Lu trappitu (il trappeto/trapeto), ovvero quando il dialetto detta legge

di Armando Polito

Le immagini di testa sono volutamente senza didascalia e per scoprire la ragione bisognerà giungere alla fine, non senza aver letto quello che c’è prima …

In Catone (III-II secolo a. C.), De re rustica, XX, XXII e CXXXVI, trapetum (sostantivo di genere neutro) è l’intera macchina; in  Varrone  (II-I secolo a. C.), De agri cultura, I, 55, trapeta (sostantivo di genere femminile) è la mole di pietra durissima; in Columella (I secolo d. C. ), De re rustica, XII, 50, trapetum  è la pesante trave usata per spremere le olive.

Ecco il lemma TRAPETUM e la variante TRAPITUM come sono registrati nel glossario del Du Cange (la traduzione a fronte è mia).

Preciso che il verbo greco τρἐπω interviene sì, ma in seconda  battuta  perché  *τραπητόν (la voce  non è attestata, ma molto probabilmente  è originaria della Magna Grecia) è da  τραπέω, che significa pigiare l’uva, a sua volta da τρἐπω.

Non è necessario essere filologi quanto meno per intuire che trapetum è il padre dell’attuale trapeto, di cui i vocabolari riportano anche la variante trappeto (che credo sia quella più usata), la cui origine meridionale è nella geminazione di p in un precedente trappetum presente in molte scritture a partire dal XV secolo), a sua volta dal trapetum riportato dal Du Cange. Va da sè che il neretino trappitu è da  trappitum, a sua volta da trapitum.

Trappitum in particolare è attestato in un un atto del 15 febbraio 1428 (Michela Pastore, Le pergamene della Curia e del Capitolo di Nardò, Centro di studi salentini, Lecce, 1964, p. 75), in cui Filippo Sambiasi di Nardò, ordinato l’inventario dei suoi beni, fa testamento lasciando, fra l’altro, trappitum unum turchiacum (un trappeto con torchio).

Sempre per Nardò è attestata la variante tarpetum (senza la geminazione della p ma con metatesi tra->tar-) in un atto del 31 dicembre 1427 (Angela Frascadore, Le pergamene del monastero di S. Chiara di Nardò, Società di storia patria per la Puglia, Bari, 1981, p. 88: … terciam partem unius tarpeti cum toto apparatu, sit(i)Licii, vicinio ecclesie Sancti Iohannis de  Vetere, iuxta domos Nucii Drimi et Ponagrani  … (la terza parte di un trappeto con tutta l’attrezzatura, sito in Lecce nel vicinio della chiesa di S. Giovanni de Vetere, presso le case di Nuccio Drimo e Penagrano).

E la voce doveva essere  molto diffuso in area meridionale se era già in un atto siciliano del 9 agosto 1351 conservato nell’Archivio di Stato di Palermo (spez. 26 N), sia pur con riferimento alla lavorazione della canna da zucchero: trappitum pulveris zuccari. Nei documenti medioevali raccolti nel Codice diplomatico barese ricorrono tarpetum e tarpitum.  Il che non esclude che la nascita di ognuna delle voci fin qui riportate  sia anteriore, e di molto.

La cronologia dell’uso, pur con tutti i limiti fisiologicamente connessi con tale tipo d’indagine, sembrerebbe, comunque, corroborare l’evoluzione fin qui delineata.

Per quanto riguarda l’italiano, fino alla metà del XVII secolo ricorre trapeto. A titolo d’esempio cito la prima quartina del sonetto LXIII in Leporeambi nominali alle donne et accademie italiane, s. n., s. d. di Ludovico Leporeo (1582-1655): Milla saggia qual dea de l’oliveto/m’ha il cor unto in un punto e m’ha ferito,/e nel suo torchio rigido contrito/con la mola crudel del suo trapeto. Ricordo inoltre che la voce ricorre ripetutamente anche nella locuzione trapeto da cavalli in Giovanni Battista Ramusio, Delle navigationi et viaggi, v.III, Giunti, 1606

La più antica testimonianza di trappeto che ho rinvenuto  appartiene a Onofrio Pugliesi Sbernia, Aritmetica, Bossio, Palermo, 1670. Successivamente a tale data trappetum diventa la forma usata quasi in maniera esclusiva. La pronunzia dialettale sembra aver preso il sopravvento sulla forma filologicamente corretta e non escluderei la spinta decisiva del fattore economico e a tal basti pensare al ruolo di protagonisti  che la Puglia e il Salento in particolare avrebbero avuto in tutta Europa nella produzione e nel commercio dell’olio.  Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia …

Una sintetica storia, invece, con l’occhio rivolto alla tecnologia, è rappresentata visivamente dalle tre immagini di testa che vanno dal I secolo d. C. (Boscoreale, Villa della Pisanella; immagine tratta da https://viaggiart.com/it/boscoreale/luoghi/museo/antiquarium-nazionale-di-boscoreale_13994.html)

ai nostri giorni (immagine tratta da http://www.arsolea.it/wordpress/wp-content/uploads/2012/02/ars18.jpg)

passando per il frantoio ipogeo di di Santa Maria a Cerrate (immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Trappeto_(frantoio)#/media/File:Frantoio_Ipogeo.jpg).

Lascio al gusto del lettore decidere qual è l’attrezzatura che presenta il disegno più moderno, direi quasi avveniristico, manco fosse stato studiata, con  cospicui investimenti, nella galleria del vento …

Ruolo, organizzazione e obiettivi dell’olivicoltura pugliese

Seminario all’Hilton Garden Inn, venerdì 28 marzo 2014

A Lecce si discute della nuova PAC 2014/2020

Ruolo, organizzazione e obiettivi dell’olivicoltura pugliese

Tecnici, amministratori ed imprenditori agricoli

intorno ad un tavolo per definire le future scelte strategiche 

olivi 

La globalizzazione porterà davvero ad un mercato mondiale? L’olivicoltura pugliese potrà uscire dalla crisi? E come? Se bisogna fare “sistema”, qual è il sistema? A queste ed altre fondamentali domande cercheranno di dare risposte i tecnici, gli amministratori e gli imprenditori agricoli che parteciperanno al seminario dal titolo “PAC 2014/2020 – Ruolo, organizzazione e obiettivi dell’olivicoltura pugliese” che avrà luogo venerdì 28 marzo, alle ore 9, presso l’Hilton Garden Inn, promosso da APOL Lecce e CIA Lecce. In allegato il programma dettagliato dell’iniziativa.

“In una complessa realtà globale si inquadra lo stato di crisi dell’olivicoltura pugliese – si legge in una nota a firma congiunta di Benedetto Accogli, Presidente APOL Lecce e Giulio Sparascio, Presidente CIA Lecce – che in quest’ultimo periodo deve far fronte, in provincia di Lecce, anche ad una nuova fitopatia, caratterizzata da disseccamenti estesi e rapidi della chioma delle piante, che determinano il deperimento delle stesse. Per garantire il rilancio del settore, assicurando un equo reddito ai nostri produttori, occorre necessariamente definire il ruolo, l’organizzazione e gli obiettivi dell’olivicoltura pugliese.

Alla base di tutto diviene necessario il rinnovamento delle aziende olivicole attraverso il ricambio generazionale, che è il più importante elemento da perseguire nella politica di innovazione del settore. Occorre definire, altresì, un nuovo modello di organizzazione economica capace di mettere insieme i piccoli e medi produttori, rendendoli protagonisti e artefici del loro futuro.

Per tale motivo è necessario sensibilizzare i produttori e le loro Organizzazioni a definire scelte strategiche comuni per l’olivicoltura pugliese che abbiano come obiettivo, da un lato la razionalizzazione della fase produttiva con la diminuzione dei costi di produzione e l’aumento della qualità del prodotto, dall’altro la concentrazione in una sola struttura commerciale, in modo da diffondere un’unica immagine dell’olio extra vergine di oliva pugliese da valorizzare, promuovere e quindi commercializzare con un solo brand.

Tale percorso potrà essere favorito dalla recente approvazione della riforma della PAC per il periodo di programmazione 2014-2020 che prevede, fra le altre misure, maggiori e più importanti compiti a favore degli Organismi associativi.

In vista del processo che porterà le competenti Istituzioni italiane a delineare le scelte applicative nazionali per quanto riguarda la nuova PAC per i prossimi anni, occorre esortare i responsabili della politica agricola a livello nazionale e regionale a compiere delle scelte compatibili con le esigenze di rilancio e di crescita del sistema olivicolo pugliese, considerata l’importanza economica, territoriale, ambientale e sociale che il settore riveste.”

 

Il seminario chiuderà alle ore 14 con una degustazione di prodotti tipici della dieta mediterranea presso gli stand delle aziende associate alla Confederazione Italiana Agricoltori di Lecce e all’Associazione tra Produttori Olivicoli di Lecce.

 

L’intera sessione sarà trasmessa in diretta streaming da SudNews.tv. e, contestualmente, sarà lanciato su Twitter l’hashtag #olivicolturapuglieseper condividere i temi discussi e per interagire in modalità on-line, attraverso il moderatore, durante i lavori.

Se il Salento perderà gli ulivi non avrà più ragion d’essere

ulivo-raffaella

di Pier Paolo Tarsi

 

Se il Salento perderà gli ulivi non avrà più ragion d’essere. Avrà perso semplicemente tutto.

Ci renderemo conto della visione fatua che la ribalta turistica ci restituiva, ci renderemo conto di quello che davvero contava, ci renderemo conto che non siamo mai stati votati al mare, ma sempre e soltanto alla terra.

Questo dramma potrebbe risvegliare più dei vani discorsi di ogni anno, ma forse e soltanto per una contemplazione irrimediabile di morte.

Novembre, è tempo di raccoglierle

di Armando Polito

Mola olearia da Pompei. Immagine tratta da Rediscovering Pompeii, “L’Erma” di Bretschneider, Roma, 1990, pag. 132

 

È colpa mia se le olive si cominciano a raccogliere  in questo periodo dell’anno e se, dunque, l’argomento non appare fuori stagione?

Questa volta, a conforto di chi mi legge,  a parlare sarà solo (o quasi…) Plinio (I secolo d. C.) con la sua Naturalis historia, anche perché le notizie al riguardo probabilmente sue sono accompagnate puntualmente da citazioni di autori che l’avevano preceduto.

Si comincia con una nota storica: (XII, 1): “Teofrasto, uno dei più famosi autori greci, intorno all’anno 440 dalla fondazione di Roma1 disse che l’olivo non nasceva lontano dal mare più di quaranta miglia e Fenestella2 sostiene che l’olivo non esisteva in Italia, Spagna ed Africa al tempo del regno di Tarquinio Prisco, 173 anni dalla fondazione di Roma e che quest’albero ora è passato pure oltre le Alpi e nelle zone centrali della Francia e della Spagna”.

Ecco, subito dopo, delineate le conseguenze economiche e di mercato: “Perciò nell’anno 505 dalla fondazione di Roma…l’olio aveva il prezzo di dodici assi a libbra, nell’anno 680 M. Seio…diede al popolo romano per tutto l’anno dieci libbre di olio per un asse. Ma molto meno si meraviglierà di ciò chi saprà che ventidue anni dopo …l’Italia mandò l’olio nelle provincie”.

Segue un dettaglio non da poco, pur nella sua estrema sinteticità, che prelude alla coltivazione intensiva, anche se, probabilmente,  con un’esagerazione finale: “Esiodo3, che fu tra i primi ad insegnare l’agricoltura, disse che chi aveva piantato un olivo mai ne aveva colto il frutto, così lentamente cresceva quest’albero. Ma ora pongono i semi  anche nei semenzai e dalle piante trapiantate nell’anno successivo raccolgono il frutto”.

È tempo di passare all’olio: (XIII, 2) “A raccolto effettuato, per produrre l’olio è necessaria più cura di quanto non ne occorra per produrre il vino, perché dalla medesima oliva si possono estrarre oli diversi. Anzitutto è da considerare l’oliva acerba o che, comunque, non ha cominciato ancora a maturare: il sapore dell’olio è eccezionale. Quello poi che esce dalla prima torchiatura è pregiatissimo, a seguire quello che si estrae, come da poco si è cominciato a fare,  mettendo le olive pestate in piccoli cestelli di vimini. Quanto più l’oliva è matura, tanto più l’olio è pesante e meno gradevole. Il migliore momento per raccogliere le olive, quando son sane e abbondanti,  è quello in cui cominciano ad annerire. C’è una grande differenza se si fanno maturare le olive nei frantoi o sui rami, se l’albero era bagnato o se l’oliva aveva solo il suo succo e non bevve nient’altro che rugiada”; (XIII, 3): “L’invecchiamento danneggia l’olio, a differenza del vino, ed esso dovrebbe essere al massimo di un anno;  in questo la natura, se ci fa piacere capirlo, è stata provvida, perché non è indispensabile usare il vino  che è nato per ubriacare; anzi, il suo invecchiamento, che lo rende migliore, ci invita a metterlo da parte; la natura, invece, non volle che così avvenisse con l’olio, che dopo il primo anno è già vecchio e scadente per tutti”.

Poi Plinio, sempre nello stesso capitolo dello stesso libro del brano appena citato, ritorna al raccolto con questi consigli: “È un danno se per limitare le spese si aspetta che le olive cadano da sole. Quelli che vogliono seguire la via di mezzo le battono con le pertiche, danneggiando l’albero e compromettendo il raccolto dell’anno successivo. Perciò c’è per coloro che coltivano l’olivo una legge che dice di non reciderlo e non batterlo. Coloro che agiscono cautissimamente battono leggermente con canne, senza rompere i rami, altrimenti l’albero è danneggiato nella successiva germinazione e si perde un anno di fruttificazione. Lo stesso succede se si aspetta che le olive cadano da sole perché esse permanendo sull’albero oltre il tempo dovuto sottraggono sostanza al raccolto successivo”.

E contro l’opinione (apparentemente non infondata) che l’oliva più polposa dia più olio: “Le olive sono fatte di nocciolo, olio, carne e morchia, che è sua putrefazione amara. Nasce dall’acqua, perciò è minima in tempo di siccità, abbondante in quelli piovosi. Il succo dell’oliva è l’olio e questo s’intende soprattutto nelle olive acerbe…cresce l’olio dopo la nascita della stella di Arturo, fino al 16 settembre, poi crescono i noccioli e la carne. Quando le piogge giungono abbondanti  e le olive sono assetate, l’olio diventa morchia e il suo colore fa che l’oliva diventi nera e perciò all’inizio di questo processo c’è una minima quantità di morchia, prima non ce n’è proprio. E le persone si ingannano pensando che sia l’inizio della maturazione ciò che in realtà è l’inizio di un difetto. Sbagliano inoltre credendo che l’olio nasca dalla carne dell’oliva, che il succo si incrementi e il nocciolo ingrandisca, ragion per cui sottopongono la pianta ad irrigazione. Se tutto ciò avviene per intervento del coltivatore o per le piogge eccessive l’olio si consuma se non interviene il bel tempo che assottigli il corpo dell’oliva. Causa dell’olio, come dice Teofrasto, è il calore e perciò nei frantoi e nei magazzini è richiesto molto fuoco”.

Mi piace chiudere, proprio a proposito del calore,  con questa testimonianza di una coscienza ecologica e di risparmio energetico insospettabile in tempi in cui si poteva pure scialare e che a distanza di due millenni trova ancora oggi applicazione nei moderni frantoi, dove il nocciolino viene utilizzato per il riscaldamento dell’acqua usata nella gramolatura : (XIII, 6) “Tutte queste operazioni vanno fatte nei frantoi caldi e chiusi e non ventilati; qui non c’è bisogno di usare la legna perché dai noccioli delle olive si produce un adattissimo fuoco”.

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1 La data tradizionale della fondazione di Roma è il 753 a. C., per cui la data alla quale fa riferimento Plinio è il 313 a. C.; infatti Teofrasto  visse dal 371 al 287 a. C. Ottantaquattro anni di età a quei tempi erano veramente un traguardo eccezionale e, a parte il patrimonio genetico, c’è da chiedersi che ruolo abbia avuto, magari, il consumo dell’olio di oliva. Purtroppo, non abbiamo su tale tema alcuna testimonianza, mentre gli archivi televisivi oggi grondano di registrazioni dai quali i posteri potranno attingere notizie preziose sulle abitudini, anche alimentari, di un tronista o di una velina che, com’è noto, sono le categorie più rappresentative dell’umanità del nostro secolo…

2 Storico romano vissuto tra la seconda metà del I secolo a. C. e il primo ventennio del I d. C. , autore di Annales, di cui ci restano una trentina di frammenti.

3 Poeta greco vissuto tra l’VIII e il VII secolo a. C.

Libri/ L’Eroe Antico

L’Eroe Antico

 segnalato dalla Giuria del Premio Stresa 1980.
(Fuori catalogo).

Antonio, il protagonista del lungo racconto, è un eroe all’antica e come l’Ulisse omerico nel Mediterraneo, percorre in lungo ed in largo tutto il Salento; di giorno e di notte, con il buono ed il cattivo tempo, ed attraverso il suo viaggiare acquisisce sempre più conoscenza della vita. Viaggia da solo dall’inizio alla fine, come se fosse guidato dalla forza misteriosa che domina il mondo e gli uomini. Senza mai fermarsi, neanche di fronte alla perdita dell’oggetto del suo più grande sentimento.

Ulivi monumentali della Puglia. Interventi per la rilevazione sistematica

In questi giorni è stato indetto dal Servizio regionale Affari Generali un Avviso di bando di gara per  l’affidamento del servizio di realizzazione degli interventi di rilevazione sistematica degli ulivi monumentali della Puglia in attuazione della Legge regionale n.14/2007,  “Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia”,  legge che tutela e valorizza gli alberi di ulivo monumentali ” in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica ed idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale”.

“Tale tutela e valorizzazione viene perseguita, in particolare, attraverso la definizione del carattere di monumentalità da attribuire alle piante plurisecolari, individuate attraverso attività di rilevazione sistematica degli ulivi monumentali della Puglia”.

L’oggetto del bando riguarda la creazione di un sistema informativo territoriale georeferenziato/database che riporti tutte le informazioni censite.

Così, tra l’altro, recita il bando:

“Il suddetto sistema informativo territoriale georeferenziato/database dovrà inoltre contenere i dati uniformati provenienti da:
a) le azioni di rilevazione sistematica sul campo già avviate;
b) le istanze di espianto/reimpianto presentate alla Commissione tutela alberi monumentali;
c) le segnalazioni di ulivi monumentali, presentate da cittadini ed enti ai competenti uffici regionali;

Notizie utilissime per chi possiede alberi di olivo

 

Un olivo è come un bimbo che deve essere ben guidato e non costretto… nella sua crescita

di Antonio Bruno

L’olivo del Salento leccese non produce ogni anno e ciò accade quando i frutti vengono lasciati sull’albero sino a gennaio, febbraio in maniera da sovramaturare per poi essere raccolti dopo la caduta spontanea.
La raccolta precoce effettuata con il distacco forzato delle olive dalla pianta con l’ausilio degli scuotitori o di altre macchine ed una potatura leggera annuale, riducono il fenomeno dell’alternanza di produzione.
Se abbiamo una pianta di olivo e vogliamo fare in modo di correggere i sistemi sbagliati di allevamento e di potatura ci sono tanti studi che contribuiscono ad ottenere questo obiettivo. E nel 1928 il collega Benvenuto Murri si avventura a dare dei suggerimenti per consentire l’esecuzione di una potatura razionale dell’olivo.

“La qualità nasce nel campo” questo detto è riferito a quei prodotti alimentari che dopo essere stati raccolti vengono trasformati, ed questo il caso delle olive che dopo la raccolta vengono portate al frantoio per essere sottoposte alla molitura da cui si ricava l’oro giallo, l’olio della sapienza e dell’amicizia.
Il Salento leccese possiede un patrimonio immenso di oliveti, e tra questi vi sono gli olivi millenari che rappresentano l’adattamento delle varietà di olivo all’ambiente del Salento leccese. Purtroppo la carie del legno, che falcidia gli alberi di olivo e che viene combattuta con i tagli inferti dall’opera dell’uomo, fa si che non ci sia il legno vecchio, ovvero il cuore dei tronchi contorti dell’albero di olivo, purtroppo tale circostanza ci impedisce di datare con esattezza l’età delle piante. Ma se facessimo uno studio per mapparle geneticamente avremmo la gioia e la meraviglia di osservare il percorso dei coloni che vennero dalla Grecia, dei Cartaginesi, dei Saraceni, degli Svevi, dei Monaci Basiliani, dei Borboni e dei Francesi.

La presenza di tutti questi popoli nel Salento leccese e il loro legame con la pianta dell’olivo è la prova che l’uomo ha portato con se quelle piante e le ha messe a dimora e quando si è spostato di nuovo se l’è portate con se. Questa opera paziente e piena di attenzione dell’uomo ha fatto si che oggi siamo in possesso di un enorme patrimonio genetico.

L’olivo del Salento leccese non produce ogni anno e ciò accade quando i frutti vengono lasciati sull’albero sino a gennaio, febbraio in maniera da sovramaturare per poi essere raccolti dopo la caduta spontanea.
In tali condizioni la pianta non differenzia in inverno le gemme a fiore e, nell’annata successiva, sulla pianta ci saranno pochi frutti e quindi poca produzione di olio.
Se poi effettuiamo una potatura energica dopo l’anno di carica ecco che il fenomeno viene accentuato.

La raccolta precoce effettuata con il distacco forzato delle olive dalla pianta con l’ausilio degli scuotitori o di altre macchine ed una potatura leggera annuale, riducono il fenomeno dell’alternanza di produzione.
Gli scienziati del primo Novecento dicevano “L’olivo si pota con il temperino” e tra questi scienziati c’è anche il collega Dottore Agronomo leccese Benvenuto Murri.

Se abbiamo una pianta di olivo e vogliamo fare in modo di correggere i sistemi sbagliati di allevamento e di potatura ci sono tanti studi che contribuiscono ad ottenere questo obiettivo. E nel 1928 il collega Benvenuto Murri si avventura a dare dei suggerimenti per consentire l’esecuzione di una potatura razionale dell’olivo. La questione è tutta racchiusa nelle nozioni di fisiologia che dovrebbero essere il dominio incontrastato dei professionisti che guidano le squadre di potatori. In quegli anni il collega Murri si imbatté in specialisti potatori dell’olivo che seguivano i dettami prescritti da un antico proverbio “ulia te cimatura e fica te basciatura”.
Il collega afferma che tale proverbio induce a fare un gravissimo errore. Se è facile osservare che i nostri alberi hanno più frutto sulle cime rispetto agli altri rami dobbiamo avere la consapevolezza che tale comportamento dell’albero di olivo deriva da modo sbagliato di potare. Infatti potando in modo da favorire le cime dove erroneamente riteniamo avvenga in maniera esclusiva la fruttificazione e quindi tagliando sotto, la linfa affluisce più facilmente alle cime, lasciando poco alimentati gli altri rami inferiori.

Tenuto conto della fisiologia ne deriva che la potatura deve essere eseguita adottando il sistema dello svasamento, con il risultato di avere i rami non tutti perpendicolari ma obliqui tendenti a terra. In tal modo si ottiene il risultato di una uniformità di distribuzione della linfa che determinerebbe un minore aborto fiorale e in definitiva un prodotto uguale su tutti i rami.
Tutto questo deriva dall’applicazione della scienza agraria che proprio perché adotta il metodo scientifico arriva a conclusioni dopo pazienti esperimenti e prove comparative continue.

Come è noto la potatura si compone di interventi di potatura di formazione e di interventi di potatura di produzione o RIMONDA DEGLI ULIVI.
La prima e cioè la potatura di formazione o di allevamento, ha lo scopo di dare alla pianta dell’olivo una forma razionale, che in questa pianta nel 1928 era soprattutto quella a vaso. Come consiglia di eseguirla il collega Murri? Secondo il collega la prima operazione che il potatore deve fare è quella di stabilire bene l’altezza del futuro tronco, qui nel Salento leccese nel 1928 l’altezza che suggeriva l’esperienza doveva essere di metri 1,50 – 1,70 e non oltre e la ragione di questa scelta era collegata nell’esecuzione agevole dei lavori di potatura, rimonda, raccolta delle olive, irrorazioni. Il collega precisa che altezze maggiori del tronco rende più difficili e quindi costosi questi interventi sull’albero oltre che costituire una dispersione di materiali nutritivi.
L’olivo così costituito tornava ad essere interessato da interventi di potatura dopo due o tre anni quando, così come già scritto, si taglia il tronco all’altezza di metri 1,50 – 1,70 e su tre ramoscelli si impalca l’albero di olivo avendo l’accortezza di sceglierli in maniera tale che siano opposti ed equidistanti tra loro.
L’anno successivo i tre rametti lasciati l’anno precedente si tagliano a 60 centimetri dal loro punto di inserzione al tronco e su due gemme laterali ed opposte.
Allo stesso modo si continua nei 3 – 4 anni che seguono ottenendo alla fine il risultato di una pianta composta da 24 rami.

La potatura di produzione è corrispondente alla rimonda. Questa potatura è importante perché e dalla suo corretta esecuzione che dipende il successo produttivo dell’albero di ulivo.
Secondo il collega Murri è un errore madornale trascurare di fare questa potatura ogni anno. Infatti potando ogni anno si ha il risultato di equilibrare la produzione ottenendola costante ed inoltre non si sarebbe costretti, così come avviene quando pratichiamo la potatura discontinua, a fare grossi tagli che come sappiamo sono sempre dannosi.
In quegli anni si effettuava la potatura discontinua perché i proprietari, con il prodotto in rami e legno della stessa, pagavano la mano d’opera e magari ci guadagnavano anche qualche cosa.
Solo che tale guadagno accecava i proprietari dalle conseguenze della potatura forte che ha come naturale epilogo di vedere la pianta dell’olivo impegnata dopo tale intervento alla sua ricostituzione, e solo dopo che ciò sia avvenuto, destinare le energie a fare le olive.

Ma se la potatura è di produzione l’azione dei potatori dovrebbe essere informata dalla esigenza di mantenere l’equilibrio fra la parte aerea e le radici, operazione altamente delicata, perché bisogna anche proporzionare i rami fruttiferi, togliere i succhioni, il secco e quei rami torti che non hanno una posizione regolare e che impediscono il passaggio della luce e dell’aria e oltre a tutto questo necessita distribuire uniformemente tutta la ramaglia.

Un intervento particolare che si pratica sull’olivo è la slupatura, che consiste nell’eliminazione del legno morto generato dalla lupa o carie dell’olivo e che come ho già scritto impedisce di datare l’albero.
L’operazione si esegue a fine inverno con una sgorbia, utensile per intagliare, utilizzata per questi lavori dove si ravvisa la necessità di rimuovere grandi quantità di legno. Le sgorbie usate per operazioni di sgrossatura, in genere con l’ausilio del mazzuolo, presentano una lama prossima a 4 centimetri, con una curvatura lieve. Con la slupatura si asporta il legno malato e si mantiene quello sano.

Infine voglio ricordare che sull’olivo possono essere necessari degli interventi quando durante la potatura si sono notati attacchi di “rogna dell’ulivo” un batterio che si insedia su ferite dovute anche a grandine o gelate e provoca delle escrescenze di colore marrone scuro o nero che portano al deperimento del ramo.
L’intervento che si deve fare per risolvere il problema consiste nel potare i rami malati e bruciarli e di non lasciare le ferite esposte ma di proteggerle con apposito mastice.

Voglio concludere con delle considerazioni affermando che è bene fare in modo che la quantità massima della chioma dell’albero di olivo asportata sia un terzo tanto che da pochi metri di distanza non si dovrebbe notare che l’olivo è stato interessato dalla potatura.
Infine c’è anche da fare una considerazione della Professoressa Fiammetta Nizzi Grifi che da mamma sostiene che “Un olivo è come un bimbo che deve essere ben guidato e non costretto … nella sua crescita!”

Bibliografia
L’Agricoltura Salentina del 1928
Adriano Del Fabro Coltivare l’olivo e utilizzarne i frutti
Adriano Del Fabro Il grande libro della potatura e degli innesti
Cosimo Ridolfi Lezioni orali di agraria date in Empoli: Raccolte …, Volume 2
Giornale agrario toscano …, Volume 4 anno 1830
Glauco Bigongiali Il libro dell’olio e dell’olivo: come conoscere e riconoscere l’olio genuino
Accademia economico-agraria dei georgofili (Florence, Italy) I Georgofili: atti della Accademia dei georgofili
Casini, Marone L’imprenditore agricolo professionale. Testo di preparazione all’esame per l’iscrizione all’albo
Gino Capponi Antologia: giornale di scienze, lettere e arti, Volume 23
Gualberto Giorgini Come si coltiva l’olivo
Ada Cavazzani L’olivicoltura spagnola e italiana in Europa
Scipione Staffa da Vincenzo L’ Italia agricola industriale
Fiammetta Nizzi Grifi La potatura dell’olivo in Toscana Riflessioni tecniche

Un manipolo di custodi del creato

di Antonio Bruno*

 

Più volte, riportando le annotazioni che provengono dalla bibliografia, ho fatto riferimento alla gravissima crisi che alla fine del 1800 inizi ‘900 attraversava l’olivicoltura del Salento leccese che nel 1905 non era derivata da un problema di mercato ma dalle avversità, specialmente dalla Brusca parassitaria causata da un fungo appartenente alla divisione Ascomiceti (Stictis panizzei). Questo fungo nel 1905 attaccò duramente dli oliveti di Cavallino, Lizzanello, Vernole, Martano e Melendugno nel Salento leccese. Si notarono le manifestazioni in

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