Le bottigliette in vendita al mercato del pesce
Torna “l’olie d’u pesce sciorge”
di Angelo Diofano
Il pittoresco, ma molto caotico, mercato ittico di via Di Mezzo, nel centro storico di Taranto, appare popolato già alle prime ore del mattino. I patiti del pesce fresco accorrono numerosi anche dalla provincia, consapevoli che non ne usciranno delusi.
Dalle “paranze” e “paranzedde”, ormeggiate alla banchina di via Garibaldi è tutto un viavai di cassette di pesce catturato nell’appena trascorsa faticosa nottata di lavoro. I componenti degli equipaggi si attardano davanti a una bottiglia di birra, commentando l’esito della battuta.
Triglie, lutrine, calamari, cefali, gamberi e quant’altro popola gli abissi di Mar Jonio sono ancora vivi nelle cassette e non intendono accettare la fine della propria esistenza: un salto, un altro ancora, nel tentativo di raggiungere le caditoie, da dove far ritorno finalmente nel proprio habitat naturale, più o meno inquinato. Una mano impietosa raccoglie però la creatura e la pone, assieme alle altre, in un sacchetto di plastica.
Il sacrificio non sarà vano: immersi nel pentolone di sugo o arrostiti sulla graticola, quei pesci daranno modo al ghiottone di turno di ringraziare il Padreterno di averlo fatto nascere in una città di mare. E nella fattispecie la nostra che, nonostante quello che si dice in giro, è bella, bella assai.
Fra le urla dei venditori e di quanti sono alle prese con appassionate partite di “padrone e sotte” sarà facile sentirsi rivolgere, quasi con tono da congiurati, la fatidica domanda: “Signo’, u ‘ue l’olie d’u pesce sciorge?”.
La turista mal incappata, a digiuno di usi e costumi locali, ne resterà senz’altro interdetta, non sapendo che rispondere. Parimenti per una gentile acquirente dei quartieri nuovi cittadini, non molto avvezza al vernacolo locale, che potrebbe senz’altro pensare a un invito equivoco. E perciò sarà spinta dall’impulso di rispondere accostando il termine dialettale ai parenti stretti,