Il monumentale palazzo Giaconìa in Lecce

testo e foto di Paolo Cavone

 

Nel 1546 il monsignore leccese Angelo Giaconìa, vescovo di Castro (1530-1563), iniziò la costruzione di un palazzo signorile in Lecce,  nei pressi della chiesa di S. Maria degli Angeli e del convento dei Padri Minimi S. Francesco di Paola.

 

Palazzo Giaconìa
Palazzo Giaconìa

 

Il palazzo ha un lunghissimo prospetto con due portoni simili ed ha avuto sicuramente più fasi di costruzione attuate in tempi successivi in relazione ai diversi proprietari che si sono succeduti, ed occupò l’area urbana creatasi dallo sviluppo ed ampliamento delle mura e coeva fondazione del Castello di Carlo V ad opera di Gian Giacomo dell’Acaya nel 1539.

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Una delle due porte del Palazzo Giaconìa

Successivamente il palazzo fu acquistato dall’allora Sindaco di Lecce, Vittorio De’ Prioli che si insediò nel 1593; già allora un ampio impluvium dava nel lungo giardino retrostante con: colonne, bassorilievi, iscrizioni, statue, e quant’altro di antico il prelato raccolse in scavi praticati a Lecce,  Rudiae e Salàpia. Di tutto questo oggi rimane ben poco: un maestoso albero di alloro alto 20 mt, vestigia di un folto laureto e di un bassorilievo in pietra leccese: “Il Duello e il trionfo di David”, attribuiti a Gabriele Riccardi, cui è assegnato anche l’intero edificio.

 

“Il duello e il trionfo di David” sul gigante Golia, bassorilievo del Riccardi.
“Il duello e il trionfo di David” sul gigante Golia, bassorilievo del Riccardi.

 

La formella relativa al trionfo di David, presenta delle analogie con quelle dell’altare di S.Francesco di Paola in Santa Croce. Sull’architrave di una porta murata, nell’atrio d’ingresso, è incisa una frase, di cui sono leggibili le parole: “MIHI OPPIDU CARCER ET SOLITUDO”. Nessuna traccia di un secondo bassorilievo, citato in letteratura, con il “David che scrive”.

I giardini sono limitati dalle mura della città sulla cui sommità trova posto un pergolato in ferro battuto che si poggia su colonne seicentesche.

 

Giardino e lato interno delle mura di Lecce
Giardino e lato interno delle mura di Lecce

 

Dopo la morte del De’ Prioli (1623), gli eredi alienarono l’edificio ai Carignani duchi di Novoli, che vi si stabilirono abitandolo insieme ad altri nobili. Se il De’ Prioli aveva eseguito alcune opere murarie nella parte interna, per arricchire e sistemare, in particolare, il giardino dove vi sono tutt’ora alcune balaustre del 1600, i Carignani completarono la costruzione nell’ala sinistra.

 

Finestre nel cortile del Palazzo Giaconìa
Finestre nel cortile del Palazzo Giaconìa

 

Il piccolo portale dell’attuale cappella su Piazzetta De Summa e le edicole finestrate appartengono, invece, ai primi decenni del XX secolo.

I due doccioni in pietra leccese che si trovano su prospetti, indicano, con il

cornicione terminale, le altezze originali dell’edificio.

 

Uno dei due doccioni del prospetto.
Uno dei due doccioni del prospetto.

 

Nel 1780 i Carignani vendettero il palazzo ai fratelli Michele e Alessandro Y Royo, Duchi di Taurisano, che ritoccarono i portali apportandovi i loro stemmi in marmo bianco, dividendolo , in pratica, in due palazzi. L’abitazione signorile dei Lopez Y Royo si sviluppava al primo piano. All’inizio dell’ottocento, con l’occupazione francese, divenne dimora di alcuni generali delle milizie. Nel 1817 il duca Antonio Lopez Y Royo, figlio primogenito di Michele, che non aveva figli, lo donò al fratello germano Cav. Bartolomeo. Il palazzo si frazionava ulteriormente con gli eredi dei casati: Tresca e Castriota Scanderberg e solo una parte di questo rimaneva ai Lopez Y Royo.

Con decreto prefettizio del 1927 una parte del palazzo passò all’Istituto dei Ciechi, oggi sede dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti.

 

Bibliografia

1)      A. FOSCARINI, Lecce d’altri tempi, in “Iapigia”, Anno VI, Fasc. IV

2)      N. VACCA, Ruderi e Monumenti nella penisola Salentina,  LECCE 1932

Lecce, S. Elia alle Secare: un sito da riscoprire

di Paolo Cavone

Sono nato e cresciuto a Lecce nell’estrema periferia est della città e ricordo che alla fine degli anni ’70, di fronte alla mia palazzina, si stagliava, nella rigogliosa campagna circostante, una masseria abbandonata e semi-diroccata. Per tutti noi ragazzi della zona era una sorta di parco delle meraviglie giacché potevamo liberamente scorazzare per l’aia, giocare a nascondino nelle stalle, lanciarci gavettoni d’acqua della cisterna, cacciare lucertole in un canale adiacente e lanciare sassi nei pozzi per ascoltarne l’eco. In estate si andava e mangiare, direttamente sugli alberi, fichi di svariate varietà, gelsi mori e bianchi, melagrane e more in quantità.

I più temerari fra noi si avventuravano ad arrampicarsi sul tetto pericolante fin su i comignoli traballanti, fino a quando Fabio, un amico che se ne è andato troppo presto, un giorno si ruppe un braccio precipitando dal tetto del secondo piano della masseria. Dopo qualche settimana dall’accaduto, per motivi di sicurezza, le autorità decisero che la masseria doveva essere definitivamente rasa al suolo e messa in sicurezza tutta l’area circostante nella quale a pochi metri tra loro si contavano: tre pozzi larghi più di un metro e profondi una ventina, una cisterna quadrangolare di 3 metri di lato e profonda una decina.

Un paio di ruspe buttarono giù tutto e con le macerie riempirono i tre pozzi (Foto 4 e 5) e la cisterna (Foto 6). Il nostro “castello” era ormai distrutto e dopo qualche mese la spianata si trasformò in un campetto di calcio.

 

Fig. 1 – Lecce, la zona della Masseria S. Elia in una foto aerea del 1948
Fig. 1 – Lecce, la zona della Masseria S. Elia in una foto aerea del 1948

Oggi, dopo trent’anni, appassionato di storia locale e analizzando le mappe topografiche della città scopro che il nostro castello era in realtà la cosiddetta “Masseria S. Elia a le Secare”, un nome che non poteva essere più azzeccato vista la grande quantità di acqua che c’era: tre pozzi, una cisterna e un canale stagionale erano il regno di secare (bisce) e scurzuni (biacchi).

 

L'attuale sito su cui sesisteva la Masseria S. Elia alle secare
L’attuale sito su cui sesisteva la Masseria S. Elia alle secare

Scopro che la masseria doveva avere origini molto antiche visto che ci risultano ritrovamenti nel 1971[1] di diversi materiali archeologici che testimoniano un insediamento rurale stabile di età romana imperiale, in particolare doveva trattarsi di una villa rustica della gens Marcia con annesse sepolture scavate nel tufo e relativamente vicina all’antica Lupiae.

I ritrovamenti constano di un rocchio di colonna (Fig.2), che giustifica il carattere gentilizio della villa e due cippi funerari con epigrafi del II sec D.C.

Fig.2 – Rocchio di colonna scoperto nella masseria S. Elia a le secare
Fig.2 – Rocchio di colonna scoperto nella masseria S. Elia a le secare
Fig. 3 – Il cippo di Marcia Ianuaria
Fig. 3 – Il cippo di Marcia Ianuaria

Nella prima, in Fig.3, si legge:

MARCIA

IANUARIA

V  A  XLV

Marcia Ianuaria V(ixit) A(nnis) XLV (45)

La seconda epigrafe fu posta a GEMINIA FELICULA da parte di C. MARC[IUS]. I reperti sarebbero nel Museo Provinciale di Lecce “S. Castromediano”.

Le epigrafi sono state successivamente studiate dal Pagliara[2] il quale asserisce:

In tutti questi luoghi è dato rilevare tracce piu o meno cospicue di resti di ville rustiche, datate, per ora, genericamente ad età imperiale (II-III sec. d.CL). In alcuni casi tali resti indicano un certo tono signorile della villa, e proprio a tali contesti sono riferibili monumenti funerari di ingenui

appartenenti a gentes note nei vicini municipia, all’interno dei quali spesso membri della stessa gens occupano posizioni sociali rilevanti e ricoprono dignità pubbliche. Di contro la stragrande maggioranza delle iscrizioni recuperate nelle restanti aree extraurbane sono di servi, liberti, o, a volte, di liberi, ma di umile condizione.

 

Fig.4 – Il primo pozzo con cataletto di adduzione
Fig.4 – Il primo pozzo con cataletto di adduzione
Fig. 5 – Il secondo pozzo della Masseria S. Elia alle secare
Fig. 5 – Il secondo pozzo della Masseria S. Elia alle secare

Sarebbe auspicabile pertanto che, visto che la masseria non esiste più, almeno il toponimo “S. Elia alle Secare” rimanesse intitolando a questo la piazza che verrà tra le vie Potenza, via Pescara e Via Firenze. Sarebbe poi un sogno se l’intera area (pozzi, cisterna e parco) si recuperasse e valorizzasse come spetterebbe ad un sito archeologico.

 

Fig. 6 – Porzione di cisterna ricolma con le rovine della masseria
Fig. 6 – Porzione di cisterna ricolma con le rovine della masseria

 

 


[1] G. UGGERI, Notiziario topografico salentino, Contributi per la carta archeologica, 1971, pp. 288

[2] C. PAGLIARA, Note di epigrafia salentina III, pp. 72-74

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