di Maro o alla sua professione (pastaio?) ma io non sarei nemmeno sicuro che esso sia effettivamente legato all’alimento, perché potrebbe essere portatore di una pura coincidenza fonetica e legato, perciò, ad altro concetto.

Siccome questo maccherone mi sta uscendo troppo lungo ho deciso di spezzarlo in due parti, ragion per cui le altre attestazioni e il resto troveranno spazio nella prossima puntata.

 

Per la seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/01/19/lu-maccarrone-il-maccherone-il-suo-etimo-e-duro-come-il-grano-di-cui-dovrebbe-esser-fatto-22/

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1 Guaimario IV fu principe di Salerno dal 1027 al  1052 e di Capua dal 1038al 1047), nonché duca di Amalfi dal 1039 al 1043), di Gaeta dal 1040 al 1041) e di Sorrento (dal 1040 fino alla morte). Questi dati coincidono con quelli dell’atto (indizione compresa) e consentono di datarlo con assoluta precisione al 1041.

 

2 Orazio (I secolo a. C.), Sermones, II, 2, 3: Ofellus/ rusticus, abnormis sapiens crassaque Minerva/ …(… il contadino Ofello, filosofo fuori dalle regole, di crasso ingegno …).

Columella (I secolo d. C.), De agricultura, Proemio: Potest enim nec subtilissima nec rursus, quod aiunt, pingui Minerva res agrestis administrari (L”impresa agricola può essere amministrata né con sottilissimo né d’altra parte, come dicono, con crasso ingegno); XI, 1: … in hac autem ruris disciplina non desideratur eiusdem scrupolositas; sed, quod dicitur, pingui Minerva quantum vis utile contiget villico tempestatis futurae praesagium … ( … in questa disciplina agraria, poi, non si richiede una simile sottigliezza, ma, come si dice, pur con crasso ingegno, tornerà utile al fattore la previsione del tempo …).

Carmina Priapea (I secolo d. C.), 3: Obscure poteram tibi dicere: – Da mihi, quod tu/des licet asidue, nil tamen inde perit./Da mihi, quod cupies frustra dare forsitan olim,/cum tenet obsessas invida barba genas;/quodque Iovi dederat, qui raptus ab alite sacra/miscet amatori pocula grata suo;/quod virgo prima cupido dat nocte marito, dum timet alterius vulnus inepta loci -./Simplicius multo est – Da pedicare – Latine/Dicere. Quid faciam? Crassa Minerva mea est (Potrei dirti con un giro di parole: – Dammi ciò che tu potresti dare di continuo senza che per questo si consumi. Dammi ciò che forse un tempo desidererai invano di dare, quando una barba invidiosa ti ricoprirà le guance; e ciò che aveva dato a Giove colui che rapito dal sacro uccello riempie al suo amante gradite coppe [allusione a Ganimede, il giovinetto di cui Giove si era invaghito e che,rapito dall’aquila, uccello sacro al re degli dei, di questi ultimi divenne il coppiere]; ciò che la vergine dona la prima notte al marito voglioso, mentre l’inesperta teme la ferita dell’altro posto -. È molto più semplice (dire) alla latina: – Fatti sodomizzare! -. Che vuoi che faccia? La mia intelligenza è crassa.

 

Dalle orecchiette alle ‘ncannulate. Salento, terra di trafilatori

di Massimo Vaglio

In più occasioni, abbiamo illustrato i formati caserecci di pasta della tradizione salentina, dalle fatidiche orecchiette, da sempre  l’emblema della cucina di questa regione, alle ormai parimenti famose sagne “ncannulate” o agli arcaici maccheroncini cavati. Tutti  formati che ormai vengono apprezzati anche fuori regione anche grazie all’opera di promozione svolta dalle tante dinamiche aziende produttrici.

Per quanto riguarda la preparazione casalinga di questi formati, ricordiamo che le farine vengono quasi sempre ricavate da grani duri coltivati localmente e moliti artigianalmente dai tanti piccoli molini sparsi un po’ in tutto il Salento, Non si tratta quindi di semole, ma di farine, con un vario grado di raffinazione a cui, spesso, chi preferisce un prodotto più rustico vi aggiunge ad arte una percentuale variabile di cruschello ricavato dall’abburattamento della farina dopo la separazione della crusca vera e propria.

Quella della preparazione casalinga della pasta è una pratica semplice che necessita principalmente di una buona materia prima, pochi rudimentali attrezzi e di una sicura manualità.

Il Salento, è però anche terra di rinomati opifici per la produzione industriale di pasta secca trafilata, un’attività che non scaturisce come si potrebbe pensare dall’evoluzione della preparazione casalinga della pasta. Enorme è infatti il divario tecnologico tra le due produzioni, che se si volesse fare un parallelo è come se si mettessero a confronto una carriola con una potente auto di ultima generazione. Un divario tecnologico che parte dalla produzione della semola, per produrre la quale occorrono macchinari imponenti, sofisticati e precisissimi quali i molini di alta macinazione. Piuttosto, la produzione industriale rappresenta il frutto della lenta evoluzione di un’attività che, iniziata

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