Dallo ‘ntartièni alla playstation

di Armando Polito

 

Mi rendo conto che la definizione sintetica di intrattenimento attribuita a ‘ntartièni è parziale, generica, inesatta. D’altra parte, raramente si può condensare il significato di una parola in uno scarno sinonimo (in poesia, addirittura, saremmo bravi quanto lo stesso poeta) e la stessa definizione è, in un certo senso, un atto necessario di violenza che critici e interpreti, tuttavia, quotidianamente commettono, quando sono in buona fede, per fini divulgativi. Mi accingo, perciò anch’io ad un atto di violenza per giustificare l’autocritica iniziale.

La voce ‘ntartièni era usata in passato per tenere impegnato un bambino (in realtà, per toglierselo momentaneamente dalle scatole e scaricarlo su un altro membro della famiglia), in espressioni del tipo: và ddha llu nonnu e ffatte tare ‘nu picchi ti ‘ntartièni!=và dal nonno e fatti dare un po’ di intrattieni!

‘Ntartieni evocava alla candida ingenuità del  bambino (ingenuità che, col tempo, pur meno candida, veniva utilitaristicamente mantenuta per l’effetto in qualche modo gratificante della voce in questione) qualcosa di misterioso  che non assumeva mai  corpo e che poteva essere utilizzato all’infinito in questa sorta di gioco in cui il bambino diventava complice, coprotagonista e non più parte passiva.

Mi pare già di sentire qualche educatore moderno che, sulla scorta di altrettanto moderne notazioni psicologiche, lancia fulmini contro lo ‘ntartieni mettendo in campo paroloni come inganno, imbroglio, abuso della credulità infantile e simili.

Ribatto dicendo solo che la mia generazione, pur tra favole, Befana, ‘ntartièni, repressione sessuale e spauracchi vari di cui, magari, parlerò in altra occasione, anzi, grazie a loro, ha conservato ancora la capacità (dicono tutta umana…) di stupirsi e sognare, di tenere i piedi per terra senza rinunciare per questo ai voli della fantasia e dello spirito in un’epoca in cui contano da un lato solo l’apparenza, l’immagine, dall’altro il risultato immediato e apparentemente concreto, cioè superficiale e ingannevole…con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

E al bambino dei nostri giorni, non potendo essere “scaricato” con lo ‘ntartieni anche perché il nonno o è morto (per forza, se adesso ci si sposa a quaranta anni e si decide di avere il primo figlio a cinquanta!) o è all’ospizio, vengono propinate dosi massiccie di attività per valorizzare, secondo le aspettative dei genitori suggestionati in un loop infernale dai valori televisivamente trasmessi, fantomatici talenti o, peggio, somministrate lunghe sedute di cartoons o di playstation, che lo rincoglioniranno prima del tempo, stimolando in lui comportamenti emulativi pericolosi per sé e per la società, in attesa che la scuola rinormata e riformata prima e l’ultima serie del Grande fratello poi completino l’opera…

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1 La voce non esiste nel vocabolario italiano, ma sfido chiunque a trovarne una più vicina formalmente e semanticamente a qiella dialettale; d’altra parte, ci scandalizziamo di fronte a nessi del tipo usa e getta, tira e molla, mordi e fuggi, gratta e vinci e simili?

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