W li paparine

di Carlo Mazzotta

Quotidianamente sono attratto da storie che mi piacerebbe riassumere nei miei quaderni audiovisivi. Cose “semplici” come il raccolto e la preparazione delle “paparine”. 

La storia è semplicissima: mio padre raccoglie, mia madre cucina e in un paio di minuti le immagini devono saper raccontare una ricetta ricca di conoscenza, ricordo, passione e dedizione di due giovani 82enni. Si può dare per scontato ma non è semplice riconoscere le piante se non ci si affianca e non è semplice cucinare un piatto tipico se non lo si vede prepare. E allora siccome siamo nell’era in cui siamo abituati a dimenticare in fretta perchè travolti da una quantità assurda di informazioni, cerco di difendermi azionando quel pulsante di registrazione.

Poi se il video funzionasse anche per l’appello finale sarebbe il colmo, occorrono delle immagini per far capire che il diserbo chimico è una pratica insensata e dannosa? (vorrei aggiungere anche criminale).

Quindi: NO al diserbo chimico, mangia sanu, W li paparine!

Videomaker copertinese, ha fatto del suo lavoro una passione e viceversa, pubblica i suoi lavori su internet ed è molto contento quando la gente si iscrive al suo canale di youtube https://www.youtube.com/user/lacromatz

Carlo Mazzotta
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La paparìna (il papavero) (III parte)

di Armando Polito

TERZA ED ULTIMA PARTE: LE TESTIMONIANZE DEGLI AUTORI GRECI, QUALCHE IMMAGINE DI IERI E DI OGGI, UNA SORPRESA FINALE…

Aristofane (V-IV secolo a. C.), Gli uccelli, vv. 159-160: E becchiamo nei giardino i bianchi sesami e i mirti e i papaveri (nel testo originale mèkona, accusativo plurale di mekon) e i sisimbri.

Callimaco (III secolo a. C.), Inno a Demetra, vv. 44-45: Subito, dopo aver assunto le sembianze di Nicippa che la città stessa aveva fatto sua sacerdotessa, prese in mano la fascia sacra, il papavero (nel testo originale màkona, accusativo singolare di makon, forma dorica per l’attica mekon) e aveva la chiave appesa in spalla.

Teocrito (III secolo a. C.), Idilli, VII, vv. 255-257: …che io possa ancora piantare nel mucchio [di grano] la mia grande pala e che lei [Demetra] sorrida tenendo nelle due mani fasci di spighe e papaveri (nel testo originale màkonas, accusativo plurale di makon, forma dorica corrispondente all’attica mekon).

Dioscoride Pedanio (I secolo d. C.)

Il papavero in una tavola dell’opera di Dioscoride contenuta nel Codex Vidobonensis (VI secolo), custodito nella Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna, che costituisce il più antico erbario giunto fino a noi

Il papavero rhoeas (nell’originale greco mekon rhoiàs1) ebbe questo nome dal fiore che cade precocemente (alcuni lo chiamano oxytono (nell’originale greco oxýtonon2), i Romani papaverale (nell’originale greco papaberàlis), gli Egizi nanti). Nasce nei campi in primavera, periodo in cui viene pure raccolto. Le foglie sono simili a quelle dell’origano o della rucola o della cicoria o del timo, sono pennate ma lunghe e ispide. Ha il gambo esile,

La paparìna (il papavero) (seconda parte)

di Armando Polito

SECONDA PARTE: LE TESTIMONIANZE DEGLI AUTORI LATINI

Le proprietà soporifere del papavero sono note da tempi antichissimi, perciò non fa meraviglia che esso sia presente, con tale particolare riferimento, nelle opere scientifiche e letterarie greche e latine. Comincerò da queste ultime e precisamente da Plauto (III-II secolo a. C.)  e dalla sua similitudine: [Il denaro] finisce subito, come se tu gettassi semi di papavero alle formiche1.

Più fortuna ha avuto, invece, un aneddoto (da cui è nato per papavero il significato traslato di persona di grande importanza che occupa un posto di primo piano nella vita pubblica di un paese) riportato dallo storico Tito Livio (I secolo a. C.-I secolo d. C.): Presso i soldati poi, [Sesto, figlio di Tarquinio il Superbo] condividendo con loro pericoli e fatiche, elargendo il bottino con tanta generosità, aveva accresciuto il suo carisma al punto che il padre Tarquinio non era a Roma più potente di quanto lui lo fosse a Gabi. E così, quando vide che aveva radunato uomini sufficienti per ogni tentativo, mandò a Roma uno dei suoi per chiedere al padre che cosa voleva che lui facesse, visto che gli dei gli avevano concesso il potere assoluto a Gabi. A quel messaggero poiché sembrava, credo, poco credibile, nulla fu risposto a voce; il re come se volesse riflettere si recò nel giardino del palazzo seguito dal messaggero del figlio e qui passeggiando si dice che col bastone abbia percosso in silenzio le alte teste dei papaveri. Il messaggero, stanco di porre domande e non ottenere risposta, credendo che la sua missione fosse fallita, se ne tornò a Gabi e riferì quello che aveva detto e quello che aveva sentito e che il re o per ira o per odio o per congenita superbia non aveva detto una sola parola. Quando a Sesto fu chiaro che cosa il padre voleva con il suo oscuro comportamento, eliminò i più importanti cittadini discreditando alcuni presso il popolo e approfittando dell’invidia che era nutrita nei loro confronti. Molti furono uccisi direttamente, altri, contro i quali non poteva essere formulata un’accusa specifica, di nascosto. Fu concessa ad alcuni che lo volevano la fuga o furono mandati in esilio e i beni degli assenti e degli uccisi furono spartiti. Così il sentimento del male pubblico fu lenito dalla dolcezza della elargizione e della preda e dell’interesse privato finché Gabi, privata di potere e di aiuto, passò nelle mani del re romano senza alcun contrasto2.

Se la soluzione appena vista non fosse il classico cadere dalla padella (del figlio) nella brace (del padre) essa sarebbe l’ideale per risolvere i tanti problemi attuali causati dai moderni papaveri. Mi resta, però, un dubbio atroce, cioé che veramente pappa, con stabilizzazione del significato con riferimento esclusivo al mondo degli adulti (compreso il pappa in cui la forma abbreviata per pappone certamente non ha comportato una parallela riduzione della voracità), sia l’etimo di base di papavero

In fondo, alle stesse conclusioni era giunto il testo della canzone Papaveri e papere di Panzeri3, Rastelli e Mascheroni classificatasi al secondo posto al Festival di Sanremo del 1952 nell’interpretazione di Nilla Pizzi, testo inteso da alcuni, nella sua apparente demenzialità, come allusivo agli esponenti del partito allora dominante, la Democrazia Cristiana; da quest’ultima la risposta non si fece attendere poiché i suoi comitati civici  per le elezioni di quell’anno idearono un manifesto in cui campeggiavano papaveri (simboleggianti, questa volta, il Partito Comunista Italiano) svettanti in un campo di grano e attraversati da un grande paio di forbici nell’atto di tagliarli.

È meglio tornare ad un passato più remoto…

La coltivazione del papavero (è il colmo per una specie infestante…) e il suo uso culinario sono attestati da Marco Porcio Catone il Censore (III-II secolo a. C.): Se non potrai vendere la legna e i ramoscelli e non hai pietre da

Tra le verdure più gustate dai Salentini: li paparine

LA PAPARÌNA (il papavero)

di Armando Polito

PRIMA PARTE: NOMENCLATURA ED ETIMOLOGIE

Un campo di papaveri costituisce ancora oggi, fortunatamente, almeno nel Salento, uno di quei fenomeni naturali che, al pari del sorriso di un bambino, della sensibilità di un animale, della bellezza di un tramonto e di una donna non ritoccata (ormai il come mamma l’ha fatta è stato soppiantato da come il chirurgo estetico l’ha trasformata e, in più di un caso, ridotta…), mi emozionano e mi commuovono.

Claude Monet, Musée d’Orsai, Parigi

Questo lavoro vuole essere, perciò, un omaggio a questo nostro compagno di avventura sulla Terra e solo alla sua varietà innocua, con tutto il rispetto per le altre (mi riferisco a quelle da oppio) che la perversione umana, in una delle sue innumerevoli contraddizioni (in cui, nonostante la loro da noi presunta inferiorità non incorrono le restanti specie animali) ha fatto assurgere da un lato a rimedio del dolore (e chi, meglio degli animali, conosce le proprietà terapeutiche delle piante?), dall’altro a folle evasione nel tentativo disperato di superare la propria debolezza. Se però, qualcuno conosce il caso di un solo animale non umano morto, dico morto, per aver abusato di qualche erba, me lo faccia sapere. Quella delle droghe è una piaga antica quanto l’uomo e tra le testimonianze del passato sulle innumerevoli varietà del papavero non è azzardato supporre che più di una faccia riferimento proprio a quelle con proprietà profondamente e in qualche caso irriversibilmente stupefacenti. Io mi limito solo a riportarle, lasciando a chi ha la preparazione scientifica, che io non ho,  il compito di riconoscerle.

nome  scientifico: Papaver rhoeas L.

famiglia: Papaveraceae

nome italiano: papavero rosso, rosolaccio

nome dialettale: paparìna

Papaver e rhoeas erano i due nomi usati dai Romani per indicare la nostra pianta (vedi più avanti le relative testimonianze).

Comincio dal primo. Papaver è troppo lungo perché non sia un nome

Papaveri e… paparine

 

 


di Antonio Bruno
Non dirmi che non sai che cosa sono le paparine? Come mai, sei nato e cresciuto nel Salento leccese, le hai mangiate con le olive, le nere olive della cellina e dell’oliarola, e non sai che pianta è quella della paparina? Allora te lo dico io: è il papavero! Non lo sapevi vero? Noi del Salento leccese raccogliamo il papavero in pieno inverno, dicembre – gennaio, quando non ha ancora il fiore, gli tagliamo le radici , eliminiamo eventuali foglie secche, laviamo tutto (adesso mia moglie si arrabbia perchè sostiene che parlo come il Papa ma a fare tutto questo non

Papaveri e… paparine

 
ph R. Schirosi

Il Salento leccese “Papa – ver” e “Papa – rine”


di Antonio Bruno
Non dirmi che non sai che cosa sono le paparine? Come mai, sei nato e cresciuto nel Salento leccese, le hai mangiate con le olive, le nere olive della cellina e dell’oliarola, e non sai che pianta è quella della paparina? Allora te lo dico io: è il papavero! Non lo sapevi vero? Noi del Salento leccese raccogliamo il papavero in pieno inverno, dicembre – gennaio, quando non ha ancora il fiore, gli tagliamo le radici , eliminiamo eventuali foglie secche, laviamo tutto (adesso mia moglie si arrabbia perchè sostiene che parlo come il Papa ma a fare tutto questo non siamo noi, né io con il plurale maiestatis, ma lei al singolare) e mia moglie prepara! E come non ricordare quello che tutti abbiamo detto da piccoli: Mamma dammi la pappa; infatti il termine Papaver deriva dal latino papo (= pappa) o da una parola celtica con il medesimo significato.

Pare che il papavero rosso sia originario delle regioni medio – orientali e che sia comparso in Europa con l’introduzione delle colture di cereali.

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